OMERICHE, Illustrazioni

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

OMERICHE, Illustrazioni

K. Bulas

Nel senso più vasto, i poemi omerici comprendono oltre ai due poemi maggiori, anche Ciprie, Etiopide, Ilioupèrsis, la Piccola Iliade, Nòstoi e Telegonia; ma siccome dei circa 18.ooo versi di queste opere se ne sono conservati appena 82, dobbiamo limitarci a considerare le illustrazioni relative all'Iliade e all'Odissea (v. anche tavole iliache).

L'artista antico non è mai stato un illustratore nel senso moderno della parola. In epoca arcaica, ed anche in quella classica, non aveva di sicuro mai letto un poema, e senza dubbio, solo di rado ne aveva conoscenza da semplici recitazioni. La sua fonte d'ispirazione è sempre stata la tradizione, tanto epica che figurativa. Egli usa certi tipi stabiliti limitando in conseguenza la sua scelta ad alcuni episodi. Spesso scene di genere vengono "eroicizzate" dai nomi di persone che vi sono aggiunti. Talune divergenze dal testo devono essere spiegate piuttosto con ragioni di tipologia e di composizione. Di illustrazioni vere e proprie si può parlare solo in epoca ellenistica e romana (v illustrazione), trattandosi di miniature di manoscritti, sebbene anche qui la tradizione tipologica non sia di scarsa importanza.

A) Iliade. - 1. Epoca arcaica. - I temi prediletti sono: l'ambasciata ad Achille, il trascinamento del corpo di Ettore ed il riscatto del cadavere dell'eroe da parte di Priamo (v. ettore).

L'ambasciata appare frequentemente, quasi sempre su vasi a figure rosse; l'invio degli ambasciatori è già su una hydrìa ceretana e, a incisione, sulle gambe di un tripode in bronzo, da Olimpia, databile a circa il 620 a. C. La composizione è paratattica e la scena corrisponde al canto ix, vv. 162-172, dove Nestore designa gli ambasciatori. Il centro della scena è sempre costituito da Achille, seduto su uno sgabello e circondato da Odisseo, Phoinix ed Aiace. Il numero delle persone presenti cambia, cambiano i loro nomi, particolari non essenziali per i pittori che s'interessavano piuttosto alla superficie da decorare. Il trascinamento del corpo di Ettore è rappresentato dal numero più rilevante di monumenti, tutti vasi a figure nere, che si possono dividere in due gruppi, con cavalli in piena corsa o fermi. Vi appare anche la figura di Iride (figura estranea, in questo episodio, al racconto omerico) che su un vaso del primo gruppo sembra porre fine alla crudele vendetta. Su quasi tutti i vasi il luogo dell'azione è indicato dalla tomba di Patroclo, sorvolato dal suo εἴδωλον.

Anche le composizioni con il tema del riscatto si possono dividere in due gruppi, di cui il secondo s'incontra solo nella ceramica. Il primo gruppo è poco numeroso e la composizione è limitata a tre figure: Achille, Priamo e Hermes, con il cadavere di Ettore disteso per terra che invece non c'è nel racconto omerico; la sua mancanza, però, renderebbe la scena incomprensibile. Anche Hermes è un'aggiunta dell'artista, poiché il messaggero divino non appare in Omero nella tenda, ma solo protegge Priamo durante la sua spedizione. Il secondo gruppo (quasi tutti vasi a figure rosse) è molto più elaborato, ma anche qui si ha l'adattamento di uno schema già noto: la composizione rappresenta Achille sdraiato su una klìne e banchettante, mentre nell'Iliade Achille appare seduto. Priamo è accompagnato da alcune donne o da servi, che portano il riscatto (vol. i, fig. 47), particolari estranei all'Iliade, dove Priamo è accompagnato solo da Ideo, che non entra però nella tenda.

Il lamento su Ettore è raffigurato su una metopa arcaica dall'Heraion alla foce del Sele, dove due donne, - Ecuba e Andromaca - e Astianatte, si strappano i capelli in segno di lutto.

Ma anche altri episodi dell'Iliade sono stati spesso rappresentati nell'arte figurativa di periodo arcaico.

Achille addolorato per la morte di Patroclo compare su un vaso a figure rosse, dove Teti, accompagnata dalle Nereidi, gli porta le armi. È una contaminazione di due episodi: nel canto xviii, 65 ss., Teti viene con le Nereidi a consolare Achille, ma non ha ancora le armi, mentre nel canto xix, 1 ss., gliele porta; qui però il poeta non fa menzione delle Nereidi. La scena di Achille consolato dalla madre ricorre anche su un cratere a figure rosse, dove Teti prende la sua testa fra le mani, come nel canto xviii, 70 ss. La dea è qui alata, il che allude senza dubbio alla sua corsa rapida dall'Olimpo (xvii, 616 ss. e xxiv, 121 s.). La consegna delle armi divine ad Achille da parte di Teti, accompagnata qualche volta dalle Nereidi appare su alcuni vasi a figure rosse. Conosciamo pure alcune pitture a figure rosse in cui appare con Efesto, che ha finito il lavoro di forgiare le armi di Achille mentre Teti (ed Atena) sta davanti a lui.

