IDROPLANO

Enciclopedia Italiana (1933)

IDROPLANO (dal gr. ὕδωρ "acqua"; vocabolo formato per analogia con "aeroplano")

Guido Guidi

È uno speciale battello nel quale, in navigazione, la carena emerge dall'acqua e la sostentazione non è più determinata da una condizione d'equilibrio prevalentemente idrostatico, come si verifica con le carene comuni, ma da una spinta idrodinamica che si esercita su apposite ali disposte sotto e lateralmente al battello e proporzionate al peso di questo e alla reazione dell'acqua, durante il moto di traslazione del battello stesso il quale viene sospinto per mezzo di appositi propulsori agenti nell'aria o nell'acqua.

Teoria e dinamica. - È noto che le carene comuni incontrano nella traslazione in acqua un complesso di resistenze che vengono dai tecnici navali ordinariamente raggruppate in tre categorie: 1. resistenze di attrito; 2. resistenze dovute alla scia, alle appendici di carena e alle parti esposte all'aria; 3. resistenza di onda. Valutazioni esatte di queste resistenze non si possono in tesi generale fare per via analitica, ma debbono essere misurate alla vasca su appositi modelli. Con sufficiente approssimazione, e salvo determinazione sperimentale dei coefficienti di forma, le espressioni analitiche delle tre resistenze suddette, indicate rispettivamente con R1, R2 e R3, sono le seguenti:

nelle quali μ è un coefficiente dipendente dalla forma e dalla natura delle carene, e varia da 0,145 ÷ 0,2; n è un esponente dipendente anch'esso dalla natura e forma delle carene e varia da 1,83 a 1,85; δ è il peso specifico del mezzo in cui la carena si sposta (per l'acqua ~ 1; per l'acqua di mare ~ 1,026); ε è un coefficiente dipendente dalla forma delle carene, dalle appendici e dalle parti esposte all'aria; il suo valore, per quanto vario a seconda del giuoco di tali fattori, è per navi ben costruite relativamente basso; Q è il dislocamento totale della nave; L la lunghezza della carena; ν il coefficiente di forma della nave, che varia da 0,7 fino a 0,95; V la velocità della nave. Le espressioni dimostrano chiaramente che col crescere della velocità, R3 cresce assai più rapidamente di R1 ed R2. Si è pensato quindi di raggiungere velocità elevate cercando di ridurre al minimo la resistenza d'onda R3, mediante l'idroplano.

Ciò premesso, esaminiamo come si comporta una lastra piana, che è l'elemento fondamentale di tale battello, la cui traccia sul piano del disegno sia rappresentata da LL', che supponiamo si sposti nella direzione CV, incontrando cioè le molecole liquide con un angolo di incidenza i. Per esaminare il caso più generale supponiamo che la lastra sia immersa solo in parte, per la porzione che corrisponde alla traccia LL″. La reazione dell'acqua potrà essere sostituita con una forza F, applicata a un punto C, che chiameremo centro di pressione, forza che non è normale alla lastra, e che potremo determinare attraverso le sue componenti, normale N, e tangenziale T alla lastra, mediante apposite bilance. In questa trattazione teorica destinata a darci soltanto un'idea del complesso dei fenomeni, teniamo momentaneamente per valide le vecchie espressioni, le quali, a scapito del rigore, offrono il vantaggio di una grande semplicità ed evidenza. Chiamata S la superficie di una delle porzioni immerse delle facce della lastra, la N potrà approssimativamente essere rappresentata da

mentre la T, non rappresentando che una resistenza di attrito, avrà la forma

Possiamo quindi determinare la F: ma non c'interessa di conoscerla; vogliamo piuttosto conoscere le sue componenti, verticale P e orizzontale R, le quali rispettivamente rappresentano la portanza e la resistenza del piano durante la sua traslazione. Una semplice risoluzione di triangoli ci permetterà di scrivere:

In questo, come in qualsiasi sistema di sostentazione, interessa conoscere il rapporto η fra portanza e resistenza, il quale rapporto, indicandoci il valore del carico trasportato in funzione della forza di trascinamento che si deve spendere, ci consente d'indagare il grado d'economicità del sistema. Tenuto presente che i è molto piccolo, e che n in via di approssimazione può essere assunto uguale a 2, dividendo la (6) per la (7) si ottiene:

Prima osservazione notevole è che η non dipende dalla velocità: quindi la resistenza all'avanzamento R, o, ciò che equivale, la forza motrice, non dipenderà che dalla reazione verticale P attraverso i valori i, σ e ρ, sensibilmente costanti attorno all'angolo ottimo. Ma a sua volta la reazione verticale P non può che essere uguale al carico che grava sulla lastra; di fatto se col crescere della velocità, P diventa maggiore del carico, la lastra emerge maggiormente, fino cioè a ridurre P uguale al peso: l'opposto evidentemente se la velocità diminuisce. Anzi possiamo senz'altro affermare che, tenuto costante P, la superficie immersa della lastra varia in ragione inversa al quadrato della velocità. Essendo quindi P indipendente dalla velocità, dalla (8) si deve concludere che anche la resistenza all'avanzamento è costante con la velocità, ossia che la potenza motrice è proporzionale alla velocità che si vuol conseguire, anziché al cubo di questa, come nelle carene comuni. Questa condizione favorevolissima in realtà non si verifica completamente per varie cause; intanto osserviamo che le porzioni di lastra le quali, per i successivi incrementi di velocità, emergono, si sottraggono alla resistenza idrodinamica, ma non a quella aerodinamica, pur mantenendosi questa sempre molto piccola, per la minore densità del mezzo.

