I confini della compensatio lucri cum damno

Il libro dell anno del diritto 2019 (2019)

I confini della compensatio lucri cum damno

Elena Bellisario

Con quattro pronunce coeve le Sezioni Unite hanno affrontato l’annoso problema della compensatio lucri cum damno, ridisegnando l’ambito applicativo e i limiti dell’istituto. Le pronunce intervengono in un contesto di profonda incertezza e adottano una soluzione innovativa, che rivela particolare attenzione all’esigenza di una distribuzione del costo dei risarcimenti che coniughi efficienza, indifferenza e giustizia. Tale soluzione produrrà numerose ricadute operative, che incideranno significativamente sul rapporto tra sistemi di welfare, pubblico e privato, e sistema di responsabilità civile.

La ricognizione

Con quattro sentenze depositate il 22.05.2018 le S.U. della Cassazione hanno risolto un contrasto insorto in seno alla III Sezione civile e altresì affrontato una questione di massima di particolare importanza, nota come «problema della compensatio lucri cum damno»1 (sul tema, v. anche, in questo volume, Diritto civile, 4.1.1 I confini del danno risarcibile).

Il problema

Il brocardo designa tradizionalmente il criterio secondo cui nella stima del danno occorre tener conto degli eventuali vantaggi derivati dall’illecito attraverso una riduzione proporzionale del risarcimento.

Il problema concerne la sua portata operativa e i suoi limiti: quali i vantaggi di cui tener conto e, soprattutto, quali i criteri per selezionarli.

I casi in cui il problema si pone sono infiniti e fra loro molto diversi.

Così, ad es., è il caso dell’indennizzo percepito dal danneggiato in caso di assicurazione privata contro i danni, oppure è il caso di tutti quei benefici considerati espressione della più ampia nozione di “sicurezza sociale”2. In quest’ambito, rientrano le forme di assicurazione sociale previste e disciplinate da leggi speciali, a loro volta riconducibili a istituti differenti: alcuni di carattere mutualistico-assicurativo e previdenziale e connessi al rapporto di lavoro (come i sistemi di tutela contro gli infortuni e le malattie professionali ovvero in caso di invalidità ed altri eventi); altri di carattere assistenziale e spettanti a tutti i cittadini inabili al lavoro o in stato di bisogno (ad es., l’indennità di accompagnamento); altri ancora di carattere solidaristico, erogati dallo Stato in favore dei danneggiati, o dei loro familiari, a causa di tragedie, sciagure, disastri, catastrofi naturali o attacchi umani (ad es.: gli indennizzi o le speciali elargizioni in favore delle vittime del dovere, del terrorismo o della criminalità organizzata). Alcune di queste ipotesi, poi, possono presentare una peculiarità ulteriore: il soggetto obbligato tanto al risarcimento del danno quanto all’erogazione del beneficio è il medesimo, ed è la p.a. (si pensi, ad es., ai benefici previsti a favore del personale dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, oppure all’indennizzo a favore delle persone danneggiate da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati). Anche al di fuori della categoria dei benefici ex lege della sicurezza sociale, i casi in cui il problema si pone sono numerosi: si pensi alle attribuzioni effettuate per spirito di liberalità a favore della vittima (ad es. elargizioni o collette); alle somme aliunde perceptae a seguito di licenziamento illegittimo e prima della reintegra; alle nuove nozze o all’assunzione del coniuge superstite o, ancora, all’acquisto dell’eredità a seguito della morte del congiunto per altrui fatto illecito. In relazione a tutti questi casi, nei quali al danno si affianca un beneficio, occorre dunque stabilire se il beneficio in questione debba restare nel patrimonio del danneggiato, cumulandosi al risarcimento, oppure se debba essere da questo detratto. Il problema si pone in tutti gli ordinamenti, è trasversale alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e riguarda tanto il giudice civile, quanto quello amministrativo.

Le incertezze teoriche e applicative

In dottrina, le discussioni suscitate dalla compensatio nell’arco dell’ultimo secolo hanno riguardato ogni suo possibile aspetto: l’origine storica, i presupposti teorici, gli effetti pratici, la sua stessa esistenza3. Queste divergenze interpretative, mai superate, hanno quindi concorso ad alimentare le incertezze storicamente riscontrabili anche nella giurisprudenza ove, peraltro, sulla compensatio si riscontra spesso un uso tralatizio, meccanico e non sempre corretto del precedente, che nel tempo ha a sua volta contribuito al perpetuarsi di ambiguità, incoerenze applicative e contrasti più o meno occulti. Molteplici sono gli aspetti singolari, se non paradossali, di questa enigmatica figura, e in particolare: se ne afferma la piena vigenza – in virtù del cd. principio di indifferenza (o integrale riparazione) – benché nessuna norma codicistica espressamente la menzioni; nel diritto vivente viene continuamente invocata, ma quasi mai applicata; le molteplici e varie posizioni riscontrabili spesso pervengono ad esiti opposti pur partendo dalle medesime premesse, o ad esiti identici muovendo da premesse contrastanti; intuitive ed elementari esigenze di giustizia sono alla base tanto della soluzione dello scorporo quanto di quella del cumulo:

