HONG KONG

Enciclopedia del Cinema (2003)

Hong Kong

Alberto Pezzotta

Cinematografia

Occupata da forze inglesi nel 1841 durante la guerra dell'oppio e colonia britannica dal 1843 al 1° luglio 1997, in seguito regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese, H. K. è stata sede, dagli anni Sessanta agli anni Novanta del 20° sec., di una delle industrie cinematografiche più attive del mondo. Questa piccola città-Stato, affollata da sei milioni di abitanti che parlano un dialetto cinese, il cantonese, ha perpetuato, attraverso le immagini in movimento, tradizioni appartenenti a un patrimonio secolare. Società capitalista e consumista, posta all'incrocio di Oriente e Occidente, ha trovato nel cinema il mezzo artistico più congeniale per esprimersi; ma è con fatica che agli inizi del 21° sec. affronta il mercato globale: il ritorno alla Cina ha infatti coinciso con il vertice di una crisi. La storia del cinema di H. K. si lega intimamente all'eredità culturale e alle vicende politiche della Cina, ma possiede una specificità, in cui anche altri influssi (occidentali e giapponesi) vengono fusi in una sintesi originale.

Dalle origini agli anni Sessanta

Importante centro di traffici dalla fine dell'Ottocento, H. K. ha sempre vantato una solida tradizione imprenditoriale e industriale. Il cinema, tuttavia, giocò fino agli anni Trenta un ruolo marginale: la colonia britannica era messa in ombra da Canton e da Shanghai, i maggiori centri produttori della cinematografia cinese, rispettivamente in cantonese (uno dei dialetti del Sud della Cina) e in mandarino (la lingua cinese standard). Sono andati perduti i primi due film girati a H. K. nel 1909: le farse Wa pen shenyuan (ingl. Right a wrong with earthenware dish) e Tou shao ya (ingl. Stealing the roast duck) di Leung Shao-Po (pinyin Liang Shaopo), prodotte dalla shangaiese Yaxiya (ingl. Asia Film Company). La prima società hongkonghese, la Minxin, fu fondata nel 1922 da Lai Man-Wai (pinyin Li Minwei). Il primo lungometraggio prodotto fu Yanzhi (ingl. Lipstick) di Lai Pak-Hoi (pinyin Li Beihai), ispirato a un racconto fantastico del Liaozhai zhiyi (I racconti fantastici dello studio Liao) di Pu Songling: un classico che avrebbe fornito spunti fino agli anni Novanta.

Le vicende della guerra civile in Cina costrinsero importanti case di produzione a trasferire la propria sede nella colonia. La prima, nel 1934, fu la Tianyi yingpian gongsi (ingl. Great Unity Film Studio) di Shao Zui-Weng (pinyin Shao Renjie): H. K. appariva più sicura, dato che il governo nazionalista del Guomindang aveva messo al bando sia i film in cantonese, sia quelli fantastici e di arti marziali, accusati, questi ultimi, di favorire la superstizione e la ribellione contro la morale confuciana. Alla metà degli anni Trenta H. K. emerse come centro irradiatore del cinema cantonese in tutto il Sud-Est asiatico; i generi delle arti marziali e del fantastico, alimentati da una secolare tradizione letteraria e paraletteraria, cominciarono a imporsi come una delle prerogative del suo cinema, il quale, con l'arrivo del sonoro (1933), attinse anche all'opera cantonese, forma teatrale autoctona (e alternativa all'opera pechinese) che unisce canto, danza e acrobazie.

L'invasione della Cina da parte del Giappone, nel 1937, affrettò la fuga di registi e intellettuali di cultura mandarina verso la colonia britannica. Ma dal 1941 al 1945 anche H. K. subì l'occupazione giapponese, con un conseguente arresto dell'industria cinematografica. In seguito alla liberazione, e durante la guerra civile cinese, tra il 1946 e il 1949 proseguì la fuga di registi verso H. K.; ciò contribuì al risorgere della cinematografia. La Cina popolare, inoltre, ereditava da quella nazionalista il rifiuto delle arti marziali e del genere fantastico.

