I segnali elettrici e magnetici

Universo del Corpo (1998)

I segnali elettrici e magnetici

Francesco Figura e Paolo Rossini

Le naturali attività fisiologiche dell'organismo umano, e animale più in generale, sono mediate dai campi fisici, che sono riferibili a solo quattro tipi di forze fondamentali: gravitazionali, elettromagnetiche, nucleari forti e nucleari deboli. Se le prime sono responsabili del peso e delle attività corporee a questo connesse e se le ultime due non hanno manifestazioni visibili nella dinamica dei processi biologici ‒ unica traccia è data al presente nella trattazione di medicina nucleare per la diagnostica presentata nel capitolo specifico (La medicina nucleare) ‒ si può dire che alle forze elettromagnetiche si deve l'origine di ogni altra funzione e attività fisiologica. Le interazioni fra le ossa dello scheletro, l'attività muscolare e quella nervosa, il flusso ematico e dei liquidi organici in genere, i processi di combustione del metabolismo, le funzioni ormonali e ogni altra sono tutte di origine elettromagnetica. Non è innaturale quindi che una buona parte dell'analisi del corpo in vivo si fondi sui segnali di tipo elettromagnetico connessi con le attività corporee. Sebbene l'elettromagnetismo sia un'unica realtà fisica di campo con distribuzione spaziotemporale definita, nel caso dei fenomeni statici o variabili lentamente nel tempo, tuttavia, i fenomeni elettrici e quelli magnetici possono essere studiati disgiuntamente, considerando campi e potenziali elettrici prodotti dalla presenza e dallo spostamento di cariche libere o di polarizzazione e campi magnetici prodotti da correnti elettriche o da movimento di cariche in conduttori neutri. Dal punto di vista quantitativo, nei casi di nostro interesse relativi al corpo umano, i campi elettrici e i relativi potenziali, rispetto alle perturbazioni di fondo o di rumore, sono assai più facilmente rilevabili dei campi magnetici. È per tale motivo che l'elettrofisiologia, ovvero la disciplina legata all'attività elettrica dell'organismo, è sorta assai prima e ha tutt'oggi assai maggiore sviluppo del biomagnetismo, ovvero la disciplina legata all'attività magnetica.

Elettrofisiologia

di Francesco Figura


L'elettrofisiologia è la branca della fisiologia che studia i fenomeni elettrici nei tessuti viventi. Gli studi riguardano sia gli effetti provocati nell'organismo animale dall'applicazione di un potenziale elettrico sia i fenomeni elettrici spontaneamente generati dai tessuti stessi, indipendentemente da ogni azione elettrica esterna, ossia i cosiddetti fenomeni bioelettrici.

Nel primo ordine di osservazioni rientra l'eccitamento elettrico dei tessuti, con lo studio delle leggi e dei fattori che lo condizionano, delle modificazioni funzionali che lo accompagnano e delle caratteristiche delle azioni dei diversi tipi di corrente. Poiché le applicazioni di correnti elettriche consentono stimolazioni di durata e di intensità facilmente controllabili, ben localizzabili nell'applicazione e prive di conseguenze dannose sui tessuti, il loro uso è stato ampiamente adottato in fisiologia, dove si è rivelato particolarmente utile per lo studio delle leggi di propagazione dell'impulso nervoso e per quello dei fenomeni della contrazione muscolare. Nelle ricerche più comuni si impiegano prevalentemente correnti galvaniche, cioè continue, ma in molti altri casi vengono utilizzate correnti faradiche, cioè correnti indotte di bassa frequenza; sono state anche impiegate correnti alternate di bassa e di alta frequenza. È necessario che l'intensità della stimolazione applicata raggiunga un valore sufficiente, detto soglia, entro un tempo estremamente breve; la soglia varia con il singolo tessuto e con il tipo di corrente adoperata ed è condizionata anche dalla durata dell'applicazione della stimolazione.

Venendo ai fenomeni bioelettrici, essi possono raggrupparsi in tre categorie principali: correnti di demarcazione, determinate da differenze di potenziale tra superficie naturale di un tessuto e superficie necrosata in seguito a lesione; correnti di riposo, determinate da differenze di potenziale tra due superfici naturali non simmetriche di un tessuto, ovvero tra l'esterno e l'interno di un elemento; correnti d'azione, determinate da differenze di potenziale fra due punti di uno stesso tessuto di diverso grado di attività.

L'indagine elettrofisiologica abbraccia un campo estremamente vasto, spaziando dallo studio dell'attività elettrica della singola cellula a quella di popolazioni di cellule o di interi organi e sistemi. Mentre per gli studi condotti a livello cellulare i fenomeni elettrici vengono rilevati mediante elettrodi estremamente sottili, posti in diretta prossimità della cellula, o addirittura introdotti all'interno di essa (registrazione intracellulare), nelle indagini che riguardano popolazioni di cellule o interi organi si impiegano elettrodi di dimensioni relativamente grandi posti sulla superficie degli organi stessi (registrazione diretta) o sulla superficie cutanea a essi soprastante (registrazione indiretta). Quest'ultima metodica è quella più utilizzata nelle indagini elettrofisiologiche che si sono distinte per il loro valore diagnostico in medicina.

Le principali misurazioni elettrofisiologiche, in sequenza decrescente dell'ampiezza del segnale registrata, sono:

a) elettroneurogramma (ENG): consiste nella registrazione dei segnali corrispondenti alla latenza di risposta elettrica alla stimolazione in punti differenti di un nervo periferico, che permette la determinazione della velocità di trasmissione dell'impulso nervoso;

b) elettromiogramma (EMG): consiste nella registrazione dei potenziali d'azione delle singole unità motorie durante la contrazione muscolare;

c) elettrocardiogramma (ECG): è l'espressione dell'attività elettrica del cuore rivelata da differenze di potenziale registrate in superficie; la registrazione avviene fra coppie di elettrodi posti in posizioni standardizzate sul corpo e ha un andamento temporale tipico, in cui le singole fasi sono attribuibili a ben determinati eventi nella conduzione dell'impulso e nella successiva depolarizzazione e ripolarizzazione del muscolo cardiaco; il generatore cardiaco può essere assimilato a un dipolo elettrico di momento e direzione variabili nel tempo, immerso in un mezzo conduttore; oltre alle normali registrazioni elettrocardiografiche fra coppie di punti (elettrocardiogramma scalare) è possibile ricostruire nello spazio il vettore momento dipolare o una sua proiezione su un piano prestabilito (vettocardiogramma, VCG);

d) elettroencefalogramma (EEG): è la registrazione dell'attività elettrica cerebrale osservata sulla superficie esterna della testa attraverso un sistema di elettrodi standardizzato; le oscillazioni osservate (onde cerebrali) hanno frequenze fra 0,5 e 100 Hz e si dividono in 4 gruppi (alfa, beta, theta, delta);

e) elettroretinogramma (ERG): registra l'attività elettrica che si genera quando la retina viene illuminata da un breve lampo di luce; la registrazione, che ha un andamento temporale tipico, è effettuata da un elettrodo posto a contatto con la cornea in confronto con un elettrodo di riferimento che viene posto sulla tempia. Di queste misurazioni quelle più comunemente usate nella diagnostica medica, e pertanto nel seguito descritte, sono l'elettrocardiogramma, l'elettroencefalogramma e l'elettromiogramma.

Ogni tipo di biopotenziale ha caratteristiche diverse. Si rendono pertanto necessari dispositivi di misurazione di dimensioni, sensibilità e rapidità di risposta adeguati rispettivamente alla dimensione dell'oggetto in osservazione, all'ampiezza della grandezza elettrica da registrare e alla rapidità di variazione di tale ampiezza nel tempo. Nella fig. 4.45 sono mostrati gli intervalli di ampiezze e di frequenze dei principali biopotenziali. Poiché dal punto di vista della conduzione i tessuti si comportano come elettroliti, il problema degli elettrodi diviene importante. In generale si usano elettrodi non polarizzabili (Ag-AgCl); il contatto con la pelle è assicurato con l'uso di una pasta elettrolitica. Sono stati sviluppati tipi di elettrodi secchi, che però richiedono l'uso di amplificatori ad alta impedenza e pertanto non sono privi di inconvenienti. Quando è necessario misurare biopotenziali in punti interni si usano elettrodi transcutanei alloggiati in aghi ipodermici. Infine possono essere misurate differenze di potenziale trans-membrana in singole cellule utilizzando particolari elettrodi a micropipetta con punte del diametro dell'ordine del μm, che possono essere introdotte nell'interno della cellula (impalamento) senza alterare troppo la sua struttura.

