GUICCIARDINI, Iacopo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUICCIARDINI, Iacopo

Paola Moreno

Nacque a Firenze il 2 ott. 1480, secondo figlio maschio di Piero di Iacopo e di Simona di Bongianni Gianfigliazzi.

Fu da subito destinato al commercio e si impegnò precocemente nella gestione della manifattura di seta di suo padre, in cui assunse personalmente responsabilità finanziarie. Nel 1502 il suo nome comparve per la prima volta nella società formata da Piero e dai suoi figli con Lorenzo Segni, denominata "Iacopo Guicciardini et Lorenzo Segni e C.i"; seguirono altri contratti, sempre nella manifattura serica: nel 1504 il G. fondò una società con il fratello maggiore Luigi e con suo padre, sotto la direzione di Gherardo di Giuliano Carnesecchi; nel 1507, con "Giovanfrancesco di Tommaso Benci et C.i"; nel 1513, ancora con Piero Guicciardini, sotto la direzione di Andrea di Tommaso Signorini; nel 1514, dopo la morte del padre, con i suoi quattro fratelli e Guglielmo di Saverio Nettoli. Il G. intrattenne rapporti commerciali privilegiati con i fratelli Francesco e Girolamo, che nel 1519 fondarono con lui e con Bartolomeo Nasi una società con sede in Fiandra, la "Girolamo Guicciardini et C.i".

Nel 1504 il G. sposò Camilla di Agnolo Bardi, che gli avrebbe dato undici figli, di cui tre femmine (Maria, Isabella e Argentina) e otto maschi: Agnolo, Giovan Battista, Lorenzo, Raffaello, Vincenzo, Lodovico, Piero e Roberto. Anche i figli vennero educati al commercio: Agnolo raggiunse in Fiandra lo zio Girolamo e nel 1524 fondò ad Anversa la società "Agnolo Guicciardini et Giovanni Vernacci e C.i", nella quale investirono anche il G., Girolamo e Francesco. Giovan Battista, Lorenzo e Lodovico si impegnarono ugualmente nel commercio nei Paesi Bassi. Negli anni Quaranta gli affari di famiglia si estesero anche a Londra e a Ferrara, ma la compagnia subì gravi perdite, fino a giungere alla bancarotta, nel 1567.

Il G. era molto attento ai legami familiari sia con il padre Piero, sia con i fratelli, in particolare con Francesco e Girolamo. Per quest'ultimo, nel 1524, curò attivamente i negoziati del matrimonio con Costanza di Agnolo Bardi. Con Francesco, lo storico, diplomatico e teorico della politica, i rapporti furono intensi su tutti i piani: oltre a occuparsi per lui dell'acquisto della villa di Finocchieto nel 1523, lo sostituì a più riprese in alcuni uffici e nel 1530 si adoperò per difenderlo nel processo in contumacia intentatogli dalla Quarantia.

La carriera politica del G. fu altrettanto attiva di quella commerciale. Nel 1511 e nel 1523 fece parte dei Priori, nel 1515 dei Signori, nel 1516 fu commissario a Borgo San Sepolcro. Come membro della Signoria, nel 1515, espresse un giudizio opposto all'opinione dei Medici a proposito di un Antonio Gualterotti, accusato di avere sottratto denaro ai creditori di una compagnia mercantile, e difeso dal fratello Francesco. Per tale giudizio dovette recarsi a Roma per giustificarsi e dimostrare di non essere stato sobillato dal fratello. In diverse occasioni assunse con molta cura gli incarichi di vicegovernatore di Modena e di Reggio in assenza di Francesco: quando questi si ammalò di febbri (1518), quando si recò a Firenze per occuparsi di faccende familiari (1519), nell'occasione della nomina a commissario generale del papa nella guerra di Lombardia contro i Francesi (luglio 1521), durante la difesa di Parma, nel dicembre 1521 e nel 1522.