i) non è giusto che il danneggiato si arricchisca cumulando danno e vantaggio;

ii) non è giusto che il responsabile si avvantaggi, riducendo il suo obbligo risarcitorio, di benefici, pubblici o privati, erogati da altri alla vittima;

iii) non è giusto che lo stesso soggetto paghi due volte lo stesso danno. Al fine di semplificare la complessità di questo scenario, le diverse e oscillanti applicazioni della compensatio possono essere ricondotte a due distinti orientamenti giurisprudenziali. Secondo l’orientamento “tradizionale”, seguito in modo pressoché incontrastato per molti decenni, sono detraibili dall’ammontare del risarcimento soltanto quei vantaggi derivati in modo diretto e immediato dal fatto illecito e, quindi, caratterizzati dall’identità della fonte o del titolo. Proprio a causa di questi angusti presupposti operativi, l’effettiva applicazione della compensatio è sempre stata scarsissima, a dispetto della sua «ubiquità»4 nella casistica giurisprudenziale. Difatti, nelle numerose pronunce in cui essa è stata richiamata per essere disapplicata, consentendosi il cumulo, le motivazioni addotte sono quasi sempre le medesime: vantaggio e svantaggio hanno fonti o titoli diversi e l’atto illecito costituisce solo l’occasione del loro prodursi5.

Secondo l’orientamento minoritario, i benefici che si affiancano al risarcimento sono da questo detraibili, ma ciò sulla base di argomentazioni differenti. Talvolta si sancisce la detrazione senza fare espressa menzione della compensatio, ma dandosi rilievo all’unicità del soggetto obbligato al danno e al beneficio6 nonché alla necessità di evitare un arricchimento ingiustificato della vittima, cui va assicurato l’integrale ristoro del danno, ma non oltre; talaltra si perviene alla medesima soluzione escludendosi espressamente l’applicazione della compensatio, trattandosi piuttosto di una questione di accertamento dell’effettiva esistenza e misura di un danno da risarcire7; talaltra ancora è il principio indennitario e il diritto – che di quel principio è naturale espressione – di surrogazione dell’assicuratore sociale o privato, e non la compensatio, a fondare la soluzione dello scorporo8. Soluzione, però, che può ribaltarsi, con conseguente cumulo, a seconda dall’effettivo esercizio o no della surroga: ciò in quanto nella prassi giurisprudenziale è finora invalso il principio secondo cui il meccanismo della surroga non opera in via automatica a seguito e per effetto del solo pagamento dell’indennità a favore dell’assicurato, ma è subordinato alla comunicazione dell’assicuratore, indirizzata al terzo responsabile, di aver pagato e di volersi surrogare all’indennizzato9.

L’emersione dei contrasti

Per comprendere la portata di questo storico intervento, destinato ad avere un impatto – giuridico ed economico – rilevantissimo, è utile ripercorre sinteticamente le tappe che lo hanno determinato. Non è la prima volta che la questione “compensatio” viene rimessa alle S.U.: difatti, già nel 201510 esse erano state chiamate a pronunciarsi a seguito di un contrasto scatenato da due sentenze del 2014, che avevano sancito lo scorporo in due ipotesi specifiche con un’innovativa e articolata motivazione11. Inaspettatamente, in quell’occasione le S.U. avevano deciso di non decidere, schivando la questione nel merito perché non rilevante nella fattispecie concreta12. Così lasciando deluse le attese e netta la sensazione dell’esistenza di un contrasto all’interno delle stesse S.U.

Dopo nemmeno un anno, la III Sezione civile della Cassazione – preceduta di un soffio dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, che di analoga questione investe l’Adunanza Plenaria13 – deposita quattro ordinanze di rimessione14 le quali, riprendendo e sviluppando le argomentazioni di quelle sentenze, demoliscono la teoria tradizionale della compensatio per proporre una soluzione radicale, ben intuibile già dalla formulazione dei quesiti.

La focalizzazione

Di fronte a un problema tanto complesso, le S.U. operano una «delimitazione di ambito e di prospettiva » e, quindi, circoscrivono la risposta alla/e fattispecie esaminata/e.

Questa “delimitazione” riflette, più a monte, una scelta ben precisa: la «quantificazione del danno» non è una «mera operazione contabile»15 e il problema della compensatio, data la sua complessità, non può trovare una soluzione «omologante» come quella sottesa dai quesiti delle ordinanze di rimessione. Ergo: la risposta va ricercata caso per caso.

