ACONCIO, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ACONCIO (Acconcio, Aconzio, Conzio, Concio, Acontio, Contio, Aconcius, Acontius, Contius, Concius), Iacopo (Giacomo)

Delio Cantimori

Nato o a Trento o a Ossana in Val di Sole, fra il 1492 e il 1520, da Girolamo, giurisperito, di nobile famiglia. Studiò legge per un lungo periodo; per qualche tempo praticò in Ossana; nel 1548, prima data precisa, fu ammesso al collegio dei notai di Trento. Fra il 1549 e il 1553 lasciò questa città per Vienna, dove fu alla corte dell'arciduca Massimiliano, che forse lo chiamò con sé durante o dopo il suo passaggio per Trento nel 1550.

È probabile che a questo periodo viennese, in ambiente filoprotestante, risalga la composizione dei due primi scritti religiosi dell'A., il Dialogo nel qual si scuoprono le astutie che usano lutherani per ingannare i semplici et tirargli dalla parte loro, cosa ad ogni christiano in questi tempi sommamente necessaria da intender e la Somma brevissima della dottrina christiana (vedi avanti). Sono scritti di propaganda luterano-valdesiana, il primo di tono più evangelistico, il secondo di carattere più accentuato in senso anticattolico e filoluterano. Non si sa né come né quando l'A. si avvicinasse a queste idee; nessuna ipotesi ha fondamento documentato; le più probabili sono: l'ambiente viennese di corte in quegli anni, oppure gli ambienti filoriformatori in margine al concilio di Trento, al quale l'A. allude esplicitamente, ma solo per negarne l'utilità ai fini della riconciliazione e riunificazione della Cristianità. Ipotetica è anche la destinazione del Dialogo (conversione di Massimiliano), benché non del tutto improbabile, per il carattere della copia manoscritta (esistente nella Staatsbibliothek di Vienna). Le caratteristiche più importanti di questi scritti sono: 1) L'idea che la propaganda per la vera riforma della Chiesa debba esser fatta su base individuale, per gemmazione: "Questo concilio.., come convien farlo? In molti pezzi: hoggi farem la parte nostra voi et io, doman faranno la sua due o tre altri amici, et così anderanno facendo tutti quelli, che stimano l'honore et la gloria d'Iddio, et hanno pensiero della salute loro, et accendendosi l'un l'altro... sarà impossibile che la verità non venga in luce" (Acontiana,p. 21); il che implica sfiducia in qualsiasi tipo di organizzazione ecclesiastica (luterane, calviniste, anabattistiche, oltre che cattolica): nicodemismo. 2) Accenni impliciti all'idea della tolleranza assoluta nella forma elaborata sistematicamente più tardi: nessuno è sicuro di possedere la verità: nessuna Chiesa può perseguitare le altre; lo stato deve tutelare la religione del principe e del paese, ma non deve perseguitarne nessuna, perché non si sa quale sia la vera.

Nel 1556 l'A. viene chiamato a far parte della segreteria del cardinale Cristoforo Madruzzo, governatore di Milano dal 1555,e gli vengono affidati gli importanti e delicati incarichi della cifra e dei dispacci con la corte di Vienna. Poco prima del 19 giugno 1557l'A. lascia Milano all'improvviso, accompagnandosi poi col romano F. Beni, gentiluomo del marchese di Pescara. La ragione della fuga improvvisa è forse da cercarsi nella notizia, pervenuta a Milano in quei giorni, che Paolo IV aveva chiesto al Madruzzo di prendere rigorose misure contro coloro che avevano favorito la fuga dalle carceri dell'Inquisizione dell'eretico Claudio Pralbino. Dalla posizione nicodemitica (professione di fede riformata mantenuta clandestina, mentre si finge di osservare la fede cattolica, considerando indifferenti forme esterne di culto e formulazioni dogmatiche; propaganda per la propria dottrina compiuta mediante discussione, proponendo dubbi, mai mediante polemica o critica aperta), l'A. è costretto a passare a una professione aperta di fede "riformata", che lo poteva soddisfare solo parzialmente, dato il radicalismo religioso al quale era già pervenuto. Prima tappa del viaggio sembra esser stata Basilea, dove l'A. e il Beni ottengono una lettera di presentazione per il Bullinger, il capo della Chiesa riformata zurighese, dal celebre umanista Celio Secondo Curione (dalla quale risulta che i due erano stati in rapporto con lui fin dall'anno precedente); quivi i due conoscono anche Pietro Perna, famoso tipografo, il futuro editore dell'Aconcio. La seconda tappa fu Zurigo, dove l'A. strinse (o ritrovò) amicizie svizzere (Johannes Wolf; Josias Simmler; Jacob Fries) e italiane (L. Sozzini? B. Ochino? P. M. Vermigli?) e fece fra gli esuli inglesi "mariani"molte preziose conoscenze: P. Parkhurst, J. Jewel, R. Horne ed altri.