L'episodio di Briseide (v.) portata via da Agamennone stesso e dall'araldo Taltibio (nell'Iliade invece l'ordine di Agamennone viene eseguito dai suoi due araldi), appare soltanto su un paio di vasi a figure rosse.

L'arte figurativa ha espresso anche scene di combattimento che si possono dividere in tre gruppi: duello in presenza di una o di due divinità; combattente inseguito dal suo avversario; interruzione del duello fra Aiace ed Ettore. Il primo gruppo, - quasi tutti vasi a figure rosse, - segue essenzialmente il racconto omerico. La maggior parte rappresenta il duello fra Achille ed Ettore che, ferito, cade supino per terra. Il secondo gruppo compare solo su due vasi, dei quali uno raffigura Paride inseguito da Menelao, scena non conforme, nei dettagli, al racconto omerico, l'altro Ettore (v.) che fugge davanti ad Achille. L'interruzione del duello fra Aiace ed Ettore s'incontra una sola volta, ma gli eroi vengono separati non dagli araldi Ideo e Taltibio - come nel racconto omerico - bensì da Phoinix e probabilmente da Priamo.

Altri episodî dell'Iliade che appaiono su monumenti arcaici sono: la cattura di Dolone da parte di Odisseo e di Diomede (v. diomede; dolone); l'uccisione di Patroclo (v.) e i giochi funebri in onore di Patroclo (v.).

C'è poi un certo numero di composizioni di genere, "eroicizzate" per l'aggiunta di nomi eroici: Achille che mette le gambiere in presenza di Peleo, di Teti e di Neottolemo, o di Teti, o di una o due Nereidi, ovvero di due guerrieri; scena di partenza di Achille, dove l'eroe stesso attacca i cavalli invece di Automedonte e di Alkimos; varie scene di commiato fra Paride ed Elena o fra Ettore ed Andromaca; armamento di Ettore.

2. Epoca classica. - Due episodî godono speciale favore presso gli artisti: Teti e le Nereidi con le armi di Achille, sulla groppa di mostri marini, ed il sacrificio di prigionieri troiani sulla tomba di Patroclo, il cui archetipo è da ricercarsi nella pittura greca del V sec. a. C., ma sul suolo italico questo subì varie modifiche, e fu reso con particolare vigore nell'arte etrusca (v. hinthial).

Altri episodî su monumenti di periodo classico sono: il riscatto del corpo di Ettore (v.) con la particolarità della pesatura del cadavere e dell'equivalente in oro, derivata dalla tragedia di Eschilo Φρίγες ἢ "Εκτορος Λύτρα; Odisseo con i cavalli di Reso (v. diomede); la spedizione notturna di Odisseo e Diomede; la preghiera di Criseide (v.).

3. Epoca ellenistico-romana. - Nella pittura appaiono cicli d'illustrazioni, come dovevano essere quelli di Theoros di Samo, citati dalle fonti letterarie (v. theoros) o i tardi dipinti (IV o V sec.) ad Antiochia e Gaza; ricordati da alcune fonti: ad essi possono ricollegarsi, a Pompei, gli affreschi dal tempio di Apollo, quelli nella Casa del Criptoportico e nella Casa di D. Ottavio Quartione; alcune "coppe omeriche" (v. megaresi, vasi), le Tavole Iliache (v. tavole iliache), il Codice Ambrosiano. Alcuni episodi appaiono pure in due cicli della vita di Achille: sulla Tensa Capitolina e sul cosiddetto puteal del Museo Capitolino.

Fra i numerosi cicli d'illustrazioni su coppe omeriche ne esiste anche qualcuno riferito all'Iliade. Su una coppa vediamo gli avvenimenti dei canti iii-v, cioè il duello fra Menelao e Paride, su un'altra il combattimento intorno alle navi, su una terza altri episodi dei canti xix-xxi (Agamennone a colloquio con Achille in presenza di Odisseo, Enea salvato da Posidone; Lykaon ucciso da Achille).

Il fregio in stucco nella Casa del Criptoportico a Pompei rappresenta alcune scene dell'ultimo canto omerico: appaiono il carro di Priamo preceduto da un suo servo, dallo stesso Priamo e da Hermes, poi sulle mura i familiari di Ettore, che tendono le mani implorandolo di non combattere con Achille; il duello fra i due avversari, il trascinamento del corpo di Ettore; di nuovo il carro di Priamo con un servo, infine Priamo inginocchiato davanti ad Achille. Hermes, che sta accanto a Priamo, indica ad Achille con la mano il riscatto deposto sul carro. Fra i cicli di affreschi sopra menzionati i più antichi sono quelli della Casa del Criptoportico, illustranti episodî anche dell'Etiopide. Erano in tutto 8o-86 scene, di cui se ne sono conservate 25, oltre varî frammenti. Nella Casa di D. Ottavio Quartione possiamo riconoscere una ventina di scene: la pestilenza, il combattimento sulle mura ed intorno alle navi, il duello fra Ettore e Patroclo, l'ambasciata ad Achille ed il riscatto della salma di Ettore.