Cenni storici

Gli studi che hanno dimostrato la possibilità di rilevare correnti elettriche dai tessuti viventi originarono da una celebre e forse fortuita osservazione fatta da L. Galvani il 27 marzo 1786. In quella occasione, egli constatò come alcune zampe di rana che erano state sospese a una ringhiera di ferro mediante un uncino di rame (fig. 4.46) si contraevano ogni volta che venivano in contatto con il ferro della ringhiera.

A seguito della divulgazione dei primi esperimenti di Galvani (De viribus electricitatis in motu musculari commentarius, 1791), nacque una storica controversia scientifica con A. Volta, che rimane una delle più memorabili e fruttuose della storia delle scienze sperimentali. Volta sosteneva, a ragione, che nei primi esperimenti di Galvani veniva dimostrato unicamente che la zampa di rana, con la sua contrazione, era in grado di rivelare le deboli correnti elettriche generate dall'accoppiamento di due metalli eterogenei. La 'zampa galvanoscopica' rappresentava il primo, e per quei tempi sensibilissimo, galvanometro. Soltanto successivamente Galvani, con una serie di esperimenti cruciali che vennero condotti dal 1793 al 1797 (fig. 4.47), riuscì inconfutabilmente a dimostrare che la contrazione dei muscoli della zampa di rana poteva avvenire anche in assenza di contatto con materiali metallici, in quanto la corrente stimolante era generata dalle fibre nervose. Alcuni di questi esperimenti furono raccolti in una pubblicazione del 1793, Dell'uso e dell'attività dell'arco conduttore nelle contrazioni dei muscoli, e dimostrarono l'esistenza delle correnti di demarcazione (potenziali di polarizzazione) del muscolo e del nervo. A circa un secolo di distanza, la memorabile disputa tra Galvani e Volta veniva così commentata da A.D. Waller nel suo Eleménts de physiologie humaine (1898): "Noi sappiamo oggi che quelle contrazioni non erano affatto una prova della produzione di elettricità da parte dei tessuti animali, bensì che esse erano generate da correnti che originavano dal contatto di due metalli diversi; ma per arrivare a questo è stata necessaria la lunga controversia tra Galvani e Volta [...]. Galvani affermava l'esistenza di correnti elettriche di origine animale e negava l'esistenza di correnti di origine metallica; Volta sosteneva il contrario. Le due affermazioni erano vere, le due negazioni erano false. Le correnti di origine metallica sono state, nelle mani di Volta, il germe da cui sono nati la pila e successivamente il telegrafo, il motore elettrico, la luce elettrica, il telefono; tra le mani di Galvani, le correnti di origine animale sono state la sorgente primaria di tutte le nostre conoscenze attuali sulla produzione di elettricità ad opera dei tessuti viventi".

I formidabili concetti che scaturivano dalle osservazioni di Galvani vennero successivamente chiariti da C. Matteucci, professore di fisica a Pisa, il quale, per i suoi studi sulla elettricità animale, poté avvalersi del galvanometro, strumento estremamente sensibile alla corrente elettrica inventato da L. Nobili nel 1825. Mediante il galvanometro Matteucci non solo poté dimostrare la polarizzazione di riposo del muscolo e del nervo, ma poté anche fare le prime osservazioni sulla variazione che tale polarizzazione presenta durante lo stato di attività del muscolo, cioè su quel fenomeno bioelettrico che oggi chiamiamo potenziale d'azione. I risultati di questi ultimi studi vennero presentati da Matteucci il 14 febbraio 1842, all'Accademia delle Scienze di Parigi. È merito, tuttavia, di E. du Bois-Reymond, contemporaneo di Matteucci, di aver ancor meglio precisato le caratteristiche e il significato di quella 'oscillazione negativa' del potenziale di riposo che si attuava quando le fibre muscolari venivano stimolate. Nei suoi studi, iniziati poco dopo quelli di Matteucci, du Bois-Reymond, impiegando gli elettrodi impolarizzabili da lui inventati (fig. 4.48), giunse a una misura sufficientemente precisa delle correnti di riposo e di azione, e ne fornì una più corretta interpretazione.

Dopo gli studi di questi scienziati e grazie anche ai progressi della tecnica di registrazione dei fenomeni bioelettrici, l'indagine elettrofisiologica è proceduta piuttosto speditamente. L'elettrometro capillare di G. Lippmann (fig. 4.49) fu lo strumento più utilizzato nelle ricerche della seconda metà del 19° secolo, mentre il galvanometro a corda, introdotto da W. Einthoven nel 1903 per la registrazione dei fenomeni elettrici cardiaci, fu lo strumento che, nei primi decenni del 20° secolo, consentì di rilevare e di registrare su lastra fotografica e in modo abbastanza preciso le rapide variazioni del potenziale d'azione. Mediante tali strumenti vennero ancor meglio precisate le caratteristiche dello stato di polarizzazione della membrana, sia in condizioni di riposo sia durante il suo eccitamento. Successivamente (1922), J. Erlanger e H.S. Gasser introdussero l'impiego del tubo a raggi catodici di Braun come apparato di rilevazione particolarmente adatto per registrare le rapidissime variazioni del potenziale d'azione. L'associazione di questo strumento con gli amplificatori elettronici ha consentito, negli ultimi decenni, di chiarire definitivamente molti degli aspetti fondamentali dell'eccitabilità della membrana cellulare (fig. 4.50).

Elettrofisiologia cellulare

1.

Potenziale di riposo e potenziale d'azione

La genesi dei fenomeni elettrici tessutali è da ricercarsi nell'attività della membrana cellulare, che allo stato di riposo presenta una differenza di potenziale elettrico tra la sua superficie interna e quella esterna, definito come potenziale di membrana a riposo o potenziale di riposo. Questo potenziale è orientato in modo tale che l'interno della cellula risulta caricato negativamente rispetto all'esterno, e la sua entità, a seconda dei tessuti, varia tra -25 e -90 mV. Il potenziale di riposo viene mantenuto sufficientemente costante grazie alla continua attività metabolica della cellula.

Nelle cellule muscolari e nervose, cellule eccitabili per eccellenza, l'applicazione di appropriati stimoli determina un repentino e momentaneo sconvolgimento del potenziale di riposo; questa variazione dello stato elettrico della membrana viene detta potenziale d'azione. Esso rappresenta la manifestazione diretta e immediata dei fenomeni di eccitamento, e quindi di attività, di tali cellule, che si esprime con modalità differenti dipendenti dal tipo cellulare coinvolto (contrazione per le cellule muscolari, conduzione dell'impulso nervoso per i neuroni). Questa particolare proprietà permette alle cellule nervose e muscolari di generare impulsi elettrici che si propagano lungo le loro membrane. Il potenziale d'azione consiste quindi in una rapida inversione del potenziale di riposo, che passa da -70 mV a +30 mV (fase di depolarizzazione), immediatamente seguita da un altrettanto rapido ritorno al valore originale (fase di ripolarizzazione). L'intero ciclo di variazione dura soltanto un millisecondo circa (fig. 4.51).

2.

