Il danno da morte

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Il danno da morte

Marco Rossetti

Nel 2012 le uniche novità di rilievo sul tema del danno da morte sono state giurisprudenziali. Accanto a varie decisioni di conferma di orientamenti consolidati (sulla liquidazione del danno, sulla tecnica di articolazione della domanda, sul danno da sopravvivenza quodam tempore) la Corte di legittimità ha affermato il nuovo principio secondo cui al nonno non spetta il risarcimento del danno patito in conseguenza dell’uccisione del nipote, salvo il caso che convivessero. Si tratta tuttavia di una decisione che suscita varie perplessità.

La ricognizione

Il danno da uccisione di un prossimo congiunto resta una materia estremamente dibattuta e fonte di contrasti giurisprudenziali. Discussi sono, in particolare, la delimitazione dell’ambito dei danni risarcibili e lo spessore della prova che il danneggiato deve fornire per dimostrare l’esistenza del pregiudizio.

Su ciascuno di questi due temi la Suprema Corte è ripetutamente intervenuta nell’anno 2012, ma tali interventi se talora hanno contribuito al consolidamento di orientamenti precedenti, talaltra – lungi all’essere stati risolutori – hanno al contrario acuito i contrasti.

Con riferimento al danno non patrimoniale da uccisione di un prossimo congiunto, nel 2012 la Corte di cassazione ha innanzitutto ribadito vari princìpi sia sostanziali che processuali in tema di risarcimento del danno da morte di un prossimo congiunto, e cioè:

a) il danno non patrimoniale da morte ha «carattere unitario» (Cass. 29.5.2012, n. 8575, inedita), e non è divisibile in varie sottovoci se non per scopi meramente descrittivi: pertanto la dizione «danno morale», non individua una sottocategoria autonoma di danno, ma descrive uno dei possibili pregiudizi non patrimoniali (Cass., 8.6.2012, n. 9293, inedita; Cass., 11.5.2012, n. 7272, inedita);

b) la liquidazione del danno da uccisione può legittimamente avvenire in base a tabelle uniformi, dalle quali il giudice che dichiari di volerle adottare non può discostarsi senza adeguata motivazione;

c) il danno da sopravvivenza quodam tempore, nel caso di morte causata dalle lesioni, è risarcibile solo nel caso in cui la vittima in quell’arco di tempo sia rimasta cosciente;

d) infine, sul piano processuale, la corretta formulazione della domanda di risarcimento del danno da uccisione non esige formule sacramentali, e rileva non il “nome” col quale l’attore ha designato il danno non patrimoniale di cui chiede il ristoro, ma la concreta descrizione di esso.

Del tutto nuova, invece, è l’affermazione del principio secondo cui ai congiunti «non prossimi», come nonni, nipoti e zii, il risarcimento del danno sia patrimoniale che non patrimoniale spetta soltanto nel caso in cui il superstite convivesse con la vittima prima del sinistro.

La focalizzazione

Si analizzeranno di seguito gli aspetti più rilevanti della citata giurisprudenza di legittimità.

2.1 I criteri di liquidazione del danno

Per quanto attiene al problema dei criteri di liquidazione, varie decisioni hanno ribadito, anche se obiter dictum, il principio secondo cui la liquidazione del danno no patrimoniale, in assenza di criteri legali, deve avvenire secondo i criteri determinati dal Tribunale di Milano, in virtù della particolare diffusione delle tabelle predisposte da quell’ufficio (Cass., 16.3.2012, n. 4229, in motivazione). Si è anzi precisato che il giudice il quale dichiari di volere applicare la tabella predisposta dal proprio ufficio giudiziario non può poi discostarsene senza adeguata motivazione (Cass., 29.5.2012, n. 8557, inedita), trasformando così de facto le tabelle in un criterio paranormativo.

La natura paranormativa delle cd. tabelle emerge poi dall’altro principio, pure affermato dalla Suprema Corte secondo cui, ove le suddette tabelle vengano modificate nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d’appello) ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione. Sulla base di questo principio, Cass., 11.5.2012, n. 7272, inedita, ha cassato per violazione di legge una sentenza di appello che si era limitata a rivalutare il risarcimento liquidato dal tribunale, in base alle tabelle vigenti alla data della decisione di primo grado, e non più in uso al momento della pronuncia impugnata.