Nel dopoguerra i film costituivano la fonte di svago più economica: la televisione arrivò, a pagamento, solo nel 1957, e la sua diffusione di massa avvenne solo nella seconda metà degli anni Sessanta. Quello hongkonghese, tuttavia, era pur sempre un mercato ristretto, e l'industria cinematografica dipendeva dalle esportazioni nel Sud-Est asiatico e nelle Chinatown di tutto il mondo, dove i film alimentavano un sentimento che Stephen Teo ha definito di "nazionalismo astratto" (1997, p. 111) e che esprimeva, al di là di connotazioni politiche e ideologiche, la nostalgia verso la madrepatria e il legame con le tradizioni. A H. K. negli anni Cinquanta il cinema girato in cantonese contava su budget più ridotti e aveva un taglio popolare: suo punto di forza, fino all'inizio del decennio successivo, continuavano a essere le versioni filmate di opere cantonesi; ma è in questo ambito che emersero registi impegnati socialmente, come Ng Wui (pinyin Wu Hui), autore di Fu yu zi (1954, ingl. Father and son) e Ch'un Kim, autore di Fumu xin (1955, ingl. Parents' hearts), tra i primi a riflettere sulle strutture familiari e sul rapporto tra tradizione e modernità. Invece, il cinema girato in mandarino disponeva di risorse maggiori ed era aperto agli influssi occidentali, a partire da musical e melodrammi che si incrociavano con la versione cinese di mélo nota come wenyi pian (letteralmente 'film d'arte e cultura', da wenxue, letteratura, yishu, arte e pian, film), eredità acquisita dal cinema di Shanghai.

Generi come quello delle arti marziali e del fantastico erano più trasversali: i wuxia pian (film marziali di cavalieri erranti) venivano girati sia in mandarino sia in cantonese. Se in quelli mandarini abbondavano gli elementi soprannaturali, quelli cantonesi avevano una connotazione più realistica: come la serie dedicata a Wong Fei-Hung (pinyin Huang Feihong), inaugurata nel 1949 con Huang Feihong zhuan (ingl. The true story of Wong Fei-Hung, di Wu Pang, pinyin Hu Peng) e interpretata da Kwan Tak-Hing (pinyin Guan Dexing) per oltre ottanta film. Huang Feihong, vissuto tra il 1847 e il 1924 in una Cina già invasa dai colonialisti europei, maestro di arti marziali e di medicina, fu un personaggio con cui avrebbero fatto i conti tutte le successive generazioni di registi fino agli anni Novanta.

La crescita dell'industria cinematografica si accompagnò alla creazione di un sistema integrato verticalmente, nel quale i produttori possedevano teatri di posa e laboratori, e controllavano anche distribuzione ed esercizio. La seconda metà degli anni Cinquanta fu caratterizzata dalla rivalità tra la Dianmao, nota come MP & GI (Motion Picture & General Investment), fondata nel 1956 da Loke Wan-Tho (pinyin Lu Yuntao), e la Shaoshi xiongdi (ingl. Shaw Brothers Film Company), fondata nel 1957 dal fratello più giovane di Shao Zui-Weng, Run Run Shaw (pinyin Shao Yifu). La concorrenza funzionò come incentivo al rinnovamento, ed entrambi gli studios puntarono a una maggiore qualità e spettacolarità, servendosi spesso di tecnici giapponesi. Nel 1959 Shaw produsse il primo film hongkonghese a colori (Jiang shan meiren, ingl. The kingdom and the beauty, di Li Han-Hsian, pinyin Li Hanxiang, specialista di melodrammi storici) e l'anno successivo fondò il grande complesso Shaw Movietown, dotato di teatri di posa e laboratori, ma anche di scuole di recitazione e dormitori per i dipendenti, inquadrati secondo una gerarchia patriarcale. La morte di Loke, nel 1964, lasciò Shaw dominatore incontrastato per il resto del decennio.

