INDULGENZA

Enciclopedia Italiana (1933)

INDULGENZA (ted. Ablass)

Luigi GIAMBENE
Mario NICCOLI

È "la remissione dinanzi a Dio della pena temporale dovuta ai peccati già cancellati quanto alla colpa, remissione che l'autorità ecclesiastica accorda dal tesoro della Chiesa, per i vivi a modo d'assoluzione e per i defunti a modo di suffragio" (Codex iuris canonici, can. 911). Secondo l'insegnamento cattolico, quando è rimessa la colpa con l'assoluzione sacramentale, è sempre condonata la pena eterna, ma resta spesso quella temporale; parimente, cancellata che sia la colpa lieve con l'assoluzione o altri mezzi, non sempre è tolta anche la pena temporale. Ora, per espiare in questa vita tali pene temporali - che debbono scontarsi in vita o nel purgatorio - vi sono due mezzi: praticare opere soddisfattorie (preghiera, digiuno, elemosina), o guadagnare le indulgenze. L'indulgenza non è dunque la remissione della colpa, ma nemmeno la semplice remissione delle rigide penitenze imposte in altri tempi dai canoni (proposizione 40 del sinodo di Pistoia, condannata da Pio VI); è la remissione delle pene temporali con le quali si deve soddisfare Dio offeso col peccato. Inoltre l'indulgenza non è l'esenzione dagli altri obblighi risultanti dal peccato (per es., dalla restituzione dopo il furto), né l'esenzione dalle pene che servono a emendare la vita, come non esime dall'obbligo di far penitenza.

L'indulgenza deriva in sostanza dalla dottrina della κοινωνία τῶν ἁγίων (v. comunione dei santi), e ha per fondamento la concezione di un thesaurus meritorum posseduto dalla Chiesa e nel quale sono raccolti gl'infiniti meriti soddisfattorî di Gesù Cristo, della Vergine e dei santi. La facoltà di attingere a questo tesoro e di distribuirne le ricchezze ai fedeli è concessa solo alla Chiesa. Infatti - osserva San Tommaso - se il criterio che dà valore all'indulgenza è l'unità del corpo mistico, cioè della Chiesa, nella quale molti oltrepassarono nelle opere di penitenza la misura di ciò che essi dovevano, ciò che è comune a una comunità è distribuito ai singoli secondo l'arbitrio di chi presiede alla comunità stessa. La facoltà di accordare le indulgenze per podestà ordinaria risiede in primo luogo nel papa, senza limitazione alcuna, poi in limiti più o meno ristretti spetta ai vescovi e ai cardinali; altri ancora possono concederle, ma solo se vi sono autorizzati espressamente. Nessuno però, all'infuori del papa, può elargire indulgenze che siano applicabili ai defunti.

Secondo l'oggetto possono essere locali, quando sono annesse a un certo luogo (chiesa, altare, statua, ecc.); reali, se applicate a un oggetto (corona, medaglia, crocifisso, statuetta portatile, ecc.), che deve essere di materia solida; personali, ossia da lucrarsi da una persona determinata. Quanto al soggetto, si distinguono le indulgenze per i vivi, che importano la remissione delle pene temporali a chi le lucra (il quale però non può applicarle ad altri viventi), da quelle per i morti, che consistono in un condono di pene alle anime del purgatorio, alle quali chi acquista le indulgenze intende applicarle. Se poi si considera l'effetto, l'indulgenza può essere plenaria, che toglie tutta la pena temporale, o parziale, se la cancella solo in parte. E quest'ultima suole accordarsi per un certo numero di giorni, di quarantene, di anni, riferendosi alle penitenze prescritte dagli antichi canoni. Quanto alla durata, l'indulgenza si dice perpetua, quando è accordata per sempre, e temporanea, quando vale per una sola volta o cessa dopo un determinato periodo di tempo (triennio, quinquennio, decennio, ecc.). Alcune indulgenze si possono guadagnare ogni volta che si ripete l'opera ingiunta (ciò ha luogo comunemente per le parziali, raramente per le plenarie), e allora si chiamano toties quoties; altre si lucrano una o più volte al giorno secondo i termini della concessione. Relativamente alla capacità di lucrare le indulgenze, il diritto canonico (can. 925) dichiara che non solo non può guadagnarle chi non è battezzato o è scomunicato, ma anche chi non si trova in stato di grazia almeno alla fine dell'ultima opera prescritta, e che l'individuo capace, per lucrarle realmente, deve averne l'intenzione sia pur generale e deve compiere le opere stabilite nel tempo e nel modo determinato; salvo il caso d'una dispensa o d'una commutazione. Oltre all'opera a cui è annessa l'indulgenza, se ne prescrivono generalmente altre come condizioni necessarie, p. es., confessarsi e comunicarsi, visitare una chiesa, digiunare, far qualche elemosina, pregare secondo l'intenzione del papa.

