Il pegno

Diritto on line (2019)

Adele Berti Suman

Abstract

Viene esaminato l’istituto del pegno, soffermandosi, in particolare, sull’oggetto e sulla possibilità di costituzione senza spossessamento del bene. Si analizzano le differenze tra pegno regolare ed irregolare e le fattispecie “anomale” di pegno, con specifica attenzione alla disciplina del pegno mobiliare non possessorio, introdotta dall’art. 1 del d.l. n. 59/2016.

Premessa

Il pegno è uno strumento previsto dall’ordinamento atto a consentire una maggior probabilità di soddisfacimento del credito. Il codice civile non definisce l’istituto, limitandosi a riconoscerne la struttura e la funzione nonché a disciplinarne le modalità di costituzione e la sua operatività.

In particolare, l’art. 2784 c.c. stabilisce che «il pegno è costituito a garanzia dell’obbligazione o da un terzo per il debitore». Dalla disposizione si evince, da un lato, la funzione di garanzia del pegno; dall’altro, il fatto che esso può essere costituto non solo dal debitore ma anche da un terzo.

In assenza di una precisa definizione normativa, il pegno viene tradizionalmente annoverato nell’ambito dei diritti reali di garanzia, configurandosi come un diritto reale su un bene mobile concesso a garanzia dell’obbligazione dallo stesso debitore o da un terzo a vantaggio del creditore.

Rispetto al precedente codice del 1865, che collocava il pegno nel libro dedicato ai contratti (segnatamente, libro III, titolo XIX, artt. 1882-1889), la disciplina attuale dell’istituto è ora contenuta nella parte relativa alla tutela dei diritti, ponendo in rilievo l’identità di funzione tra pegno ed ipoteca (Gorla, G., Del pegno, delle ipoteche: art. 2784-2899, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, spiega tale nuova struttura affermando l’integrazione e il coordinamento tra i due istituti, con estensione al pegno delle norme dettate dal legislatore in materia di ipoteca).

Si tratta, infatti, di una garanzia accessoria, correlata ad un credito, che rappresenta, come l’ipoteca, un’ipotesi di causa legittima di prelazione. Ciò vuol dire che il creditore pignoratizio può essere soddisfatto con precedenza rispetto agli altri creditori.

Nello specifico, la garanzia in esame attribuisce al creditore lo ius distrahendi, ossia la facoltà di espropriare la cosa, lo ius prelationis, ossia il diritto ad essere preferito rispetto a tutti gli altri creditori, e lo ius sequelae, ossia il diritto di sottoporre il bene ad esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di un terzo.

Seppur aventi il medesimo profilo funzionale, pegno ed ipoteca si differenziano quanto ad oggetto e modalità di costituzione. Il pegno, infatti, diversamente dall’ipoteca, può avere ad oggetto beni mobili, universalità di mobili, crediti ed altri diritti aventi ad oggetto beni mobili (art. 2784 c.c.) e può essere costituito sia a titolo gratuito che a titolo oneroso, salva l’ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 2901 c.c. che, ai limitati effetti della revocatoria, considera come onerosa la concessione di garanzia contestuale al credito garantito.

Le caratteristiche tradizionali della garanzia pignoratizia sono: la tipicità, che caratterizza tutti i diritti reali; la realità, trattandosi di diritto che insiste su di una res materiale; l’accessorietà (art. 2784 c.c.), che indica il collegamento ad un’obbligazione preesistente, di cui presuppone l’esistenza e la validità; la specialità, in quanto si costituisce su un singolo bene, non potendo configurarsi pegni di tipo collettivo; l’indivisibilità (art. 2799 c.c.), che comporta che, in caso di adempimento parziale, non verrà meno parte della garanzia.

La dottrina recente e lo stesso legislatore ammettono, tuttavia, alcune eccezioni al pedissequo rispetto di tali caratteri. Nella prassi si sono infatti sviluppate diverse tipologie di pegno che si distanziano dai canoni tradizionali, quanto ad oggetto e a modalità di costituzione, con lo scopo di adeguare il formante legale alle attuali esigenze del settore commerciale ed industriale.

