SIDERURGICA, INDUSTRIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SIDERURGICA, INDUSTRIA

Alessandro Goglio-Giuseppe Rosa

La nascita dell'i.s. italiana risale alla prima metà del 19° secolo. Vero e proprio motore dello sviluppo economico, la siderurgia conobbe una prima importante fase di progresso tecnologico già a partire dal 1870, quando iniziarono a diffondersi i moderni forni Martin-Siemens. Nel breve volgere di un decennio la produzione italiana di acciaio passò da una media annua di 4200 t, negli anni a cavallo tra il 1881 e il 1885, a 157.899 nel 1889. Nella prima metà del 20° secolo l'offerta di prodotti siderurgici dovette sopportare forti sbalzi ciclici, particolarmente pronunciati in occasione dei due conflitti mondiali. Nel 1950, in piena epoca di ricostruzione postbellica, l'Italia contava 210 aziende siderurgiche per un totale di 259 stabilimenti. La produzione era però estremamente concentrata, essendo il settore caratterizzato dalla forte incidenza relativa dei costi fissi sul totale degli oneri aziendali e di conseguenza da elevate economie di scala. Le imprese di grande dimensione (con oltre 1000 addetti) e medio grandi (tra 200 e 1000 addetti) coprivano nel complesso il 92% della produzione di ghisa, il 90% di acciaio e l'87% di prodotti laminati. Ilva, Falck, Ferriere Fiat, Dalmine, Terni, Breda, Siac, Cogne, Redaelli, La Magona d'Italia costituivano i dieci ''campioni'' nazionali; di queste società molte sono ancor oggi operanti. Il periodo a cavallo tra il 1953 e il 1974 coincise con l'onda espansiva della domanda di prodotti siderurgici cui fece riscontro la forte crescita dell'industria italiana.

In valore assoluto il consumo apparente di acciaio, definito come somma della produzione nazionale e delle importazioni dall'estero al netto delle esportazioni, passò da circa 4 milioni di t nel 1952 a 22,8 milioni di t nel 1974 con un incremento medio annuo dell'8,2%; soltanto la siderurgia giapponese sperimentò una crescita più rapida di quella italiana (+13%). Durante la fase di più intensa accelerazione dello sviluppo economico del paese (1953-63), il consumo apparente crebbe a un tasso medio annuo dell'11,7%. L'Italia era in pieno boom economico, il livello di vita medio della popolazione era in forte crescita e si combinava all'aumento della spesa in beni di consumo durevoli (in particolare, autoveicoli ed elettrodomestici). Nel complesso, queste condizioni contribuivano a creare un ambiente particolarmente adatto all'espansione della domanda di prodotti siderurgici. Successivamente, la domanda ritornò verso ritmi di crescita sempre elevati, ma più sostenibili (+6,2% nel periodo 1964-69 e +3,1% in quello 1969-74). Tra il 1953 e il 1974, anche la capacità produttiva dell'i.s. italiana conobbe un rapido sviluppo. Quinto produttore europeo a inizio periodo, l'Italia balzò nel 1975 al secondo posto, dietro la Germania e davanti a Belgio, Gran Bretagna e Francia, paesi con una tradizione siderurgica assai più consolidata. Tra i fattori che contribuirono all'espansione dell'offerta, grande importanza ebbe il crescente peso relativo delle imprese a partecipazione pubblica, le cui tecnologie si prestavano alla realizzazione di grandi volumi produttivi. In quegli anni le scelte di localizzazione dei nuovi insediamenti siderurgici furono dettate dalle politiche di sviluppo del Mezzogiorno, nonostante la distanza elevata dai principali mercati di sbocco contribuisse ad accrescere il peso dei costi di trasporto. Grande fiducia venne riposta sugli effetti indotti del settore siderurgico che, stimolando nuovi investimenti nelle attività a monte e a valle, avrebbe innescato i tradizionali meccanismi dello sviluppo nelle regioni meridionali. Fu in quest'ottica che negli anni Sessanta venne decisa la realizzazione dell'impianto costiero di Taranto a ciclo integrale e schema modulare, predisposto cioè per essere ampliato in tempi successivi e garantire il migliore adeguamento alla crescita della domanda.

Contemporaneamente alla componente pubblica anche la siderurgia privata conobbe un rapido sviluppo in lavorazioni complementari caratterizzate dalla piccola o media dimensione e dall'elevata flessibilità organizzativa e manageriale. Le cosiddette miniacciaierie erano per lo più ubicate nell'Italia settentrionale, un'area assai prossima ai grandi mercati di sbocco europei, e allo stesso tempo in grado di garantire i necessari approvvigionamenti elettrici e le forniture di rottame. È da sottolineare in questo contesto l'esempio di successo della provincia di Brescia, un distretto industriale altamente specializzato che in breve tempo assunse posizione di leader mondiale nella lavorazione del tondo per cemento armato. La struttura dell'industria italiana andò così conformandosi in modo non molto dissimile da come si presenta ancora oggi. Le imprese a partecipazione statale si specializzarono nelle produzioni cosiddette piane (per es. i laminati) alle quali meglio si adattavano gli stabilimenti in larga scala. I punti di forza delle imprese private divennero invece i prodotti lunghi come, per es., i tondini e i materiali di acciaio per le costruzioni. Queste imprese, inoltre, erano caratterizzate da una dimensione media relativamente più piccola delle aziende pubbliche.

La fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta segnò un periodo di svolta per la siderurgia italiana. Valutazioni molto ottimistiche sulle prospettive di crescita dei consumi di prodotti siderurgici (in un quadro di continuo sviluppo dell'economia italiana e mondiale) e l'allargamento del passivo del saldo siderurgico con l'estero, incoraggiarono l'approvazione di ingenti piani pubblici d'investimento. Tra questi il raddoppio dell'impianto di Taranto, che prese la forma di un nuovo modulo per lavorazioni identiche al primo. L'espansione impressa al settore pubblico stimolò analoghe iniziative nel privato da cui venne un ulteriore impulso all'aumento dei livelli di capacità. Il 1974 fu l'anno record dell'offerta siderurgica italiana. La produzione nazionale di acciaio risultò pari a circa 23 milioni di t, una misura molto prossima al livello del consumo apparente. Nello stesso anno, la capacità produttiva raggiunse i 30 milioni di t. Contrariamente alle previsioni, gli anni di massima espansione dell'offerta coincisero con l'inizio di un periodo di caduta dei consumi siderurgici, determinando l'insorgere di problemi di eccesso di capacità produttiva inutilizzata. La depressione, particolarmente pronunciata tra il 1975 e il 1977, risultò aggravata dalla crescente competitività dei produttori emergenti e dal rafforzamento dei concorrenti tradizionali. Il nuovo stabilimento di Fos-sur-Mer in Francia, per es., era concorrente diretto del Centro siderurgico di Taranto, ma alla fine risultò più competitivo grazie ai minori costi di trasporto garantiti da una migliore ubicazione. Se le difficoltà affrontate dal nostro paese non risparmiarono gli altri produttori europei, in Italia esse vennero però accresciute dalla scarsa flessibilità delle grandi imprese pubbliche, che durante le fasi di depressione della domanda non poterono adeguare i livelli occupazionali all'aumento dei costi, perdendo di conseguenza quote di mercato su entrambi i fronti, interno ed estero.

L'evoluzione delle imprese piccole e medie fu di gran lunga diversa. La loro espansione proseguì per tutti gli anni Settanta combinando aumenti di capacità e guadagni di produttività. I produttori privati riuscirono così a compensare la caduta della domanda con l'aumento delle quote di mercato all'estero. Alla fine degli anni Settanta l'opportunità di questa strategia trovò riscontro nel forte attivo di bilancia commerciale nei laminati lunghi, comparto nel quale l'Italia aveva acquisito una posizione di elevata competitività che era destinata a durare per tutto il decennio successivo.

Gli anni Ottanta iniziarono con una nuova crisi della domanda, protrattasi fino a tutto il 1983. I consumi nazionali caddero da 26 a 19 milioni di t. Anche la produzione fu in forte diminuzione passando da circa 27 a 22 milioni di t (tab. 1). Nel 1981 la Commissione CEE emanò un Codice degli aiuti che vennero autorizzati solo fino al 1985, subordinatamente alla partecipazione delle imprese nazionali al piano di ristrutturazione del settore predisposto dalla Comunità. Come gli altri partners, anche l'Italia avviò programmi di riduzione della capacità, che consentirono di apportare tagli considerevoli nella forza lavoro. Tra il 1980 e il 1993 l'occupazione nel settore dell'acciaio diminuì di oltre 50.000 unità, il 50% del totale a inizio periodo. La produzione fu razionalizzata, favorendo le attività a più elevato valore aggiunto. Al programma parteciparono anche le imprese private che accettarono una parte dei tagli in cambio di aiuti. Fu intensificata la collaborazione tra ramo pubblico e imprenditoria privata, che insieme parteciparono al consorzio COGEA (Consorzio Genovese dell'Acciaio) e decisero la chiusura di alcune acciaierie elettriche per salvaguardare il più moderno impianto a ciclo integrale di Cornigliano. L'erogazione di aiuti pose la siderurgia privata nelle condizioni più adatte al superamento della nuova ondata di crisi. Essa riuscì a rafforzare ancora una volta i livelli di competitività raggiunti: innovazione dei processi produttivi, sforzi di diversificazione delle produzioni, assistenza ai clienti, concentrazione delle attività negli impianti più efficienti, attaccamento all'impresa si rivelarono anche in questa occasione fattori strategici d'importanza primaria.