In questo periodo zurighese, fra il 1557 e il 1558, l'A. ci si presenta per la prima volta non più come uomo di legge e di corte, ma come filosofo, con la composizione del primo scritto da lui pubblicato con il suo nome: I. A. Tridentini de Methodo, hoc est de recta investigandarum tradendarumque scientiarum ratione,stampato a Basilea dal Perna nel 1558:nello stesso anno, probabilmente sempre dal Perna, ma senza note tipografiche, escono il Dialogo,con titolo leggermente mutato, e la Somma.Del Dialogo fu pubblicata anche un'altra edizione, sempre nello stesso anno, con la sola indicazione dell'anno e con titolo di nuovo alterato:

1. Dialogo di Giacopo Riccamati ossanese nel qual si scuoprono le astutie con che i Lutherani si sforzano di 'ngannare le persone semplici & tirarle alla loro setta; e si mostra la via, che harebbero da tenere i Prencipi e Magistrati per istirpare de gli stati loro le pesti delle heresie. Cosa in questi tempi ad ogni qualità di persone non solo utile ma grandemente necessaria da intendere. Interlocutori il Riccamati e Mutio D.;2. Dialogo di Giacopo Riccamati Ossanese nel quale in proposito del giorno del Giudicio alcune cose si considerano che chiunque non le ha dinanzi a gli occhi et molto bene impresse nell'animo in evidentissimo pericolo sta della salute sua, et sopra tutti gli altri Prencipi e Magistrati. Interlocutori il Riccamati e Mutio D. MDL VIII.

Il nome di Riccamati può essere un'allusione al vero nome (ricamato: acconcio), per uno dei comuni giochi di sinonimie; è probabile che i due scritti fossero destinati alla propaganda in Italia, altrimenti non si spiegherebbe l'uso dello pseudonimo.

Non si hanno notizie di una preparazione filosofica particolare dell'A.; ma col De Methodo egli viene ad acquistare un suo posto nella storia della filosofia, grande o piccolo che sia.

L'A. affermava d'aver compiuto opera del tutto nuova, benché il celebre Pierre de la Ramée osservasse che gli opuscoli de methodo stavan diventando, in quegli anni, legione. In sostanza, l'A. afferma la necessità di un metodo semplice che serva per tutte le scienze e possa liberare dalla farragine inutile della dottrina scolastica; e lo vede come un canone di principi fondamentali validi per tutte le scienze (nei principi fondamentali vengono riprese le basi logiche aristoteliche), allo scopo di poter trasformare rapidamente la conoscenza in azione pratica (sul che l'A. insiste), senza perdersi a discutere le opinioni di questo o di quello. Elaborato così un metodo generale di tipo analitico e induttivo, l'A. si preoccupa del rapporto discente-docente (mentre il metodo generale era comune al docente e al discente: dal noto all'ignoto, dall'analisi alla sintesi), insistendo sull'importanza dell'insegnamento orale, esemplificato, e pratico. Conclude raccomandando di applicare i canoni metodologici così acquisiti alle varie discipline particolari. Egli stesso promette di riesaminare e trattare con questo metodo "artes nonnullas".

Pare che la prima di queste dovesse essere la dialettica, della quale parla, come opera da completare e da riscrivere, in una lettera di risposta al Wolf (20 nov. 1562) che aveva insistito perché il De Methodo fosse completato. Nella stessa lettera parla brevemente di una sua "ars muniendorum oppidorum" che avrebbe completato già da tempo in italiano e che ora avrebbe finito di tradurre in latino.

