Il processo amministrativo telematico e la l. n. 132/2015

Libro dell'anno del Diritto 2016

Il processo amministrativo telematico e la l. n. 132/2015

Ines Pisano

Il d.l. 27.06.2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria) convertito, con modificazioni, nella l. 6.8.2015, n. 1321, ha sancito che dal 1.1.2016, data di entrata in vigore del processo telematico, il deposito di ogni atto e documento processuale – tanto in primo grado che in appello – avvenga con modalità esclusivamente telematiche. Il processo amministrativo telematico (PAT) appare, quindi, ormai veramente prossimo alla partenza. Non resta, quindi, che attendere le relative regole tecnico-operative.

La ricognizione

L’intervento normativo operato dal d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni, nella l. n. 132/2015, è ispirato dalla necessità di integrare la lacunosa disposizione dell’art.136, co. 2-bis del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2.7.2010, n. 104) – secondo cui «a decorrere dal 1° gennaio 2016, tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale» – con ulteriori norme primarie volte a dettare i punti cardinali delle regole tecnico-operative di cui all’articolo 13 dell’All. 2 del c.p.a., in via di emanazione.

Rispetto al testo proposto dal Governo – che, all’articolo 20, co. 1, lett. b), d.l. n. 83/2015 si limitava a posticipare al 1.1.2016 l’entrata in vigore del PAT (già prevista prima per il 30.6.2015) – il legislatore ha introdotto ulteriori previsioni volte ad incidere profondamente sul tradizionale impianto “cartaceo” del c.p.a. Ciò dimostra il fallimento dell’intento della Commissione per la redazione del c.p. a. di delegare interamente alla fonte di rango secondario il compito di regolamentare il PAT. Benché il d.P.C.M. appaia, infatti, strumento più duttile rispetto alla necessità di adeguare il Codice alle continue innovazioni tecnologiche, la modifica in senso “telematico” delle corrispondenti disposizioni non può che essere demandata al legislatore.

1.1 Il nuovo contenuto degli artt. 129 e 136, co. 2, c.p.a.

L’art. 20, co. 1-bis, lett. a), d.l. n. 83/2015, come convertito dalla l. n.132/2015, modificando, in parte qua, l’art. 129, co. 4, c.p.a. prevede innanzitutto che – in caso di giudizio instaurato avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali – le parti, anche nel caso in cui stiano in giudizio personalmente, sono obbligate ad indicare, nel ricorso introduttivo o negli atti di costituzione in giudizio l’indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax da valere «per ogni eventuale comunicazione e notificazione» (ove già non risulti dai pubblici elenchi).

Tale previsione costituisce una ipotesi peculiare rispetto a quanto già previsto, in generale, per le ulteriori fattispecie in cui l’art. 23 c.p.a. consente alle parti di stare in giudizio personalmente: in tali casi, infatti, l’art. 42, d.l. 24.06.2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari) convertito, con modificazioni, nella l. 11.8.2014, n. 114, attribuisce alle parti la semplice facoltà – e non l’obbligo – di indicare l’eventuale indirizzo p.e.c. (ma non il fax) esclusivamente ai fini delle comunicazioni processuali.

A seguito della recente modifica dell’art. 136, co. 1, c.p.a.2, che ha eliminato per i difensori l’obbligo di comunicare l’indirizzo p.e.c. al quale ricevere le comunicazioni processuali (dandosi per scontato che tale indirizzo debba coincidere con quello risultante dai pubblici elenchi), l’art. 129, co. 4, c.p.a. costituisce l’unica ipotesi in cui il Codice impone alle parti l’obbligo di indicare, già nel ricorso introduttivo l’indirizzo p.e.c. rilevante non soltanto ai fini delle comunicazioni e notificazioni processuali ma, altresì, per le notificazioni a mezzo p.e.c. degli atti di appello (dovendo il giudizio elettorale svolgersi e concludersi in tempi brevissimi, incompatibili con le tradizionali modalità di comunicazione e notificazione in forma cartacea).

La novità più importante introdotta dal d.l. n. 83/2015 è, tuttavia, quella prevista nell’art. 20, co. 1-bis, lett. b), convertito in legge dall’art. 1, l. n. 132/2015, che ha interamente riscritto la precedente formulazione dell’art. 136 , co. 2, c.p.a., disponendo che «I difensori costituiti, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche. In casi eccezionali, il presidente può dispensare dall’osservanza di quanto previsto dal presente comma, secondo quanto previsto dalle regole tecniche di cui all’articolo 13 delle norme di attuazione».