L’oggetto del pegno e la ratio dello spossessamento

L’art. 2784, co. 2, c.c. prevede che «possono essere dati in pegno i beni mobili, le universalità di mobili, i crediti e altri diritti aventi per oggetto beni mobili». La questione concernente la determinazione dei beni che possono essere oggetto del pegno si lega con quella relativa alla sua modalità di costituzione.

In generale, il pegno si costituisce tramite un contratto di natura reale, per il cui perfezionamento non sono necessarie particolari formalità, essendo sufficiente la consegna materiale del bene. Quest’ultima conferisce al creditore l’esclusiva disponibilità della cosa.

L’oggetto entra dunque immediatamente nelle mani del creditore, il quale può disporne liberamente: in ciò sta un’importante differenza rispetto all’ipoteca, che invece è una garanzia preventiva, che si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari, senza che il bene sia sottratto al debitore.

Per la nascita del pegno deve verificarsi lo spossessamento del debitore e la concreta appropriazione dell’oggetto della garanzia da parte del creditore (cd. traditio). Tale modalità di costituzione tutela l’interesse del creditore, evitando, anzitutto, che il debitore, mantenendo il possesso della cosa, possa danneggiare il bene oggetto di garanzia. La consegna del bene si rende, inoltre, necessaria a causa del fatto che i beni mobili, oggetto di pegno, non sono soggetti a trascrizione; lo spossessamento svolge, dunque, di fatto, una funzione cd. di pubblicità.

Tale esigenza è evidente se si pensa che in tale ambito opera il principio del cd. possesso vale titolo previsto dall’art. 1153 c.c.  In virtù di tale regola, in mancanza di uno spossessamento, il debitore potrebbe trasferire il bene che rimane nel suo possesso al terzo, il quale, qualora fosse in buona fede, ben potrebbe acquistare il diritto reale di proprietà sul bene in virtù, appunto, del possesso vale titolo, a danno dal creditore, che si troverebbe privato della sua garanzia. La detenzione del bene da parte del creditore e il contestuale spossessamento del debitore costituisce, pertanto, una forma, seppur rudimentale, di pubblicità, la quale, nei rapporti interni tra creditore e debitore, garantisce il primo dall’evenienza che il debitore possa liberamente disporne nei confronti di terzi; mentre, nei rapporti esterni, diffida i medesimi terzi ad acquisire diritti sul bene.

L’orientamento tradizionale considera, dunque, lo spossessamento come elemento essenziale sia per la nascita del diritto reale di garanzia sia per la permanenza del vincolo: con l’impossessamento il pegno diventa opponibile erga omnes, con ciò privando il debitore della possibilità di disporne in termini pregiudizievoli rispetto agli interessi del creditore. Secondo tale impostazione, la consegna del bene dal debitore al creditore rileva non solo nel momento genetico ma anche sotto il profilo funzionale, consentendo la persistenza della garanzia.

D’altra parte, deve però osservarsi come lo spossessamento del bene, specie qualora si tratti di beni produttivi (es. i beni aziendali destinati alla produzione, le merci in lavorazione, ecc.), abbia effetti negativi in termini di implementazione della ricchezza, nonché in relazione alla speditezza dei traffici giuridici.

Proprio in virtù della necessità di mantenere la destinazione dei beni (strumentali o materiali) all’esercizio dell’attività imprenditoriale, parte della dottrina ritiene che la privazione del bene non debba essere considerato vero e proprio elemento imprescindibile per la costituzione del pegno.  Seguendo tale prospettiva, la funzione di garanzia nel pegno “può”, ma non “deve” necessariamente essere attuata mediante lo spossessamento della disponibilità materiale dei beni del debitore, ben potendosi utilizzare tecniche alternative parimenti idonee alla privazione del potere dispositivo del debitore sui beni offerti in garanzia (Gabrielli, E., Il pegno “anomalo”, Padova, 1990, 74 ss.).

Peraltro, lo stesso legislatore talvolta configura il contratto costitutivo del pegno senza spossessamento e quindi come meramente consensuale e non già reale. Così, ad esempio, avviene per il pegno sui prosciutti a denominazione di origine controllata, ove il produttore dei prosciutti che intende ottenere un credito può mantenere la disponibilità dei prosciutti costituendo il pegno con l’apposizione sulle cosce fresche di maiale, a cura del creditore pignoratizio, di uno speciale contrassegno indelebile (finalizzato a rendere nota ai terzi l’esistenza del pegno) e contestuale annotazione della costituzione su appositi registri vidimati annualmente (art. 1 l. 24.7.1985, n. 401).