2.2 Il danno

Anche nel 2012 la Corte ha ribadito il principio secondo cui la persona che, dopo essere stata ferita, perda la vita a causa delle lesioni, può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, sia rimasta lucida e cosciente. Pertanto, ove la morte segua di poche ora il verificarsi del sinistro, senza che la vittima sia stata cosciente in tale intervallo di tempo, ai congiunti non spetta il risarcimento del danno morale iure haereditatis (Cass., 22.2.2012 n. 2564).

Sul piano processuale, degna di nota è la sentenza 17.7.2012, n. 12236, la apportato un contributo di chiarezza in tema di interpretazione e qualificazione della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

Con la sentenza appena ricordata la Corte ha infatti stabilito che la circostanza che l’attore abbia erroneamente qualificato il tipo di pregiudizio non patrimoniale di cui chiede il risarcimento non è ostativa all’accoglimento della domanda, se di quel pregiudizio abbia comunque allegato e provato gli elementi costitutivi (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente accolta dal giudice di merito la domanda di risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto, erroneamente qualificato dall’attore come danno biologico).

2.3 Il danno da uccisione di prossimo congiunto

Per quanto attiene, invece, al risarcimento del danno patrimoniale da uccisione di un prossimo congiunto, si è ribadito che ai genitori di una persona di giovane età, deceduta per colpa altrui, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale per la perdita degli emolumenti che il figlio avrebbe loro verosimilmente elargito una volta divenuto economicamente autosufficiente, non è sufficiente dimostrare né la convivenza tra vittima ed aventi diritto, né la titolarità di un reddito da parte della prima, ma è necessario dimostrare o che la vittima contribuiva stabilmente ai bisogni dei genitori, ovvero che questi, in futuro, avrebbero verosimilmente e probabilmente avuto bisogno delle sovvenzioni del figlio (Cass., 11.5.2012, n. 7272).

Con l’affermazione di questo principio la Corte di cassazione sembra dunque abbandonare del tutto il proprio precedente orientamento, secondo cui nel caso di uccisione di un figlio minore era ammissibile il ricorso, per così dire, “automatico” alla prova presuntiva, e ritenere quindi che qualsiasi figlio, per il solo fatto di essere tale, avrebbe certamente aiutato economicamente i genitori: in applicazione di questi princìpi, ad esempio, la Corte aveva ritenuto «contraria alla comune esperienza della realtà sociale e familiare» l’affermazione con la quale il giudice del merito aveva reputato ingiustificata la presunzione del futuro aiuto da parte del giovane ai genitori nella loro vecchiaia, dato l’evolversi del costume sociale nel senso di affidare i vecchi alle istituzioni pubbliche e di destinare i loro risparmi alla vita dei figli1.

Quando, invece, la prova di un effettivo contributo del defunto al patrimonio familiare sia fornita, ai prossimi congiunti della vittima spetta il risarcimento del danno patrimoniale futuro, da liquidarsi sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, a carattere satisfattivo, che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare, da un lato, e delle prospettive di reddito professionale, dall’altro (Cass., 13.3.2012, n. 3966).

Costituisce invece una assoluta novità l’affermazione, contenuta nella sentenza 16.3.2012, n. 4253, secondo cui l’uccisione del congiunto dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Cost.

Per pervenire a tale conclusione, la Corte ha usato due argomenti:

a) l’ordinamento giuridico prende in considerazione solo la famiglia “nucleare”, mentre assegna al rapporto tra nonni e nipoti un carattere indiretto e mediato (lo chiamerò “l’argomento sistematico”);

b) l’elemento estrinseco della convivenza è il solo che consenta di bilanciare le due contrapposte esigenze, da un lato, di dilatare ingiustificatamente il novero delle vittime secondarie dei danni da uccisione; e dall’altro di dare tutela ai diritti fondamentali dell’individuo di cui all’art. 2 Cost. (lo chiamerò “l’argomento del limite”).

I profili problematici

La novità giurisprudenziale certamente più rilevante del 2012, nel caso di danno da morte, appare senza dubbio l’affermazione della irrisarcibilità del danno patito da un congiunto “non prossimo” di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito.

Come si è visto, la sentenza n. 4253/2012 ha escluso la risarcibilità di tale danno se vittima e supersite non convivessero prima del sinistro, e ciò sulla base di due argomentazioni complementari.

Tuttavia nessuna di queste argomentazioni appare davvero convincente.

Il primo dei tre argomenti posti dalla Corte a fondamento della esclusione della risarcibilità del danno da uccisione del nonno («l’ordinamento giuridico prende in considerazione solo la famiglia nucleare») è falso per un verso, ed irrilevante per l’altro.