I tre fregi di Pompei costituiscono il passaggio alle miniature dell'Iliade Ambrosiana, ultimamente trattate in modo esauriente da R. Bianchi Bandinelli, che le assegna al regno di Anastasio (491-518).

Oltre ai cicli figurativi, anche in epoca ellenistica esistono raffigurazioni di singoli episodî: tra questi, i due più rappresentati sono, come nell'epoca arcaica, il trascinamento del corpo di Ettore ed il riscatto della salma da parte di Priamo.

Talvolta il trascinamento si riduce alla rappresentazione del cocchio di Achille lanciato al galoppo con il corpo attaccato dietro. Lo sfondo è spesso costituito dalle mura troiane sulle quali sono i genitori di Ettore; talvolta la composizione è ampliata da altre figure. In un solo rilievo romano il cocchio di Achille è rappresentato fermo, mentre l'eroe si volge indietro con gesto minaccioso verso due donne, senza dubbio Ecuba ed Andromaca.

Le scene del riscatto sono molto numerose e possono essere divise in gruppi a seconda delle variazioni iconografiche: per lo più, alla presenza di varî personaggi. Priamo chiede, in ginocchio, la restituzione del corpo del figlio ad Achille, che lo accoglie seduto: ma continua anche l'iconografia, già nota dall'epoca classica, derivata dai Frigi di Eschilo, con la pesatura della salma di Ettore.

Appaiono rappresentati anche varî altri episodî, soprattutto la lite fra Agamennone ed Achille, che appare in due pitture (una nota solo dalla riproduzione) e in un mosaico. Su tutti i tre monumenti Achille si lancia con la spada verso Agamennone seduto su una sedia, mentre dietro le spalle di Achille appare Atena (Il., i, 247 ss.). Il vecchio che s'intromette fra i due capi come riconciliatore è Nestore.

Briseide (v.) portata via dagli araldi appare sul famoso quadro della Casa del Poeta Tragico a Pompei (v. achille). È copia di un originale del 380-350 a. C. e corrisponde fedelmente al testo del poema, salvo la figura d'un vecchio, Phoinix senz'altro, che rimane da Achille ad ambasciata finita. Briseide portata via dagli araldi si vede anche su una lamina bronzea, probabilmente del IV sec. d. C., al British Museum; su un papiro di Monaco della stessa epoca (vol. ii, fig. 262); sulla Situla Doria (già smarrita ed ora rintracciata), press'a poco contemporanea e su un rilievo al Museo Copto del Cairo (IV-V sec.). Su quest'ultimo monumento la donna appare due volte: mentre attende di essere consegnata agli araldi e mentre avanza, come sulla Situla Doria dove, allontanata quasi a forza, si volta indietro per dare l'ultimo sguardo ad Achille, che si consola suonando la lyra. A destra già l'aspetta Agamennone. Briseide condotta via appare anche su due mosaici da Antiochia sull'Oronte. Su uno, la composizione è limitata a tre persone: Achille seduto con la lyra in mano (reminiscenza del canto ix, vv. 185 ss.) dà l'addio con un gesto di saluto a Briseide piena di tristezza, mentre Taltibio la guarda con attenzione. L'altro mosaico (II sec. d. C.), molto danneggiato, mostra Patroclo che consegna la donna ai due araldi. Sul "disco" o "scudo" di Scipione, in realtà un missorium, non anteriore al IV sec. d. C., sarebbe rappresentata invece la restituzione di Briseide ad Achille; è però possibile che la scena rappresenti anche Briseide condotta via.

Facciamo solo un cenno alla figura di Achille che suona la lyra su un quadro scoperto a Pompei e su varie gemme, ed alla partenza di Patroclo per la battaglia sulla Tensa Capitolina. Patroclo viene congedato da Achille, che gli posa la mano sulla spalla. A sinistra Patroclo sta in ginocchio davanti all'amico e l'implora di permettergli di prendere parte alla battaglia. Il suo corpo viene poi portato davanti ad Achille (sarcofago del III sec. d. C.); è oggetto di lamenti da parte dell'amico e di altre persone (brocca d'argento da Berthouville - I sec. d. C.). In ambedue i casi la scena è riunita a quella con la salma di Ettore sulla bilancia, e perciò è possibile che si riferisca anche essa alla tragedia di Eschilo Φρύγες; è avvertibile però anche, specie nell'argento di Berthouville, una derivazione dallo schema del lamento sulla salma di Meleagro (v.).