Dalla “delimitazione” operata discende poi una netta scissione fra:

1) ipotesi caratterizzate da due soggetti diversi, tenuti in base a diversi titoli, verso un terzo soggetto (cd. rapporti giuridici trilaterali o duplici rapporti bilaterali: quello danneggiato-danneggiante e quello danneggiato-terzo erogatore del beneficio) e

2) ipotesi caratterizzate dall’unicità del soggetto obbligato, sempre in base a diversi titoli, al risarcimento del danno e all’erogazione del beneficio (cd. rapporti giuridici bilaterali semplici).

Rientrando tutti e quattro i casi fra le prime ipotesi, le S.U. rilevano che le seconde «restano fuori dal quesito» ad esse rivolto, e si limitano a ribadire per esse la regola del diffalco sancita dalle medesime Sezioni dieci anni orsono16, e di recente adottata dal Consiglio di Stato in Plenaria17.

La soluzione e il suo impianto motivazionale

La costruzione dell’impianto motivazionale delle quattro pronunce è il medesimo: ciascuna di esse prende le mosse dal contrasto sulla specifica questione sollevata, dando conto delle tesi che al riguardo si confrontano. Poi, con una motivazione comune, si affronta il cuore del problema: la portata e i limiti di operatività della compensatio lucri cum damno, della quale viene ribadita l’esistenza come «istituto», inteso come «regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno», desumibile dall’art. 1223 c.c.

Infine, ciascuna pronuncia applica i criteri individuati al caso specifico, offrendone la soluzione. Così, con una motivazione diversa e innovativa rispetto al passato, per ben tre dei quattro benefici sottoposti al loro esame (rendita Inail, indennizzo assicurazione danni e indennità di accompagnamento)18, le S.U. giungono al medesimo risultato prospettato dalle ordinanze di rimessione, ossia lo scorporo dal risarcimento, mentre confermano la regola del cumulo per la pensione di reversibilità19.

La portata operativa e i limiti della compensatio

I criteri di selezione per l’operatività della compensatio in relazione ai casi di rapporti giuridici trilaterali vengono così individuati.

Nesso causale. In alcuni casi questo criterio, da determinarsi secondo la causalità adeguata, «funge realmente da argine all’operare dello scomputo da compensatio». Ciò si verifica, ad es., nell’ipotesi dell’acquisto dei diritti successori; della nuova prestazione lavorativa del coniuge superstite; della pensione di reversibilità. In tali casi – affermano le S.U.

– il beneficio acquistato non rientra giuridicamente nella serie causale dell’illecito: esso rinviene altrove la sua «fonte» e trova nell’illecito solo un «coefficiente causale»20.

Finalità – diretta e non mediata – risarcitoria del beneficio. Corollario dell’assunto secondo cui la corretta stima del danno non può essere ridotta a «mera operazione contabile», è la doverosa indagine sulla ragione giustificatrice del beneficio: occorre, cioè, guardare alla funzione di cui quell’attribuzione si rivela essere espressione, al fine di verificare se si tratti di una funzione – diretta e non mediata – sostanzialmente risarcitoria oppure di altra, diversa funzione. La necessità di questo confronto funzionale danno/beneficio, che solo consente di «accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento», va svolta «per classi di casi»21, passando attraverso il filtro della «giustizia»22. Si tratta di un approccio ermeneutico da tempo indicato dalla nostra dottrina23 e pienamente in linea con le riflessioni maturate in ambito europeo24. Ciò implica sia l’irrilevanza della finalità (solidaristica o previdenziale) della fonte legislativa che prevede il beneficio, sia il definitivo abbandono del tradizionale – ma pressoché impossibile e, quindi, inutile sul piano operativo – presupposto della coincidenza formale dei titoli.

Previsione di un meccanismo di surroga o rivalsa. L’accertamento del nesso causale illecito/beneficio e di una funzione sostanzialmente risarcitoria di quest’ultimo non sono ancora sufficienti per l’operare della compensatio, essendo a tal fine necessario che la legge preveda un meccanismo di surroga o di rivalsa. Questa previsione consente infatti un «riequilibrio e riallineamento delle poste» tale determinare l’applicazione necessaria del diffalco.

In caso contrario, opera invece la regola del cumulo: ciò in quanto, in assenza di tale «strumento di raccordo tra due separati rapporti bilaterali», è «preferibile … favorire chi senza colpa ha subìto l’illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato». Se così non fosse, si avrebbe una «sofferenza del sistema, finendosi con il premiare, senza merito specifico, chi si è comportato in modo negligente»25.

Dunque, ricapitolando, secondo l’approccio approccio volutamente – e opportunamente – convergente adottato dalle S.U. e dall’A.P., la nuova compensatio risulta così ridisegnata.