Genesi dei potenziali di membrana

Oggi è assodato che i potenziali di membrana sono determinati dalla differente distribuzione degli ioni, soprattutto sodio (Na⁺), potassio (K⁺), cloro (Cl⁻) e anioni proteici (A⁻), tra le due facce della membrana. È noto infatti che all'interno della membrana prevalgono gli ioni potassio e gli anioni proteici, mentre all'esterno di essa sono preponderanti gli ioni sodio e cloro (fig. 4.52). In particolare, considerando gli ioni sodio e potassio, i quali sono anche i protagonisti del potenziale d'azione, risulta che la concentrazione di sodio all'interno della cellula è inferiore di circa 12 volte a quella che si trova nel liquido che circonda la cellula; il potassio, al contrario, è da 30 a 50 volte più concentrato dentro la cellula. Inoltre, facendo un bilancio tra ioni positivi (cationi) e ioni negativi (anioni), risulta una prevalenza di cariche elettriche negative all'interno della cellula. Questa particolare situazione elettrochimica viene mantenuta sia per la diversa permeabilità della membrana agli ioni considerati, che risulta elevata per il potassio e il cloro, estremamente ridotta per il sodio e pressoché nulla per gli anioni proteici, sia per l'intervento attivo di una 'pompa membranaria', che continuamente espelle ioni sodio dalla cellula e, al tempo stesso, trattiene ioni potassio all'interno di essa. Così come il potenziale di riposo, anche il potenziale d'azione viene spiegato in base a fenomeni riguardanti la distribuzione degli ioni e la permeabilità a essi della membrana cellulare. Infatti, durante il brevissimo episodio del potenziale d'azione, la permeabilità della membrana agli ioni sodio e potassio viene notevolmente alterata (fig. 4.53). Nella fase di depolarizzazione, la permeabilità agli ioni sodio subisce un marcatissimo aumento, sicché essi irrompono in gran numero all'interno della cellula, determinando un'inversione della negatività intracellulare. Nella successiva fase di ripolarizzazione, la variazione della permeabilità membranaria è duplice: mentre la permeabilità al sodio cessa rapidamente, la permeabilità al potassio diviene ancora più marcata di quella del livello di riposo. A seguito di questi due eventi viene arrestato l'ingresso degli ioni sodio e, al tempo stesso, viene accelerato il ripristino della negatività intracellulare mediante la migrazione extracellulare degli ioni potassio. Al termine di questa serie di fenomeni membranari, il risultato netto è rappresentato da una perdita di ioni potassio e da un guadagno di ioni sodio a carico dell'ambiente intracellulare. Si tenga tuttavia presente che le quantità di ioni in gioco durante un potenziale d'azione sono infinitesime rispetto a quelle presenti nel citoplasma e nel liquido extracellulare. È stato infatti calcolato che soltanto 1 ogni 100.000 degli ioni potassio di cui dispone la cellula partecipa alla ripolarizzazione della membrana, e solo pochi ioni sodio attraversano quest'ultima durante la depolarizzazione. La cellula eccitabile ha dunque margini molto ampi prima di veder alterato in modo significativo il proprio equilibrio ionico. Infine, a ulteriore salvaguardia della situazione elettrolitica che caratterizza l'ambiente intracellulare, una volta che sia terminato il potenziale d'azione e la membrana sia tornata alla sua condizione di riposo, si attuano processi di restauro che consistono in fenomeni metabolici di membrana finalizzati alla espulsione di sodio e al riassorbimento di potassio. I due aspetti considerati sembrano giustificare pienamente la relativa inaffaticabilità delle membrane eccitabili.

3.

Evoluzione dell'elettrofisiologia cellulare

L''ipotesi ionica' fu per la prima volta formulata, nel 1902, da J. Bernstein, molti anni prima che fosse possibile effettuare le registrazioni elettrofisiologiche intracellulari. I concetti fondamentali della teoria ionica furono i seguenti: i potenziali bioelettrici si generano tra la superficie esterna e quella interna della membrana cellulare; la membrana è relativamente permeabile a certi ioni; i potenziali bioelettrici sono dovuti alla separazione transmembranaria degli ioni; le variazioni del potenziale elettrico sono causate da variazioni della permeabilità della membrana cellulare a certi ioni. I numerosi esperimenti eseguiti successivamente hanno permesso di chiarire molti aspetti dei processi di diffusione degli ioni attraverso la membrana cellulare, ma non hanno sostanzialmente modificato l'ipotesi originale. Tra gli studi recenti, sono certamente stati fondamentali quelli degli scienziati inglesi A.L. Hodgkin e A.F. Huxley, che per essi hanno ricevuto il premio Nobel nel 1963.

4.

Misurazione dei fenomeni elettrici cellulari

I fenomeni elettrici di membrana possono essere oggi misurati direttamente e con sufficiente precisione mediante il metodo della registrazione intracellulare. Questo metodo, applicato per la prima volta nel 1931 da W.J. Osterhout in cellule vegetali, fu successivamente perfezionato da Hodgkin e Huxley (1950) che lo utilizzarono per lo studio dei potenziali di membrana del neurone di calamaro. Questo preparato sperimentale, per il suo notevole diametro trasversale, fino a 1000 μm, facilitava l'introduzione degli elettrodi nelle fibre stesse. Attualmente, la registrazione dei potenziali elettrici intracellulari si avvale dell'uso di microelettrodi che possono essere introdotti all'interno delle cellule senza danneggiarne la membrana. I microelettrodi sono costituiti da pipette di vetro munite di un estremo molto assottigliato e riempite con una soluzione di elettroliti, generalmente cloruro di potassio. Il metodo si fonda sulla misura della differenza di potenziale elettrico tra il microelettrodo intracellulare e un altro elettrodo di riferimento posto nel liquido extracellulare (fig. 4.54). I due elettrodi vengono connessi con un amplificatore elettronico di tensione e con un apparato di visualizzazione del segnale, generalmente costituito da un oscilloscopio a raggi catodici. Se la cellula è in condizioni di riposo, allorché la punta del microelettrodo, di diametro non superiore a 0,5 μm, viene inserito al suo interno, si rileva una differenza di potenziale stabile tra l'ambiente intracellulare e quello extracellulare (potenziale di riposo). Se la cellula viene successivamente eccitata con uno stimolo appropriato, il microelettrodo capta una rapida variazione del potenziale transmembranario che rappresenta il suo stato di attività (potenziale d'azione).

Elettrocardiografia

In ciascun ciclo cardiaco, l'eccitamento del miocardio diffonde ordinatamente dal suo sito di insorgenza, il nodo senoatriale, verso l'apice del cuore. Durante tale processo, la superficie delle cellule eccitate, cioè depolarizzate, diviene elettricamente negativa rispetto a quella delle cellule ancora in riposo. Si crea, in tal modo, un'onda di depolarizzazione il cui fronte può essere fisicamente equiparato a una serie complessa di elementi polarizzati, cioè di dipoli elettrici (fig. 4.55). Un dipolo è costituito da una coppia di sorgenti elettriche puntiformi aventi carica elettrica di uguale entità ma di segno opposto. Nel fronte di depolarizzazione, ciascun dipolo è disposto con l'estremo negativo nella zona eccitata e l'estremo positivo in quella che ancora è in riposo. Semplificando ulteriormente questo modello, tutte le cariche negative e positive del fronte di depolarizzazione possono essere assimilate a un unico dipolo risultante, che insorge e varia continuamente a ogni ciclo cardiaco. Tale attività elettrica si propaga attraverso i tessuti corporei, in quanto l'intero corpo, essendo costituito da una soluzione acquosa contenente elettroliti, può essere assimilato a un conduttore elettrolitico nel quale la corrente può fluire in ogni direzione dello spazio. Un sistema del genere viene definito conduttore volumetrico di seconda classe. A seguito della ritmica attivazione del cuore, nel mezzo in questione si generano campi elettrici continuamente variabili nel tempo, che diffondono fino a raggiungere la superficie corporea. Di conseguenza, le informazioni sull'attività elettrica del cuore possono essere desunte misurando in alcuni punti della superficie corporea il potenziale elettrico generato. Il diagramma nel tempo di tale potenziale è denominato elettrocardiogramma (ECG).

1.

Significato diagnostico dell'elettrocardiogramma

L'elettrocardiografia rappresenta oggi un metodo fondamentale di valutazione nella diagnostica medica. L'osservazione clinica e la sperimentazione hanno indicato infatti che parecchi disturbi del miocardio alterano la normale insorgenza e propagazione degli impulsi elettrici cardiaci e di conseguenza la conformazione delle onde dell'elettrocardiogramma. La massima utilità dell'esplorazione elettrocardiografica si riscontra in tutti i casi di perturbamento del ritmo cardiaco (aritmie cardiache) e nei casi di danni miocardici dipendenti da alterazioni della irrorazione sanguigna del cuore (ischemia cardiaca, infarto del miocardio). Nondimeno, molte altre condizioni patologiche (intossicazioni, malattie infettive ecc.) determinano alterazioni elettrocardiografiche, che tuttavia non sono specifiche di una determinata malattia. Infine, poiché l'ECG non fornisce nessuna informazione direttamente riguardante la meccanica cardiaca, esistono gravi malattie del cuore nelle quali esso può apparire normale.