Piuttosto numerosi sono i monumenti che mostrano la fabbricazione delle armi per Achille. Si possono dividere in due gruppi: nel primo Efesto (v.) è occupato a lavorare in presenza di Teti, nell'altro Teti è assente ed il lavoro viene eseguito anche da Efesto e dai ciclopi. Nel primo gruppo rientrano sette pitture pompeiane, tutte provenienti da un modello comune. Salvo in un caso, il centro del quadro è occupato da Efesto che, appoggiato lo scudo su un incudine (o sul ginocchio) lo mostra a Teti, accompagnata da una donna, spesso alata, Iride senza dubbio.

Rimangono infine alcune scene di duello, talvolta di dubbia identificazione; poi il congedo fra Ettore ed Andromaca su un affresco della Domus Aurea di Nerone, la prima rappresentazione del soggetto trattata in modo individuale e non generico; l'imboscata di Diomede ed Odisseo contro Dolone sul noto rilievo ellenistico a Vienna (v. diomede), nonchè su un frammento nel Museo Nazionale Romano.

B) Odissea. - 1. Epoca arcaica. - L'episodio che per primo appare su monumenti è l'accecamento di Polifemo (v.): del VII sec. a. C. sono il cratere di Aristonothos (v.), l'anfora del Pittore di Polifemo (v.), il cratere di Argo. La scena poi, compare su vasi laconici, vasi a figure nere e coppe beotiche.

La fuga dalla grotta è rappresentata su una situla ionica del VII sec., di Chiusi: a sinistra la nave di Odisseo con il timoniere; verso questa procedono due compagni, quattro montoni seguono recando ciascuno un compagno sospeso sotto la pancia. Sulla brocca da Egina del Pittore della Brocca degli Arieti (v.) tre montoni portano tre greci nello stesso modo. Nella ceramica a figure nere, l'episodio s'incontra prevalentemente su lèkythoi e brocche. Vi sono di solito due montoni soltanto, Odisseo ed un suo compagno, altre volte c'è solamente Polifemo ed Odisseo, spesso il ciclope viene omesso. Fra i vasi a figure rosse c'è un solo esempio della fine del VI secolo. Nell'Odissea (ix, 427 ss.) i montoni procedono in file di tre, ed ogni greco è portato dal montone che sta nel mezzo. Soltanto Odisseo si è aggrappato ad un solo animale.

Per l'avventura con Circe v. circe.

L'esempio più antico dell'episodio delle Sirene si trova su un aröballos corinzio della fine del VI secolo. Odisseo è legato con tutto il corpo all'albero della nave; le vele sono ammainate, mentre il veliero viene spinto da cinque rematori verso l'Isola delle Sirene. Queste, in numero di due (come nel poema), rappresentate come uccelli con testa umana, stanno appollaiate su una roccia e sembrano cantare. A sinistra si vede la casa di Circe con la porta spalancata, mentre la maga sta dietro, su uno scoglio, afflitta per la partenza dell'amante. Cronologicamente successiva è una lèkythos a figure nere di Eretria. I rematori mancano; a destra ed a sinistra stanno le Sirene che, oltre alle teste hanno anche braccia umane, con cui tengono strumenti musicali. Il tipo più antico delle Sirene riappare invece su uno stàmnos a figure rosse degl'inizî del V secolo. Una di esse sembra battere il tempo con le ali, la seconda si butta nel mare (unico esempio nell'arte antica), mentre la terza la guarda piena di sgomento. Il suicidio delle Sirene appare solo nella letteratura ellenistica.

2. Epoca classica. - L'episodio di Polifemo appare su due vasi italioti. Su un'anfora il ciclope è travolto da due greci, che gli danno una spinta nel petto con un lungo palo. Polifemo tiene nelle mani una gamba ed un braccio di un loro compagno ucciso, mentre il resto del corpo si arrostisce sul fuoco. Un altro compagno fugge spaventato. Nel racconto omerico Polifemo spacca subito la testa ai due e li divora crudi. Su un cratere della Collezione Cook a Richmond, il ciclope, con tre occhi, ubriaco, sta addormentato, mentre tre greci portano con gran fatica un tronco d'albero. La sua punta sta per essere arroventata con le fiaccole, che Odisseo ed un altro suo compagno tengono in mano. La presenza di due satiri indica che la scena segue il Ciclope di Euripide.

L'episodio delle Sirene appare su un cratere italiota nel museo di Berlino. Odisseo è legato all'albero della nave solo con le mani, mentre le Sirene, in numero di due, hanno tutto il torso umano, e nelle mani tengono un timpano ed una lyra. I cinque compagni di Odisseo non sembrano aver fretta di allontanarsi: solo uno di essi sta remando.