Dal rinnovamento alla crisi

Alla metà degli anni Sessanta il cinema hongkonghese risultava articolato in una gamma di generi, che andava dalla commedia al musical, dal dramma storico all'opera cantonese. Ma il rinnovamento linguistico investì soprattutto le arti marziali: in quegli anni i romanzi di cavalieri erranti, scritti da autori taiwanesi come Jin Yong e Gu Long che godevano di grande seguito a H. K., iniziarono a presentare personaggi più complessi e innovativi rispetto alla tradizione. In passato il cinema di arti marziali si era ispirato all'opera cantonese e pechinese, nonché alle illustrazioni dei romanzi, dove venivano raffigurate le prodigiose imprese di spadaccini capaci di volare o di emettere raggi micidiali dal palmo della mano. Ma negli anni Sessanta una messa in scena teatrale e poco realistica, con effetti speciali elementari, disegnati direttamente sulla pellicola, non era più sufficiente. Pesava sul pubblico la concorrenza dei film giapponesi di samurai e dei western americani, e produttori come Shaw e Loke decisero di aumentare la spettacolarità dei wuxia pian; inoltre alcuni scrittori (come, per es., Jin Yong) cominciarono a interessarsi direttamente dei problemi di trasposizione filmica dei loro romanzi, chiedendo un maggiore realismo e uno stile più moderno.

In un tale contesto, in cui si univano tradizioni secolari, ricerca estetica ed esigenze commerciali, emersero due registi, Chang Che (pinyin Zhang Che) e King Hu, che rinnovarono profondamente il cinema hongkonghese. Forse per la prima volta si imposero ‒ già nella percezione dei critici locali dell'epoca ‒ due 'autori' nel senso occidentale del termine, anche se portavoci di una cultura e di uno stile del tutto autonomi. Due autori dotati di poetiche riconoscibili e opposte di segno. Il prolifico Chang Che (di cui si ricordano in particolare Du bi dao, 1967, Mantieni l'odio per la tua vendetta; Jin yanzi, 1968, ingl. The golden swallow; Xin du bi dao, 1971, La mano sinistra della violenza) fu cantore di un mondo da Grand-Guignol, dominato da eroi solitari votati alla sconfitta, spesso ispirato ai romanzi di Gu Long. King Hu (autore, tra l'altro, di Da zui xia, 1966, ingl. Come drink with me; Longmen kezhan, 1967, ingl. Drag-on gate inn; e Xia nü, 1970, A touch of zen ‒ La fanciulla cavaliere errante), più legato alla tradizione del fantastico e nutrito di interessi filosofici, creò parabole sulla vanità della vita terrena, dove il reale si mescola al soprannaturale. Ma Chang e Hu segnarono uno spartiacque anche come sperimentatori, rinnovando il vocabolario del cinema hongkonghese e imponendo un montaggio velocissimo che scomponeva e ricostruiva le scene d'azione, vero e proprio centro emotivo e spettacolare delle storie raccontate.

Il rilancio delle arti marziali negli anni Sessanta, mentre assumeva una connotazione di rivendicazione nazionalistica contro la cultura inglese insegnata a scuola, rispondeva al tempo stesso ai bisogni di un'epoca di boom economico, in cui l'aggressività imprenditoriale di H. K. le aveva valso la definizione di 'tigre del Sud-Est asiatico'. Il successo dei wuxia pian in mandarino, tuttavia, provocò come contraccolpo la crisi del cinema cantonese, malgrado la raggiunta maturazione artistica.

All'inizio degli anni Settanta, in un'atmosfera di incertezza legata alla crisi economica e al diffondersi della criminalità organizzata, avvennero importanti mutamenti: gli Shaw Brothers persero terreno, e la Jiahe (ingl. Golden Harvest Film Company), fondata nel 1970 da Raymond Chow (pinyin Zou Wenhuai), ex direttore generale degli Shaw Brothers, lanciò un nuovo genere, quello dei film di kung fu (gongfu pian), che finirono con il soppiantare i wuxia pian. Gli eroi del kung fu (v.) combattevano a mani nude (tale è il significato del termine cantonese), e avevano meno sfumature dei tormentati spadaccini mandarini dei film di King Hu e di Chang Che. La nuova star era Bruce Lee, che, per quanto considerato dal pubblico locale come icona dell'orgoglio nazionalistico, riuscì a ottenere un successo internazionale e i suoi film, a partire da Tangshan da xiong (1971; Il furore della Cina colpisce ancora) di Lo Wei (pinyin Luo Wei), vennero esportati in tutto il mondo. Era la prima volta che il cinema di H. K. arrivava in Occidente: anche se, paradossalmente, con prodotti al di sotto degli standard tecnici abituali. Nel 1973 il primo posto al box office non fu però ottenuto da un film di kung fu, ma da una commedia cantonese, Qishier jia fangke (ingl. The house of 72 tenants) di Chor Yuen (pinyin Chu Yuan), remake di un lavoro del 1963 ambientato in un affollato complesso edilizio popolare. Mentre il cantonese si andava quindi imponendo come la lingua ufficiale dei film hongkonghesi, il cinema si affermava come un mezzo non solo adatto a perpetuare tradizioni e a creare intrattenimento spettacolare, ma anche teso a riflettere sul presente.