Nel caso di rapporti giuridici bilaterali semplici, accertato il nesso causale e la funzione risarcitoria del beneficio, trova applicazione lo scorporo in considerazione dell’unicità del soggetto; ciò evita non solo duplicazioni risarcitorie a fronte dello stesso pregiudizio, ma soprattutto che sia lo stesso soggetto a corrispondere due volte lo stesso danno.

Nel caso, invece, di rapporti giuridici trilaterali, accertato il nesso causale e la funzione risarcitoria del beneficio, trova applicazione lo scorporo solo se esiste una norma che prevede, per quel beneficio, un meccanismo di riequilibrio delle poste; in tal modo, la soluzione del diffalco ovvero del cumulo, a seconda della previsione o no della surroga, evita un arricchimento del danneggiato e, nel contempo, un inaccettabile alleggerimento della posizione debitoria del responsabile.

Emerge, così, una soluzione equilibrata, idonea a soddisfare tanto l’essenziale bisogno di certezza quanto l’insopprimibile senso di giustizia: evitando, per un verso, che lo stesso soggetto paghi due volte lo stesso danno; per altro, che benefici (pubblici o privati) corrisposti da terzi al danneggiato si traducano de plano in un beneficio immeritato per il responsabile.

I profili problematici

Come detto, l’impatto di queste pronunce sul mercato assicurativo e sui sistemi di welfare sociale non sarà marginale. Difatti, in tre delle quattro fattispecie esaminate, le S.U. sanciscono la detrazione del beneficio dal risarcimento, ricorrendone tutti i presupposti operativi; resta invece cumulabile la pensione di reversibilità in relazione alla quale, oltre a constatarsi l’assenza della previsione della surroga, si nega sia una funzione risarcitoria, sia un nesso giuridicamente rilevante con l’illecito.

Riflessi sull’assicurazione danni

Nel caso dell’indennizzo percepito in virtù di un contratto di assicurazione contro i danni, i due distinti diritti di credito spettanti al danneggiato-assicurato, pur avendo fonte e titolo diversi, hanno la medesima finalità risarcitoria; dal canto suo, la surrogazione ex art. 1916 c.c. funge da «meccanismo di raccordo» tra due rapporti altrimenti separati, così consentendo «di valorizzare l’indifferenza del risarcimento, ma nello stesso tempo di evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l’autore dell’illecito»26. Nella soluzione del problema gioca un ruolo decisivo non solo la previsione della surroga, ma anche il suo concreto modo di operare. Difatti, come accennato, l’orientamento che ammette(va) la cumulabilità si fonda(va) a sua volta sulla tesi che la surrogazione opererebbe solo se e nel momento in cui l’assicuratore comunichi al terzo responsabile l’avvenuto pagamento e manifesti contestualmente la volontà di surrogarsi nei diritti dell’assicurato verso il terzo medesimo. Le S.U. sanciscono l’abbandono di tale lettura e sposano la tesi, da sempre minoritaria, dell’operatività automatica della surroga: la perdita del diritto verso il terzo responsabile e l’acquisto da parte dell’assicuratore sono «effetti interdipendenti e contemporanei» al fatto del pagamento dell’indennizzo, non alla comunicazione dell’assicuratore. È questa un’interpretazione «maggiormente in linea con la ratio della surrogazione dell’assicuratore» oltre che con la lettera dell’art. 1916, co. 1, c.c., giacché «il chiaro tenore testuale» della disposizione collega il prodursi della vicenda successoria automaticamente al pagamento dell’indennizzo. Dunque la percezione dell’indennizzo da parte del danneggiato estingue o riduce in misura corrispondente il suo diritto al risarcimento verso il responsabile, con conseguente impossibilità di cumulo. Ammettere il cumulo, peraltro, si tradurrebbe in un «possibile pregiudizio» per l’assicuratore, che non potrebbe più esercitare la surroga che la legge gli concede, restando invece irrilevante il suo esercizio effettivo. Né, per le S.U., potrebbe validamente replicarsi che in tal modo il pagamento dei premi sarebbe sine causa, o che sarebbe irragionevole trattare ugualmente chi abbia e chi non abbia stipulato un rapporto assicurativo, con relativi oneri di pagamento di premio: il pagamento dei premi, infatti, «è in sinallagma con il trasferimento del rischio, non con il pagamento dell’indennizzo». Con le seguenti ricadute pratiche. Se l’indennizzo è stato percepito dall’assicurato-danneggiato prima che questo agisca per il risarcimento, o durante il relativo giudizio, scatta la surrogazione dell’assicuratore, che diviene automaticamente l’unico titolare del diritto credito verso il responsabile per l’ammontare corrispondente all’indennità assicurativa erogata. Ove l’entità dell’indennizzo ecceda quella del risarcimento, la domanda del danneggiato andrà rigettata se l’indennizzo è stato percepito prima di agire in giudizio; se percepito durante il giudizio, la domanda andrà rigettata per sopravvenuta estinzione dell’obbligazione. Se invece l’importo dell’indennizzo è inferiore al danno patito, il danneggiato potrà sempre agire, o proseguire il giudizio, per il danno differenziale. Nel caso inverso, se cioè il danneggiato ottiene il risarcimento prima dell’indennizzo, allora cessa l’obbligo di indennizzo dell’assicuratore, che potrà legittimamente rifiutare di corrisponderlo. Dato il «carattere sussidiario dell’obbligazione assicurativa», è infatti evidente che se il responsabile ha già risarcito il danneggiato, il credito risarcitorio si è estinto, e non può esservi surrogazione in ciò che più non esiste. Quanto detto dalle S.U. consente di affrontare anche il “non detto”. Potrebbe infatti aversi il caso in cui il danneggiato-assicurato agisca in giudizio non contro il danneggiante, bensì contro il proprio assicuratore per ottenere l’indennizzo (essendo, ad es., controverso il quantum). In tal caso, l’assicuratore potrà chiamare in causa il terzo responsabile, al fine di esercitare l’azione di surrogazione, e ciò anche se il pagamento dell’indennizzo non sia ancora avvenuto, giacché da tempo la giurisprudenza ammette sentenze di accoglimento delle domande di regresso o surrogazione, la cui efficacia è subordinata al previo pagamento del danneggiato da parte del surrogante27. Nell’ipotesi inversa – il danneggiato-assicurato ottiene la condanna del responsabile e non richiede l’indennizzo al proprio assicuratore – va escluso che, a fronte dell’inerzia del danneggiato, il responsabile possa agire ex art. 2900 c.c. contro l’assicuratore per il pagamento dell’indennizzo: a tacer d’altro, è infatti palese l’assenza del presupposto fondamentale di quell’azione surrogatoria, ossia l’esistenza di un credito del danneggiante nei confronti del danneggiato. Inevitabili sono altresì i riflessi sulle clausole – frequentissime nella prassi assicurativa – di rinuncia alla surrogazione.