La dottrina delle indulgenze, quale è stata ora esposta, è il frutto di una lunga elaborazione che, nel primo periodo del suo sviluppo, è troppo connessa con la storia della disciplina penitenziale per darne qui un'esposizione indipendente (v. pertanto penitenza). Ma con la graduale trasformazione, a partire dal sec. V, della penitenza, da penitenza pubblica a penitenza privata, cominciano a introdursi nella disciplina penitenziale alcuni elementi che meglio spiegano il sorgere, verso il sec. XI, delle indulgenze propriamente dette. È l'uso, di origine irlandese, di subordinare la riammissione del penitente nella comunità al compimento di opere determinate caso per caso in speciali tariffe contenute nei cosiddetti Libri penitenziali; è, soprattutto, la consuetudine (che si fa luce, sempre in Irlanda, nel sec. VIII) di sostituire le lunghe penitenze prescritte dai Libri penitenziali con altre, più dure forse, ma straordinariamente più brevi. Questo sistema delle sostituzioni, detto nei paesi celtici delle arrea e sul continente delle redemptiones, è stato riavvicinato alla compositio barbarica (v. guidrigildo), e, se non è dato precisare quanto questa abbia influito sul costituirsi di quello, è certo che fin dal sec. VIII-IX un guidrigildo in danaro poteva essere imposto a titolo di redemptio, e che, a poco a poco, redemptio e guidrigildo tendono sempre più a identificarsi: circostanza, oltre a tutto, testimoniataci dai canoni dei concilî di Châlons (813) e di Parigi (829).

Comunque la redemptio si avvicina notevolmente all'indulgenza vera e propria, soprattutto perché il perdono dalla colpa è accordato, a differenza di quanto accadeva nell'antica disciplina penitenziale, prima che abbia luogo la redemptio, la quale mira solamente alla pena temporale che comporta la colpa, mentre nell'antica penitenza il perdono dalla colpa era subordinato al compimento delle pratiche imposte a titolo di soddisfazione. All'indulgenza vera e propria si giungerà quando la redemptio, che ha un carattere strettamente personale e porta più alla trasformazione che al condono della pena, verrà assumendo l'aspetto di una vera e propria remissione della pena stessa, concessa dall'autorità ecclesiastica con un provvedimento di carattere generale a tutti i fedeli che compiano alcune opere (pellegrinaggi, visite di santuarî, elemosine, ecc.) ugualmente determinate per tutti. Queste "indulgenze" furono largamente concesse sotto diverse forme a partire dal sec. XI: al principio era rimessa solo una parte della pena, ma già Urbano II, nel 1095, elargì un'indulgenza che rimetteva "poenitentiam totam peccatorum" ai crociati; ed è appunto l'indulgenza per la crociata che costituirà il tipo delle future concessioni indulgenziali plenarie. Da questo momento i teologi studiano a parte l'argomento e attraverso un processo relativamente breve di elaborazione, la teoria delle indulgenze appare già fissata, alla fine del sec. XIII con Enrico di Gand, in una formula che rimarrà canonica. Per il resto la storia delle indulgenze è, da questo momento, la storia del loro moltiplicarsi e degli addolcimenti alle condizioni richieste per ottenerle.

Ma la rapida fortuna della pratica indulgenziale vede il contemporaneo affacciarsi e il progressivo affermarsi di alcuni abusi nella concessione delle indulgenze, abusi che, già contenuti in germe nel sistema delle redemptiones, si avvantaggiarono pericolosamente dell'accresciuta importanza, in estensione e in profondità, conseguita dalle indulgenze. Già Alano di Lilla (morto agl'inizî del sec. XIII) lamenta come non potendo "quidam modernorum ieiunia et vigilias ferre", oblazioni e pellegrinaggi abbiano preso il posto di quelle. E Abelardo (circa il 1140) ha parole violentissime contro gli abusi che quei sacerdoti e vescovi commettevano nella dispensa delle indulgenze. Le ricerche del Paulus, il grande storico cattolico delle indulgenze, mostrano chiaramente come la forma di opera più diffusa e più accetta fosse appunto l'oblatio. È peraltro innegabile che la reazione agli abusi che una tal pratica comportava si manifestò prontamente attraverso limiti e prescrizioni a più riprese sanciti, attraverso la condanna (concilio di Béziers del 1246) dei "quaestores damnatis in inferno liberationem pro modica pecunia promittentes" (si faceva strada l'uso delle indulgenze per i defunti), attraverso la decretale de abusionibus (concilio di Vienna del 1312). Soprattutto si cercò di determinare i poteri dei vescovi in materia, e di accentrare quanto più fosse possibile nel potere centrale la concessione delle indulgenze più estese. Ma questo accentramento (nelle intenzioni attuato forse per sanare una situazione pericolosa), si risolse in pratica in un male peggiore.