Ancora, disciplinano forme “anomale” di pegno, caratterizzate dall’assenza del requisito costitutivo dello spossessamento, la l. 27.3.2001, n. 122, per i prodotti lattiero caseari, il d.lgs. 29.3.2004, n. 102, sulla pignorabilità di quote-latte, diritti d’aiuto e diritti di reimpianto, fino al recente d.l. 3.5.2016, n. 59, conv. con modificazioni con l. 30.6.2016, n. 119, sul pegno mobiliare non possessorio (v. infra § 7).

Il pegno irregolare

Con riferimento all’oggetto del pegno, una ipotesi particolare è il cd. pegno irregolare, il quale si configura ogniqualvolta il debitore costituisca in pegno una cosa fungibile per natura (ad es. titolo o somma di denaro). Si parla in tali casi di cauzione o di deposito cauzionale.

Ancorché nato con riferimento ai contratti bancari, tale tipologia di pegno non presenta limitazioni di carattere soggettivo, potendo essere prestato o ricevuto da chiunque.

La fungibilità del bene oggetto del pegno comporta che si trasferisca al creditore la proprietà della cosa e non il semplice possesso: il primo ha la facoltà di disporre della res e deve restituire, una volta estinto il debito, il tantundem, ossia una cosa dello stesso genere e quantità (per questi motivi, il pegno in questione si definisce, appunto, irregolare).

La giurisprudenza ha precisato che «la natura giuridica del pegno irregolare comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano – diversamente che nell’ipotesi di pegno regolare – di proprietà del creditore stesso, che ha diritto a soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli artt. 2796-2798 c.c. (che postula l’altruità delle cose ricevute in pegno), bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori» (Cass., 10.2.2015, n. 2479).

L’art. 1851 c.c. in materia di anticipazione bancaria, disciplina espressamente il pegno irregolare, prevedendo che «se, a garanzia di uno o più crediti, sono vincolati depositi di danaro, merci o titoli che non siano stati individuati o per i quali sia stata conferita alla banca la facoltà di disporre, la banca deve restituire solo la somma o la parte delle merci o dei titoli che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. L’eccedenza è determinata in relazione al valore delle merci o dei titoli al tempo della scadenza dei crediti».

La costituzione di un pegno irregolare non costituisce una deroga al divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. in quanto, a mente del disposto del precedente art. 1851 c.c., è consentito al creditore, nell’ipotesi di inadempimento della controparte, di fare definitivamente propria la (sola) somma corrispondente al credito garantito e, quindi, di compensarlo con il suo debito di restituzione del tantundem, nel legittimo esercizio del proprio diritto di prelazione. La produzione dell’effetto reale è, in sostanza, subordinata ad una verifica della corrispondenza tra il credito garantito e il valore del bene trasferito, con obbligo di restituzione della parte eccedente. Nella medesima ottica, peraltro, si ammettono le figure della cessione di crediti, del pegno di credito e dei contratti di garanzia finanziaria, nonché i casi di cd. patto marciano.

Di recente, ci si è interrogati circa la possibilità di considerare la garanzia pignoratizia costituita sul saldo di conto corrente bancario, in assenza di specifica previsione della facoltà di disporre di detto saldo, come una ipotesi pegno irregolare. I giudici della Suprema Corte hanno dato risposta negativa, ritenendo che la costituzione di un vincolo pignoratizio sul saldo di conto corrente bancario a favore della stessa banca depositaria non faccia, di per sé, passare la proprietà del bene alla banca, così come accade con la costituzione del vincolo pignoratizio sul denaro. Affinché sia qualificabile come pegno irregolare è infatti necessario che sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre delle relative somme (Cass., 8.8.2016, n. 16618).

Il pegno su cosa futura

Una ulteriore tipologia peculiare di pegno è il pegno su cosa futura, trattandosi di un negozio atipico consensuale, con il quale le parti individuano una cosa futura come oggetto della garanzia. Con l’espressione “cosa futura” si fa riferimento ad una cosa non ancora esistente in rerum natura ovvero ad un bene che attualmente non fa parte del patrimonio di un determinato soggetto (Majorca, C., Il pegno di cosa futura ed il pegno di cosa altrui, Milano, 1938, 21).