Giova ricordare che la dottrina si era scagliata contro la tesi che aveva prospettato l’inderogabilità del principio indennitario quale principio di ordine pubblico28, difendendo la validità, oltre che l’opportunità, di queste clausole. E ciò resta vero, perché non smentito dalle S.U.: il principio indennitario è convenzionalmente derogabile attraverso clausole di rinuncia. Ma è altresì vero che d’ora in poi queste saranno del tutto inutili per l’assicurato-danneggiato, nei confronti del quale varrà comunque la regola del diffalco dal risarcimento di quanto percepito a titolo di indennizzo in virtù dell’operare “automatico” della surrogazione. Analogamente, ove il danneggiato abbia già percepito il risarcimento dal responsabile e chieda al proprio assicuratore anche l’indennizzo, la presenza nel contratto di una clausola di rinuncia alla surrogazione sarà irrilevante: il rifiuto dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo sarebbe comunque legittimo, dato che il rischio verificatosi è stato eliso dal risarcimento, né la surroga sarebbe più esercitabile, dato che il rapporto obbligatorio è stato estinto in virtù dell’avvenuto adempimento da parte del responsabile in favore del danneggiato. In questo mutato scenario, qualche incertezza permane sull’ipotesi dell’assicurazione contro gli infortuni non mortali, in relazione alla quale l’applicazione del principio indennitario incontra storicamente notevoli resistenze: sia perché non tutti la ritengono tout court inquadrabile nell’assicurazione contro i danni29, sia perché anche quanti così la configurano ritengono che non tutte le norme dettate per tale “tipo” – in particolare il principio indennitario – siano ad essa rigidamente applicabili30.

Sul “dopo Sezioni Unite” si aprono, quindi, le seguenti prospettive per le polizze infortuni. Da un lato, è evidente che quanto affermato per l’assicurazione contro i danni valga anche per tale fattispecie, data la possibilità di surroga prevista ex art. 1916, ult. co., c.c., che fa riferimento alle «disgrazie accidentali». Dall’altro, resta però dubbia, e quindi da accertare caso per caso, una finalità sempre e comunque risarcitoria di tali operazioni contrattuali, giacché, guardando alla prassi assicurativa, la loro strutturazione e le stesse modalità di calcolo delle somme da pagare in caso di sinistro sono, almeno in molti casi, il chiaro indice di una loro funzione lato sensu previdenziale31.

Tuttavia, la prospettiva per “classi di casi” delle S.U. sembra rafforzare l’idea che la semplice previsione della surroga, indipendentemente dal suo effettivo esercizio, attesta di per sé la funzione sempre risarcitoria dell’indennizzo assicurativo in questione.