Fra i soggetti nuovi è la discesa di Odisseo agli Inferi, scena rappresentata da Polignoto nella Lesche degli Cnidî a Delfi. È da quella pittura che deriva senza dubbio la figura di Elpenore (v.) su una pelìke a figure rosse a Boston (circa 450 a. C.); Odisseo seduto su una roccia, guarda triste l'ombra del compagno. Davanti a lui si vedono due pecore immolate. Anche Hermes è presente, probabilmente come ψυχοπομπός, benché sia estraneo al racconto omerico. L'incontro fra Odisseo e Tiresia è raffigurato sul noto cratere italiota della Bibliothèque Nationale di Parigi (vol. iii, fig. 661). Odisseo sta seduto davanti alla fossa d'immolazione, con la spada in mano. L'eroe è affiancato da Euriloco e probabilmente da Perimede. L'ombra di Tiresia emerge dalla fossa, invece di avvicinarsi ad essa come nel poema, il che può venire dalle ψυχαγωγαί di Eschilo. Un altro monumento, uno specchio etrusco del II sec., è ancora più strano: il cieco Tiresia, condotto da Hermes a Odisseo, seduto con la spada in mano, è una figura ibrida di maschio e di femmina in accordo con il mito, secondo il quale Tiresia era vissuto lungo tempo come donna.

Odisseo sulla zattera dopo il naufragio è rappresentato sul rovescio d'un vaso cabirico (vol. ii, fig. 360). Sulla zattera, a forma di due anfore riunite, sta Odisseo e pare infilare pesci con un tridente. A destra si vede il volto gonfio di Borea che soffia.

Polignoto dipinse anche l'incontro di Odisseo con Nausicaa, ma non sappiamo in quale luogo. Le tre rappresentazioni vascolari di questo episodio dipendono ovviamente da quel quadro. Una di esse si trova sul coperchio di una pisside a Boston. La costa è indicata con pietruzze bianche e con un arbusto. L'eroe, preceduto da Atena, avanza coprendosi con un ramoscello. Due ancelle fuggono spaventate, la terza è intenta a pigiare il bucato. Nausicaa, incoraggiata da Atena, aspetta l'eroe tranquillamente. Un altro vaso, un'anfora a Monaco, è piena di malintesi e di travisamenti (v. nausicaa, pittore di). L'albero, sotto il quale Odisseo deve aver dormito, è stato adoperato per stendere il bucato. Odisseo tiene un ramoscello in ambedue le mani, ma non se ne copre. Atena sta immobile invece di procedere. Nausicaa fugge anche lei: probabilmente è una delle ancelle del quadro di Polignoto qui male interpretata. Sul rovescio dell'anfora si vedono due altre ancelle che tengono in mano i varî pezzi della biancheria, mentre la terza sta pigiando il bucato. Il terzo vaso, un kàntharos a Londra, ci fa vedere soltanto Odisseo ed un'ancella che fugge.

Un numero rilevante dei nuovi episodî si riferisce agli avvenimenti che seguono il ritorno di Odisseo ad Itaca. Su un rilievo melio (v. melici, rilievi) vediamo Euridea lavare i piedi ad Odisseo in presenza di Telemaco e, probabilmente, di Eumeo. La vecchia balia non ha ancora riconosciuto il padrone dalla cicatrice, il che, invece, si vede in un altro rilievo, marmoreo. Resasene conto la donna fa cadere il piede nel bacino, ed Odisseo stende la mano alla sua gola per impedirle di parlare, come nell'Odissea. Penelope sta lavorando al telaio, mentre Euriclea rivolge lo sguardo verso di lei, di nuovo d'accordo con il testo letterario. Un altro rilievo, conservato in alcuni esemplari, rappresenta Odisseo in vesti di mendicante, che s'inchina davanti a Penelope seduta. Dietro di lei si trovano alcuni uomini, Proci senza dubbio. Poi c'è il noto sköphos a figure rosse di Chiusi, su cui Euriclea, in atto di lavare i piedi ad Odisseo, lo riconosce e lo guarda; dietro di lei Eumeo. Sull'altro lato si vede Penelope impensierita seduta al telaio. Davanti le sta Telemaco con due giavellotti. Poichè Odisseo ha bei capelli ricciuti e barba ben curata, porta un himàtion ben drappeggiato e la donna è indicata col nome di ᾿Αντιϕάτα invece di Εὐρύκλεια, la scena deriva probabilmente dalla tragedia di Sofocle Νίπτιρα, dove Odisseo non era travestito. La scena sull'altro lato rappresenterebbe allora il commiato fra la madre ed il figlio.