Si prevede che, a decorrere dall’entrata in vigore del PAT, tutti gli attori processuali – non solo, quindi, i difensori costituiti ma anche gli ausiliari del giudice nonché le parti pubbliche e private che stanno in giudizio personalmente – depositino gli atti e documenti processuali con modalità telematiche, salvo casi eccezionali nei quali la dispensa dal deposito telematico potrà essere autorizzata «dal presidente».

La disposizione dimentica, invece, di riportare che – ai sensi dell’art.136, co. 2-bis, c.p.a. – anche il Giudice è sottoposto al medesimo obbligo di redazione e deposito di qualsiasi provvedimento con modalità telematiche.

Non è invece chiaro se la dispensa debba essere autorizzata dal presidente della sezione, prima della scadenza del termine processuale (con un potere monocratico analogo a quello di cui all’art. 56 c.p.a.) o possa avvenire anche a termini scaduti, ad opera del presidente del collegio giudicante (in una sorta di rimessione in termini per errore scusabile ex art. 37 c.p.a.).

A ciò si accompagna, come logica conseguenza, la previsione dell’art. 20, co. 1-bis, lettere c), d), e) del d.l. n. 83/2015, che, come convertito in legge, ha abrogato talune delle disposizioni delle norme di attuazione del c.p.a. più strettamente connesse con le attività cartacee delle segreterie degli uffici giudiziari della giustizia amministrativa.

In particolare, dal 1.1.2016 sono abrogati l’art. 2, co. 5, All. 2, c.p.a. (ai sensi del quale «La segreteria cura la formazione dell’originale dei provvedimenti del giudice, raccogliendo le sottoscrizioni necessarie e apponendo il timbro e la firma di congiunzione tra i fogli che li compongono») nonché l’ art. 5, co. 2, All. 2 c.p.a. (secondo cui «gli atti devono essere depositati in numero di copie corrispondente ai componenti del collegio e alle altre parti costituite. Se il fascicolo di parte e i depositi successivi non contengono le copie degli atti di cui al presente comma gli atti depositati sono trattenuti in segreteria e il giudice non ne può tenere conto prima che la parte abbia provveduto all’integrazione del numero di copie richieste»).

L’art. 5, co. 3, All. 2, c.p.a. viene invece modificato – sulla falsariga di quanto previsto per il processo civile – attribuendo sempre alla segreteria il compito di formare il fascicolo d’ufficio e di redigerne il relativo indice, ma in modalità digitale3 anziché cartacea.

La focalizzazione delle questionipiù importanti

La modifica più rilevante introdotta dalla l. n.132/2015 è costituita dalla previsione generalizzata del deposito di qualsiasi atto e documento processuale con modalità telematiche che dal 1.1.2016 sostituirà – ad ogni effetto giuridico – la tradizionale modalità di deposito cartaceo, da eseguirsi «fisicamente» in segreteria4 (già disciplinata, tra le altre disposizioni, dagli artt. 45 e dall’art. 5, All. 2, c.p.a.).

Qualsiasi atto processuale dovrà ora essere redatto e depositato, con le modalità e nei formati che saranno indicati dalle richiamate regole tecnicooperative, esclusivamente in forma di «documento informatico», sottoscritto con firma digitale5.

Viene così abbandonato il precedente sistema che, solo per i difensori costituiti in giudizio, prevedeva che al deposito degli atti processuali «in originale» cartaceo, facesse seguito, ai sensi dell’art. 136, co. 2, c.p.a. “vecchia formulazione”, il deposito di «copia in via informatica» dei medesimi atti processuali (e, solo ove possibile, dei documenti prodotti e di ogni altro atto di causa), senza attribuzione, tuttavia, di alcuna validità giuridica oltre all’ulteriore onere del deposito di un considerevole numero di copie cartacee, come previsto nell’ art. 5, co. 2, All. 2, c.p.a. (abrogato a decorrere dal 1.1.2016).

Il legislatore, tuttavia – oltre a non avere esteso anche al PAT la disposizione, prevista per il PCT, secondo cui «Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica»6 – non ha espressamente prescritto il rispetto della cd. “forma digitale” a pena di nullità e neppure ha ritenuto di precisare7 che «In tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità».