Riflessi su altre fattispecie

L’applicazione dei criteri delle S.U., e di quelli, complementari, dell’A.P., a casi diversi rispetto a quelli specificamente esaminati consente di individuarne ulteriori ricadute operative. Così, ad es., nell’ambito della sterminata categoria dei benefici espressione della sicurezza sociale, troverà applicazione la regola del divieto di cumulo per le attribuzioni (pensione d’inabilità, assegno mensile, ecc.) spettanti ai cittadini invalidi civili in stato di bisogno economico e di mancato collocamento lavorativo (l. 30.3.1971, n. 118), tutte erogate proprio al fine di attenuare il pregiudizio subìto e tutte recuperabili, se corrisposte in conseguenza del fatto illecito di terzi, dall’ente erogatore ai sensi degli artt. 41 e 42 l. 4.11.2010, n. 183. Il divieto di cumulo varrà anche per quei benefici previsti dalla l. 12.6.1984, n. 222 a favore dei lavoratori affetti da infermità o difetto fisico o mentale che abbiano ridotto in modo permanente la loro capacità di lavoro: assegni ordinari di invalidità, pensioni ordinarie di inabilità, assegni privilegiati di invalidità, pensione privilegiata di inabilità o ai superstiti, per cause di servizio. Si tratta, infatti, di benefici che, pur richiedendo un versamento minimo di contributi, hanno certamente – analogamente a quanto sancito di tema di rendita Inail (con la quale, peraltro, non possono essere cumulate se riconosciute per la stessa causa) – un «contenuto indennitario» e sono recuperabili dall’ente erogatore ai sensi dell’art. 14 l. n. 222/198432. La finalità risarcitoria e la previsione della surroga determinano, ancora una volta, il divieto di cumulo dei benefici previsti dalla l. 20.10.1990, n. 302 a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata33, i quali possono spettare a “chiunque”, cittadino o pubblico dipendente, abbia riportato un danno alla persona.

Con riferimento ad altri benefici “speciali” previsti a favore del personale (o dei loro familiari) dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico – quali: l’equo indennizzo di cui al d.P.R. 29.10.2001, n. 461, la pensione privilegiata e gli ulteriori benefici connessi di cui al d.P.R. 29.12.1973, n. 1092, più ordinatamente richiamati dagli artt. 1878 ss. d.lgs. 15.3.2010, n. 66 (cd. codice ordinamento militare) a favore degli appartenenti alle Forze Armate34 – tutti collegati al generico riconoscimento della causa di servizio e aventi indiscutibilmente funzione di risarcimento anticipato, la soluzione potrebbe variare a seconda del fatto che la responsabilità sia ascrivibile allo Stato ovvero a soggetti terzi.

Solo nel primo caso, infatti, l’unicità del soggetto potrebbe determinare il divieto di cumulo. Tale, ad es., è l’ipotesi dei benefici riconosciuti dall’art. 1907 c. ord. mil. (d.lgs. 15.3.2010, n. 66) a favore del personale esposto a particolari condizioni di rischio, come l’uranio impoverito o altro materiale bellico, ma sempre che non si tratti di benefici pensionistici, essendo questi erogati non dall’amministrazione, bensì dalla Cassa trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato (CTPS) dapprima come gestione separata dell’Inpdap e, poi, dell’Inps. Difatti, ove i soggetti tenuti rispettivamente al risarcimento e al beneficio siano distinti, il divieto di cumulo non potrebbe trovare applicazione, stante l’assenza di una previsione legislativa che attribuisca all’ente erogatore un meccanismo di surroga o rivalsa nei confronti del responsabile.

Con riferimento, poi, ad altre sovvenzioni pubbliche, statali, regionali o comunali, la soluzione richiederà un esame caso per caso, guardando alla funzione concreta del beneficio e all’eventuale previsione normativa di meccanismi di rivalsa. In questa “classe di casi”, rientra l’assistenza domiciliare prestata dal Servizio sanitario nazionale e regionale, in relazione alla quale le S.U. hanno escluso che potesse, nella specie, elidere o ridurre il danno patrimoniale risarcibile dal responsabile35.

Per quanto concerne i meccanismi di “recupero”, l’ipotesi pone un tema (di politica legislativa) più ampio e complesso, involgendo il dibattito – allo stato apertissimo – circa la possibilità di prevedere a livello nazionale, de iure condendo, che le ASL esercitino rivalsa per le spese di cura erogate a beneficio delle vittime di un fatto illecito36. Ciò anche in considerazione di un quadro normativo disordinato ed eterogeneo, essendo attualmente la cd. “azione di rivalsa sanitaria” espressamente prevista solo da alcune regioni.