La maggiore differenza è portata dal fatto che le espressioni (4) e (5), dalle quali siamo partiti, non sono, come già si è fatto notare, sufficientemente approssimate: in dette espressioni i coefficienti σ e ρ sono ritenuti costanti, mentre invece particolarmente il primo è variabile in funzione dell'angolo, e anche, limitatamente, della velocità. Nell'idrodinamica pratica sono molto usate, per determinare le reazioni sulle superficie piane, le formule del Joëssel, le quali, ammessa un'espressione perfettamente analoga alla (8) per la reazione normale, ne determinano il coefficiente da noi indicato con σ con la formula sperimentale:

Anche queste formule, per quanto molto usate, e per quanto in pratica diano risultati sufficientemente approssimati, non si possono ritenere esatte.

Per ottenere dati teoricamente esatti occorrerebbe seguire un procedimento del tutto analogo a quello che si segue in aerodinamica, cioè ricavare da prove su modelli il valore dei coefficienti per i varî angoli, per i varî rapporti tra apertura e profondità del piano, e per le velocità praticamente ammissibili e introdurli nelle espressioni; le quali evidentemente non dipendono più da funzioni trigonometriche dell'angolo di incidenza (v. aerodinamica).

A ogni modo, anche svolgendo una più approfondita indagine, possiamo concluderne che la resistenza all'avanzamento di una lastra piana, nelle condizioni sin qui considerate, è funzione quasi esclusivamente del carico che insiste sulla lastra e non dipende che molto limitatamente dalla velocità alla quale l'esperimento si compie.

Quando, da condizioni teoriche come quelle esaminate, passiamo ad applicazioni pratiche, i risultati si differenziano ancora più sensibilmente. Cominciamo col notare che il centro di pressione C, col variare non solo dell'incidenza i, ma anche della velocità e quindi dell'immersione della lastra, compie delle escursioni molto ampie, che rendono il sistema assolutamente instabile: occorre dunque, per ottenere la stabilità, accoppiare almeno due lastre, mantenendole rigidamente collegate l'una avanti all'altra; quindi la necessità di strutture di collegamento esposte al vento. Inoltre il carico e gli organi motopropulsori dovranno essere contenuti in una navicella, foggiata a forma di battello, alla quale, tra l'altro, sarà affidato il galleggiamento quando, per essere la velocità insufficiente, la spinta idrodinamica è inferiore al peso, ivi compreso il caso limite della velocità nulla, ossia del riposo. Da tutte queste necessità pratiche consegue che, sia l'imbarcazione con i suoi organi accessorî e propulsivi, sia gli elementi di collegamento e di sostegno delle lastre piane dette "alette", offrono una notevole resistenza aerodinamica e in parte anche idrodinamica, per cui si può affermare che la resistenza all'avanzamento di un'imbarcazione munita di alette idroplane, cresce dapprima lentamente, poi sempre più rapidamente col crescere della velocità. La (8) ci permette anche di determinare l'angolo ottimo d'incidenza, quello cioè per il quale, tenuto costante il carico, la resistenza è minima. Tale valore di i è di circa 3°30′, prendendo per σ e ρ gli usuali valori ricavati dalle esperienze. In queste condizioni η raggiunge il valore massimo, che fu praticamente determinato da varî sperimentatori; secondo lo Drzewiecki esso è di 12,5; il Forlanini con accuratissime prove avrebbe raggiunto valori tra 15 e 20, mentre il Crocco, nelle sue esperienze, avrebbe confermato i valori dello Drzewiecki.

Portando in coordinate cartesiane i valori velocità-resistenza all'avanzamento ricavati dall'esperienza su un modello di battello idroplano, potremo osservare un andamento crescente molto rapidamente alle velocità basse, fino a raggiungere un determinato valore massimo, denominato punto critico, oltrepassato il quale la resistenza decresce, fino alla completa emersione dello scafo, dopo di che torna a salire molto lentamente. In pratica quindi il battello, oltrepassato il punto critico, subisce quasi uno sbalzo e rapidamente si porta a regimi di velocità molto più elevati, sino a trovare una condizione d'equilibrio fra la resistenza all'avanzamento e la spinta determinata dall'elica. In base ai risultati sperimentali il Crocco poté stabilire questa importante relazione tra la potenza HP in cavalli, il dislocamento Q in tonnellate e la velocità V in metri a secondo:

In tale espressione il coefficiente numerico è stato determinato prendendo per rendimento dell'elica 0,64.