Quanto all'episodio dei Proci corteggiatori, già nello stile severo, su un cratere a figure rosse a Siracusa, incontriamo Penelope che riceve regali da quattro fra essi, come nel canto xviii, 292-301. Lo stesso soggetto riapparirà poi su monumenti etruschi. La strage dei Proci fu dipinta da Polignoto nel tempio di Atena Arèia a Platea, e tutte le illustrazioni conservate dipendono ovviamente da quel quadro. La più antica s'incontra sui due lati del noto sköphos di Tarquinia. Odisseo tira con l'arco contro i Proci, raggruppati davanti e sopra una klìne. Uno è stato già ferito alla schiena, due altri cercano di proteggersi con una clamide e con un tavolo. Dietro Odisseo stanno due ancelle che guardano la scena compassionevoli. Sul fregio di Trysa (v.) oltre Odisseo anche Telemaco ha la spada sfoderata. Proci feriti e moribondi su una lunga fila di klìnai cercano di proteggersi assumendo gli stessi atteggiamenti che sullo sköphos di Tarquinia. Dall'uscio appare il capraio Melanthios che corre per portare le armi ai Proci (xvii, 142 ss.). A sinistra si vede il talamo, in cui Penelope sta amministrando la giustizia alle serve, che le vengono presentate da Euriclea. Eumeo, che le aveva annunziato che il mendicante è suo marito e che questi sta uccidendo i Proci, sta per ritornare nella sala e prendere parte alla strage. Nell'Odissea Penelope dorme durante l'eccidio e solo dopo viene svegliata da Euriclea, mentre le serve vengono punite da Odisseo e da Telemaco. Eumeo chiama Euridea fuori prima che cominci la strage e le ordina di chiudere le porte della sala, ma sul rilievo è lui a svegliare Penelope.

3. Epoca ellenistico-romana. - Le illustrazioni dell'Odissea appaiono anzitutto su urne cineratie etrusche, sarcofagi e pitture murali. Così l'accecamento di Polifemo è raffigurato su un'urna press'a poco nella forma del cratere a figure rosse della Collezione Cook a Richmond. Questa volta Polifemo, giacente addormentato, ha due occhi invece di tre; Odisseo non maneggia il palo dalla punta arroventata, portato dai suoi quattro compagni, ma dà solo ordini. Un'altra urna rappresenta il ciclope seduto, coi capelli e la barba curati, non ispidi, come sul primo esemplare. Odisseo gli porge la coppa, verso la quale egli stende la mano; invece del palo, un compagno di Odisseo, punta verso la testa del ciclope una fiaccola per accecarlo. La composizione deriva dallo schema di Filottete a Lemno della tragedia di Euripide, nella quale Odisseo è occupato a distrarre il malato, mentre Diomede gli ruba l'arco. Il tipo nobile di Filottete è stato trasferito a Polifemo. Tanto nel caso di Filottete che in quello di Polifemo il centro della composizione è occupato, sulle urne, da una grotta. Nella Tomba dell'Orco a Tarquinia, invece, il ciclope, con un solo occhio, accecato da Odisseo soltanto, cerca di estrarre il palo dall'occhio.

Fra i monumenti romani ci sono alcune sculture, come un rilievo a Catania, in cui Polifemo addormentato ha assunto l'atteggiamento del Fauno Barberini. Lo sköphos è caduto dalle sue mani. Due compagni di Odisseo si preparano a piantare il palo nell'occhio del ciclope. La presenza d'un coppiere che fugge spaventato, che compare anche su un frammento di sarcofago a Napoli, è una trovata poco riuscita. Il momento immediatamente successivo al suo accecamento si vede su un tripode marmoreo del Vaticano; Polifemo porta una mano all'occhio, mentre con l'altra sta brancolando o cercando di agguantare qualcuno degli artefici della sua sciagura. Uno di essi è accovacciato fra i suoi piedi, un altro fugge, un terzo osserva la scena sconvolto. È presente Odisseo con la spada sfoderata.

Soltanto l'offerta della coppa a Polifemo riappare, dopo due secoli, su varî monumenti, che sembrano tutti far capo ad un gruppo statuario. Nella statuaria c'è al Museo Capitolino Polifemo seduto su una roccia con un greco sospeso dietro le gambe; Odisseo con la coppa nel Museo Chiaramonti ed in Villa Pamphili, e ancora una statuetta di bronzo dello stesso tipo a Vienna. Fra i rilievi c'è una urna etrusca a Firenze, che sembra più fedele al prototipo. Le figure di Polifemo e di Odisseo corrispondono a quelle delle statue sopra menzionate. Alla sinistra del gruppo si vedono due greci, di cui uno mesce il vino da un recipiente in un cratere, mentre l'altro sta osservando Odisseo. Dalla destra accorre un terzo compagno. Dall'uscio della grotta, dove sta seduto Polifemo, esce un montone, sotto il cui ventre si nota un quarto compagno, un quinto, carponi, sta accarezzando l'animale. Una scena molto simile appare su un frammento di terra sigillata a Berlino dove, oltre a Polifemo ed Odisseo, si vedono due compagni: uno reca un otre da vino, un altro, già morto, è agguantato dal ciclope; per terra è un montone, che manca su un altro frammento uguale nel museo di Bonn. La stessa scena appare su numerose lucerne, gemme e rilievi romani, ma talvolta per mancanza di spazio vi appaiono solo Polifemo ed Odisseo. Alle composizioni con l'offerta della coppa a Polifemo e l'accecamento di costui si uniscono due gruppi statuarî a Villa Pamphili ed a Villa Albani. Odisseo sta aggrappato al montone, mentre Polifemo (qui assente) tastava la groppa dell' animale, come su un mosaico del Museo Nazionale Romano. Numerose rappresentazioni di Odisseo sotto un montone, presenti su lampade, vasi di terra sigillata e contorniati, risalgono senza dubbio allo stesso originale.