Uscendo dalla categoria dei benefici della sicurezza sociale, è opportuno fare un cenno a quelli erogati spontaneamente e per spirito di liberalità a favore della vittima. In questi casi, l’assenza tanto di una causalità adeguata – non potendosi considerare questi benefici come conseguenza normale dell’illecito ed essendo la loro causa più autentica e autonoma da ravvisare nell’animus donandi – quanto di un meccanismo di surroga o rivalsa, consente di confermare il loro cumulo con il risarcimento.

La soluzione potrebbe però mutare ove colui che esegue la liberalità renda noto di agire in nome o per conto del debitore (ad es.: il padre che regala al creditore la macchina andata distrutta nell’incidente provocato dal figlio), così da essere a quest’ultimo imputata ai sensi dell’art. 1269 c.c. con effetto estintivo della sua obbligazione verso il creditore. Analogamente, ove sussista l’animus solvendi debiti alieni, anche se non manifestato, il beneficio erogato dal terzo per puro spirito di liberalità – non già verso la vittima, bensì – verso il responsabile potrebbe configurarsi come donazione indiretta che estingue l’obbligazione nei confronti del creditore ex art. 1180 c.c. e non consente al solvens di vantare alcuna pretesa nei confronti del debitore liberato.

Note

1 Cass., S.U., 22.5.2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567.

2 In argomento, Izzo, U., La “giustizia” del beneficio, Fra responsabilità civile e welfare del danneggiato, Napoli, 2018.

3 Per una ricostruzione delle varie posizioni, sia consentito il rinvio a Bellisario, E., Il problema della compensatio lucri cum damno, Padova, 2018.

4 Izzo, U., La compensatio lucri cum damno come “latinismo di ritorno”, in Resp. civ. prev., 2012, 1745.

5 Ex plurimis: Cass., 23.12.2003, n. 19766; Cass., 19.8.2003, n. 12101; Cass., 10.2.1999, n. 1135; incidentalmente anche Cass., S.U., 13.3.1987, n. 2639 (nel caso di indennizzo da infortuni non mortali); Cass., 10.3.2014, n. 5504; Cass., 11.2.2009, n. 3357; Cass., 25.8.2006, n. 18490; Cass., 19.8.2003, n. 12124; Cass., 14.3.1996, n. 2117; Cass., 22.12.1987, n. 9528 (nel caso di pensione di reversibilità); Cass., 30.9.2014, n. 20548; Cass., 10.10.1988, n. 5464; Cass., 5.9.2005, n. 17764 (nel caso di assegno di invalidità civile); Cass., 20.2.2015, n. 3391; Cass., 27.7.2001, n. 10291 (nel caso dell’indennità di accompagnamento); Cass., 19.6.1996, n. 5650, e Cass., 15.4.1998, n. 3807 (nel caso dei contributi erogati a seguito del disastro del Vajont); Cass., 30.1.1990, n. 632 (nel caso della speciale elargizione a favore delle vittime del dovere di cui alla l. 13.8.1980, n. 466; conformi: Cass., 11.2.1994, n. 1375; Cass., 29.7.2004, n. 14483).

6 Cass., S.U., 11.1.2008, n. 584, nel caso dell’indennizzo ex lege 25.2.1992, n. 210 in favore dei danneggiati da sangue infetto. In analoga fattispecie, anch’essa caratterizzata dall’unicità del soggetto, l’orientamento della giurisprudenza amministrativa è stato invece opposto: difatti, nel caso dell’equo indennizzo a favore degli impiegati dello Stato per infermità dipendente da causa di servizio (art. 68 d.P.R. 10.1.1957, n. 3), si è tradizionalmente optato per il cumulo, dandosi prevalenza alla diversità di fonte e natura del beneficio rispetto alla prestazione risarcitoria (Cons. St., A.P., 8.10.2009, n. 5; Cons. St., 19.1.2011, n. 365; Cons. St., A.P., 16.7.1993, n. 9).

7 Cfr., ad es., Trib. Oristano, 11.2.1985, in Resp. civ. prev., 1985, 780 (nel caso della pensione di reversibilità); Cass., 11.7.1977, n. 3112; Cass., 4.2.1993, n. 1384; Cass., 21.3.2011, n. 6357 (nel caso delle nuove nozze del coniuge superstite); Cass., 7.3.2017, n. 5605 e Cass., 19.12.2016, n. 26114 (nel caso del nuovo lavoro e reddito del coniuge superstite); Cass., 20.4.2016, n. 7774 (nel caso dell’indennità di accompagnamento).

8 Cass., 6.12.2004, n. 22883; Cass., 23.2.2004, n. 3544; Cass., 19.8.2003, n. 12101; Cass., 19.6.1996, n. 5650; Cass., 15.4.1993, n. 4475; Cass., 29.1.1973, n. 293, nel caso di indennizzo percepito da assicuratore privato; e altresì Cass., 23.11.2017, n. 27869; Cass., 5.12.2014, n. 25733; Cass., 15.7.2005, n. 15022; Cass., 15.4.1998, n. 3806, nel caso di indennizzo (rendita Inail) percepito da assicuratore sociale.