2.

Evoluzione dell'elettrocardiografia

La prima registrazione grafica dell'attività elettrica cardiaca dell'uomo fu ottenuta nel 1887 da A.D. Waller mediante l'elettrometro capillare di Lippmann. Connettendo diversi punti della superficie cutanea con l'elettrometro, egli ottenne non solo la registrazione della variazione del campo elettrico che accompagna il battito cardiaco, ma anche la sua distribuzione nel corpo (fig. 4.56). Ma i progressi più rilevanti della elettrocardiografia sono da attibuire a W. Einthoven, che nel 1903 sostituì l'elettrometro capillare con il galvanometro a corda. L'elettrometro di Lippmann, infatti, pur dotato di grande sensibilità, era tuttavia troppo lento per riprodurre esattamente i segnali elettrocardiografici, i quali sono costituiti anche da componenti a rapida evoluzione che durano solo pochi millisecondi. L'introduzione del galvanometro a corda, che possedeva al tempo stesso alta sensibilità e rapidità di risposta, consentì a Einthoven di ottenere registrazioni elettrocardiografiche molto più accurate, mediante le quali egli giunse a formulare i principi fondamentali su cui ancora oggi si basa l'elettrocardiografia. Il galvanometro a corda è costituito da un filo elettroconduttore (corda), generalmente di platino o di quarzo argentato, teso perpendicolarmente a un campo magnetico creato dai poli di una potente calamita (fig. 4.57). Quando viene percorso da una corrente elettrica, il conduttore si sposta in una direzione tale da formare un angolo retto sia con il campo magnetico sia con la direzione della corrente che lo attraversa. Gli spostamenti della corda nel campo magnetico venivano osservati con un sistema ottico e potevano essere registrati su carta fotografica. L'elettrocardiografo a corda, che aveva l'inconveniente di essere assai ingombrante e di richiedere un'estrema accuratezza nell'uso, è stato oggi sostituito da apparecchiature, anche portatili, munite di amplificatori elettronici di piccole dimensioni, leggeri e robusti al tempo stesso. L'amplificatore è generalmente collegato a un sistema scrivente a inchiostro oppure termoelettrico. Le apparecchiature più complesse, in uso nei laboratori medici e scientifici specializzati, comprendono oscillografi a raggi catodici e computer, questi ultimi in grado di fornire immediatamente i valori dei più significativi parametri elettrocardiografici.

3.

Le derivazioni elettrocardiografiche

L'ECG si può rilevare, cioè derivare, ponendo una coppia di elettrodi su due punti qualsiasi del corpo. Nel 1913, comunque, W. Einthoven, G. Fahr e A. de Waart introdussero le derivazioni dagli arti sulla base delle seguenti considerazioni:

a) l'attività elettrica del cuore è assimilabile a quella di un dipolo con gli estremi molto vicini tra loro;

b) il dipolo cardiaco è immerso in un mezzo conduttore omogeneo;

c) il dipolo cardiaco è posto al centro di un triangolo equilatero (triangolo di Einthoven) ai cui vertici sono posti le radici del braccio sinistro, del braccio destro e delle gambe (fig. 4.58);

d) il dipolo cardiaco e i vertici del triangolo sono situati su un medesimo piano.

Per le derivazioni dagli arti, così diffusamente usate che vengono spesso chiamate registrazioni standard, si usano tre elettrodi applicati ai due arti superiori e all'arto inferiore sinistro. È indifferente se l'elettrodo viene applicato alla radice o all'estremo dell'arto. Gli elettrodi vengono connessi all'elettrocardiografo in modo da essere abbinati in tre diverse combinazioni: DI (prima derivazione), braccio sinistro e braccio destro; DII (seconda derivazione), braccio destro e gamba sinistra; DIII (terza derivazione), braccio sinistro e gamba sinistra (fig. 4.59).

Le derivazioni di Einthoven forniscono un quadro generale delle variazioni elettriche dell'attività cardiaca, ma per un'analisi più dettagliata è necessario ricorrere alle derivazioni precordiali, cioè a quelle derivazioni che prevedono la collocazione di uno degli elettrodi in vicinanza del cuore, e precisamente sulla cute della parete anteriore del torace (regione precordiale). Le derivazioni precordiali, proposte per la prima volta da F.L. Wilson (1911), prevedono che l'elettrodo posto in posizione precordiale (elettrodo attivo) venga abbinato con un terminale (terminale centrale di Wilson) risultante dal collegamento, attraverso una conveniente resistenza, dei fili provenienti dai tre elettrodi posti sugli arti. Il proposito di Wilson era quello di costituire un elettrodo pressocché indifferente all'attività elettrica cardiaca e che potesse quindi funzionare come elettrodo di riferimento. Il numero delle derivazioni precordiali che si potrebbero ottenere è naturalmente enorme, ma, per uniformità di procedure, sono stati definiti sei punti di esplorazione (fig. 4.60). Queste derivazioni toraciche vengono indicate con le sigle V₁, V₂, V₃, V₄, V₅ e V₆. Confrontando i tracciati ottenuti da tutte e sei queste derivazioni, si ottiene un quadro composito dell'attività elettrica del cuore che può rivelare una eventuale anomalia più facilmente di quanto si possa ottenere con le derivazioni di Einthoven.

Un'ulteriore modalità di derivazione del segnale elettrocardiografico consiste nel connettere l'elettrocardiografo con l'elettrodo posto su un arto (elettrodo attivo) e con un terminale di Wilson costituito dal collegamento dei fili provenienti dagli elettrodi posti sugli altri due arti. Si possono in tal modo ottenere tre diverse combinazioni che vengono dette derivazioni unipolari degli arti. Questo modo di derivare il segnale fu perfezionato da J. Goldberger (1942), che eliminò le resistenze dal terminale di Wilson ottenendo, in tal modo, un segnale di maggiore ampiezza. Alle derivazioni ottenute seguendo le indicazioni di Goldberger viene data la denominazione di derivazioni aumentate degli arti. Esse vengono indicate con le sigle aVR, aVL e aAF, dove la lettera 'a' significa 'aumentata' e le lettere maiuscole significano, rispettivamente, voltaggio del braccio destro, del braccio sinistro e di una gamba.

4.

Il tracciato elettrocardiografico

La registrazione elettrocardiografica presenta una serie di oscillazioni (onde elettrocardiografiche) dalle quali è possibile trarre informazioni fondamentali sulle modalità di svolgimento del processo di attivazione delle diverse camere cardiache. Anche se i tracciati si differenziano alquanto a seconda delle derivazioni impiegate per ottenerli, tuttavia è possibile rilevare in essi alcuni importanti aspetti comuni che si prestano a una descrizione d'insieme.

Le onde elettrocardiografiche più rilevanti sono ormai universalmente indicate, secondo la nomenclatura già proposta da Einthoven, con le lettere P, Q, R, S, T, e sono correlate con specifici eventi dell'attivazione cardiaca. Quando, eccezionalmente, dopo l'onda T si presenti un'onda ulteriore, essa viene designata con la lettera U. Nella fig. 4.61 è riportato un ECG normale registrato su una carta graduata in modo standard, mentre nella fig. 4.62 sono rappresentati i tracciati ECG rilevabili in varie patologie cardiache. Le linee verticali servono a identificare il tempo, quelle orizzontali l'ampiezza del segnale. La prima onda, designata con la lettera P, lettera iniziale di presistole, rappresenta la depolarizzazione atriale che consegue all'insorgenza dell'eccitamento nel nodo senoatriale. A essa fa seguito, dopo circa 0,1-0,2 secondi, il complesso di onde denominato QRS, che rappresenta la depolarizzazione ventricolare. Infine, l'onda T deriva dalla ripolarizzazione dei ventricoli. Come si è detto, l'onda U compare raramente, e il suo significato non è stato ancora precisato. Nella tab. 4.13 sono riportate alcune caratteristiche dell'elettrocardiogramma normale di un soggetto a riposo.

5.