Si porrà, quindi, anche per il PAT – come già accaduto per il PCT – il problema dell’eventuale ammissibilità, dopo il 1.1.2016, del deposito in giudizio di atti processuali in formato cartaceo, al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore o dalle regole tecnicooperative del PAT8.

2.1 La questione delle copie cartacee

Altra importante novità introdotta dall’art. 20, co. 1-bis, lett. c), d.l. n. 83/2015 è costituita dalla abrogazione dell’art. 5, co. 2, dell’All. 2, c.p.a. e del conseguente obbligo per i difensori di depositare in giudizio tante “copie” degli originali cartacei quanti sono i componenti del Collegio, più uno (a meno di non incorrere nella “sanzione” che obbligava il giudice a non tenere conto dell’originale degli atti depositati prima che la parte avesse provveduto all’integrazione del numero di copie richieste).

Non è azzardato ipotizzare che tale previsione solleverà, anche nel processo amministrativo, le medesime problematiche già sorte nel processo civile, con riferimento alla possibilità di ipotizzare, almeno in una prima fase, la produzione da parte dei difensori (o l’estrazione da parte delle stesse segreterie) di copie cartacee cd. “di cortesia”, prive di validità giuridica, a mero “uso studio” del Collegio giudicante.

È bene evidenziare che, solo con riferimento al PCT, in sede di conversione al d.l n. 83/2015 è stato introdotto l’art. 19, co. 1-ter che ha modificato l’art. 16 bis, co. 9, d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella l. 17.12.2012, n. 221 prevedendo che «(…) con decreto non avente natura regolamentare il Ministro della giustizia stabilisce misure organizzative per l’acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematiche nonché per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalità, nonché per la gestione e la conservazione delle predette copie cartacee. Con il medesimo decreto sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dei commi 4 e 8, nonché ai sensi del periodo precedente».

I profili problematici

La conversione in legge del d.l. n. 83/2015 ha lasciato tuttavia ancora aperte numerose questioni (oltre a quella, già evidenziata, della residua validità giuridica del deposito di atti e documenti in forma cartacea al di fuori dei casi espressamente consentiti).

Innanzitutto, l’art. 20, d.l. n. 83/2015, nel suo tentativo di dettare con norma primaria i punti cardinali del PAT, mostra tutta la sua debolezza nella parte in cui, ancora una volta, attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza, è andato ad incidere sull’impianto del Codice del processo amministrativo con singole, disorganiche disposizioni, che inevitabilmente andranno a scontrarsi con ulteriori norme che prevedono l’assolvimento di oneri legati alle tradizionali modalità cartacee (si pensi, ad esempio, all’art. 55, co. 8, c.p.a., che dispone che «Il collegio, per gravi ed eccezionali ragioni, può autorizzare la produzione in camera di consiglio di documenti, con consegna di copia alle altre parti fino all’inizio della discussione») e che non sono state oggetto di intervento.

Tra le varie, si segnalano – ad esempio – le disposizioni di cui all’art. 5, co. 1 (secondo cui «Ciascuna parte, all’atto della propria costituzione in giudizio, consegna il proprio fascicolo, contenente gli originali degli atti ed i documenti di cui intende avvalersi nonché il relativo indice») e all’art. 5, co. 7, del medesimo All. 2 al c.p.a. (secondo cui «In caso di smarrimento, furto o distruzione del fascicolo d’ufficio o di singoli atti il presidente del tribunale o della sezione, ovvero, se la questione sorge in udienza, il collegio, ne dà comunicazione al segretario e alle parti al fine, rispettivamente, di ricerca o deposito di copia autentica, che tiene luogo dell’originale. Qualora non si rinvenga copia autentica il presidente, con decreto, fissa una camera di consiglio, di cui è dato avviso alle parti, per la ricostruzione degli atti o del fascicolo. Il collegio, con ordinanza, accerta il contenuto dell’atto mancante e stabilisce se, e in quale tenore, esso debba essere ricostituito; se non è possibile accertare il contenuto dell’atto il collegio ne ordina la rinnovazione, se necessario e possibile, prescrivendone il modo») che non sono state abrogate, malgrado appaiano ontologicamente incompatibili con le nuove modalità “telematiche” di formazione del fascicolo processuale.