In ossequio al principio di specialità, che caratterizza tutti i diritti reali, il pegno, così come l’ipoteca e l’anticresi, devono avere ad oggetto beni specificamente individuati. Pertanto, il pegno su cosa futura (come anche quello su cosa generica) si costituisce soltanto nel momento in cui il bene sia venuto ad esistenza (oppure sia stato oggetto di individuazione).

Nonostante la mancanza di una espressa disposizione codicistica, la dottrina prevalente tende ad ammettere che un bene futuro possa formare oggetto di un valido titolo costitutivo di pegno. Parimenti, si ritiene possibile formare il pegno su una cosa futura di natura fungibile, atteggiandosi, in tal caso, il vincolo come pegno irregolare di cosa futura.

La particolarità di tale fattispecie consiste nella distanza temporale tra il momento genetico del contratto, riconducibile all’accordo tra le parti, e quello in cui il pegno viene concretamente costituito, mediante la consegna al creditore della cosa, nel frattempo venuta ad esistenza.

Alcuni autori per spiegare tale fenomeno ricorrono alla fattispecie del contratto preliminare, cui dovrebbe seguire un contratto definitivo da concludersi nel momento in cui il bene sia venuto ad esistenza (Rubino, D., Il pegno, in Tratt. Vassalli, Torino, 1949, 205). Tale ricostruzione è stata, tuttavia, soggetta ad alcune critiche. Tra le altre, si è osservato che essa «non solo dà vita ad una costruzione complicata, ma pare assai poco conforme alla realtà effettiva del fenomeno, il quale non presuppone affatto ulteriori manifestazioni di volontà negoziali concomitanti con la consegna della res, ma si concretizza in una serie di atti i cui effetti sono direttamente ricollegabili all’originario accordo contrattuale» (Cass., 1.8.1996, n. 6969).

Secondo altri il contratto sarebbe fin dall’origine definitivo e di natura consensuale, e la consegna avrebbe mero valore simbolico (ovvero riguardare la cosa-madre produttiva, come nel caso di pegno sui frutti con consegna iniziale delle piante) (Ciccarello, S., voce Pegno, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 686).

L’impostazione dominante (Gazzoni, F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 667), accreditata anche dalla giurisprudenza (Cass., 26.3.2010, n. 7257), considera, tuttavia, il pegno di cosa futura una «fattispecie a formazione progressiva», che trae origine da un accordo tra le parti avente meri effetti obbligatori e si perfeziona con la venuta ad esistenza della cosa e la consegna della stessa al creditore.

Il pegno omnibus

Una controversa questione concerne l’ammissibilità e l’opponibilità ai terzi del cd. pegno omnibus, caratterizzato da una indicazione generica del credito garantito nell’atto costitutivo della garanzia. Si tratta di una prassi sorta in ambito bancario e finanziario in base alla quale si inserisce nei contratti una clausola (cd. clausola omnibus) in virtù della quale il pegno costituto dal cliente garantisce anche i crediti futuri ed eventuali che la banca possa vantare nei suoi confronti.

Diversamente dal pegno di cosa futura, in cui la volontà è perfetta fin dall’origine, perché sono determinati sia il pegno sia il credito da garantire, tale fattispecie solleva maggiori dubbi di validità, posto che l’indeterminatezza riguarda il credito e non il bene dato in garanzia.

Per la costituzione di un valido titolo di pegno si richiede, infatti, una sufficiente, e quindi non generica, determinazione o determinabilità del credito garantito. Tali caratteri sono logico corollario del principio di accessorietà, il quale indica il vincolo di dipendenza e derivatività del rapporto di garanzia rispetto al rapporto di credito: l’esistenza del pegno dipende dall’esistenza di un titolo di credito specifico, a tutela degli interessi degli altri creditori.

