BONFADINI, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONFADINI, Iacopo

Virginia Cappelletti

Nato a Varago (Treviso) il 29 genn. 1771, da famiglia non agiata, attese allo studio delle lettere e della filosofia nel seminario di Treviso. Terminato il tirocinio, studiò matematica sotto la guida di Francesco Amalteo, per approfondire le cognizioni acquisite in un corso rapido ed elementare. Il B. abbracciò quindi lo stato ecclesiastico e si recò a Padova per studiare teologia e conseguire la laurea. Ritornato a Treviso, divenne l'educatore e il consigliere d'un giovane di nobile e agiata famiglia. Ritenendo che l'educazione d'un nobile non dovesse limitarsi al mondo intellettuale, ma che gli fossero necessarie anche la scienza del mondo morale e la conoscenza della società e dei costumi delle più colte nazioni europee, il B. compì con il giovane a lui affidato un viaggio in Germania, durante il quale ebbe occasione di conoscere la filosofia di Kant.

Ritornato a Treviso, il B. si dedicò dapprima unicamente agli studi. A questo periodo appartiene la Lettera... al Signor Francesco Amalteo intorno una curva maneggiata da celebri matematici (Treviso, 4 aprile 1807) sulla soluzione di una famosa equazione algebrica definente la cosiddetta curva di d'Alembert. Più tardi, nel 1817, pubblicò la memoria Sopra una nuova dimostrazione della teoria del vette (Treviso), che riguardava il principio della leva. Si occupò anche del coordinamento di alcune Memorie del matematico Giordano Riccati sul contrappunto, ch'era sua intenzione pubblicare, ma che probabilmente rimasero inedite. Gli studi, come pure l'insegnamento dell'analisi delle idee nel liceo di Treviso, non poterono essere l'oggetto esclusivo delle sue occupazioni. Data la stima di cui godeva gli furono affidati dalla città di Treviso numerosi incarichi. Assunse dapprima la carica di magistrato delle Acque e strade per la provincia di Treviso; con ordinanza della prefettura del Tagliamento del 6 luglio 1807 fu quindi nominato giudice dell'industria nazionale per il concorso ai grandi premi in Milano; con ordinanza del 5 ott. 1808 del consigliere consultore di Stato, direttore generale delle Acque e strade, gli fu affidato l'esame delle investiture delle acque derivate "ad irrigazione, od a moto degli opifizii", così che si chiarisse ciò che "per reale e comprovato diritto" appartenesse a ciascuno degli "investiti"; il 28 maggio 1810 una lettera prefettizia lo incaricava di compilare un prospetto ragionato di tutti i monumenti esistenti nelle case religiose soppresse, insieme con un indice dei libri più pregevoli che vi esistevano.

Nel novembre del 1825 fu nominato professore di filosofia teoretica, cioè di logica e metafisica, nell'università di Padova; più tardi gli fu affidato anche l'insegnamento della morale, con l'aggiunta di alcune lezioni di storia della filosofia antica e moderna. A questo periodo appartengono i due lavori più propriamente filosofici del B.: il Discorso analitico sulla critica della ragione pura di Kant, letto il 15 giugno 1830 nell'I.R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, e quindi inserito nei Nuovi saggi dell'I.R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, III, Padova 1831, e il discorso Del dovere di perfezionare se stesso (Padova 1833), letto per l'apertura degli studi nel 1833, essendo - oltre che professore di filosofia teoretica e morale - rettore magnifico dell'università di Padova.

