Il disegno di legge di riforma dell'ordinamento portuale

Il Libro dell'anno del Diritto 2016

Il disegno di legge di riforma dell’ordinamento portuale

Marco Calabrò

La disciplina generale del settore portuale (l. 28.1.1994, n. 84) si rivela ormai per alcuni aspetti inadeguata a una visione moderna del porto quale «varco» dei traffici economici, elemento di una più ampia catena logistica. Al fine di incrementare l’efficienza e il potenziale concorrenziale degli scali nazionali – ormai non più competitivi rispetto ai porti del nord Europa e di molte aree del Mediterraneo – è attualmente in avanzata discussione in Parlamento una riforma di tale normativa, volta a risolverne i principali profili di criticità, sia di tipo organizzativo che funzionale.

La ricognizione

Da molti anni si sollecita una riforma della disciplina del sistema portuale italiano ed è attualmente in discussione in Parlamento un disegno di legge di iniziativa governativa il cui iter, proprio di recente, ha registrato un’improvvisa accelerata. Ai primi di agosto l’VIII Commissione del Senato, in sede referente, ha licenziato un testo, poi approvato dal Senato lo scorso 12 settembre. Si è, quindi, in attesa dell’approvazione da parte della Camera, ma – anche alla luce delle dichiarazioni dei diversi gruppi parlamentari e del Governo – è molto probabile che tale riforma, oramai trasversalmente condivisa, possa a breve vedere finalmente la luce.

Anteriormente alla prima riforma del settore portuale, avvenuta con la l. 28.1.1994, n. 84, vigeva un peculiare modello di governance, in base al quale sia la gestione diretta che l’amministrazione dei principali porti italiani era affidata ai cd. enti portuali. Oltre a compiti di amministrazione attiva (regolazione, direzione e controllo), agli enti portuali erano devolute funzioni di stampo prettamente economico, sia in termini di gestione diretta (stazioni marittime, depositi merci, mezzi meccanici, ecc.), che di vero e proprio esercizio di operazioni e servizi portuali1, con inevitabili ricadute negative derivanti dall’assenza di un regime concorrenziale2. Di qui la complessiva riforma dell’ordinamento portuale del 1994, volta, tra l’altro, ad aprire il settore alle logiche del libero mercato3. A tal fine, si è provveduto alla soppressione degli enti portuali, sostituiti dalle autorità portuali, soggetti pubblici di nuova istituzione ai quali sono state affidate sole funzioni di tipo pubblicistico (amministrazione, indirizzo e vigilanza), lasciando agli operatori privati – in un ambito di mercato concorrenziale – il compito di provvedere all’erogazione delle operazioni e dei servizi portuali4.

Ma evidentemente tutto ciò oggi non è più sufficiente, o, meglio, non consente più agli scali nazionali di essere competitivi con i più moderni ed efficienti modelli già da tempo operativi soprattutto nel nord Europa, ma ormai anche nel bacino del Mediterraneo5. Con la riforma attualmente in discussione il legislatore mira a rilanciare la realtà portuale nazionale intervenendo su diversi profili di criticità.

La focalizzazione. Il nuovo ruolo delle autorità portuali

Il disegno di riforma ricalca il modello introdotto dalla l. n. 84/1994 in base al quale l’autorità portuale esercita funzioni di regolazione e vigilanza del mercato concorrenziale delle operazioni e servizi portuali, nonché di programmazione e promozione della efficienza e competitività dell’ambito portuale di riferimento nel suo complesso6. Il progetto di riforma definisce tali soggetti «enti pubblici non economici» (art. 7, co. 2), ponendo fine al dibattito circa la natura giuridica – di ente economico7 o non economico8 – da riconoscere alle autorità portuali, consolidando così l’operatività del principio di separazione tra attività amministrative ed attività economiche e il relativo passaggio da tool port a landlord port9.

Ciò posto, la riforma sembra tesa a valorizzare i compiti di pianificazione, programmazione e promozione attribuiti agli enti in questione. In tale prospettiva, all’autorità portuale è espressamente affidato il ruolo di coordinare l’azione dei diversi soggetti pubblici operanti nell’ambito dei porti e delle aree demaniali marittime comprese nella circoscrizione territoriale, anche attraverso il ricorso all’istituto della conferenza di servizi (art. 1, co. 5). Al fine di consentire alle autorità portuali di esercitare in maniera efficiente il ruolo di amministrazione-cardine attorno cui ruota lo sviluppo dello scalo, il disegno di legge ne amplia i profili di autonomia sotto molteplici aspetti: affidando loro, in via esclusiva, l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo presenti all’interno delle circoscrizioni portuali (art. 1, co. 6) e riconoscendo espressamente agli enti in questione anche un’autonomia organizzativa (art. 7, co. 2)10.