La riorganizzazione del settore ha così accentuato ancora di più i caratteri distintivi dell'i.s. italiana nel contesto europeo. I principali concorrenti della CEE sono maggiormente specializzati nelle lavorazioni piatte in impianti a ciclo integrale. Per contro, la siderurgia italiana è andata sempre più rafforzandosi nei laminati lunghi utilizzando in misura ancora preponderante i forni elettrici. La struttura di specializzazione dell'Italia si riflette bene nel commercio con l'estero. La bilancia commerciale italiana registra un passivo nei laminati piani (a caldo e a freddo) e nei prodotti piani rivestiti (pari a 1,9 milioni di t nel 1993, nell'aggregato dei tre comparti) ed è attiva nei laminati lunghi (3,2 milioni di t). Va sottolineato però che la crescente competitività delle piccole imprese siderurgiche non è stata sufficiente a compensare le perdite nei comparti di specializzazione delle imprese pubbliche. In anni recenti, questo aspetto dualistico del settore è stato caratterizzato dapprima dalla forte caduta dell'attivo commerciale (1981-87) e in un secondo momento dall'accumulo di un crescente passivo (1988-92). Nella media del biennio 1980-81, il saldo commerciale dell'i.s. italiana (solo comparto dell'acciaio) era pari a circa 2,6 milioni di t e diminuiva a circa 650.000 nella media del 1986-87. Dal 1988 il saldo di bilancia commerciale si è trasformato in passivo, di entità sempre superiore al milione di t annue. Un'inversione di tendenza di rilevante entità si è verificata nel 1993, anno in cui il saldo (4 milioni di t) è tornato sui valori positivi dei primi anni Ottanta.

Se l'accumulo del passivo commerciale nella parte finale del decennio Ottanta riflette primariamente le più volte richiamate inefficienze della siderurgia pubblica, allo stesso tempo non possono essere trascurate le difficoltà causate dalla crescente pressione competitiva dei concorrenti emergenti, i paesi in via di sviluppo e soprattutto la Cina. Tra il 1981 e il 1993 l'offerta dei paesi in via di sviluppo è più che raddoppiata: da 57,5 a 127,7 milioni di t (tab. 2). Le produzioni dei paesi industriali e dei paesi a economia pianificata (includendo in questo raggruppamento le economie in transizione dell'Europa dell'Est) sono state in diminuzione, passando rispettivamente da 402 a 377 e da 248 a 222 milioni di t. Se però distinguiamo la Cina dalle economie europee in transizione, osserviamo che la flessione è ricaduta interamente su queste ultime (da 206 a 126 milioni di t), mentre la Cina ha registrato un aumento dell'offerta molto forte (da 36 a 89 milioni di t). Nello stesso periodo la quota dei paesi in via di sviluppo sulla produzione mondiale è raddoppiata, dall'8,1% al 17,6% (tab. 3). Relativamente più pronunciata è stata la crescita della quota dei paesi di nuova industrializzazione dell'Estremo Oriente, soprattutto Taiwan e Corea del Sud (dal 2% al 6,3%). Tuttavia, il paese in assoluto più dinamico si conferma la Cina, la cui quota è cresciuta dal 5% del 1981 al 12% del 1993. La crescita della Cina ha contribuito a contenere la flessione della quota dei paesi a economia pianificata (dal 35% al 31%), ma non delle economie europee in transizione (dal 29% al 17%). La flessione della quota dei paesi industriali è stata pari a 5 punti percentuali, passando dal 57% al 52%.

A fine decennio Ottanta, una nuova caduta della domanda mondiale ha riproposto per l'insieme del continente europeo i problemi di eccesso di capacità produttiva. Il venir meno delle barriere politiche con i paesi dell'Europa centro-orientale e il timore che questo possa favorire l'apertura della CEE ai prodotti siderurgici dell'area, che presenta costi di produzione relativamente più bassi, avrebbero accentuato la portata delle difficoltà. La percezione del nuovo potenziale di offerta e la flessione dell'economia internazionale hanno avuto sensibili conseguenze sull'andamento dei prezzi, che sono diminuiti del 30% tra il 1989 e il 1993 dando luogo alla terza crisi del settore, la peggiore mai attraversata. La depressione dei consumi non ha risparmiato l'i.s. italiana che nuovamente dovrà affrontare i costi di un piano di razionalizzazione molto profondo del ramo pubblico, concordato con la Commissione CEE. Tenendo conto delle condizioni del mercato, il governo nel corso del 1993 ha varato nuovi tagli di capacità nell'ambito di un'azione che richiederà la privatizzazione delle maggiori imprese pubbliche. Vedi anche acciaio, in questa Appendice.

Bibl.: Confederazione Generale dell'Industria Italiana, L'industria italiana alla metà del secolo XX, Roma 1953; Ministero dell'Industria, del commercio e dell'artigianato, Programma finalizzato industria siderurgica, ivi 1979; M. Balconi, La siderurgia italiana (1945-1990), tra controllo pubblico e incentivi del mercato, Bologna 1991; Federacciai, Repertorio delle aziende siderurgiche, Milano, vari anni.

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