All'insaputa del fratello, nel 1522, in qualità di vicegovernatore, il G. non si oppose alla nomina a commissario della Montagna di Domenico d'Amorotto Bretti, che Francesco aveva scacciato dalla città qualche tempo prima; l'errore fu riparato da un breve che il governatore sollecitò a papa Adriano VI e che ristabilì il bando. Malgrado l'incidente, la collaborazione tra i due fratelli non venne meno. Quando, tra la fine del 1525 e l'inizio del 1526, si fece sostituire dal G. alla presidenza di Romagna, per evitare le pretese del fratello Luigi, Francesco fece credere che la designazione del G. fosse stata fatta da Clemente VII.

In tutti questi anni gli scambi epistolari tra i due fratelli furono molto intensi, e riguardarono le faccende politiche come quelle familiari. La differenza di temperamento tra i due appare in una lettera inviata dal G. a Francesco il 7 ag. 1520: "Voi mi spronate molto forte al farmi vivo et risentirmi degli scandoli che nascessino […]. Rispondovi che io ne ho uno saldamente a' fianchi che mi stimula, et questo è il desiderio della conservatione dell'honore mio, el quale io stimo più che la vita et le sustantie […]. Quando io lo potrò conservare con la umanità et benignità, lo farò più volentieri che con la rigidità, perché vi ho più inclinatione; quando io non possa, muterò oppinione o io mi torrò dalle imprese".

Del 1525 è un importante incarico affidato al G. dalla città di Firenze, che lo inviò a Siena come oratore.

Con il pretesto di trattare di cose minori, il G. doveva riferire sulle trattative di Alessandro Bichi, insignoritosi della città, per instaurare, con il sostegno di Clemente VII e di Firenze e con l'aiuto militare dei Francesi, un governo oligarchico e filomediceo. La missione si concluse con un nulla di fatto, in ragione del rafforzamento del partito avverso a quello di Bichi dopo la vittoria degli Imperiali e del mutamento di alleanze del Bichi. Dalle lettere che il G. inviò al governo fiorentino tra il 15 febbraio e l'8 marzo 1525 emerge una capacità di giudizio fuori dal comune, oltre che un'abilità politica di tutto riguardo e un forte senso di responsabilità, che lo spinse a restare a Siena fino al 9 marzo, nonostante fosse circondato dall'ostilità dei Senesi, che vedevano in lui l'alleato del partito oligarchico e del papa.

Nelle vicende fiorentine tra il 1527 e il 1530, il G. si dimostrò sincero sostenitore dello Stato popolare, svolgendo importanti missioni per conto del governo. Quando, nel settembre 1529, Clemente VII, forte del trattato di Barcellona con il quale Carlo V si impegnava a ristabilire i Medici a Firenze, inviò a Cortona Filiberto di Chalon principe d'Orange per minacciare il governo popolare, il G. fu tra i quattro ambasciatori inviati dalla Pratica fiorentina per intavolare una disperata trattativa con il papa. L'incontro ebbe luogo solo il 20 ottobre, a Cesena, mentre Clemente VII era sulla via di Rimini. In presenza di Francesco Guicciardini, in veste di mediatore per salvare Firenze dall'assedio, gli ambasciatori fiorentini ottennero dal papa la promessa di conservare il Consiglio grande e quella di far rientrare i suoi parenti solo come privati cittadini. Ma il papa non mantenne la promessa e, qualche giorno dopo, a Bologna, incontrò Carlo V.

Di ritorno a Firenze, il G. prese parte attiva al governo popolare. Agli inizi di dicembre 1530, avvertì Francesco dell'accusa di macchinazione contro lo Stato lanciatagli dagli Otto di guardia, esortando il fratello a spostarsi da Bologna a Lucca, dove, non essendo sotto il controllo del papa, la contumacia avrebbe potuto essere meno severa. Durante il mese di marzo, quando la Quarantia cominciò il processo a Francesco, il G. non mancò di tenerlo al corrente dello svolgimento, e lo sollecitò più volte a scrivere lettere escusatorie. Si impegnò personalmente nella sua difesa e all'avvicinarsi della sentenza fece recitare preghiere per il fratello alle Murate, a S. Chiara e a S. Marco. L'esito del processo, come si sa, fu sfavorevole a Francesco, che venne condannato a una grave multa, una prima volta il 17 marzo, poi una seconda nel maggio dello stesso anno. Al G. non restò che cercare di limitare i danni, acquistando per 10 fiorini la libreria di Francesco; poi si rifugiò in contado a Poppiano.