Vettocardiografia

Tutte le forze elettriche create dal cuore durante il processo di attivazione possono essere rappresentate da un vettore. Questo vettore viene indicato con il nome vettore o asse elettrico cardiaco; la grandezza del vettore esprime il momento del dipolo elettrico cui il cuore può essere assimilato, mentre la direzione verso cui esso punta ne indica l'orientamento. L'apice della freccia rappresenta l'estremo positivo del dipolo. Poiché il vettore cardiaco, in accordo con il variare della condizione elettrica del cuore, varia continuamente nel valore e nella direzione, con il termine vettore, o asse elettrico, istantaneo si indica il vettore cardiaco nell'istante considerato. Il vettore cardiaco medio rappresenta invece la media dei vettori cardiaci istantanei che concorrono a definire un intero ciclo elettrocardiografico, o soltanto alcune fasi di esso (per es., il complesso QRS). Il vettore cardiaco può essere ricostruito a partire dai segnali elettrici rilevati con vari tipi di derivazioni e il suo variare durante il ciclo cardiaco può essere rappresentato in un grafico detto vettocardiogramma (fig. 4.63); la vettocardiografia è quindi lo studio dei vettori cardiaci proiettati sul piano (vettocardiografia piana), o nello spazio (vettocardiografia spaziale). Attualmente, l'uso clinico della vettocardiografia è piuttosto limitato, anche perché i procedimenti di esplorazione non sono stati ancora precisamente concordati.

Elettroencefalografia

La corteccia cerebrale manifesta continue fluttuazioni del suo potenziale elettrico, che sono l'espressione dell'attività dei numerosissimi neuroni che la costituiscono e di quelli appartenenti a strutture situate più profondamente nell'encefalo. Tale attività si può registrare mediante elettrodi applicati sul cuoio capelluto e il tracciato che ne risulta è noto con il termine di elettroencefalogramma (EEG). In generale, nel tracciato si possono individuare delle oscillazioni sinusoidali ritmiche che, a seconda dell'ampiezza e della frequenza, costituiscono i differenti ritmi, denominati ritmo alfa, beta, delta e theta. Tali ritmi sono caratteristici di alcune condizioni fisiologiche, variando in funzione dello stato fisico, dell'attività e dell'età del soggetto.

Particolarmente determinante ai fini della rilevazione dell'EEG è l'attività elettrica dei dendriti apicali, cioè più superficiali, di quelle cellule nervose che sono orientate in senso perpendicolare rispetto alla superficie corticale. Queste ultime, data la loro conformazione allungata, sono state assimilate a dipoli elettrici generatori di flussi di corrente. L'ipotesi formulata è che l'EEG potrebbe essere la risultante della sommazione di attività dendritiche che producono flussi di corrente tra i dendriti stessi, situati in superficie, e le restanti parti dei neuroni, situate più profondamente.

La presenza di oscillazioni ritmiche nel tracciato elettroencefalografico ha fatto presupporre che l'attività delle cellule nervose corticali non sia casualmente distribuita nel tempo ma, almeno in parte, ordinata in maniera sincrona. Tale ipotesi è stata avvalorata da numerosi dati sperimentali, che hanno chiaramente dimostrato che impulsi nervosi provenienti da centri nervosi sottocorticali possono modulare ritmicamente alcune manifestazioni elettriche delle cellule corticali e generare quindi i ritmi osservabili nell'EEG. I centri sottocorticali cioè si comportano come marcapassi (pacemaker) capaci di indurre, mediante connessioni a carattere eccitatorio e inibitorio, un'attività corticale ritmica. Questi centri sincronizzatori soggiacciono, a loro volta, all'azione sincronizzante o desincronizzante di strutture nervose più caudali, quale la formazione reticolare troncoencefalica.

1.

Significato diagnostico dell'elettroencefalogramma

Alcuni fenomeni morbosi del cervello possono produrre palesi modificazioni dell'ampiezza, della frequenza e della forma delle onde elettroencefalografiche. Alcuni dei più importanti impieghi clinici dell'elettroencefalografia sono la diagnosi dei differenti tipi di epilessia (fig. 4.64), la localizzazione di tumori cerebrali, nonché l'identificazione di alcune patologie a carattere psichiatrico. Inoltre, l'indagine elettroencefalografica si è rivelata un ausilio diagnostico prezioso anche in altre affezioni, quali i traumi cerebrali, le alterazioni della circolazione encefalica, i processi infiammatori delle meningi e dell'encefalo, le intossicazioni metaboliche (coma). Uno speciale impiego dell'elettroencefalografia riguarda la diagnosi di morte. Nei casi dubbi, l'estinzione delle onde elettroencefalografiche (EEG piatto) è considerata un evento che segnala danni irreversibili dell'encefalo. Questa morte cerebrale, che è caratterizzata anche da numerosi altri sintomi neurologici, viene ritenuta una delle condizioni indispensabili alla concessione della autorizzazione all'espianto di organi.

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Evoluzione dell'elettroencefalografia

L'attività elettrica della corteccia cerebrale fu registrata per la prima volta nel 1874 dal fisiologo inglese R. Caton, che studiò, nel cervello di varie specie di animali, le oscillazioni di potenziale indotte mediante stimolazioni sensoriali. Successivamente, le sue osservazioni furono confermate da numerosi ricercatori, ma spetta allo psichiatra H. Berger il merito di essere riuscito per primo a registrare l'attività elettrica del cervello umano, mediante elettrodi applicati sul cuoio capelluto. Le prime registrazioni di Berger furono effettuate nel 1924 e pubblicate nel 1929. Tra quest'ultima data e il 1938, egli produsse venti lavori scientifici su questo argomento, tutti con il titolo Sull'elettroencefalogramma dell'uomo. Nel primo di questi lavori, per la prima volta, viene usato il termine 'elettroencefalogramma' per descrivere i potenziali cerebrali nell'uomo. Nei suoi studi, Berger getta le basi di gran parte delle nostre conoscenze attuali di elettroencefalografia e indica anche le possibili applicazioni di tale metodica in fisiologia, neurologia, psichiatria e psicologia.

Lo sviluppo della elettroencefalografia è andato di pari passo con il perfezionamento dell'apparecchiatura a essa dedicata. Uno dei problemi tecnici più ardui da risolvere è stato quello concernente l'estrema esiguità dei segnali elettrici corticali. Essi, infatti, a causa della resistenza elettrica dei tessuti interposti tra i neuroni cerebrali e gli elettrodi applicati al cuoio capelluto, sono dell'ordine delle decine di μV. Conseguentemente, per essere registrati, essi necessitano di essere amplificati di circa un milione di volte. Per risolvere tale problema, i moderni elettroencefalografi sono muniti di amplificatori elettronici particolarmente efficaci e di un adeguato apparato di registrazione. Un amplificatore e il sistema di registrazione a esso connesso costituiscono un insieme che nel linguaggio tecnico viene detto 'canale'; un canale può essere usato per rilevare le variazioni di potenziale captate da una coppia di elettrodi abbinati in modo tale da formare una derivazione elettroencefalografica. Dato che per un esame elettroencefalografo completo è necessario registrare contemporaneamente i potenziali corticali da diversi punti di derivazione, un elettroencefalografo moderno è munito di almeno quattro canali di registrazione simultanea; i laboratori che eseguono abitualmente esami elettroencefalografici usano generalmente strumenti con otto canali. Dopo essere state amplificate, le variazioni di potenziale elettrico vengono rappresentate graficamente da un sistema scrivente costituito da penne a inchiostro o a effetto termoelettrico, che tracciano il loro grafico su una carta che scorre a velocità prestabilita.

La valutazione dell'EEG si basa soprattutto sull'analisi della frequenza, dell'ampiezza, della forma e della distribuzione delle onde in esso contenute. Essa può essere fatta manualmente, eseguendo misurazioni direttamente sulla registrazione grafica, oppure automaticamente, mediante moderni strumenti elettronici analizzatori di segnali, che per lo più operano con una logica digitale.