In secondo luogo, la mancata previsione di disposizioni transitorie – volte non soltanto a prevedere un periodo di graduale applicazione e/o di sperimentazione del PAT, ma soprattutto a chiarire la sorte dei ricorsi pendenti incardinati prima del 1.1.2016 – rende estremamente complicato, dal punto di vista tecnologico e organizzativo, ipotizzare una entrata in vigore a regime del PAT già a decorrere dal 1.1.2016, senza che insorgano problematiche ed empasse applicativi che potrebbero mettere in difficoltà – anziché agevolare – lo svolgimento dei processi. Ed infatti, con riferimento ai ricorsi pendenti, non soltanto si dovrebbe applicare un regime giuridico solo parzialmente “telematico”, ma si porrebbe il problema della gestione di fascicoli di causa “ibridi” (per metà cartacei e per metà elettronici), senza considerare che le inevitabili modifiche del Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa conseguente all’entrata in vigore del PAT difficilmente saranno compatibili con la “vecchia” gestione informatizzata dei fascicoli cartacei. E’ auspicabile, pertanto, una modifica normativa volta a specificare che il PAT si applichi esclusivamente con riferimento ai ricorsi incardinati a decorrere dalla data del 1.1.2016.

Infine, il mancato recepimento – in sede di conversione del d.l. n. 83/2015 – della proposta della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, volta ad introdurre una ulteriore lettera f) all’art. 20, co. 1-bis (con estensione, in quanto compatibili, anche alla giustizia amministrativa degli artt. 16 bis, co. 9-bis, 16 sexies, 16 decies e 16 undecies del richiamato d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, estensione viceversa operata con l’ art. 20 bis, d.l. n. 83/2015, che ha sostituito l’art. 43, co. 2, d.l. n. 90/2014, per il processo contabile) comporterà rilevanti problematiche di carattere giuridico/interpretativo.

Non soltanto, infatti, non sarà possibile per i difensori impegnati nel processo amministrativo estrarre personalmente copia autentica degli atti contenuti nel fascicolo processuale (come previsto, per il PCT, dall’art. 52, d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014, che ha inserito l’art. 16 bis, co. 9-bis, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012) ma neppure attestare personalmente la conformità agli originali cartacei degli atti e documenti processuali in forma di copia per immagine di documento analogico ai fini del deposito in giudizio con modalità telematiche.

Inoltre, per effetto della mancata estensione dell’art. 16 sexies, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, i difensori saranno ancora liberi di optare per la notifica dell’atto di appello con le tradizionali modalità cartacee, ex art. 25 c.p.a., anziché a mezzo p.e.c. all’indirizzo reso noto nel giudizio di primo grado.

3.1 La mancata previsione di disposizioni transitorie

L’art. 20, co. 1-bis, d.l. n. 83/2015 precisa che le modificazioni apportate al c.p.a. si applicheranno «a decorrere dall’entrata in vigore del processo amministrativo telematico». È implicito, tuttavia, che l’operatività del PAT è condizionata alla previa emanazione delle richiamate regole tecnico-operative di cui all’art.13, All. 2, c.p.a., che ne specificheranno le modalità operative «in concreto»9.

Salvo ulteriori proroghe, quindi, a decorrere dal 1.1.2016 non soltanto sarà abrogato l’art. 136, co. 2, All. 1, c.p.a. nella sua “vecchia” formulazione (secondo cui «i difensori costituiti forniscono copia in via informatica di tutti gli atti di parte depositati e, ove possibile, dei documenti prodotti e di ogni altro atto di causa. Il difensore attesta la conformità tra il contenuto del documento in formato elettronico e quello cartaceo. Il deposito del materiale informatico, ove non sia effettuato unitamente a quello cartaceo, è eseguito su richiesta della segreteria e nel termine da questa assegnato, esclusa ogni decadenza. In casi eccezionali il presidente può dispensare dall’osservanza di quanto previsto dal presente comma») – che sarà sostituito dalle nuove modalità di deposito telematico con piena validità giuridica – ma ciò comporterà la conseguenza che, a decorrere da tale data, anche tutti gli adempimenti processuali previsti dal Codice dovranno essere assolti con modalità telematiche.

