Pontórmo, Iacopo Carrucci detto il

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Pittore (Pontormo, oggi Pontorme, presso Empoli, 1494 - Firenze 1557).  Fu esponente della cosiddetta prima maniera, che preannunciò il manierismo. Le sue opere presentano sempre bellezze originali e raffinate per eleganza e potenza di disegno, per delicatezza di tocco e di tonalità e per sensibilità e passione intima. P. rimase sempre eccellente nei ritratti, pieni di intimità psicologica e di sensibilità nervosa, dei quali si conserva buon numero in collezioni pubbliche e private. Principali scolari del P. furono il Bronzino e Battista Naldini.

Vita e opere

Documentato a Firenze dal 1508, dopo un alunnato presso Piero di Cosimo e M. Albertelli passò, nel 1512, nella bottega di A. Del Sarto con il quale lavorò, secondo il Vasari, fino al 1514 assorbendone soprattutto gli equilibrati schemi compositivi (decorazioni per i carri carnevaleschi del 1513; stemma di Leone X e affresco con la Fede e la Carità sul portico della Ss. Annunziata, 1513-14). Dal 1514 ottenne le prime importanti commissioni: agli affreschi raffiguranti la Madonna e quattro santi (1514, proveniente da S. Rufillo, oggi alla Ss. Annunziata) e la Visitazione (1514-18, Ss. Annunziata, chiostrino dei voti) seguirono le decorazioni della sala papale nel convento di S. Maria Novella (1515) che attestano la profonda riflessione sui modelli michelangioleschi, i pannelli decorativi, in collaborazione con A. Del Sarto, Bachiacca e F. Granacci, per la camera nunziale di P. F. Borgherini (Storie di Giuseppe, 1515-18, Londra, National Gallery) e, tra il 1517 e il 1518, la pala Pucci (S. Michele Visdomini) caratterizzata da una nuova tensione psicologica e compositiva e da una incisività d'ascendenza nordica, derivata in particolare dalle stampe di Dürer. Nel 1518, il favore dei Medici gli valse la commissione per un ritratto commemorativo di Cosimo il Vecchio (Uffizi) e l'incarico di decorare due lunette affrontate nella sala principale della villa medicea a Poggio a Caiano; nel 1521, la morte di Leone X interrompeva i lavori consentendogli di portare a termine solo una delle lunette. L'opera, che rappresenta uno dei momenti più sereni dell'artista, raffigura, con un equilibrio e una freschezza cromatica lontani dalla ossessione delle forme michelangiolesche e dal pathos nordico, le divinità agresti Vertumno e Pomona. Rifugiatosi con l'allievo Bronzino nella certosa di Galluzzo per sfuggire alla peste (1523-25), il P. vi eseguì una serie di storie della Passione (pinac. della Certosa di Galluzzo), una Natività del Battista e una Cena in Emmaus (Uffizi) nelle quali predominano un senso patetico e allucinato e un colore trasparente, astratto, d'intensa luminosità che troverà piena espressione nei capolavori di questo periodo: la decorazione della cappella Capponi in S. Felicita (1525-28, pala con la Deposizione; affresco con l'Annunciazione; i Quattro evangelisti nei tondi, su tavola, dei pennacchi in coll. con il Bronzino), la Visitazione (1528, Carmignano, pieve di S. Michele) dall'insolita iconografia, e la pala di S. Anna (1529, Louvre). Al ritratto di Alessandro de' Medici (1525, Philadelphia, Museum of art) che prelude a una serie di figure fluide e allungate dall'originale taglio compositivo (Alabardiere, 1527-28, Malibu, J. Paul Getty Museum), seguirono le decorazioni ad affresco, ricordate dal Vasari, per le ville medicee di Careggi (1535-36) e di Castello (1537-43), entrambe perdute. Nel 1546 oltre ai cartoni per arazzi con storie di Giuseppe destinati a Palazzo Vecchio (Roma, Quirinale), il duca Cosimo affidò a P. la decorazione con storie bibliche del coro di S. Lorenzo. Quest'ultima commissione che lo assorbì per il resto della sua vita, restando peraltro incompiuta, è valutabile da un gruppo di disegni preparatori (Uffizi) che attestano il carattere monumentale dello stile tardo dell'artista il quale, esasperando l'insegnamento michelangiolesco, giunse a un tormentato dinamismo plastico e compositivo (gli affreschi, completati dal Bronzino, furono scialbati nel 1742). Un diario degli ultimi due anni della sua vita è conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze.

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