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Le derivazioni elettroencefalografiche

Per la registrazione dell'EEG si usano elettrodi costituiti da piccole placche metalliche, generalmente di argento clorurato, che si applicano sulla cute del cranio previamente sgrassata e bagnata con una soluzione di cloruro di sodio per ridurne la resistenza elettrica. Per una registrazione a uso clinico, si distribuiscono in varie regioni del cuoio capelluto 8-14 o più elettrodi, che vengono mantenuti in posizione mediante una rete o una cuffia elastica (fig. 4.65). Per rendere possibile il confronto tra vari tracciati EEG, la posizione degli elettrodi e le condizioni di registrazione sono state standardizzate. Per ogni coppia di elettrodi, la registrazione può essere eseguita con metodo unipolare o con metodo bipolare. Nel metodo unipolare, la registrazione rileva la differenza di potenziale tra un elettrodo attivo e uno indifferente, cioè relativamente insensibile ai fenomeni elettrici corticali, collocato generalmente sul lobo dell'orecchio. Questa tecnica dovrebbe essere preferita quando si vuole studiare l'attività elettrica della zona di corteccia immediatamente sottostante all'elettrodo attivo. Tuttavia, a causa delle difficoltà che si incontrano nell'identificare un punto di riferimento realmente indifferente, viene più spesso preferito il metodo bipolare. Quest'ultimo prevede che all'amplificatore vengano collegati due elettrodi, entrambi posti sulla volta cranica e, pertanto, entrambi sensibili alle variazioni di potenziale delle aree cerebrali sottostanti.

4.

Il tracciato elettroencefalografico

La registrazione dell'attività elettrica corticale si presenta come un'oscillazione più o meno regolare. I caratteri dell'EEG che vengono più comunemente messi in rapporto con le funzioni del cervello sono la frequenza, l'ampiezza e la forma delle oscillazioni del potenziale. Nell'uomo adulto sano, in stato di veglia tranquilla, l'EEG è caratterizzato dalla presenza di onde di aspetto quasi sinusoidale, che si succedono alla frequenza di 8-10 per secondo, e che hanno un'ampiezza variabile tra 20 e 50 μV. Tali onde vengono contrassegnate con la lettera greca α (alfa). Questo quadro elettroencefalografico, conosciuto con il nome di ritmo di Berger o ritmo alfa, presenta la sua massima ampiezza e regolarità in corrispondenza dei lobi occipitali e viene osservato più facilmente quando l'individuo è a occhi chiusi, cioè in assenza dello stimolo visivo. Le onde alfa si presentano in gruppi, di ampiezza prima progressivamente crescente e poi decrescente, detti 'fusi'. L'ampiezza e la regolarità delle onde alfa possono presentare considerevoli differenze individuali. Con l'apertura degli occhi e con altri stimoli sensoriali, o con l'attività mentale, si determina la scomparsa delle onde alfa. Questo fenomeno viene chiamato blocco del ritmo alfa o reazione di arresto o, ancora, desincronizzazione dell'EEG. Quest'ultima denominazione indica l'interruzione di quel sincronismo dell'attività neuronale che è responsabile del ritmo alfa. Oltre al ritmo alfa, dalle regioni frontali si registrano spesso onde contrassegnate con la lettera β (beta). In confronto alle onde alfa, le onde beta hanno frequenza più elevata, compresa tra 15 e 50 cicli per secondo, e un voltaggio che raramente supera i 15 μV. Il ritmo beta presenta asimmetrie notevoli tra i due emisferi cerebrali. Nell'EEG possono essere identificate anche le onde δ (delta) e le onde θ (theta). Le onde delta sono relativamente ampie, fino a 200 μV, e hanno frequenza inferiore a 4 cicli per secondo. Il ritmo delta non è rilevabile nell'individuo sveglio, ma è tipico dello stato di sonno profondo. Le onde theta, tipiche dell'EEG del bambino, sono ampie e regolari, hanno una frequenza di 4-8 cicli per secondo e sono più accentuate nelle regioni frontali e temporali. Anche le onde theta sono di ampio voltaggio (superiore a 50 μV). Le oscillazioni di potenziale che caratterizzano l'EEG presentano variazioni di frequenza e di ampiezza in varie circostanze; nel soggetto sano le più importanti sono connesse con l'età e lo stato di vigilanza. Per quanto riguarda i mutamenti dovuti all'età, l'EEG del neonato è caratterizzato da variazioni di potenziale molto lente ed irregolari.

Con l'incedere dell'età, le onde diventano più rapide e regolari e solo verso il periodo della pubertà il tracciato assume tutte le caratteristiche dell'individuo adulto. Tra le modificazioni dovute allo stato di vigilanza, oltre alla reazione di arresto, di cui si è detto precedentemente, sono state particolarmente studiate quelle inerenti lo stato di sonno. Al riguardo, sono stati identificati diversi quadri elettroencefalografici che caratterizzano le varie fasi di transizione del sonno, dallo stato di sonnolenza fino al sonno profondo. All'aumentare della profondità del sonno, le onde si fanno progressivamente più lente, più ampie e più irregolari, fino al manifestarsi del ritmo delta che è tipico del sonno più profondo. Tuttavia, questo quadro elettroencefalografico viene periodicamente interrotto da fasi in cui l'EEG si presenta pressoché indistinguibile da quello dello stato di veglia. Questa fase del sonno, cui è stato dato il nome di 'sonno paradosso', è stata associata al fenomeno del sogno. Al momento del risveglio, ricompare prontamente il tracciato tipico della veglia, caratterizzato da onde frequenti e di basso voltaggio; a questo radicale cambiamento del quadro elettroencefalografico si dà il nome di reazione di risveglio.

5.

Potenziali evocati

Con l'elettroencefalografia, oltre all'attività elettrica spontanea del cervello, si possono anche derivare quelle oscillazioni di potenziale che sono la risposta alla stimolazione di recettori e di vie sensoriali. Queste variazioni di potenziale, rilevabili sul cuoio capelluto in corrispondenza delle aree corticali sensitive interessate dallo stimolo, vengono dette potenziali evocati sensoriali. Il potenziale evocato consiste in una oscillazione specifica dell'EEG che compare con una latenza di circa 5-15 millisecondi dopo l'applicazione dello stimolo; l'oscillazione del potenziale presenta una forma assai variabile in ragione del sito di derivazione e della natura e intensità dello stimolo. Generalmente, il potenziale evocato mostra una prima fase positiva cui fa seguito una negativa; queste prime due oscillazioni possono essere seguite da altre che evolvono più lentamente (fig. 4.67). Così come i potenziali corticali spontanei, anche i potenziali evocati sono dovuti essenzialmente a fenomeni elettrici che hanno luogo nei dendriti apicali. Normalmente, nell'individuo in stato di veglia, i potenziali evocati registrati dallo scalpo non sono sufficientemente distinguibili dall'attività elettroencefalografica spontanea e per evidenziarli si deve ricorrere all'uso di un calcolatore. Quest'ultimo, mediante uno speciale programma di acquisizione ed elaborazione di segnali, è in grado di calcolare il valore medio di una lunga serie di risposte evocate singole. I potenziali evocati medi così ottenuti si distinguono nettamente dall'attività elettrica di fondo. Lo studio della latenza, della forma e del decorso temporale dei potenziali evocati si è rivelato particolarmente utile per precisare i rapporti funzionali tra periferia sensoriale e corteccia cerebrale, nonché per riconoscere le connessioni che si stabiliscono tra le varie strutture nervose che partecipano alla trasmissione della informazione sensitiva. I potenziali evocati vengono utilizzati anche a scopo clinico-diagnostico, per es. nell'accertamento dell'integrità funzionale di una specifica via sensitiva.