La sua riconciliazione con Clemente VII non sarebbe mai stata totale: nell'estate del 1531, durante la peste, venne nominato ufficiale di Sanità, poi, nel 1535, il governo fiorentino gli assegnò l'incarico di conservator legum. Ma nel 1533, quando Francesco dovette recarsi a Marsiglia per accompagnare Clemente VII, è al fratello minore Girolamo che fu affidato il vicegoverno di Bologna, essendo il G. in disgrazia presso il papa mediceo. A partire dal 1540 gli incarichi politici del G. ricominciarono tuttavia a essere intensi: fece parte dei Dugento, con mandati di ufficiale del Monte (in questa veste, tra il 1541 e il 1543, prestò grosse somme di denaro al duca Cosimo I), di ufficiale degli Otto per gli affari esterni, di vicario del Mugello e di Scarperia. Sintomo dell'avvenuta riconciliazione può essere il fatto che tre dei figli del G., Agnolo, Raffaello e Lorenzo, i soli a essere rimasti a Firenze, furono tra i più fedeli consiglieri dei Medici.

La documentazione circa l'ultimo periodo della vita del G. non è abbondante: restano un libro di ricordanze degli anni 1543-44, nonché alcuni ricordi di fatti avvenuti a Firenze dal 1536 agli anni Cinquanta.

Sembra risalire a questo periodo, e da attribuire al G., anche una piccola raccolta (in copia) di lettere di G. Savonarola al papa Alessandro VI, all'imperatore Massimiliano I e a Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. Più notevole è invece lo zibaldone savonaroliano, compilato dallo stesso G. che, in data difficile da stabilire, raccolse e trascrisse alcuni documenti del frate, tra cui spiccano due lettere autografe di Savonarola, due lettere autografe di fra Domenico Buonvicini, copie di mano del G. di alcune lettere di Savonarola e di savonaroliani, e del discorso di Savonarola a Iacopo Niccolini, più una trascrizione d'altra mano della predica XXII sopra i Salmi.

La raccolta savonaroliana curata dal G. è un documento di notevole interesse, che testimonia quanto in casa Guicciardini l'attività e il pensiero del frate, già seguiti un tempo da Piero Guicciardini, fossero oggetto di attenzione e riflessione (Francesco, come è noto, raccolse e trascrisse estratti savonaroliani, Luigi scrisse un dialogo Del Savonarola), se non di un vero e proprio culto nel caso del G., data la cura con cui conservò le lettere autografe. In materia di religione il pensiero del G. appare molto coerente. In una eloquente lettera in latino, scritta al nipote Niccolò nel giugno del 1523 su Lutero e la crisi religiosa in Germania, egli lascia intravedere, dietro la ripugnanza per l'uso della forza in materia di religione (Lutero: "erat enim potens armis ac vir ferocissimus"), una certa simpatia per la fede e la speranza che animano e rendono tanto forte il riformatore.

Così come il fratello Luigi, il G. sembra conciliare la fede religiosa con una certa credenza nell'astrologia, come testimonia una lettera indirizzatagli da Ramberto Malatesta il 7 dic. 1526, dalla quale si desume che il G., allora vicepresidente della Romagna, avesse chiesto di trasmettergli una copia dell'oroscopo fatto a Francesco. Quanto all'attività più strettamente letteraria del G., non resta purtroppo molto. Da un'annotazione di Carlo Strozzi, che a sua volta conservò e trascrisse documenti di Francesco Guicciardini, risulta che il 17 nov. 1517 il G. figurava in un gruppo di giovani riunitisi a Firenze per celebrare con degli epigrammi Lorenzo de' Medici duca di Urbino, ma il testo non è stato conservato, né l'appunto fornisce chiarimenti circa la natura del componimento del Guicciardini.