Ciò significa – salva la previsione di un regime transitorio – che in applicazione del principio “tempus regit actum” l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico andrebbe ad incidere anche sui ricorsi incardinati antecedentemente alla data del 1.1.2016, con riferimento alle attività ancora da compiersi (si pensi, ad esempio, al deposito di memorie conclusive o alla redazione di sentenze digitali su ricorsi nativi analogici). È facile ipotizzare conseguenze disastrose non soltanto dal punto di vista “pratico” – si pensi a fascicoli processuali per metà cartacei e per metà digitali e alla difficoltà, tutt’altro che banale, di protocollare le nuove sentenze in formato digitale secondo modalità ben diverse dal tradizionale registro – ma anche dal punto di vista giuridico, in considerazione delle inevitabili difficoltà anche per i difensori di “assorbire” le novità dell’impatto del nuovo deposito digitale, con valore giuridico, rispetto al “vecchio” deposito delle copie “in via informatica” di cui alla precedente formulazione dell’art. 136, co. 2, c.p.a.

3.2 Il problema del potere di autentica dei difensori

La mancata estensione alla giustizia amministrativa degli artt. 16 bis, co. 9-bis, 16 sexies, 16 decies e 16 undecies del d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, lascia aperto il problema, per i difensori impegnati nel processo amministrativo, dell’autenticazione degli atti e dei documenti depositati in giudizio.

Invero, l’art. 22 del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 7.3.2005, n. 82) – quanto all’efficacia giuridica delle copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico – attribuisce a tali copie la medesima rilevanza probatoria dell’originale, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2714 e 2715 c.c., ma solo se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’art. 71 del CAD.

Orbene, allo stato della normativa vigente, nessuna disposizione di legge attribuisce ai difensore un potere generale di attestazione di conformità con riferimento agli atti processuali, che è invece previsto solo in alcune specifiche e tassative ipotesi (ad es: art. 83 c.p.c. in tema di procura alle liti; art. 3 bis, l. 21.1.1994, n. 53 (Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali), in caso di notifica a mezzo p.e.c.; art. 136, co. 2, c.p.a. “vecchia” formulazione, per il caso di deposito in via sperimentale di copia informatica di atti già depositati come originali analogici).

Con l’entrata in vigore del PAT e con il conseguente obbligo di depositare in giudizio qualsiasi atto e documento processuale in formato “digitale”, il difensore potrà non di rado trovarsi nella necessità di depositare in giudizio – oltre ad atti processuali e documenti “nativi digitali” – anche atti di parte o documenti nati in formato cartaceo ma che – in ossequio alla nuova formulazione dell’art. 136, co. 2., c.p.a. – dovranno essere comunque depositati con modalità telematiche (nello specifico, in formato di «copie per immagine, su supporto informatico»).

Si pensi, ad esempio, ai documenti “nativi” cartacei, ma anche all’atto introduttivo del giudizio proposto con modalità cartacea innanzi al Giudice ordinario in caso di traslatio judicii o alla trasposizione del giudizio a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato; ma, soprattutto, si pensi alla necessità – dopo l’entrata in vigore del PAT – di depositare in giudizio, in forma di copia per immagine di documento analogico, tutta la documentazione comprovante l’avvenuta notifica ove ancora venga eseguita non a mezzo p.e.c. bensì con le tradizionali modalità cartacee10.

Con riferimento a tale ipotesi, quanto al PCT, l’art. 16 decies (Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti notificati) del d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, nel testo modificato a seguito della conversione in legge del d.l. n. 83/2015, ha espressamente previsto che i difensori, quando depositano in giudizio con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme ne attestano la conformità all’originale o alla copia conforme con piena equivalenza, ai fini giuridici, della copia munita di tale attestazione all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento. L’art. 16 undecies, poi, stabilisce – sempre per il PCT – con quali modalità dovrà essere effettuata da parte dei difensori l’attestazione di conformità ai fini del processo telematico, che saranno individuate, con riferimento alle singole fattispecie, con specifiche tecniche stabilite dal Responsabile per i sistemi informativi del Ministero della giustizia.