Quale fosse la concezione filosofica del B. risulta dai due discorsi pubblicati: soprattutto dal Discorso analitico. Esso si rivela importante anche perché fu tra le prime meditazioni compiute in Italia sulla filosofia kantiana. Dopo aver definito le posizioni precedenti la pubblicazione della Critica di Kant - fondamentalmente quelle di Locke, di Leibniz e della "scuola scozzese" (T. Reid, Dugald Stewart) - nei confronti del problema circa "l'origine delle nostre idee e delle nostre cognizioni" e della determinazione di "qual rapporto passi tra esse e gli oggetti ai quali si riferiscono", il B. prendeva in esame il criticismo kantiano. Riconosciuta come assolutamente indubitabile e suscettibile di universale approvazione l'affermazione per cui nessuna cognizione precede in noi, riguardo al tempo, l'esperienza, ed ogni cognizione incomincia con essa, egli sosteneva che "non però in egual maniera converranno i filosofi nell'ammettere che le cognizioni sperimentali siano un composto di cognizioni che parte spettino alle impressioni e parte alla facoltà di conoscere, poiché questa è cosa ben diversa dall'antecedente, né dall'antecedente può essere dedotta" (Discorso analitico…, p. 8). La critica del B. s'indirizzava quindi alla definizione kantiana delle cognizioni a priori. Prendendo "la cognizione a priori in significato assoluto, in guisa tale che mai non si possa confondere con quelle altre cognizioni a priori, le quali partono da alcune regole apprese per via di molteplici cognizioni empiriche, usando della induzione" (ivi, p. 8), Kant cade, secondo il B., "in un perfetto idealismo" (ivi, p. 9). La sua posizione filosofica si veniva definendo da un lato attraverso la critica dell'empirismo sensistico, ch'era l'indirizzo più largamente seguito in Italia nella seconda metà del '700 - indirizzo rinvigoritosi nei primi decenni dell'800 per l'influenza degli ideologi francesi, soprattutto di Cabanis e di Destutt de Tracy -, dall'altro attraverso la critica del puro razionalismo, che considerava a priori taluni principî per i loro caratteri di universalità e necessità. "Una specie di media proporzionale fra quegli estremi" è la strada da lui seguita. Se i problemi della metafisica siano effettivamente solubili, o se debbano considerarsi come semplici postulati, il B. riteneva non potersi decidere. Gli sembrava però "di poter affermare con tutta verità che ciò non potrà mai conseguirsi, quando di pari passo non si proceda in simili investigazioni collo studio dei fenomeni che spettano ed al sistema intellettuale ed al sistema fisico; poiché dalla meravigliosa loro unione sorge quell'essere che appellasi uomo, ed il quale per ciò vuolsi considerare sotto questo doppio rapporto. Chiunque si allontanerà o dall'una o dall'altra di queste due guide, correrà pericolo di cadere od in un empirico sensualismo, od in un puro razionalismo" (ivi, pp. 18 s.).

Il B. presentò un'altra memoria all'Accademia di Padova Intorno l'indole e la natura delle umane cognizioni e i fondamenti ai quali s'appoggiano, mai pubblicata. Si sa che in essa egli identificava le primitive ed originarie facoltà dell'anima: la sensibilità, la coscienza, la forza d'attendere, la forza di volere. Le potenze derivate erano riconosciute nella sintesi, nell'analisi, nella produzione dei fantasmi e nella percezione dei rapporti. Da queste fonti le umane cognizioni traggono origine. E tanto più esse si estendono, si migliorano e sono conformi al vero quanto più i metodi adoperati nel porle in azione risponderanno alla loro diversa indole e natura (L. Menin, nota alle pp. 14 s.).

Il B. morì a Padova il 26 marzo 1835.

Bibl.: L. Menin, Elogio funebre dell'abate I. B., Padova 1835; A. Meneghelli, I. B., in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, III, Venezia 1836, pp. 66-69; VIII, ibid. 1841, pp. 289-291; G. Capone Braga, La filosofia francese e italiana del Settecento, II, Arezzo 1920, pp. 251, 348-351; E. Troilo, I. B., in Arch. di storia della filos., V (1936), 3, pp. 173-190; J. C. Poggendorff, Biographisch-Literarisches Handwörterbuch..., Leipzig 1863, 1, p. 232; Enciclopedia filosofica, I, p. 761.

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