Non si sa se anche questa poliorcetica fosse trattata secondo il metodo nuovo; interessante è l'osservazione dell'A. sulla fatica che la traduzione in latino gli è costata, perché prima era stato troppo tempo con Bartolo e Baldo. Sembrerebbe quasi che la libertà religiosa avesse significato per lui anche libertà e rinnovamento intellettuale. Nel 1565 il Ramo chiamerà il De Methodo "non abhorrentem quidem ab institutis nostris, sed neque plane convenientem"; il cartesiano olandese Huelner, in una lettera al Mersenne del 1641, esaltando il metodo cartesiano, ricorderà il libretto dell'A. come unico precedente. Nel Cinquecento se ne ebbe una ristampa; tre durante il Seicento. La Somma e il Dialogo ebbero fortuna anche più limitata, benché appena pubblicati fossero largamente diffusi fra gli Italiani e chi conoscesse l'italiano, a Ginevra, a Zurigo, e nei Grigioni, a dire dell'A. stesso.

Dopo una breve sosta a Ginevra, l'A. e il Betti si trovano nell'autunno del 1558 a Strasburgo, di dove l'A. invia all'arciduca Massimiliano i suoi due scritti italiani, accompagnandoli con il De Scandalis di Calvino, con la traduzione latina dei Salmi curata da M. A. Flaminio e da P. F. Spinola, e con la edizione degli scritti di Olimpia Morata curata dal Curione. Fra il marzo e il novembre del 1559l'A. arriva in Inghilterra, mentre il Betti ritorna in Svizzera. A Londra e in Inghilterra dell'uomo di legge e dell'alto funzionario diplomatico non rimane più nulla; l'A. assume la figura di inventore, di ingegnere militare, di impresario di bonifiche. L'unico nesso con la personalità precedente è dato dalle preoccupazioni e dall'attività per la libertà religiosa.

Sembra che l'A. godesse subito di una certa fama come ingegnere, benché del trattato di poliorcetica non si conosca nessuna stampa, né italiana, né latina, né copie manoscritte. In Inghilterra, l'A. figura subito tra i familiari di F. Russeli conte di Bedford, e come tale presenta nel dicembre del 1559una petizione alla regina Elisabetta per ottenere la privativa di alcuni nuovi congegni meccanici da lui inventati, ma non meglio descritti ("novae rationes machinarum omnis generis quae rotarum usum habent"),e di nuovi sistemi di fornelli per le gran caldaie dei tintori e dei birrai, che dovrebbero condurre a risparmio notevole di legna. La privativa venne negata; ma l'A. ebbe dalla Corona una pensione annua di 60 sterline, dovuta forse alla intercessione del suo protettore. Non si sa quali fossero i servigi resi dall'A, alla Corona nei diciotto mesi circa che seguono, perché la patente di cittadinanza concessagli in data 18 ottobre li menziona, ma non li specifica. Quando, ai primi del 1562, l'A. chiede la concessione di procedere al recupero di duemila acri di terreno - (parrocchie di Erith, Lesnes, Plumstead) allagati dal Tamigi per difetto degli argini, fa allusione alla propria esperienza in un caso analogo.

La petizione, presentata al Parlamento il 28 febbr. 1562, viene accolta con un bili del 30 marzo. L'A. ha il permesso di iniziare i lavori, con i privilegi da lui richiesti per sé, per i soci, per i dipendenti e gli operai, nei confronti degli antichi proprietari dei terreni allagati; gli sono concessi quattro anni di tempo per condurre a termine il prosciugamento; dopo altri due anni si deve procedere alla divisione dei terreni a metà, una per l'A., una spettante alla Corona. Nel 1564 la regina nomina una commissione per controllare l'andamento dei lavori. La commissione constata che sono stati recuperati circa seicento acri di terreno e che i lavori procedono in modo soddisfacente. Ma nel 1565un atto del Parlamento ricorda che l'A. è ormai fuori dell'impresa; è vero che in un primo tempo gran parte dei terreni era stata recuperata, ma poco dopo una nuova inondazione aveva distrutto tutto, cosicché il trentino aveva ceduto tutti i suoi diritti a G.B. Castiglione, che era stato il suo garante, e ai mercanti londinesi suoi associati nel finanziamento dell'impresa (5000 sterline). Essi continuarono i lavori, e dei seicento acri di nuovo recuperati furono fatte due parti, una spettante alla Corona, e una spettante all'A., che la cedette ai finanziatori insieme con tutti i diritti previsti dalla concessione per altri eventuali recuperi (per altri otto anni). L'impresa ad ogni modo era riuscita dal punto di vista tecnico.

