Ibridazione in situ

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

ibridazione in situ

Antonino Forabosco

Tecnica di citologia molecolare, microscopica o submicroscopica, che consente di localizzare, riconoscere e identificare specifiche sequenze nucleotidiche presenti in determinate strutture, conservando pressoché inalterata la morfologia delle strutture e la relativa posizione delle sequenze. L’ibridazione in situ (ISH, In situ hybridization) è oggi un importante strumento della biologia molecolare, essendo applicata all’isolamento e alla quantificazione di specifiche sequenze di acidi nucleici in strutture cellulari o esogene, allo studio della loro localizzazione intracellulare, espressione e regolazione. È anche estesamente utilizzata nello studio della organizzazione ed evoluzione dei genomi e per definire la posizione o la funzionalità dei geni che ne fanno parte, nonché per la diagnosi delle malattie ereditarie e delle malattie infettive. L’ISH si basa sulla formazione di coppie di basi stabili (ibrido) tra la sonda nucleotidica a DNA o RNA marcata con un tracciante di diversa natura e la sequenza nucleotidica bersaglio che si vuole studiare. L’ISH sfrutta l’appaiamento specifico che avviene fra le coppie di basi azotate (guanina e citosina, adenina e timina o uracile) e che rende possibile l’associazione (ibridazione) molecolare fra due sequenze polinucleotidiche complementari. È stata sviluppata con sonde radioisotopiche (sonde calde), mentre oggi si avvale quasi esclusivamente di sonde non radioisotopiche (sonde fredde). Esistono due metodi per marcare le sonde. Un primo metodo utilizza traccianti legati direttamente al nucleotide della sonda, con conseguente rivelazione del tracciante della sonda, ormai ibridata al DNA o all’­RNA bersaglio, direttamente al microscopio: i traccianti impiegati sono fluorocromi (fluorescina, rodamina, AMCA, Texas red ecc.). Alternativamente, vengono impiegati i nucleotidi della sonda marcati con molecole aptenizzate in grado di reagire con specifici anticorpi coniugati con traccianti fluorescenti (fluorescina, rodamina, AMCA, Texas red e così via) o con enzimi (fosfatasi alcalina o perossidasi) che, in presenza di un opportuno substrato colorimetrico, producono un precipitato colorato che si deposita stabilmente nel sito di localizzazione dell’enzima. I sistemi più utilizzati nelle reazioni aptene-anticorpo sono quello della biotina-streptavidina e digossigenina-antidigossigenina. Queste procedure si applicano anche nella ISH submicroscopica con localizzazione dell’ibrido sonda-bersaglio, mediante il microscopio ­elettronico e con l’utilizzo di anticorpi anti-tracciante marcati con particelle di oro colloidale. Nella ISH-PCR (Polymerase chain reaction) la sensibilità della tecnica viene a essere aumentata sottoponendo l’acido nucleico bersaglio del substrato cellulare (DNA o RNA) alla amplificazione mediante PCR.

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