I vantaggi notati a favore della sostentazione idrodinamica potrebbero indurci a credere che convenga dotare tutte le navi di alette idroplane, o di dispositivi analoghi, come per esempio gl'idroscivolanti (v.). È facile vedere che questo sistema di sostentazione non conviene che per navi di dimensioni limitate e per velocità molto grandi. La (8) stabilisce di fatto una proporzionalità fra resistenza e portanza: ma la portanza è uguale al peso, quindi anche la resistenza crescerà col peso del battello, cioè, per navi simili, col cubo delle sue dimensioni lineari, approssimativamente.

Quanto abbiamo detto circa le carene comuni ci permette di osservare in base alle espressioni (1) e (2) che le resistenze R1 e R2 crescono, sempre per navi simili, col quadrato delle dimensioni lineari e col quadrato o quasi della velocità, mentre la R3 resistenza derivante dalla formazione d'onda, cresce ancor meno rapidamente per quanto riguarda le dimensioni, pur crescendo con la quarta potenza della velocità. Nel caso degl'idroplani la resistenza cresce col cubo delle dimensioni e limitatamente con la velocità: essi quindi possono avere interesse per il raggiungimento delle elevate velocità solo quando si tratti di dimensioni limitate.

Cenni storici. - La prima idea di sostenere un battello in moto non per azione statica del fluido nel quale è immerso, ma per reazione dinamica su apposite superficie che determinano la completa emersione dello scafo, è tutt'altro che recente; sembra che risalga a Clement Ader che nel 1867 eseguì esperienze e costruì un modello. Seguirono numerosi studî e brevetti, ma le prime vere concezioni costruttivamente realizzabili si debbono ai fratelli Meacham nel 1895 e, con qualche anno di ritardo, a William Ph. Thomson nel 1903. Questi inventori si preoccuparono del sistema col quale si renda praticamente possibile soddisfare alla condizione della graduale emersione delle alette con l'aumentare della velocità: dopo avere considerato e scartato varie soluzioni, i fratelli Meacham proposero l'applicazione di due gruppi di alette sovrapposte, a differenti quote, e che quindi escono progressivamente dall'acqua; invece il Thompson si orientò verso due sole alette semplici, inclinate trasversalmente. Prima che questi studî potessero essere conosciuti in Italia, a causa di contestazioni e di ritardi nella concessione dei rispettivi brevetti, tanto l'una quanto l'altra soluzione avevano presso di noi due realizzazioni, la prima negl'idroplani dell'ing. Forlanini, il cui brevetto risale al 1904 e le prime prove al 1905, la seconda, successiva, con gli studî e le esperienze degli allora capitani Crocco e Ricaldoni.

Nelle esperienze del Forlanini, con potenza di 75 HP e peso totale di 1650 kg., sembra si siano toccati gli 80 km. orarî; la disposizione delle alette era quella schematicamente indicata nell'unito schizzo; le prove furono condotte sia con eliche aeree sia con eliche subacquee. Le esperienze Crocco-Ricaldoni furono eseguite con due differenti realizzazioni: la seconda, che nel 1907 diede risultati veramente incoraggianti, era dotata di motore di 80 HP, con due eliche aeree, pesava 1600 kg. e aveva due alette, l'una a prua e l'altra a poppa, foggiate a V trasversale molto aperto.

Dopo tali esperimenti, che segnarono un caposaldo nella storia di questo sistema di navigazione, e che sortirono risultati abbastanza interessanti, gl'idroplani non hanno avuto altra applicazione, neppure nel campo dell'idroaviazione, se si eccettua qualche sporadico tentativo.

Caratteristiche costruttive. - Se pure nel campo teorico conservano immutato il loro interesse, si può dire che oggi, nel campo pratico, gl'idroplani sono scomparsi, e sono stati completamente soppiantati dagl'idroscivolanti (v.). Le ragioni di questo moderno indirizzo sono forse da attribuirsi al fatto che le costruzioni d'idroplani non furono tentate nel campo dei dislocamenti alquanto maggiori di quelli d'un semplice canotto; campo nel quale le applicazioni avrebbero forse potuto dimostrare anche maggiore utilità e praticità. Per il fatto stesso che fu limitato alle dimensioni e ai pesi minimi, l'idroplano manifestò dei punti deboli, particolarmente nella propulsione con eliche subacquee, e nella delicatezza delle alette, predestinate a guasti irreparabili in caso di collisione o di arenamento su bassifondi. Non poté invece dimostrare le doti che esso possiede in confronto all'idroscivolante; fra queste particolarmente importante è la sua maggiore stabilità in presenza di moto ondoso, dato che le alette totalmente immerse non risentono quasi affatto del moto delle onde. Esso influisce solo sulle alette che affiorano e possono quindi a loro volta essere investite dall'acqua: vi è però da osservare che tali alette costituiscono soltanto una limitata frazione della superficie portante totale. Inoltre nulla vieta di costruirle, ad es., con una ossatura elastica, la quale, deformandosi sotto una istantanea maggior pressione dinamica, ne diminuisca automaticamente l'incidenza e quindi la portanza. Nell'idroscivolante invece tutta la superficie del fondo è inesorabilmente investita se incontra l'onda; e i numerosi tentativi fatti per dotare tale tipo d'imbarcazione di un doppio fondo elastico sono tutti praticamente falliti.