Nel 1564 il conte di Bedford, nominato dal febbraio 1563conservatore delle marche orientali e governatore di Berwick, nomina l'A. membro di una commissione composta di famosi ingegneri militari inglesi (compreso l'anglicizzato Portinari) per studiare le condizioni della fortezza di Berwick, una delle più importanti alla frontiera con la Scozia, alla quale era stata ritolta nel 1482. Durante le discussioni fra i commissari, l'A. preparò su richiesta una relazione a parte, pubblicata dallo O' Malley (Il parere di Iacopo Aconcio intorno alla fortificatione di Baruicco),che sembra opera d'un tecnico sperimentato.

Il Castiglione sarà d'accordo con l'A. anche per quanto riguarda le questioni teologico-religiose, nelle quali il trentino si trova implicato appena arrivato in Inghilterra. L'ambiente degli Italiani frequentati dall'A, è di profughi "conscientiae causa":P. Bizzarri, B. Compagni, forse anche G. Cardoini, coi quali l'A. fu in rapporto accertato. Alcuni di essi erano in rapporto con A. Gentili, altri con B. Ochino; di rapporti di costoro o di altri con l'A. non ci sono testimonianze. Come proveniente dall'Italia, per i calvinisti fucina di miscredenti e di eretici, era stato accolto con sospetto dal capo della più importante e attiva "ecclesia peregrinorum",N. Gallars, che nel 1560 chiede a G. Calvino di far prendere informazioni sul trentino presso il marchese di Vico, Galeazzo Caracciolo, e presso gli altri Anziani della Chiesa italiana di Ginevra, avvertendo che il trentino diceva d'esser stato qualche tempo con loro, e anche di aver scritto una lettera al Caracciolo. Analoghe informazioni chiedeva G. Utenhove, olandese, al Bullinger, il 3 marzo 1561. Cosicché non c'è da meravigliarsi se l'A., mancando una "ecclesia peregrinorum" italiana a Londra, preferisse non aggregarsi né a quella francese né a quella olandese, ma si unisse a un gruppo di Spagnoli guidato dal predicatore Cassiodoro De Reyna. Con questi l'A. rimase fino al loro scioglimento, provocato dal sospetto delle autorità ecclesiastiche per le tendenze "anabattistiche" del De Reyna.

In questi anni l'A. frequenta anche dotti olandesi, come il celebre storico dei Paesi Bassi, E. van Meteren ("un gentiluomo di Trento venne a vivere con loro; ... si chiamava J. A. Aveva veduto, udito e sofferto molte cose ed era buon amico dell'imperatore Massimiliano",racconta il biografo del Meteren, S. Ruttynk, nell'appendice alla traduzione francese dell'opera del Meteren, L'histoire des Pays Bas...,En la Haye 1618, p. 721); ed è amico del teologo A. Haemstede, capo della Chiesa olandese, alla quale spettava anche la sorveglianza del gruppo spagnolo. Quando lo Haemstede venne in urto col concistoro della sua Chiesa e con le autorità ecclesiastiche inglesi, l'A. ne prese le difese. Lo Haemstede patrocinava l'ammissione alla comunione ecclesiastica di un gruppo di profughi anabattisti olandesi, che s'erano impegnati a non far propaganda delle loro dottrine; ma la maggioranza considerava gli anabattisti reprobi esecrandi, con cui non si dovevano avere rapporti di nessun genere a nessuna condizione. Nonostante l'intervento dell'A. e del Castiglione, l'olandese fu condannato (nov. 1560) e dovette lasciar l'Inghilterra (15 dic. 1560). Ma l'A. rimase in corrispondenza con lui, a gran rabbia dei calvinisti, che lo denunciavano a Calvino; e pare lo persuadesse a tornare a Londra, dove però non poté evitargli la deposizione dal ministerio e il bando perpetuo dal regno (1561).

Sciolto il gruppo spagnolo, l'A. dovette chiedere l'ammissione alla Chiesa francese; ma siccome gli fu imposta una professione di fede che condannasse le idee sue e degli amici, egli scrisse una lettera a E. Grindal, vescovo anglicano di Londra, riproponendo tutta la questione, enucleando per la prima volta dalle controversie particolari (dogma trinitario; dogma dell'incarnazione, ecc.; umanità di Cristo intesa letteralmente, pur considerandosi divino l'Evangelo, ecc.) la sua dottrina della indifferenza di ogni questione dogmatica per la salvezza del cristiano, non essendo nessun dogma certamente documentato nella scrittura sacra, ma tutti fondati su induzioni; e criticando coloro che si scandalizzavano di affermazioni particolari.