La morte prematura di Bruce Lee, nel 1973, affrettò il trapasso del kung fu verso la commedia, contemporaneamente all'affermarsi del cinema comico di Michael Hui (pinyin Xu Guanwen). Star televisiva, assieme ai fratelli Ricky (pinyin Xu Guanying) e Sam (pinyin Xu Guanjie), regista e interprete dei propri film, Hui ottenne enorme successo, a partire da Gui ma shuang xing (1974, ingl. Games gamblers play), con commedie che prendevano di mira i vizi dell'hongkonghese medio e gli inconvenienti della vita moderna, con una comicità slapstick elementare quanto efficace. Se il cinema di Hui si esaurì verso la metà degli anni Ottanta, ancora agli inizi del 21° sec. si continuavano a realizzare film basati sul kung fu comico creato da attori-registi come Lau Kar-Leung (pinyin Liu Jialiang, di cui si ricordano Shen da, 1975, ingl. The spiritual boxer, e Lantou He, 1979, ingl. Dirty Ho), Yuen Woo-Ping (pinyin Yuan Heping, di cui si ricorda She xing diao shou, 1978, ingl. Snake in the eagle's shadow, con Jackie Chan), Sammo Hung (pinyin Hong Jinbao, regista di Zan xiansheng yu Zhao Qianhua, 1978, ingl. Warriors two; e di Bai jia zi, 1981, ingl. The prodigal son) e Jackie Chan (ricordato per Shi di chu ma, 1980, Il ventaglio bianco). Il linguaggio delle arti marziali perse parte della sua drammaticità (anche se nei film di registi come Hung e Lau Kar-Leung rimanevano tracce di una visione tragica della vita), e diventò una chiave per spettacolarizzare l'intera realtà. Negli anni Ottanta, Sammo Hung e Jackie Chan iniziarono a girare storie di ambientazione contemporanea; Chan, in particolare, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha esportato con successo la sua comicità spettacolare e circense nel cinema americano.

Accanto al cinema commerciale cominciarono a emergere, a partire dalla fine anni Sessanta, figure iso-late che nutrivano ambizioni più alte, come la regista Shu Shuen (pinyin Tang Shuxuan) autrice di Dong furen (1969, ingl. The arch) e Zaijian Zhongguo (1974, ingl. China behind). Ma fu la televisione, nella seconda metà degli anni Settanta, a formare una nuova generazione di registi, che avevano studiato all'estero e conoscevano il cinema occidentale, e che nel formato del telefilm si sentirono liberi di sperimentare e affrontare temi controversi. Questa generazione, definita New Wave dai critici locali, esordì nel cinema alla fine degli anni Settanta. Il formalismo di King Hu costituiva ancora un modello (per es. per Diebian, 1979, ingl. The butterfly murders, di Tsui Hark, pinyin Xu Ke; oppure per Ming jian, 1980, ingl. Sword, di Patrick Tam, pinyin Tan Jiaming); ma molti altri film parlavano del presente, affrontando temi rischiosi come la violenza (Di yi leixing weixian, 1980, ingl. Dangerous encounter ‒ First kind, di Tsui Hark; Liehuo qingchun, 1982, ingl. Nomad, di P. Tam) e i profughi del Vietnam (Hu Yue de gushi, 1981, ingl. The story of Woo Viet e Tou ben nu hai, 1982, ingl. Boat people, entrambi di Ann Hui, pinyin Xu Anhua), o semplicemente mettendo in scena una H. K. quotidiana vista di rado (Fu zi qing, 1981, ingl. Father and son, di Allen Fong, pinyin Fang Yuping). L'esperienza della New Wave, che alimentava le speranze degli intellettuali hongkonghesi, si esaurì presto, anche a causa dell'insuccesso commerciale. Se alcuni di questi registi si ritirarono, altri, come Tsui Hark, affrontarono con spirito nuovo i generi tradizionali, impiegando una tecnica innovativa e dimostrando un gusto ironico per il pastiche (Xin Shushan jianxia, 1983, ingl. Zu: warriors from the Magic mountain).