2.1 Il Piano regolatore portuale

La riforma in esame è destinata ad incidere anche su uno dei principali compiti attribuiti alle autorità portuali: la redazione del Piano Regolatore Portuale (PRP)11. L’attuale formulazione dell’art. 5 l. n. 84/1994 dispone che «le previsioni del piano regolatore portuale non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti»; a fronte di potenziali conflitti tra i due strumenti di pianificazione12, pertanto, la scelta operata sino ad oggi è stata quella di far prevalere non la disposizione settoriale, bensì quella generale. In coerenza con la riforma del Titolo V della Costituzione, il progetto di riforma modifica tale assetto (art. 3), rimandando la definizione della corretta dinamica del rapporto tra i piani in questione alle normative regionali in materia di governo del territorio, ove verrà stabilito se e in che termini l’approvazione del PRP possa incidere sugli strumenti urbanistici. A ciò si aggiunga la previsione di un sostanziale snellimento della procedura di approvazione ed una più rigorosa tempistica, con la possibilità di ricorrere ad una conferenza di servizi preliminare e la necessità di conseguire con le amministrazioni comunali coinvolte un’intesa, seppur «debole»13. In ordine alla verifica circa la compatibilità del piano con gli interessi di tutela ambientale, si prevede, inoltre, che i PRP non siano più soggetti a VIA, bensì a VAS14, in tal modo colmando una grave lacuna.

2.2 La valorizzazione del sistema logistico

Uno dei principali fattori che negli ultimi anni hanno fatto segnare un passo indietro al settore portuale nazionale in termini di competitività è rappresentato dall’inadeguatezza dei contesti retroportuali e delle infrastrutture di collegamento con le reti di trasporto interne (autostrade e ferrovie)15. Al riguardo la riforma si propone di fornire alle Autorità portuali nuovi strumenti in grado di promuovere lo sviluppo di tale settore, sia attraverso la semplificazione dei procedimenti finalizzati alla realizzazione e al finanziamento delle relative infrastrutture, sia garantendo una maggiore integrazione tra le azioni delle diverse amministrazioni coinvolte. In particolare è prevista: a) l’introduzione di un nuovo art. 11 bis all’interno della l. n. 84/1994 (art. 12), contenente la disciplina relativa alla costituzione di sistemi logistico-portuali, in cui si fa riferimento a moderni modelli di cooperazione istituzionale tra autorità portuali, regioni, province e comuni interessati; b) l’istituzione di un Fondo per il finanziamento delle connessioni intermodali, alimentato dal 5% delle risorse statali destinate agli investimenti di ANAS s.p.a. e di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (art. 19).

2.3 Rapporto tra Presidente dell’Autorità portuale e Comitato portuale

Emerge con chiarezza l’intento di rimodulare il rapporto esistente tra il Presidente ed il Comitato portuale, attraverso una sostanziale e condivisibile riduzione delle competenze di tipo gestionale previste in capo a quest’ultimo. La disciplina attualmente in vigore attribuisce al Comitato rilevanti poteri decisionali, il che, tra l’altro, consente ai rappresentanti di coloro che risultano già titolari di concessione all’interno del porto di pronunciarsi sull’accesso al mercato da parte di imprese terze (concorrenti), finendo quasi per istituzionalizzare un sistema di condizionamento dell’attività dell’Autorità da parte degli imprenditori del settore. Deve guardarsi con favore, pertanto, quanto stabilito agli artt. 8 e 9 del disegno di legge, ove è prevista una forte riduzione delle competenze deliberative in capo al Comitato portuale, a favore di un incremento del livello dell’autonomia decisionale del Presidente dell’autorità, a cui è attribuita in via esclusiva (e non più di concerto con il Comitato) la funzione di amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo e portuale, nonché il rilascio delle autorizzazioni e concessioni di durata non superiore a quattro anni. Al presidente è altresì riconosciuto un nuovo potere cautelare che gli consente di adottare – in caso di necessità e di urgenza – atti di competenza del Comitato portuale, da sottoporre poi successivamente alla ratifica di quest’ultimo.