È in primo luogo, inesatto che «l’ordinamento prende in esame solo la famiglia nucleare». L’ordinamento, infatti, non solo include i discendenti in linea retta tra i “parenti” (art. 75 c.p.c.), ma riserva agli ascendenti una tale serie di facoltà, diritti e doveri nei confronti dei discendenti (e viceversa), che solo con una buone dose di coraggio può essere definita “irrilevante”.

Gli esempi in tal senso sono sterminati. Senza pretesa di completezza, e procedendo in ordine cronologico decrescente, ricorderò pertanto: a) i nonni di uno degli sposi possono impugnare per nullità il matrimonio del nipote (art. 117 c.c.); b) i nonni dei coniugi debbono, in caso di impossidenza di questi ultimi, fornire loro i mezzi necessari per l’educazione e il mantenimento dei figli (art. 148 c.c.); c) in caso di separazione dei coniugi, i figli dei coniugi separati hanno diritto di «conservare rapporti significativi con gli ascendenti … di ciascun ramo genitoriale» (art. 155, co. 1, c.c.). Quest’ultima norma appare illuminante ai nostri fini: infatti, al cospetto di una norma che impone la salvaguardia dei rapporti tra i figli dei separati ed i loro nonni, aggiungendo anzi che tali rapporti debbono essere «significativi», appare davvero arduo sostenere che per l’ordinamento la perdita d’un nonno è irrilevante sul piano risarcitorio in assenza di convivenza tra la vittima ed il superstite); d) i nonni possono esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, in caso di morte del nipote (art. 246 c.c.); e) i nonni possono esercitare l’azione di reclamo della legittimità, in caso di morte del nipote (art. 249 c.c.); f) i nonni possono esercitare l’azione di dichiarazione giudiziale della paternità, in caso di morte del nipote (art. 270 c.c.); g) i nonni possono proporre la domanda di legittimazione del figlio naturale del nipote, in caso di morte di quest’ultimo (art. 286 c.c.); h) il nonno non ha diritto di essere esonerato dall’ufficio di tutore del nipote, anche se abbia avuto durata ultradecennale (art. 426 c.c.); i) il nonno è obbligato a prestare gli alimenti al nipote (art. 433 c.c.); l) il nipote che succede al nonno per rappresentazione deve conferire nell’asse ereditario ciò che il nonno ha ricevuto per donazione, anche nel caso in cui abbia rinunziato all’eredità di questi (art. 740 c.c.); m) a nonno e nipote è consentito stipulare il “patto di famiglia” di cui all’art. 768 bis c.c., per il trasferimento dell’azienda o della partecipazione societaria; n) la sopravvenienza di un nipote è causa di revoca della donazione compiuta dal nonno (art. 803 c.c.); o) la violenza commessa in danno del nonno della parte contrattuale è causa di annullamento del contratto (art. 1436, co. 1, c.c.); p) nell’assicurazione contro i danni, la circostanza che il danno sia stato causato dal nonno dell’assicurato priva l’assicuratore del diritto di surrogazione (art. 1916, co. 2, c.c.).

Il rapporto tra ascendente e discendente è dunque preso in considerazione dall’ordinamento sia sul piano patrimoniale, sia su quello – per così dire – morale.

Sotto il primo profilo, si è visto quante e quali norme impongano obblighi di assistenza patrimoniale reciproca tra nonni e nipoti (artt. 433, 740 c.c.), ovvero presumano iuris et de iure che il patrimonio del nonno partecipi di quello del nipote, e viceversa (artt. 1436, 1916 c.c.).

Sotto il secondo profilo, si è visto come l’ordinamento si preoccupi di salvaguardare il rapporto morale ed affettivo tra nonno e nipote con molteplici strumenti: in primo luogo, imponendo ai genitori separati di garantire “rapporti significativi” tra i propri figli ed i loro nonni; ma anche accordando un indennizzo agli ascendenti delle vittime di reati a scopo di terrorismo, oppure accordando ai nonni una serie di facoltà suscettibili di incidere sia sulla vita del nipote, sia sulla memoria di lui, se defunto (impugnare il matrimonio del nipote, legittimare il figlio naturale del nipote, rivendicare il diritto morale d’autore del nipote, disconoscere il figlio del nipote, essere ascoltati dal tribunale quando il nipote intende adottare un bambino).