Gli anni Ottanta sono considerati l'età d'oro del cinema di H. K.: il rapporto tra numero di biglietti venduti e numero di abitanti ha mostrato un rapporto superiore a quello di qualunque Paese occidentale, ma soprattutto sono risultati evidenti l'amore e la preferenza dello spettatore hongkonghese per il cinema locale. H. K. ha ottenuto, per numero di film prodotti, il terzo posto nel mondo, dopo Stati Uniti e India, e il secondo posto per numero di film esportati: anche se la distanza dagli Stati Uniti è rimasta enorme, e il mercato di riferimento ‒ il Sud-Est asiatico ‒ si è rivelato ristretto.Mentre in quel periodo ha continuato a prosperare la Golden Harvest, forte del controllo sulle società di Jackie Chan, Michael Hui e Sammo Hung, sono nate anche numerose case indipendenti come la Xinyi cheng (ingl. Cinema City), specializzata in film comici (la serie, diretta da vari registi, Zui jia paidang, 1982-1989, ingl. Aces go places, I-IV), ma anche in film di gangster e noir (come, per es., Long hu feng yun, 1987, ingl. City on fire, di Ringo Lam, pinyin Lin Lingdong, ispiratore di Reservoir dogs, 1992, di Quentin Tarantino). Nel 1984 Tsui Hark ha fondato la Dianying gongzuo shi (ingl. Film Workshop), dirigendo film che uniscono spettacolarità, consapevolezza ironica e riflessione sulle radici storiche (Shanghai zhi ye, 1984, ingl. Shanghai blues; Dao ma dan, 1986, ingl. Peking Opera blues). Ma ancora più significativa è stata la sua attività di produttore, mediante la quale ha ripreso i generi del passato e li ha modernizzati, lanciando registi come John Woo e Ching Siu-Tung (pinyin Cheng Xiaodong). Il primo, che aveva esordito nel decennio precedente come autore di film comici e di arti marziali, ha iniziato una nuova carriera con Yingxiong bense (1986; A better tomorrow), un noir interpretato da Leslie Cheung (pinyin Zhang Guorong), che trasporta i codici d'onore dei wuxia pian nel mondo della malavita. Ching Siu-Tung ha rinnovato la tradizione dei wuxia pian fantastici arricchendola di effetti speciali al passo con i tempi in Qian nü you hun (1987; Storia di fantasmi cinesi), ispirato ai racconti di Pu Songling. Gli anni Ottanta hanno visto affermarsi una nuova generazione di autori, definita Second New Wave, che hanno cercato di affrancarsi dai generi tradizionali: Stanley Kwan, Lawrence Ah Mon (pinyin Liu Guochang), Tony Au Ting-Ping (pinyin Ou Dingping), Clara Law (pinyin Luo Zhuoyao), Jacob Cheung (pinyin Zhang Zhiliang). Con Yanzhi kou (1987, noto con il titolo Rouge), storia di un fantasma che torna smarrito nella H. K. moderna, Kwan ha costruito una delle metafore più intense per narrare una cultura che scopre di essere senza radici e totalmente priva di memoria. Wong Kar-Wai ha esordito alla fine del decennio, ma è stato con il suo secondo film, A Fei zhengzhuan (1991; Days of being wild), ambientato nella H. K. degli anni Sessanta, che è diventato un vero caso, rivelandosi portavoce di una nuova estetica che è stata immediatamente definita postmoderna, all'inizio è stato però rifiutato dal pubblico.

Dopo che nel 1984 la dichiarazione congiunta di Cina e Gran Bretagna ha stabilito la restituzione di H. K. alla Cina per il 1° luglio 1997, il cinema ha iniziato a riflettere sul rapporto con la madrepatria, con film ottimisti come Si shui liu nian (1984, ingl. Homecoming, di Yim Ho, pinyin Yan Hao). Molti hongkonghesi hanno guardato però con preoccupazione al futuro, specie dopo il massacro di piazza Tian'anmen (4 giugno 1989) che ha posto in una luce minacciosa il governo di Pechino e ha ispirato uno dei film più sentiti di John Woo, Die xue jietou (1990, ingl. A bullet in the head).