9 Cass., 26.6.2012, n. 10649; Cass., 14.2.2013, n. 3664; Cass., 24.11.2005, n. 24806.

10 Cass., 4.3.2015, n. 4447.

11 Cass., 11.6.2014, n. 13233 e Cass., 13.6.2014, n. 13537, rispettivamente nel caso dell’indennità dovuta dall’assicuratore privato contro gli infortuni e della pensione di reversibilità.

12 Cass., S.U., 30.6.2016, n. 13372.

13 Cons. St., ord. 6.6.2017, n. 2719.

14 Cass., 22.6.2017, n. 15534 (sulla detraibilità dal risarcimento dell’indennizzo assicurativo); Cass., 22.6.2017, n. 15535 (sulla detraibilità della rendita Inail); Cass., 22.6.2017, n. 15536 (sulla detraibilità della pensione di reversibilità); Cass., 22.6.2017, n. 15537 (sulla detraibilità dell’indennità di accompagnamento).

15 Così tutte le pronunce del 22.5.2018, citt.

16 Cass., S.U., 12.1.2008, n. 584, cit.

17 Cons. St., A.P., 23.2.2018, n. 1, mutando il proprio trentennale orientamento in relazione al beneficio dell’equo indennizzo ex d.P.R. n. 3/1957.

18 Cass., S.U., 22.5.2018, nn. 12565 (indennizzo assicurazione contro i danni), 12566 (rendita Inail) e 12567 (indennità di accompagnamento), citt.

19 Cass., S.U., 22.5.2018, n. 12564, cit.

20 Così già Scognamiglio, R., In tema di “compensatio lucri cum damno”, in Foro it., 1952, I, 640.

21 Come auspicato da De Nova, G., Intorno alla compensatio lucri cum damno, in Jus civile, 2018, 58.

22 Izzo, U., La “giustizia” del beneficio, cit.

23 Bianca, C.M., Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, Artt. 12181229, II ed., Bologna-Roma, 1979, 311.

24 Il riferimento è all’art. 10:103 dei Principles of European Tort Law, rubricato «Benefits gained through the damaging event», nonché all’art. 6:103 del libro VI del Draft Common Frame of Reference, dedicato alla «Equalisation of benefits».

25 Così tutte le pronunce del 22.5.2018, citt.

26 Cass., S.U., 22.5.2018, n. 12565, cit.

27 Ex multis: Cass., 19.7.2004, n. 13342; Cass., 31.5.1979, n. 3140; Cass., 17.11.1976, n. 4269.

28 Tesi prospettata da Cass. n. 13233/2014, cit.

29 Per una ricostruzione storica e critica delle varie tesi e argomentazioni, v. Izzo, U., La «giustizia» del beneficio, cit., 220 ss.

30 Così, ad es., Donati, A.Volpe Putzolu, G., Manuale di diritto delle assicurazioni, XI ed., Milano, 2016, 111. Del resto, sebbene l’inquadramento della polizza infortuni come assicurazione contro i danni abbia ricevuto l’autorevole avallo delle S.U. (Cass., S.U., 10.4.2002, n. 5119), in dottrina si è rilevata l’incoerenza di quella pronuncia (cfr. Corrias, P., La causa del contratto di assicurazione: tipo assicurativo o tipi assicurativi?, in Riv. dir. civ., 2013, 75), e la sua inidoneità a risolvere le incertezze, tanto che, successivamente, le stesse S.U. (Cass., S.U., 31.3.2008, n. 8271) hanno sottolineato la «funzione sociale e umana ritenuta identicamente assolta dall’assicurazione per infortuni come da quella sulla vita».

31 In tal senso, soprattutto Corrias, P., La causa, cit., 71; Hazan, M., Risarcimento e indennizzo (nella polizza infortuni): cumulo o scorporo?, in Danno e resp., 2014, 923 ss.

32 Cfr. anche la Circolare Inps 12.10.2011, n. 134.

33 Cfr. l’art. 10 l. 20.10.1990, n. 302.

34 Come noto il d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. con modif. dalla l. 22.12.2011, n. 214, all’art. 6 ha parzialmente abrogato, fra gli altri, gli istituti dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata. L’abrogazione – che ha di recente superato il vaglio della Consulta (C. cost., 2.2.2018, n. 20) – riguarda i dipendenti civili, ma non il personale dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, in ragione del più elevato livello di rischio ordinariamente connesso al servizio ivi svolto, nonché della mancanza di una specifica tutela assicurativa contro gli infortuni per le infermità contratte dai dipendenti di tali comparti.

35 Cass., S.U., 22.5.2018, n. 12567, cit.

36 Sul problema, Izzo, U., La “giustizia” del beneficio, cit., passim, spec. 338 e 387.

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