Il G. morì a Firenze nel 1552.

Fonti e Bibl.: Scritture del G. sono conservate in Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, filze LIX, lettere del G. a Luigi Guicciardini, dall'8 sett. 1530 al 1° genn. 1531; LX, lettera del 12 ag. 1537 a L. Guicciardini; LXV, lettera a L. Guicciardini del 14 luglio 1535; CXXIX, lettere a Francesco Guicciardini dal 12 al 28 maggio 1527; CXXXVII, lettera in latino a Niccolò Guicciardini, 10 giugno 1523; CCCLX, lettere a F. Guicciardini, dal 16 apr. 1512 all'8 genn. 1513; Firenze, Archivio Guicciardini, Libri di amministrazione generale, XII-XXI, Libri di debitori e creditori di Iacopo Guicciardini, dal 1503 al 1544; XXII, Libro di debitori e creditori di Iacopo Guicciardini e di Camilla d'Agnolo Bardi, sua moglie, dal 1530 al 1552; XXIII, Registro di raccolte dal 1520 al 1544; XLIX, Ricordanze di Iacopo Guicciardini, dal 1° giugno 1543 al 16 genn. 1544; Carte di Francesco Guicciardini; XXIV, nn. 11, lettera del G. al duca di Ferrara, Ravenna, 15 genn. 1527; 19, Registro contenente "l'entrata di tucto quello perverrà nelle mane a me Iacopo Guicciardini per conto della presidentia di Romagna, dove io sono venuto in luogo di m. Francesco mio fratello questo dì 26 gennaio [1526] nel quale si partì detto m. Francesco per andare alla volta di Roma"; 37, minute di lettere del G., luogotenente di F. Guicciardini alla presidenza di Romagna (dal 22 genn. 1526 al 17 genn. 1527); si veda inoltre per altri documenti: Ibid., Miscellanea, I, n. 14, Zibaldone di ricordi, di notizie e di documenti (alle cc. 15-18, in copia, lettere di G. Savonarola ad Alessandro VI, 22 maggio 1497, 13 marzo 1498, 25 giugno 1497; all'imperatore Massimiliano I, s.d.; a Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia, s.d.); IV, nn. 1, copia di una lettera di fra Domenico da Pescia; 2-5, lettere autografe di Savonarola e di fra Domenico Buonvicini; 6, Fr. Hyeronimus parentibus quando ingressus est religionem (lettera alla famiglia "Di che lacrimate ciechi", Dispregio del mondo, ricordo della nascita di Savonarola e dell'allontanamento dai suoi); 7, lettera in copia di Savonarola; 8, trascrizione di un discorso di Savonarola a I. Niccolini; 9, frammento di un codice dei Vulnera diligentis; 10, trascrizione della predica XXII sopra i Salmi; R. Ristori, Gli avvenimenti senesi del febbraio-marzo 1525 nel carteggio dell'oratore fiorentino Iacopo Guicciardini, in Bull. senese di storia patria, XXIII (1964), pp. 108-130; F. Guicciardini, Le lettere, a cura di P. Jodogne, I, Roma 1986 (carteggio del G. con F. Guicciardini); Carteggio di I. G., vicegovernatore di Modena e Reggio, ibid., VI, ibid. 1996, pp. 619-663; R. Ridolfi, L'archivio della famiglia Guicciardini, Firenze 1931, ad ind.; Id., Studi savonaroliani, Firenze 1935, p. 27; P. Guicciardini, Cusona, Firenze 1939, pp. 151-180; Id., Un parentado fiorentino nei primi del Cinquecento, Firenze 1940, pp. 18-21; Id., Le antiche case ed il palazzo dei Guicciardini in Firenze, Firenze 1952, p. 114; R.A. Goldthwaite, Private wealth in Renaissance Florence, Princeton, NJ, 1968, pp. 140-152; R. Starn, Francesco Guicciardini and his brothers, in Renaissance. Studies in honor of Hans Baron, a cura di A. Molho - I.A. Tedeschi, Firenze 1971, pp. 409-444 passim; R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Milano 1982, ad indicem.

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