All'inizio degli anni Novanta, l'industria di H. K. ha prodotto oltre duecento film all'anno, presentando un'impressionante varietà di generi e autori. L'attore, e poi regista, Stephen Chiau (conosciuto anche come Stephen Chow, pinyin Zhou Xingchi), lanciato da Du sheng (1990, ingl. All for the winner) di Jeff Lau (pinyin Liu Zhenwei) e di Corey Yuen Kwai (pinyin Yuan Gui), è diventato uno dei dominatori degli incassi di tutto il decennio, con una comicità basata su parodie, gag surreali e giochi di parole nonsense in cantonese. Wong Jing (pinyin Wang Jing) con Du shen (1990, ingl. God of gamblers) si è affermato come prolifico e cinico produttore e come regista di film che mescolano generi diversi, offrendo al pubblico la massima concentrazione di elementi spettacolari. Peter Chan (pinyin Chen Kexin), autore di Jin zhi yu ye (1994, ingl. He's a woman, she's a man), ha fondato nel 1991 una nuova società, la Dianying ren zhizuo gongsi (ingl. UFO, United Filmmakers Organisation), che si è specializzata in commedie di taglio più sofisticato. I film di John Woo (La shou shen tan, 1992, Hard boiled) e di Wong Kar-Wai (Chongqing sanlin, 1994, Hong Kong express) hanno cominciato a venire apprezzati e distribuiti in Occidente, facendo conoscere le due facce del cinema hongkonghese: da una parte, perizia tecnica e spettacolarità nutrita di emozioni antiche; dall'altra, capacità di raccontare caos e malinconia della metropoli moderna, con stile sperimentale.

Questa industria tuttavia, alla fine del 20° sec. e agli inizi del 21°, ha dato segni di essere sull'orlo della crisi: i produttori hanno sfruttato i film di successo producendo innumerevoli sequels, parodie e imitazioni nel giro di pochi mesi, con il risultato di abbassare la qualità e di perdere il pubblico (emblematico il caso della serie Gu Huozi zhi ren zai jianghu, di Andrew Lau, pinyin LiuWeiqiang, sei episodi ufficiali dal 1996 al 1998, ingl. Young and dangerous). Inoltre, nell'imminenza del ritorno alla Cina, alcuni registi si sono trasferiti negli Stati Uniti (come J. Woo), o comunque hanno cominciato a lavorare all'estero, con risultati spesso insoddisfacenti; nel contempo il pubblico ha cominciato ad apprezzare i film di Hollywood, trascurati nel decennio precedente, e la pirateria nel settore home video ha colpito duramente gli incassi dei film locali.

Nel 1997 il ritorno alla Cina ha lasciato inalterate le libertà civili di H. K., ma ha visto il crollo dell'industria cinematografica: la produzione si è dimezzata e il cinema americano si è accaparrato la fetta più grossa degli incassi. Sul finire del secolo Johnnie To (pinyin Du Qifeng), fondatore della Yinhe yangxiang zhizuo gongsi (ingl. Milkyway), ha prodotto e diretto noir di grande originalità ‒ come Yi ge zitou de dansheng, 1997, ingl. Too many ways to be no. 1, di Wai Ka-Fai (pinyin Wei Jiahui) e Zhenxin yingxiong, 1998, ingl. A hero never dies, da lui diretto ‒, che però non sono stati apprezzati dal pubblico. Il cinema di H. K. si è rivolto agli effetti speciali digitali (per es., con Feng Yun: xiong ba tianxia, 1998, ingl. The storm riders, di Andrew Lau) e ha cercato faticosamente di trovare spazio nel mercato globale, a rischio di perdere le caratteristiche che ne avevano costituito l'originalità per oltre trent'anni. In questo panorama incerto, il cinema d'autore, rappresentato da Wong Kar-Wai, Stanley Kwan, Ann Hui e il nuovo arrivato Fruit Chan (pinyin Chen Guo, il cui Xianggang zhizao, ingl. Made in Hong Kong, ha ottenuto grandi elogi nel 1997) ha resistito, affidandosi in parte a capitali stranieri per trovare uno sbocco nel circuito dei festival occidentali.

Bibliografia

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