L'oblazione a scopi pii - ha osservato il Pastor - che era accessoria, divenne per molti modi la cosa principale, e con ciò l'indulgenza fu abbassata al livello di un'operazione finanziaria. Non più l'acquisto di grazie spirituali, ma il bisogno di danaro divenne ora il vero motivo per cui si chiedevano e venivano concesse indulgenze". La lotta contro l'Impero, le ricorrenti spedizioni contro i Turchi, il grande scisma d'Occidente, il mecenatismo dei papi del Rinascimento sono, nella storia della Chiesa dal Mille alla Riforma, circostanze che spiegano chiaramente l'immensità delle spese che gravavano sul papato e spiegano anche, in più di un caso, il moltiplicarsi e l'estendersi delle indulgenze. Sta di fatto che nel concilio lateranense del 1215 Innocenzo III, mentre con parole severe consigliava a tutti di osservare nella concessione delle indulgenze la stessa moderazione che osservava la Santa Sede, estendeva l'indulgenza per la crociata anche a coloro che avessero, in diversa misura, sovvenuto alle spese della spedizione. A Bonifacio IX - che concesse indulgenze "in numero straordinariamente alto allo scopo confessato di ottenere per tal via danaro" (Pastor) per sostenersi nella lotta contro il papato francese - risale il sistema di elargire l'indulgenza plenaria giubilare (v. Giubileo), non solo ai pellegrini che si recassero a Roma, ma anche ai cittadini di determinate città che versassero tanto danaro quanto ne avrebbero speso in un effettivo viaggio a Roma. L'uso, a partire dal sec. XIV, dei confessionalia (concessioni che permettevano al penitente di scegliersi un confessore al di fuori di quello impostogli dal diritto), l'inserzione in questi atti della formula absolvas a culpa et a poena, l'intervento ufficiale di banchieri nell'organizzazione assai complicata di queste "operazioni finanziarie", furono altrettante circostanze che, in diversa misura, avallarono abusi senza fine ai quali s'intrecciarono più di una volta conflitti con l'autorità civile dei luoghi in cui l'indulgenza era bandita, e che pretendevano da quella ecclesiastica una partecipazione agli utili.

Coi papi del Rinascimento l'espressione - tante volte usata a sproposito - di "vendita delle indulgenze" è, in più di un caso, giustificata. Leone X non esita a garantire con l'appalto d'indulgenze i forti prestiti a lui concessi dai banchieri Fugger (v.); un'indulgenza fu da lui concessa, istante Carlo V, per le riparazioni alle dighe nei Paesi Bassi; Francesco I ottiene (1517) che sia devoluto a suo beneficio il gettito dell'indulgenza per la crociata. Tristemente nota nella storia della cristianità è l'indulgenza plenaria concessa da Leone X (bolla del 31 marzo 1515) nelle tre diocesi di Alberto di Brandeburgo per la Fabbrica di San Pietro, ma il cui provento doveva per metà (bolla del 14 febbr. 1516) essere versato ad Alberto stesso: è noto che questi con il ricavato doveva saldare i debiti da lui contratti con i Fugger per la sua elezione al vescovato di Magonza. Altrove (v. lutero) si parla delle vicende che accompagnarono la predicazione, per opera di Giovanni Tetzel, di questa indulgenza e del posto che essa occupa nella storia delle origini della Riforma. Ma è certo che il Tetzel procedette nell'assolvimento del suo incarico con criterî strettamente mercantili. Nell'Instructio sommaria per i subcommissarî dell'indulgenza (i testi in W. Köhler, Dokumente zum Ablasstreit von 1517, Lipsia 1902) sono esattamente fissate le tariffe in base alle quali, a seconda delle diverse categorie di persone, era possibile lucrare l'indulgenza.

Ma l'indulgenza del 1517 fu il vertice della parabola: e con i successori di Leone X s'inizia quella reazione che trovò la sua espressione canonica più solenne nel concilio di Trento.