Durante l'inverno fra il 1563 e il 1564 l'A. fa un viaggio in continente, portando al Perna il manoscritto dell'opera che doveva dargli duratura fama, gli Stratagemata.Del resto, era rimasto certamente in contatto per lo meno col Betti e col Wolf, come risulta dalla corrispondenza con quest'ultimo. Tornato a Londra nel 1564,chiede di essere ammesso alla riaperta Chiesa italiana; ma siccome gli vien chiesta ancora una professione di fede contro antitrinitari e anabattisti, scrive al Grindal una seconda lettera, nella quale riporta la prima già ricordata del 1563,contrapponendo ora anche la tolleranza della Chiesa anglicana all'intolleranza di quelle degli emigrati. Non si sa se poi fosse ammesso nella Chiesa anglicana o in quella italiana. Le notizie su di lui cominciano a mancare. Nel 1566 l'A. scrive una lettera a un ignoto (forse a F. Beni) spiegando la sua dottrina "de natura Christi"; secondo alcuni questa lettera sarebbe l'ultima notizia che abbiamo del trentino; secondo altri, l'ultima notizia sarebbe un cenno del Proemium Mathematicum del Ramo (1567), che potrebbe darsi ignorasse la morte dell'A. se questa fosse avvenuta nel 1566.

Altrettanto potrebbe darsi d'un cenno analogo, del 1567, di A. Thorius in una lettera al geografo A. Ortelius. In questo caso il cenno del Ramo starebbe all'inizio del lungo paragrafo sulla fortuna dell'A., invece che a conclusione della breve narrazione della sua vita. Con il 1565 l'A. scompare quasi dalla scena, bruscamente come vi si era presentato circa venti anni prima.

Lasciava come opera principale Satanae Stratagemata. Libri Octo. I. A. Authore. Accessit eruditissima epistola de ratione edendorum librorum, ad Iohannem Vuolfium Tigurinum eodem authore,Basileae Apud Petrum Pernam MDLXV (ma forse già 1564),in-4, dedicata alla regina Elisabetta.

In quest'opera l'A. dà forma sistematica, cioè teologico-razionale su base strettamente scritturale-evangelica, alla elaborazione delle sue esperienze religiose ed ecclesiastiche in terra protestante. Il significato simbolico del titolo è: gli stratagemmi di Satana per mandare in rovina la Cristianità e specialmente il cristianesimo evangelico rinnovato consistono nelle discordie e nei contrasti dottrinali e nello spirito di persecuzione di chi si crede per accecamento intellettuale unico depositario della verità rivelata. Questo spirito non si trova soltanto nella Chiesa di Roma, ma ritorna nelle Chiese evangeliche riformate. Il fondamento di ciò sta nella erronea opinione che le formulazioni dogmati che possano racchiudere la sostanza della fede cristiana. Secondo l'A. occorre riconoscere che i dogmi sono tutti indifferenti alla salvezza, compresi quelli più venerandi. Per la salvezza occorre soltanto la fede nel messaggio evangelico, letteralmente inteso. Ritorna qui la tendenza semplificatrice che si era manifestata nel De Methodo;del resto la professione di fede dell'A. non è di carattere così radicale da giungere a negare la deità di Cristo; ma egli è disposto a riconoscere come cristiani anche coloro che giungono a quelle conseguenze, purché credano nell'Evangelo e nella promessa di Cristo, qualunque opinione abbiano sulla sua natura. Caso isolato nella discussione di quel tempo, l'A. non escluderebbe neppure i cattolici romani, sol che essi gli concedessero la reciprocità. Così l'A. trae le conseguenze dall'esperienza degli esuli italiani dopo la condanna del Serveto, e nei dieci anni seguenti; dall'esperienza degli anabattisti di Münster (ch'egli cita espressamente), caduti anch'essi nella trappola satanica della violenza e dell'intolleranza; dall'esperienza delle guerre di religione in Francia, che aveva sotto gli occhi; e dai casi propri e degli amici in Londra. Le posizioni del Castellion di circa dieci anni prima sono allargate in un assoluto indifferentismo dogmatico, quasi alle soglie d'un teismo razionalistico; il che lo fece considerare amico da parte dei socinianì.