I profili problematici

Non mancano profili di criticità della disciplina che la prospettata riforma non sembra risolvere. Si pensi innanzitutto al fatto che mentre si riconduce espressamente l’autorità portuale alla categoria dell’ente pubblico non economico e, coerentemente, si prevede l’abrogazione dell’art. 6, co. 2, II alinea, che consentiva alle stesse autorità di costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali loro affidati, nel contempo – del tutto contraddittoriamente – viene confermata la facoltà, per le stesse autorità, di erogare in tutto o in parte servizi di interesse generale, anche attraverso la costituzione di una o più società tra le imprese operanti nel porto.

Un ulteriore elemento di fragilità non affrontato dalla riforma è rappresentato dalla frammentarietà del nostro sistema portuale, dalla presenza di un numero forse eccessivo di scali di rilievo nazionale, alcuni dei quali scarsamente competitivi, con consequenziale dispersione dei finanziamenti.

Tutto ancora da verificare, poi, è il rapporto che si andrà ad instaurare tra le autorità portuali e la nascente Authority dei trasporti, le cui competenze sembrano, per alcuni profili, sovrapporsi a quelle delle singole autorità portuali.

Note

1 Cfr. Sirianni, G., L’ordinamento portuale, Milano, 1981; Acquarone, L., Demanio marittimo e porti, in Dir. mar., 1983, 84 ss.; Pericu, G., Porto, (navigazione marittima), in Enc. dir., vol. XXXIV, Milano, 1985.

2 Circostanza ulteriormente aggravata dall’esistenza di una riserva in capo alle compagnie (o gruppi) portuali in ordine all’esercizio delle operazioni portuali (art. 110 c. nav.). Sul punto C. giust., 10.12.1991, C-179/90, Merci concorrenziali Porto di Genova c. Soc. Siderurgica Gabrielli; la Comunicazione della Commissione CE, 31.7.1992, in Dir. mar., 1992, 855 e Cons. St., sez. II, 13.5.1992.

3 In tema, ex multis, Xerri Salamone, A., L’ordinamento giuridico dei porti italiani, Milano, 1998; Traina, D.M., Porti, in Chiti, M.P.-Greco, G., a cura di, Trattato di diritto amministrativo europeo, II, Milano, 1999, 975 ss.

4 Cfr. Cons. St., sez. VI, 1.9.2000, n. 4656.

5 Sul punto cfr. Musso E., Ferrari C., Verso la riforma portuale, in Quaderni Regionali, 2009, 993.

6 Cfr. Vermiglio, G., Autorità portuale, in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002, 198 ss.

7 Cfr. Cass., sez. lav., 3.7.2004, n. 12232; Cons. Giust. Amm., 15.4.2005, n. 239.

8 Cfr. Corte Conti, 19.4.1994, n. 15; Cons. St., sez. III, 9.7.2002, n. 1641.

9 Per una ricostruzione del dibattito in questione cfr. Spasiano, M.R., Spunti di riflessione in ordine alla natura giuridica e all’autonomia dell’autorità portuale, in Foro amm.-TAR, 2007, 2966.

10 In ordine al diverso profilo dell’autonomia finanziaria si rinvia alla relativa Questione del presente volume.

11 In generale, in tema di pianificazione portuale cfr. Acquarone, G., Il Piano Regolatore delle Autorità portuali, Milano, 2009.

12 Cfr. Ragusa, M., Il coordinamento tra PRG e piano portuale, in Riv. giur. ed., 2010, 440.

13 Al riguardo, infatti, da un lato, si introduce il regime del silenzio assenso in caso di mancata risposta da parte degli enti locali entro 90 gg. dalla comunicazione del PRP adottato e, dall’altro – in ipotesi di mancato raggiungimento dell’intesa – al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti spetta l’onere di convocare una conferenza di servizi (decisoria) chiamata ad assumere a maggioranza ed entro 60 gg. le determinazioni in ordine al PRP.

14 Il progetto di riforma, invero, non si limita a rinviare alla disciplina generale della VAS, introducendo, al contrario, una procedura particolare.

15 Sulla necessità di una intensificazione dei collegamenti dei porti con i cd. Inland terminals v. Nottembon, T.E.-Winkelmans, W., Structural change in logistics: how will Port Authorities face the challenge?, in Maritime Policy and Management, 2001, 71 ss.

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