Il secondo argomento posto dalla Corte a fondamento della decisione di negare al nipote il risarcimento per la morte del nonno (e cioè che l’elemento estrinseco della convivenza è il solo che consenta di bilanciare le due contrapposte esigenze, da un lato, di dilatare ingiustificatamente il novero delle vittime secondarie dei danni da uccisione; e dall’altro di dare tutela ai diritti fondamentali dell’individuo di cui all’art. 2 cost.) appare anch’esso poco convincente, sia dal punto di vista dogmatico, sia dal punto di vista pratico.

Dal punto di vista dogmatico, limite ad un diritto non può che essere un altro diritto, contrapposto o sovrapposto, non certo una circostanza di fatto. La convivenza tra la vittima ed il superstite può costituire al massimo un fatto dal quale ricavare, insieme ad altri indizi ex art. 2729 c.c., la prova dell’esistenza del danno, ma non può costituire il presupposto dell’esistenza del diritto, quasi fosse un elemento costitutivo della relativa fattispecie.

Dal punto di vista pratico, poi, l’equazione “convivenza=sofferenza per la perdita”, non sembra trovare riscontro nella realtà.

Infinite sono le circostanze della vita che possono indurre o costringere due familiari a non convivere: malanimo reciproco, studio, lavoro, affetti, e via fantasticando. Allo stesso modo, anche la scelta di convivere può dipendere da infinite variabili: mancanza di indipendenza economica, indisponibilità di altri alloggi, solidarietà, affetto, eccetera.

Del resto, nella giurisprudenza di merito da lungo tempo si ammette pacificamente la risarcibilità del danno patito dal nonno per la morte del nipote e viceversa, salva ovviamente la prova dell’inesistenza d’un legame affettivo tra i due. E frequente è altresì l’affermazione secondo cui la sofferenza dei nipoti per la morte del nonno «può agevolmente desumersi sia da una nozione di fatto rientrante nella comune esperienza (art. 115, co. 2, c.p.c.), sia – ex art. 2727 c.c. – dalla circostanza, nota e studiata dalla moderna psicopedagogia, che la figura del nonno ha sempre rivestito un ruolo coessenziale nel corretto sviluppo psichico del nipote»2.

Il principio appena trascritto è del resto condiviso dalla psicologia e dalla psichiatria unanimi.

Imponenti studi italiani e stranieri svelano che il ruolo del nonno, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, è profondamente mutato rispetto al passato.

Innanzitutto perché un tempo i nipoti erano molti e i nonni erano pochi (le famiglie erano più numerose, ma si viveva meno a lungo), mentre oggi capita il contrario (il 42% dei nipoti alla nascita ha ancora tutti e quattro i nonni) e non è raro trovare un solo nipote per quattro nonni. Da ciò discende una più stretta e frequente relazione tra nonni e nipoti, rafforzata dal fatto che i genitori di bimbi in tenera età sono spesso impegnati in lavori che li tengono per gran parte della giornata lontani dalle mura domestiche, e che al contrario del passato la madre non ha più il ruolo esclusivamente di occuparsi interamente della famiglia e dell’educazione dei figli3.

Si è arrivati anzi ad affermare che «in uno scenario caratterizzato dall’eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, sembrano costituire l’unica solida architrave della famiglia»4. Il ruolo del nonno è stato altresì ritenuto fondamentale a livello educativo, «tanto ricco è il patrimonio di esperienza e di qualità di vita di cui essi sono portatori»5, perché solo il nonno, nel contesto familiare, assume il ruolo psicologicamente rilevante di «conservazione e trasmissione della memoria»6.

Ritenere, in definitiva, che solo i familiari conviventi con la vittima potevano nutrire per essa un affetto meritevole di tutela è affermazione che non trova nemmeno riscontro nell’id quod plerumque accidit.

Note

1 Cass., 23.4.1983 n. 2816, in Foro it. Rep., 1983, Danni civili, 108. Tale orientamento aveva perciò attirato, in passato, l’ironia di qualche autore, secondo cui «per la giurisprudenza tutti i figli sono figli modello» (v. Magnaghi, F., Come si calcolano i danni alla persona, Milano 1967, 75-76).

2 Ex multis, Trib. Roma, sez. XIII, 29.12.2005, n. 27627.

3 Francine, F., Essere nonni oggi e domani. Piacere e trabocchetti, Milano 2009, passim.

4 Vegetti Finzi, S., Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro, Milano, 2008.

5 Così Pati, L., a cura di, Il valore educativo delle relazioni tra le generazioni. Coltivare i legami tra nonni, figli, nipoti, Torino, 2010.

6 Lo Sapio, G., Il rapporto insostituibile tra nonni e nipoti, Roma, 2007.

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