La scena in cui Odisseo si fa beffa di Polifemo a bordo della nave pare essere stata creata in epoca ellenistica. Su un'urna etrusca del museo di Leida si vede la nave, che si allontana dalla riva a vele gonfie, equipaggiata da cinque uomini oltre Odisseo. Polifemo è sulla riva, con una grande pietra. Nel canto ix, 480 ss., egli lancia la parte superiore d'una montagna contro le vittime, che gli sono scappate. Altre urne analoghe, con varianti dello stesso schema si trovano nella collezione del Museo Guarnacci di Volterra.

Le illustrazioni vere e proprie dell'avventura di Scilla (v.) cominciano solo in quest'epoca. Nella maggior parte dei casi il mostro ha due code di pesce, ed il numero dei cani che vengon fuori dalla sua cintura oscilla fra i due ed i sei. In mano ha un timone ed un tridente. Due o tre compagni di Odisseo, sbalzati da Scilla fuori dalla nave, nuotano nei flutti. A questo tipo appartiene anche un gruppo statuario di una certa notorietà, poiché se ne sono conservate molte copie. Anche qui dalla cintura di Scilla escono gli avancorpi di tre cani, ognuno lacerante un compagno di Odisseo, mentre il mostro, attaccato alla roccia, agguanta per i capelli un quarto compagno.

Odisseo intento a lavorare sulla sua zattera prima di lasciare Calipso (v, 247-261) è raffigurato su frammenti di coppe omeriche (v. megaresi, vasi). I dettagli non sono tutti chiari, comunque il decoratore s'è attenuto fedelmente al poema. Lo stesso soggetto s'incontra su una serie di gemme ma, invece della zattera, Odisseo sta lavorando alla prua d'una nave. Un altro esemplare delle stesse coppe mostra Odisseo in atto di aggrapparsi ad una trave della sua zattera che sta vicino con le vele strappate e l'albero spezzato.

Le Sirene, diventate in epoca classica donne con piedi di uccello, stanno ora quasi sempre in tre su una roccia in mezzo al mare, mentre Odisseo, legato con le mani all'albero, sta passando con la nave. Almeno due Sirene suonano una lyra ed un doppio flauto, la terza canta. Raro invece è il tipo di Sirena vergine-uccello senza le braccia, tramandato dall'epoca arcaica. Su una pittura pompeiana del British Museum si vedono un cranio e delle ossa, il solo riferimento al canto xii, 45 ss. in tutta l'arte plastica. Sulle urne etrusche invece appaiono come belle donne senza ali, come le aveva quindi pensate il poeta, che non dice che fossero creature ibride. L'autore del prototipo le correda di ricche vesti e le copre di gioielli. Appaiono sedute, non cantano, bensì suonano strumenti musicali, anche una syrinx. In tale aspetto si ritrovano ancora sopra un frammento di sarcofago paleocristiano murato nel casino di Villa Albani a Roma.

La Nèkyia di Polignoto non sembra aver avuto influsso sulle rappresentazioni di Odisseo negli Inferi. Sulla pittura nella Tomba dell'Orco a Tarquinia, conservata solo in parte, si vedono su un prato coperto di asfodeli soltanto Agamennone, Tiresia ed Aiace, ma la presenza di Odisseo si presume dall'accecamento di Polifemo in una nicchia della stessa tomba. Su un altro frammento stanno seduti Teseo e Piritoo affrontati, sotto la custodia d'un demone alato. Anche i paesaggi dell'Odissea provenienti dall'Esquilino sono diversi dalla pittura di Polignoto. Dentro un gran portone nella roccia, che rappresenta l'entrata agli Inferi, sta Odisseo con il piede sinistro poggiato su una pietra, davanti a Tiresia. Dietro Odisseo si vedono Euriloco e Perimede con un montone immolato; in alto si scorge Elpenore profondamente afflitto; dietro Tiresia le ombre di Leda, Arianna e Fedra, poi quelle di Orione, Sisifo e Tizio con i due avvoltoi. Estranee al poema sono le divinità fluviali Acheronte e Cocito e fra le penitenti le Danaidi. Atteggiato come nella pittura dall'Esquilino Odisseo sta anche su un rilievo al Louvre e su due gemme. Su queste ultime il suo piede è poggiato su uno dei montoni immolati e, davanti a lui, si vede la fossa d'immolazione; sul rilievo è di fronte a Tiresia seduto su un trono.