Il concilio di Trento (sess. XXV) vuole che "nel concedere le indulgenze si usi moderazione secondo l'antica e approvata usanza della Chiesa", dichiara che "nell'ottenerle deve essere interamente abolito ogni turpe lucro, causa principale degli abusi derivati nel popolo cristiano" e prescrive che qualunque inconveniente sia dai vescovi segnalato al sommo pontefice, affinché questo "stabilisca ciò che conviene alla Chiesa universale, sicché il tesoro delle indulgenze venga dispensato a tutti i fedeli piamente, santamente e integramente". Leone XIII nel 1889 pubblicava le norme generali per distinguere le vere dalle false indulgenze.

Affinché la concessione delle indulgenze procedesse in modo più uniforme e le questioni relative venissero trattate con maggior competenza, sotto Clemente VIII fu istituita una commissione di cardinali, trasformata da Clemente IX nel 1667 nella S. Congregazione delle Indulgenze, poi unita da Pio X nel 1904 con la S. Congregazione dei Riti. Lo stesso pontefice con la costituzione Sapienti consilio (del 24 giugno 1908) veniva poi ad abolirla completamente, con attribuire al S. Uffizio "tutto ciò che riguarda le indulgenze, sia relativamente alla dottrina, sia quanto all'uso". Infine il Codex iuris canonici (can. 258 § 2) sancisce la disposizione emanata da Benedetto XV nel 1917, e stabilisce che spetta alla S. Penitenzieria "giudicare di tutto ciò che riguarda l'uso e la concessione delle indulgenze, salvo il diritto del S. Uffizio di prendere in esame ciò che concerne la dottrina dogmatica circa le indulgenze stesse o circa le nuove preghiere e divozioni". Ed attualmente nella S. Penitenzieria v'è uno speciale ufficio delle Indulgenze.

La Congregazione delle Indulgenze ha provveduto a confermare l'autenticità delle indulgenze che possono lucrarsi da qualsiasi fedele o da alcune classi speciali di fedeli e dovunque, da determinate persone o in luoghi speciali, e ha pubblicato più volte (l'ultima volta nel 1898) la Raccolta di orazioni e pie opere per le quali sono state concesse dai sommi pontefici le SS. Indulgenze, dichiarando doversi ritenere come apocrife o nulle le indulgenze del genere suindicato che non si trovassero riportate in quel libro. A questo si fece seguire un'aggiunta fino al 1928, autentica anch'essa, a cura della Penitenzieria apostolica, la quale sta ora (1932) preparando una nuova edizione aggiornata. Chiunque ottiene dal papa un'indulgenza da lucrarsi da tutti i fedeli, è tenuto, sotto pena di nullità della concessione, a presentarne un esemplare autentico alla Penitenzieria (can. 920). A impedire poi ogni abuso e a togliere ogni incertezza anche per le altre indulgenze, il diritto canonico prescrive che le nuove indulgenze non siano divulgate a insaputa degli ordinarî (can. 819 §1) e che tutti i libri, sommarî, opuscoli, foglietti, ecc. contenenti concessioni d'indulgenze non possano stamparsi senza il permesso dell'ordinario del luogo (canone 1388 § 1).

Bibl.: Decreta authentica S. Congregationis Indulgentiis sacrisque Reliquiis praepositae ab anno 1668 ad annum 1882 edita iussu et auctoritate SS. D. N. Leonis PP. XIII, Ratisbona 1883; Rescripta authentica S. C. Indulg... nec non Summaria Indulgentiarum, aquae collegit... I. Schneider, Ratisbona 1885; Theodorus a Spiritu Sancto, Tractatus dogmatico-moralis de indulgentiis, Roma 1743; P. Moccheggiani a Monsano, Collectio indulgentiarum theologice, canonice ac historice digesta, Quaracchi 1897; H. de Jongh, Les grandes lignes de l'histoire des indulgences, Lovanio 1912; J. Hilgers, Die katholische Lehre von der Ablässe und deren geschichliche Entwicklung, Paderborn 1914; F. Beringer, Die Ablässe, ihr Wesen und Gebrauch, 15ª ed., rifatta da A. Steinen, voll. 2, Paderborn 1921-22; N. Paulus, Gesch. des Ablasses im Mittelalter vom Ursprunge bis zum Mitte des 14. Jahrhunderts, voll. 3, Paderborn 1922-23; E. Magnin, in Dictionnaire de Théologie catholique, VII, Parigi 1923, coll. 1594-1636 (e la bibliografia citata in quest'ultimo).

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