Il Ramo, pur così riservato verso il De Methodo,salutò con entusiasmo gli Stratagemata,opera da lui veduta il 15 dic. 1564 presso alcuni mercanti che la portavano alla fiera di Francoforte. Una traduzione francese escì nello stesso anno 1565 sempre presso il Perna; e così una nuova edizione latina, riveduta e con indice nuovo; ma la fortuna dell'opera comincia più tardi: con una ristampa della traduzione francese nel 1611; della edizione latina nel 1610, Basilea; nel 1650, Oxford; nel 1652,Amsterdam; nel 1661, Nimega; nel 1663, Amsterdam; con due traduzioni olandesi (1611, 1660); con una tedesca, del 1647; con due inglesi, 1648, 1651. Il Dict. of National Biography ne indica altre quattro edizioni basileesi e altre tre di Amsterdam, che però non sono più reperibili. Nonostante il numero delle edizioni olandesi, sembra che l'influenza più duratura del libro dell'A. si sia avuta in Inghilterra (O' Malley).

L'A. lasciò manoscritti e carte all'amico G. B. Castiglione, il quale pubblicò nel 1580 (?) l'operetta che l'A. aveva lasciato pronta per la stampa, Una essortazione al timor di Dio,e la dedicò alla regina Elisabetta. Non è più un trattato polemico, ma uno scritto di bella pietà individuale umanisticamente ed evangelisticamente fondata. Notevole che vi si utilizzino le notizie delle scoperte di Copernico per incitare alla considerazione della infinita potenza divina. La salvezza è concepita su base etica.

È stato pubblicato solo ai nostri giorni (1932) un trattatello Delle osservationi et avvertimenti che haver si debbono nel legger delle historie,dedicato a Robert Dudley, e ispirato dalla lettura dei Della Historia diece dialoghi...di Francesco Patrizzi (Venezia 1560); ma lo scritto dell'A. venne usato dall'inglese Th. Blundeville, per The true order and Methode of wryting and reading Hystories, according to the precepts of Francisco Patricio and Accontio tridentino, two Italian wryters...(1574).

La fama dell'A. fu risollevata per il continente europeo dal Bayle, dalla "voce" del quale nel celebre dizionario dipendono fino alla seconda metà del secolo scorso le notizie che si hanno sull'Aconcio. Col risorgente interesse prima (intorno al 1850)per le correnti ereticali, poi per gli incunaboli teologici del razionalismo, del liberalismo e del democratismo moderni, la figura dell'A. riacquista interesse per gli storici protestanti della Chiesa, finché uno scolaro di E. Troeltsch, W. Köhler, ha dato le sue edizioni critiche dell'opera dell'A. e ha permesso la elaborazione della edizione e traduzione del Radetti, nonché degli scritti del Ruffini-Avondo, del Rossi, dell'O' Malley.

Bibl.: Edizioni critiche: Iacobi Acontii Satanae Stratagematum libri octo. Ad Iohannem Wolphium eiusque ad Acontium Epistulae. Epistula apologetica pro Adriano de Haemstede. Epistula ad ignotum quendam de natura Christi.Editio critica. Curavit Gualtherus Köhler, München 1927; Jacobus Acontius' Tractaat de Methodo,met een inleiding uitgegeven door Dr. Herman J. De Vleeschauwer..., Antwerpen 1932; Acontiana. Abhandlungen und Briefe des Jacobus Acontius,herausgegeben von Walther Kohler und Erich Hassinger, Heidelberg 1932; Giacomo Aconcio, De Methodo eopuscoli religiosi e filosofici e Giacomo Aconcio, Stratagematum Satanae, Libri VIII,a cura di Giorgio Radetti, Firenze 1944 e 1946 (con lunga e ottima introduzione, e con traduzione italiana). Studi: E. Ruffini-Avondo, Gli Stratagemata Satanae di G. A.,in Riv. stor. ital.,XLV (1928), pp. 113-140; P. Rossi, G. A., Milano 1952 (con bibl.); Ch. D. O' Malley, J. A., trad. dal ms. ingl. di D. Cantimori, Roma 1955. Nel Rossi e specialmente nell'O' Malley ampia bibliografia sulle fonti e sugli studi; opera a carattere generale, nella quale si parla dell'A. (I, pp. 351-358, e passim nel I e II vol.), è J. Lecler, Histoire de la tolérance au siècle de la Réforme,Paris 1955, uscita dopo il libro di O' Malley.

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