Elettromiografia

La contrazione muscolare è un processo caratterizzato da una sequenza di eventi concatenati che hanno inizio con l'eccitamento del muscolo, cioè con l'insorgenza di potenziali d'azione nelle membrane delle sue fibre. Mentre il muscolo liscio e il miocardio sono dotati della proprietà di autoeccitarsi, il muscolo scheletrico, che ne è privo, viene eccitato a opera di cellule nervose, chiamate motoneuroni. Gli assoni di questi neuroni consentono una rapida propagazione degli impulsi nervosi, cosicché il muscolo può prontamente iniziare la propria attività contrattile. Ogni assone, una volta raggiunto il muscolo da innervare, si divide in numerose diramazioni, ciascuna delle quali si pone in contatto con una fibra muscolare. A seguito di questa organizzazione strutturale, ciascun motoneurone è connesso con numerose fibre muscolari; l'insieme di un motoneurone e delle fibre muscolari da questo innervate costituisce una unità funzionale detta unità motoria. Quando l'impulso nervoso prodotto dal motoneurone raggiunge le fibre muscolari dell'unità motoria, queste si attivano tutte pressoché simultaneamente. Inoltre, a livello di ciascuna giunzione neuromuscolare si verifica una trasmissione 'uno a uno' tra i potenziali d'azione nervosi e quelli muscolari. La conseguenza di questo speciale rapporto funzionale è che l'attività elettrica delle fibre muscolari scheletriche rispecchia fedelmente l'attività elettrica dei motoneuroni che le innervano. Lo studio dell'attività elettrica del muscolo fornisce, quindi, informazioni relative anche al funzionamento del sistema nervoso e il metodo di indagine della funzione motoria fondato sulla registrazione dei fenomeni elettrici che hanno luogo nel tessuto muscolare viene detto elettromiografia. La rappresentazione grafica dei potenziali elettrici muscolari viene detta elettromiogramma (EMG). Significato diagnostico dell'elettromiogramma L'elettromiografia è attualmente un metodo diagnostico molto impiegato nelle patologie riguardanti le fibre muscolari, i motoneuroni o altre componenti motorie e sensitive del sistema nervoso. Inoltre, l'elettromiografia viene anche impiegata per lo studio dell'attività elettrica evocata nel muscolo da stimoli elettrici applicati sul muscolo stesso o sulle fibre nervose che hanno rapporto con esso. Con questa metodica vengono studiate la velocità di conduzione delle fibre nervose e l'integrità dei riflessi. Quadri tipicamente patologici possono essere rilevati nella denervazione del muscolo e nelle atrofie muscolari dovute a malattie che colpiscono il muscolo stesso (atrofia miogena) o il sistema nervoso (atrofia neurogena) o, ancora, la trasmissione neuromuscolare.

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Evoluzione dell'elettromiografia

Le origini dell'elettromiografia sono pressoché contemporanee di quelle della elettrocardiografia e della elettroencefalografia. Le prime osservazioni concernenti l'attività elettrica del muscolo umano durante la contrazione volontaria furono fatte da du Bois-Reymond, nel 1849. Con un ingegnoso quanto semplice apparato (fig. 4.68), egli riuscì a captare le correnti d'azione prodotte dalla contrazione volontaria dei muscoli della mano e del braccio. Per la derivazione del segnale elettrico du Bois-Reymond impiegò, quali elettrodi, dei recipienti che contenevano una soluzione elettrolitica nella quale erano immerse le dita del soggetto sottoposto all'esperimento. A causa della difficoltà di rilevamento del segnale, per tutto il 19° secolo la registrazione dei potenziali elettrici muscolari rimase una tecnica poco diffusa. Soltanto nel 1907 lo studioso tedesco Piper, in analogia a quanto aveva già escogitato Einthoven per la elettrocardiografia, introdusse l'uso degli elettrodi metallici per derivare dalla cute sovrastante i muscoli le correnti d'azione prodotte dalla contrazione. Si avvalse, inoltre, del galvanometro a corda per la loro amplificazione. La strumentazione elettromiografica venne ulteriormente perfezionata con l'avvento dell'oscilloscopio a raggi catodici, che consentì a Erlanger e Gasser (1922) di ottenere registrazioni assai accurate delle rapide variazioni di potenziale elettrico che caratterizzano l'elettromiogramma. Fino al 1929 l'elettromiografia, a causa della derivazione cutanea dei potenziali, non poteva fornire altro che informazioni concernenti l'attività elettrica di ampie porzioni dei muscoli esaminati. Ma in quello stesso anno, E.D. Adrian e D.W. Bronk proponevano l'uso dell'ago-elettrodo, che introdotto nel ventre muscolare rendeva possibile la captazione dei potenziali elettrici prodotti da piccoli gruppi di fibre muscolari. Sebbene l'obiettivo di questi due scienziati fosse quello di studiare gli aspetti fisiologici della attivazione del muscolo da parte del sistema nervoso, la tecnica da essi proposta ebbe un grande successo in ambito clinico.

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Tecnica e strumentazione per elettromiografia

In un apparato per elettromiografia (fig. 4.69), i potenziali muscolari, rilevati con elettrodi di superficie o di profondità (ago-elettrodi), vengono inviati ad amplificatori che hanno caratteristiche analoghe a quelli impiegati in elettroencefalografia. Infatti, anche i potenziali elettromiografici, essendo di ampiezza estremamente ridotta, dell'ordine dei μV, prima di essere registrati necessitano di amplificazione. Per la visualizzazione dell'elettromiogramma viene utilizzato lo schermo di un oscilloscopio a raggi catodici, mentre la registrazione permanente si può ottenere con metodo fotografico, con registrazione su nastro magnetico, oppure inviando il segnale alla memoria di un computer. Infine, il segnale elettromiografico, data la sua natura oscillatoria, viene generalmente sottoposto ad analisi computerizzata delle frequenze in esso contenute. Come indicato precedentemente, i potenziali elettromiografici possono essere derivati in superficie, oppure all'interno del ventre muscolare. Gli elettrodi di superficie sono piccoli dischi metallici del diametro di 0,5-2 cm, che vengono fissati a circa 3 cm di distanza tra loro sulla cute soprastante il muscolo da esaminare. Questi elettrodi sono sensibili alle variazioni di potenziale che, prodotte dalle fibre muscolari attive, raggiungono la superficie cutanea propagandosi nel mezzo conduttore elettrolitico. A causa della distanza relativamente grande degli elettrodi rispetto alle fibre, l'EMG di superficie è poco discriminativo e mostra i fenomeni elettrici che si producono in una ampia porzione del muscolo. Tuttavia, per il suo carattere non invasivo, la elettromiografia di superficie è la metodica prevalentemente impiegata da anatomici, fisiologi e ortopedici interessati agli studi concernenti il movimento umano (kinesiologia). L'elettromiografia di profondità è invece il metodo più usato nella diagnostica clinica. Essa viene eseguita con ago-elettrodi che possono essere di vario tipo, ma il più utilizzato è l'ago-elettrodo coassiale. Esso consiste di un ago ipodermico che nel suo lume contiene un filo, generalmente di acciaio, argento o platino, isolato a eccezione della punta (fig. 4.70). Con questo tipo di elettrodo le variazioni di tensione vengono misurate tra la punta del filo e la cannula dell'ago. Per esami particolari, sono anche disponibili elettrodi coassiali che all'interno dell'ago contengono più fili isolati (multi-elettrodo coassiale). Nell'elettromiografia di profondità, l'elettrodo ad ago, penetrato nell'interstizio cellulare, è in grado di rilevare le variazione elettriche indotte nel liquido interstiziale dai potenziali d'azione delle fibre muscolari che si trovano in diretta prossimità di esso.

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Il tracciato elettromiografico

L'aspetto dell'elettromiogramma varia grandemente a seconda dello stato di attività del muscolo esaminato. Il muscolo normale nello stato di completo rilasciamento non presenta alcuna attività elettrica e pertanto l'EMG, in tali condizioni, non presenta alcuna variazione della linea isoelettrica (EMG piatto). Nello stato di contrazione, l'elettromiogramma è caratterizzato dalla presenza di rapide oscillazioni positive e negative che differiscono tra loro per ampiezza, forma e frequenza. Nelle contrazioni di bassa o bassissima intensità, le onde elettromiografiche sono sufficientemente distinte tra loro, ma all'aumentare dell'intensità della contrazione il quadro elettromiografico diviene estremamente complesso, a motivo della interferenza dell'attività elettrica delle numerose fibre muscolari, che vengono impegnate nella contrazione. Il tracciato elettromiografico di superficie, date le condizioni di rilevamento del segnale, rappresenta la sommatoria dell'attività elettrica delle numerose fibre muscolari che sono comprese nell'area di esplorazione degli elettrodi, che è relativamente estesa. L'ampiezza e la frequenza delle onde che costituiscono il tracciato aumenta progressivamente in funzione dell'incremento della forza sviluppata dal muscolo. Con l'elettromiografia di profondità possono essere discriminati i potenziali di ogni singola unità motoria, cioè quei potenziali che risultano dalla somma delle attività elettriche di fibre innervate dallo stesso motoneurone (fig. 4.71). Nell'EMG il potenziale di unità motoria si presenta come una rapida oscillazione che si ripete alla frequenza di circa 5-10 per secondo nelle contrazioni deboli e di 20-50 per secondo durante le contrazioni volontarie massimali. La discriminazione dei potenziali di singola unità motoria può avvenire esclusivamente durante contrazioni di piccola entità; in queste condizioni i potenziali delle differenti unità motorie attive possono essere riconosciuti in base alla loro ampiezza, forma e frequenza di scarica. Nelle contrazioni più intense, la frequenza di scarica delle unità motorie aumenta e, parallelamente, aumenta anche il numero di unità motorie attive. In tali condizioni, gli elettrodi rilevano, nello stesso istante, l'attività di numerose unità motorie le quali, peraltro, si attivano in maniera asincrona. Di conseguenza nell'EMG i potenziali individuali non sono più riconoscibili e il tracciato assume un aspetto assai complesso che prende il nome di quadro da interferenza.