Per effetto della mancata estensione alla G.A. di tali disposizioni, deve quindi ritenersi che, nel processo amministrativo, i difensori non siano considerati «pubblici ufficiali ad ogni effetto» non solo ai fini dell’attestazione di conformità rilevante per il deposito telematico delle copie informatiche di atti analogici ma neppure quando effettuano le notifiche a mezzo p.e.c. ai sensi della l. 21.1.1994, n. 53. Ne deriva che – non essendo neppure prevista espressamente l’applicazione al PAT delle menzionate specifiche tecniche del PCT – nel processo amministrativo i difensori, in pedissequa applicazione dell’art. 22, co. 3 del CAD – si troveranno nell’alternativa di rivolgersi, per l’autenticazione, ad un pubblico ufficiale o altrimenti saranno tenuti a rispettare le modalità previste dalle regole tecniche di cui all’art. 71 del CAD (stabilite, per quanto riguarda gli atti digitali della pubblica amministrazione, dal d.P.C.M. del 13.11.2014, entrato in vigore l’11.2.201511) – e, in particolare, si troveranno costretti ad apporre su tali copie il cd. “hash”12, che in ogni caso non sottrarrà il difensore dalla possibilità del disconoscimento dell’autenticità dell’ atto o del documento depositato.

1 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20.8. 2015, n. 192 (Suppl. ord. n. 50/L).

2 L’attuale formulazione dell’art.136, co. 1, c.p.a., prevede che «I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario. La comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa. È onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione del recapito di fax». Tale comma è stato così sostituito dall’art. 45 bis, co. 3, l. n. 114/2014.

3 Sulla base dell’esperienza del PCT – in cui la mediazione delle cancellerie ha destato non pochi problemi – è auspicabile una modifica di tale previsione, a fronte degli indubbi vantaggi che, in termini organizzativi e di snellimento procedurale, potrebbero essere conseguiti con la previsione di una formazione “telematica” del fascicolo processuale direttamente al momento dell’attribuzione del NRG a seguito del deposito dell’atto introduttivo del giudizio.

4 Cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, II quater, 28.7.2015 n. 10305 che esclude l’ammissibilità, nel processo amministrativo, del deposito degli atti processuali a mezzo posta.

5 La validità giuridica del “deposito di copia in via informatica” di cui alla vecchia formulazione dell’art.136, co. 2, c.p.a. è espressamente esclusa nella nota di chiarimento del Segretariato Generale della G.A. del 10.9.2011.

6 Tale previsione è stata introdotta, per il PCT, con l’art. 16, co. 9-octies del d.l. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 221/2012, inserito dalla l. n.132/2015.

7 Cfr. art. 19, co. 1, lett. a), n. 1), capoverso 1-bis, del d.l. n. 83/2015, convertito in l. n. 132/2015.

8 Per un approfondimento della problematica, v. Tribunale Roma, decreto 9.6.2014, commento in http://ilprocessotelematico.webnode.it/lagiurispudenzadelpct/tribunale-roma-decreto-09-giugno-2014-inammissibile-il-decreto-ingiuntivo-telematico-depositato-in-formato-pdf-immagine/.

9 In tal senso, anche TAR Catanzaro, II, 4.2.2015, n. 183.

10 È bene evidenziare che tale modalità di notifica, nel giudizio amministrativo di primo grado, costituirà verosimilmente quella più frequente anche dopo l’entrata in vigore del PAT. Infatti, fino all’ attuazione del pubblico elenco dell’anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e fino all’assolvimento dell’onere per le PP.AA. di eleggere l’indirizzo p.e.c. di cui all’art.16, co. 12, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, i difensori non potrebbero legittimamente eseguire la notifica a mezzo p.e.c. che, come è noto, richiede che anche il destinatario della notifica sia titolare di indirizzo p.e.c. risultante “da pubblici elenchi”.

11 In particolare, quanto alle «Copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici», l’art. 4 del

d.P.C.M. 13.11.2014 prevede che «La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’ art. 22 , commi 2 e 3, del Codice è prodotta mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia.

2. Fermo restando quanto previsto dall’ art. 22 , comma 3, del Codice, la copia per immagine di uno o più documenti analogici può essere sottoscritta con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia.

3. Laddove richiesta dalla natura dell’attività, l’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’ art. 22, comma 2, del Codice, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia per immagine. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di uno o più documenti analogici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia per immagine. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

12 La funzione di hash è una funzione matematica che genera, a partire da una evidenza informatica, una impronta in modo tale che risulti di fatto impossibile, a partire da questa, ricostruire l’evidenza informatica originaria e generare impronte uguali a partire da evidenze informatiche differenti.

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