La sufficiente determinazione del credito garantito, quale carattere essenziale del contratto costitutivo di pegno, si evince in termini generali dal disposto dell’art. 1346 c.c., ai sensi del quale l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. In mancanza di una di tali caratteristiche, il contratto deve pertanto dirsi viziato da nullità strutturale ex art. 1418, co. 2, c.c. Inoltre, in tema di pegno di cose mobili, il requisito della specificità è imposto dall’art. 2787, co. 3, c.c. al fine di rendere opponibile ai creditori concorrenti il diritto di prelazione scaturente dalla costituzione del vincolo. Tale articolo stabilisce che, qualora il credito garantito ecceda le lire 5.000 (ora 2,58 euro), la prelazione del creditore pignoratizio non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa data in pegno. La norma sancisce un principio di ordine pubblico, atto a tutelare la posizione dei terzi e dei creditori.

Una parte (minoritaria) della dottrina, e alcune sporadiche pronunce, considerano valido il pegno ominibus, ritenendo che «configurando la costituzione del pegno come una fattispecie complessa (consenso più impossessamento) … la fattispecie complessa si perfezionerebbe con il successivo sopravvenire della detenzione in capo alla banca, poiché il preventivo consenso costituisce titolo del mutamento dell’animus detinendi in animus possidendi e dunque il titolo del necessario impossessamento ‘a titolo di pegno’» (Marano, P., Pegno bancario e fallimento, in Banca borsa, 2000, I, 157 ss.; Colombo, G.E., Pegno bancario; le clausole di estensione, la prova della data, ivi, 1982, I, 193 ss., 201). D’altra parte, si è osservato come non si possa «escludere ab initio la possibilità dell’esistenza di queste clausole, perché esse rispondono alla necessità pratica di adattare le garanzie alle caratteristiche concrete dei rapporti bancari (ed in particolare, al fatto che in questi il rapporto con il cliente non suole limitarsi ad un’operazione determinata, bensì si configura come una molteplicità di negozi che si sviluppano in un periodo di tempo relativamente lungo)»  (Salinas, C., Il pegno “omnibus”, in Banca borsa, 1997, 603 ss., 622).

La giurisprudenza dominante ritiene nulla, e dunque non opponibile ai terzi, per contrasto con l’art. 2787, co. 3, c.c. citato, la clausola contrattuale che estende il pegno a tutti i crediti, anche se futuri ed eventuali, intercorrenti tra istituto bancario e cliente, a causa dell’indeterminatezza del credito garantito. Secondo alcune pronunce, si tratta di una nullità che si estende all’intero contratto (Trib. Torino, 8.3.1995, in Fall., 1995, 881 e conforme Trib. Torino 21.11.94 in Dir. banca, 1995, 580), per altri arresti, invece, essa sarebbe solo parziale, non travolgendo ipso facto l’efficacia della prelazione pignoratizia anche con riferimento al singolo credito specificatamente indicato (Cass., 11.8.1990, n. 7871).

Nello stesso tempo, si è rilevato che affinché un credito possa ritenersi sufficientemente indicato, «non occorre che esso venga specificato, nella scrittura costitutiva del pegno, in tutti i suoi elementi oggettivi, bastando che la scrittura medesima contenga elementi che comunque portino alla identificazione del credito garantito, i quali siano presenti all’interno della scrittura o anche ad essa esterni, purché il documento contenga indici di collegamento utili alla individuazione del credito e della cosa» (Cass., 26.1.2006, n.1532). In quest’ottica, si ammette la possibilità di costituire il pegno su un conto corrente, nel caso in cui non vi siano problemi ad identificare la somma garantita.

Dunque, affinché possa sorgere un valido vincolo costitutivo di pegno, non è necessario che il credito sia sorto (come visto, si ammette il pegno su cosa futura) né che sia perfettamente determinato a priori, dovendo però sempre derivare, in ossequio al principio di accessorietà, da un preesistente rapporto giuridico specificato nell’atto costitutivo della garanzia che consenta di renderlo ex ante determinabile.

Il pegno rotativo

La necessaria determinatezza dell’oggetto del pegno ha posto dubbi di ammissibilità anche rispetto al cd. pegno rotativo, che consente al debitore di sostituire, nel tempo, l’oggetto del pegno con altro di eguale valore, senza novazione del rapporto originario.