Biomagnetismo

di Paolo Rossini


Il biomagnetismo è sia il complesso dei fenomeni magnetici che riguardano gli organismi viventi sia la parte della biofisica che studia tali fenomeni, arricchitasi in tempi recenti grazie agli sviluppi della tecnica di rivelazione dei campi magnetici generati dalle correnti ioniche circolanti nei tessuti biologici. Gli studi sull'elettromagnetismo furono iniziati da H.C. Oersted, che nel 1820 scoprì che un conduttore percorso da corrente agisce con una forza su un ago magnetico posto nelle vicinanze e che, quindi, tale corrente genera nello spazio circostante un campo magnetico, le cui proprietà di direzione e intensità dipendono dalla corrente che lo genera. L'analisi della distribuzione nello spazio del campo magnetico e delle sue variazioni nel tempo permette di risalire alle caratteristiche delle correnti che lo generano. Il rivelamento del campo magnetico in un punto può essere fatto classicamente con un magnetometro, rilevando la forza o la coppia prodotte su un elemento di circuito o una spira percorsa da una corrente nota, o utilizzando l'effetto Hall o la carica raccolta da un galvanometro balistico di una corrente indotta.

Tali misurazioni si possono, tuttavia, effettuare solo su campi notevolmente più intensi di quelli di natura biologica, per i quali invece si usano particolari dispositivi superconduttori, detti SQUID (Superconducting QUantum Interference Devices), che rivelano la componente del campo perpendicolare a una spira di materiale superconduttore contenente delle giunzioni Josephson; tale rivelamento viene effettuato misurando la modulazione della corrente che attraversa il circuito formato dai due rami della spira. L'intensità del campo magnetico generato da una corrente diminuisce allontanandosi da essa; per misurarlo non è però necessario nessun contatto diretto con il tessuto da cui proviene il campo. A differenza quindi delle registrazioni elettroencefalografiche ed elettrocardiografiche, non è necessario creare un contatto di conduzione elettrica tra il soggetto in esame e il sensore.

I campi magnetici generati nei corpi viventi sono enormemente più piccoli (circa 10-8 volte) del campo magnetico terrestre (che è dell'ordine di 5 ∃ 10-5 T) e dei segnali elettromagnetici generati da apparecchiature elettroniche (fig. 4.72). Per questo motivo, le misure avvengono usualmente all'interno di camere schermate magneticamente, che riducono notevolmente l'ampiezza dei campi magnetici esterni. La debolezza dei campi biomagnetici è la principale causa dei circa due secoli intercorsi tra la scoperta delle correnti bioelettriche a opera di Galvani e il rivelamento dei campi magnetici da esse generati: nel 1963 G.M. Baule e R. McFee, mediante solenoidi a temperatura ambiente, rivelarono il campo magnetico generato dall'attività cardiaca; nel 1967 D. Cohen, mediante sofisticati sensori, registrò il campo magnetico generato dall'attività neuronale. Da quell'epoca inizia il biomagnetismo come tecnica di ricerca e di diagnostica clinica. I sensori sono costituiti da dispositivi elettronici superconduttori (SQUID) operanti alla temperatura dell'elio liquido (4 °K, corrispondenti a -269 °C), in grado di convertire con elevata sensibilità (dell'ordine di 10-14 T) il flusso magnetico in tensione elettrica.

Il campo magnetico più forte generato fisiologicamente nell'uomo proviene dal cuore, in corrispondenza alla contrazione del muscolo cardiaco e alla propagazione dell'impulso proveniente dai pacemaker atriali verso i ventricoli attraverso il fascio di His (40-50 pT). Il magnetocardiogramma è stato infatti il primo fenomeno biomagnetico registrato. Esso dà informazioni sugli stessi flussi sodio-potassio osservati mediante l'elettrocardiogramma, con una maggiore selettività spaziale, a motivo dell'effetto trascurabile nel segnale magnetico delle correnti indotte nei tessuti circostanti il miocardio, e permettendo inoltre la registrazione delle variazioni a bassa frequenza dei segnali cardiaci, abbattute nel segnale elettrico dalla resistenza dei contatti.

Nel cervello in stato di veglia, i campi di maggior intensità sono generati dall'attività spontanea dei neuroni: al ritmo alfa nella regione occipitale corrisponde un campo dell'ordine di 1-2 pT. In situazioni patologiche, come nel caso dell'epilessia, possono generarsi spontaneamente segnali anche più intensi. I campi evocati dalla stimolazione sensoriale (visiva, acustica, tattile ecc.) sono generalmente più deboli di uno o più ordini di grandezza (attorno a 10-100 fT). L'evoluzione dalla prime registrazioni monocanale a sistemi multisensore, che attualmente possono coprire l'intero torace, nel caso delle registrazioni cardiache, e l'intero scalpo (fig. 4.73), nel caso delle registrazioni encefaliche, insieme alle capacità di calcolo offerte dai computer attualmente disponibili, permette oggi di studiare l'attivazione di specifiche regioni corticali o sottocorticali in relazione ad attività spontanea o evocata da stimoli sensoriali in situazioni fisiologiche e patologiche. Dalle estenuanti sedute di registrazione che duravano giorni ai primordi del biomagnetismo, siamo oggi passati a sedute di poche decine di minuti. L'attività dei neuroni che genera un determinato campo magnetico può essere registrata nel tempo con risoluzione inferiore al millesimo di secondo (fig. 4.74); inoltre, il segnale proveniente dalle regioni cerebrali raggiunge i sensori con una distorsione minima, a motivo della quasi totale omogeneità della permeabilità magnetica degli strati extracerebrali (meningi, cranio, muscoli ecc.). Per queste ragioni, è possibile localizzare con un errore di pochi millimetri le regioni cerebrali attivate in relazione al processamento di determinati stimoli sensoriali (visivi, acustici, somestesici), in preparazione all'attuazione di un movimento e nello svolgimento di un preciso compito mentale, o le regioni coinvolte in processi interictali in pazienti epilettici.

Inoltre, nell'approssimazione in cui si possa ritenere che la testa presenti simmetria sferica, il segnale magnetico rivelabile esternamente al cranio è generato da correnti che scorrono in direzione tangenziale alla superficie, mentre scarso o nullo è il contributo di correnti radiali: tale selettività sulla sorgente osservata permette di studiare aspetti particolari del comportamento cerebrale e di caratterizzare con maggiore specificità il medesimo fenomeno osservato da entrambe le registrazioni magnetiche ed elettriche.

L'attuale disponibilità d'informazioni anatomiche tridimensionali dell'organo in esame (per es. del torace, del cuore, del cranio, del cervello), ottenute tramite risonanza magnetica a elevata risoluzione, permette una modellizzazione estremamente precisa dei tessuti normali o patologici che generano l'attività magnetica in esame. Oltre ai segnali cardiaci e cerebrali, che rimangono a tutt'oggi i campi di più fertile applicazione delle registrazioni magnetiche, sono stati registrati i campi magnetici associati all'attività cardiaca fetale, all'attività elettromiografica, alle variazioni di potenziale attraverso la retina indotte dal variare della luminanza (magnetoretinogramma); si sono registrati inoltre i campi magnetici a bassa frequenza provocati da sostanze ferromagnetiche presenti nel corpo umano, in particolare in relazione alla iperproduzione di secrezioni gastriche o di alterazioni della mucosa, e le alterazioni di un campo uniforme indotte da accumulo di ferritina nel tessuto epatico.

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