Euriclea lava i piedi al suo padrone su una lastra Campana del I sec. d. C. Il bacino è rovesciato (Od., xix, 470), mentre Euriclea, che ha tra le mani la gamba di Odisseo, sta per buttarsi ai suoi piedi. Odisseo le chiude la bocca (invece di stringerle la gola, come nel poema) volgendosi nel medesimo tempo ad Eumeo per vedere se costui non si fosse accorto di nulla. Il fido porcaio è presente anche su un rilievo melio, ma la presenza del cane Argo non corrisponde al poema, dove l'animale muore già prima, subito dopo aver visto il padrone. Su una coppa omerica Odisseo è atteso dal cane sulla riva (v. megaresi, vasi), il che è solo una trovata del decoratore; la nave dei Feaci si vede accanto. Il cane moribondo sta strisciando verso il padrone su un sarcofago del Museo San Martino a Napoli, anche questa libera interpretazione dei versi 290-327 del canto xvii, dove il cane riconosce Odisseo nel mendicante in compagnia di Eumeo, ma non ha più forza per strisciare verso di lui. Su un'altra lastra Campana è raffigurata Penelope afflitta, come sullo sköphos di Chiusi. Da dietro si avvicina Euriclea, senza dubbio per annunciarle di aver riconosciuto Odisseo nel mendicante. La scena è dunque una libera interpretazione di xxiii, 1 ss., dove Euriclea sveglia Penelope per darle la buona notizia. L'episodio di Euriclea che lava i piedi ad Odisseo ricorre anche su un sarcofago romano ove, però, Eumeo tocca con la mano la spalla di Odisseo seduto davanti a lui; manca il cane. Sul coperchio d'un altro sarcofago a Marsiglia manca invece Eumeo, mentre appare il cane, cosicché sembra probabile che Argo non sia un'aggiunta delle lastre Campana, ma che si trovasse già nel prototipo.

L'influsso della pittura di Polignoto con la strage dei Proci si prolunga fino ai tempi romani. Sulle urne etrusche ritorna la figura del personaggio che si protegge con un tavolino. Enigmatica è la donna, forse Penelope, che corre ai ripari presso l'immagine d'un dio.

Come per l'Iliade, vi erano cicli d'illustrazioni anche dell'Odissea. I più grandiosi sono i paesaggi dall'Esquilino. Vi erano in tutto undici quadri. I primi tre raffigurano l'episodio dei Lestrigoni (Od., x, 80-132). Gli emissarî di Odisseo si avvicinano alla gigantesca figlia del re Antiphates. Due pastori s'incontrano in un burrone, alla cui estremità si scorge il palazzo reale nel quale è la regina gigantesca. I Lestrigoni, chiamati dal re, staccano pietre dalle rocce, schiacciano navi ed uomini, ripescano i cadaveri dai flutti. Nel quadro seguente è rappresentata la nave di Odisseo che scappa; segue l'episodio di Circe. Dopo un quadro rovinato vediamo di nuovo la nave di Odisseo che veleggia verso l'entrata degli Inferi. Della Nékyia si è discusso più sopra.

Le coppe omeriche si attengono fedelmente al testo omerico, come nel caso dell'Iliade. Quanto alle Tavole Iliache, gli unici esemplari con scene dell'Odissea sono la Tavola Tommassetti del Museo Sacro Vaticano con quattordici scene ancora rimaste, ma appena riconoscibili, ed il frammento Rondanini, smarrito. Infine, ci sono gli avanzi di tre gruppi statuarî con l'avventura di Polifemo, già menzionati.

Bibl.: C. Robert, Bild u. Lied, Berlino 1886; H. Luckenbach, Das Verhältnis der griech. Vasenbilder zu den Gedichten des epischen Kyklos, Suppl., in Jahrb. f. klass. Philologie, XI, 1880, pp. 491 ss.; K. Bulas, Les illustrations antiques de l'Iliade, Lwów 1929; id., La colère d'Achille, in Eos, 34, 1932-33, p. 241 ss.; id., New Illustrations to the Iliad, in Amer. Journ. Arch., 1950, pp. 112 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic-Byzantine Miniatures of the Iliad, Olten 1955; V. Spinazzola, Pompei alla luce degli Scavi Nuovi di via dell'Abbondanza (1910-23), Roma 1953, vol. I, pp. 369 ss.; 437 ss.; vol. II, pp. 871 ss.; 971 ss.; J. W. Graham, Ransom of Hector on a New Melian Relief, in Amer. Journ. Arch., LXII, 1958, pp. 313 ss.; F. Müller, Die antiken Odyssee-Illustrationen in ihrer kunstgesch. Entwicklung, Berlino 1913; L. D. Caskey, Odysseus and Elpenor on a Vase in Boston, in Journ. Hell. Studies, 1934, p. 501 s.; K. Weitzmann, A Tabula Odysseaca, in Amer. Journ. Arch., XLV, 1941, pp. 166 ss.; H. L. Lorimer, Homer and the Monuments, Londra 1950 (v. anche Journal of Hellenic Studies, LXXII, 1952, p. 152 ss.); G. Manganaro, Figurazioni iliache nell'ambiente siriaco del IV-VI sec. d. C., in Studi Miscellanei (Seminario Arch. e St. Arte gr. rom. Università Roma 1958), I, Roma 1961, p. 553.

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