L’esigenza di utilizzare tale meccanismo sostitutivo è nata con riferimento ai titoli di debito pubblico. La frequente scadenza di tali titoli precedentemente all’estinzione del credito garantito, infatti, portava gli operatori a sostituire i primi con nuovi strumenti finanziari, acquistati con il controvalore di quelli scaduti, ponendo problemi relativi alla sorte del contratto stipulato ab origine.

Per lungo tempo la dottrina, proprio in ragione del principio di specificità, ha ritenuto che la sostituzione dell’oggetto del pegno fosse possibile solo se subordinato ad un nuovo accordo, costituivo di una nuova garanzia. Tuttavia, con il trascorrere del tempo, si è avvertita l’esigenza di modernizzare l’impostazione tradizionale, introducendo la possibilità di mutamento del bene dato in pegno senza una modificazione originaria del rapporto, tramite l’elaborazione della figura del cd. pegno rotativo.

Secondo autorevole definizione, il pegno rotativo è quella «forma di garanzia che consente la sostituibilità e mutabilità nel tempo dell’oggetto senza comportare, ad ogni mutamento, la rinnovazione del compimento delle modalità richieste per la costituzione della garanzia o per il sorgere del diritto di prelazione, ovvero senza che dia luogo alle condizioni per la revocabilità dell’operazione economica in tal modo posta in essere» (Gabrielli, E., Le garanzie rotative, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, diretto da F. Galgano, Torino, I, 1995, 853). Tale fattispecie, che ha avuto larga (se non esclusiva) diffusione nella prassi bancaria, consiste nell’inserimento di una clausola che permette al creditore (la banca) di sostituire la cosa consegnata dal debitore (il cliente) con un’altra, senza che si realizzi una novazione, con un nuovo contratto di pegno.

L’elemento problematico della figura in esame non è costituito tanto dal rischio per gli altri creditori, specie nei casi in cui i nuovi beni dati in garanzia abbiano un valore non superiore a quelli precedenti, quanto piuttosto del potenziale contrasto con il principio di specialità del pegno, che richiede che i beni soggetti al vincolo pignoratizio siano predeterminati esattamente nel contratto costitutivo.

La giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il cd. patto di rotatività, individuando i seguenti requisiti indispensabili: a) la consegna sostitutiva del bene deve essere effettiva; b) la convenzione costitutiva della garanzia, con cui le parti prevedono la possibilità della sostituzione dei beni originariamente previsti in garanzia senza novazione del rapporto originario, deve risultare da atto scritto avente data certa, il quale contenga «sufficiente indicazione del credito e della cosa»; c) le future sostituzioni devono mantenersi entro il valore dei beni originariamente costituti in pegno (cd. neutralità del valore) (Cass., 28.5.1998, n. 5264 e, più di recente, Cass., 22.12.2015, n. 25796).

Con specifico riferimento a tale ultimo punto, si osserva che le stesse norme codicistiche che dettano la disciplina del pegno non prendono in considerazione la “cosa” nella sua individualità, bensì la sua componente di valore. Il bene oggetto di pegno deve dunque essere inteso come “riserva di valore”, ben potendosi ammettere la sua sostituzione qualora il valore dello stesso rimanga inalterato.

Anche il legislatore ha mostrato attenzione nei confronti della fattispecie in questione, attuando un procedimento di tipizzazione normativa dell’istituto. Tale processo ha preso avvio con il d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e, soprattutto, con il d.lgs. 24.6.1998, n. 213 (il cd. decreto euro), cui si è aggiunto, altresì, il d.lgs. 21.5.2004, n. 170, reso in attuazione della direttiva sui contratti di garanzia finanziaria 2002/47/CE, in seguito modificata dalla dir. 2009/44/CE. Tali normative prevedono garanzie rotative simili (seppure non identiche) al modello di pegno rotativo prevalentemente applicato nella prassi.

Il pegno mobiliare non possessorio

L’analisi dell’istituto del pegno impone, da ultimo, di analizzare la recente disciplina contenuta nell’art. 1 del d.l. 3.5.2016, n. 59 (Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione) convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l. 30.6.2016, n. 119, che ha introdotto la nuova figura del pegno mobiliare non possessorio.

La riforma mira a sostenere le imprese, agevolando il loro accesso al credito. Tale fine è ben evidente già dal titolo del capo I del decreto, in cui è collocata la disciplina del pegno non possessorio, recante Misure a sostegno delle imprese e di accelerazione del recupero dei crediti.

La norma consente agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese di costituire in pegno i beni destinati all’esercizio dell’impresa (materiali ed immateriali) senza consegna del bene, che resta, quindi, nella disponibilità del debitore. In tal modo, tali beni possono continuare ad essere utilizzati nell’attività imprenditoriale, con evidenti vantaggi per le imprese debitrici, che potranno continuare a produrre, accedendo al credito senza rinunciare ad avvalersi dei beni strumentali, ancorché oggetto di pegno.

La mancanza di spossessamento è surrogata da uno strumento di pubblicità formale. Infatti, la norma stabilisce che per rendere opponibile a terzi il vincolo costitutivo del pegno è necessario che esso risulti iscritto ad un apposito registro informatizzato presso l’Agenzia delle Entrate (cd. registro dei pegni non possessori).

La predetta iscrizione, oltre ad avere un valore dichiarativo, ha altresì valore costitutivo (al pari dell’ipoteca), come emerge dal tenore letterale dell’art. 1, co. 4, d.lgs. n. 59/2016, in base al quale «il pegno non possessorio si costituisce esclusivamente con la iscrizione in un registro informatizzato costituito presso l’Agenzia delle entrate e denominato ‘registro dei pegni non possessori’; dalla data dell’iscrizione il pegno prende grado ed è opponibile ai terzi e nelle procedure concorsuali». In tal modo, si conferma indirettamente la funzione di pubblicità propria dello spossessamento, sostituita, per esigenze commerciali, dall’iscrizione in un pubblico registro.

Invero, la neo-introdotta fattispecie non configura semplicemente un pegno senza trasferimento del possesso al creditore, ma è anche un pegno rotativo, pegno omnibus, un pegno su beni e crediti futuri e assistito da un patto marciano.

La disciplina del pegno non possessorio contiene dunque regole che attenuano in modo significativo sia il principio di specialità che di determinatezza.

Dal fatto che oggetto della garanzia possono essere beni mobili non solo esistenti, ma anche futuri, determinati o anche solo determinabili mediante il riferimento ad un valore complessivo, si ricava che il pegno non possessorio si configura come un “pegno di valore”: acquista rilevanza non il bene in sé oggetto del pegno, quanto, piuttosto, il valore che rappresenta. Proprio per questo motivo, il co. 2 dell’art. 1 citato consente al debitore, se non diversamente previsto dal contratto, di poter trasformare, alienare, o comunque disporre del bene oggetto di pegno. In tal caso, il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia.

La naturale rotatività che si riconosce a tale fattispecie è riconducibile all’intrinseco dinamismo dell’attività di impresa. In proposito si è osservato che il pegno non possessorio «deve considerarsi naturaliter rotativo, proprio perché manca in re ipsa un interesse al possesso del bene, che viene assunto non in sé, nella sua materialità, ma come valore. E questo spiega perché il diritto alla trasformazione o alla disposizione venga lasciato alla autonomia contrattuale» (Lamanna, F., Decreto banche: iper tutela del credito e ritocchi telematici alla legge fallimentare, in Il civilista, 2016, 16). Discostandosi da quanto affermato dalla giurisprudenza in materia, la norma sulla rotatività non richiede che la sostituzione avvenga entro i limiti di valore dei beni originariamente pattuiti.

La particolarità della fattispecie consiste nel fatto che la rotatività viene qui assegnata non al creditore ma al debitore, il quale mantiene la disponibilità del bene. Ciò non espone al pericolo che nelle operazioni di sostituzione il nuovo bene abbia valore inferiore rispetto al bene precedente.

Al di là di tali criticità, è evidente che con l’introduzione di tale sotto-tipo il legislatore ha voluto sdoganare tutte le figure atipiche di pegno, ammettendo – seppure limitatamente ai debiti aziendali – un’unica fattispecie che le contenesse tutte.

Fonti normative

Artt. 1153,1851, 2744, 2784 ss. c.c.; art. 1, co. 1-9, d.l. 3.5.2016, n. 59 conv. con modificazioni dalla l. 30.6.2016, n. 119.

Bibliografia essenziale

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