INDUZIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

INDUZIONE

Antonio Aliotta

. Logica. - È quel procedimento che dall'osservazione dei casi particolari passa alla legge universale e che è l'inverso della deduzione (v.). Il problema del fondamento dell'induzione può essere formulato così: che cosa autorizza a universalizzare e affermare per tutta la classe ciò che si è verificato solo in alcuni individui o casi di essa?

Aristotele nel libro XIII della Metafisica attribuisce a Socrate il merito di avere scoperto l'induzione e la definizione dell'universale; in realtà colui che formulò con rigore logico preciso e pose chiaramente il problema dell'induzione fu lo stesso Aristotele: "L'uomo - egli dice -, il cavallo, il mulo vivono a lungo; ora tutti gli animali senza fiele sono l'uomo, il cavallo, il mulo; dunque, tutti gli animali senza fiele vivono a lungo". Questa forma d'induzione è stata in seguito detta "per enumerazione semplice", perché suppone che si siano passati a rassegna tutti gl'individui o i casi di quella classe. Ma è chiaro che in tal caso, dato che non si sarebbe mai sicuri di avere esaurito la classe, nessuna somma di particolari, per quanto prolungata, ci darebbe mai l'universale. Se Aristotele considera legittimo quel passaggio è perché in realtà, secondo lui, attraverso la percezione si trasmette da un particolare oggetto all'organo di senso la forma universale che è immanente nella sua materia, il tipo della specie, che l'intelletto poi separa per astrazione. L'universale, come nelle cose, così è anche in potenza nel nostro intelletto; ed è in esso il vero fondamento d'ogni induzione dai particolari: l'induzione, come la concepisce Aristotele, non è che una deduzione dissimulata. Egli postula dogmaticamente la capacità di cogliere quella specie fissa che suppone fuori del pensiero umano nelle cose. La difficoltà così si sposta, ma non si risolve: chi ci autorizza ad affermare che vi sono quelle immutabili essenze oggettive e che esse passano nel senso, come la forma del suggello nella cera? Se la verità è pensata alla maniera aristotelica come un sistema già perfetto e conchiuso, non rimane che ricavarne le conseguenze con la deduzione, e questo fu, infatti, il metodo dominante nel Medioevo, che partì sempre dalla premessa arbitraria d'una scienza già completa. Solo nel Rinascimento si scuote questo dogma e si apre allo spirito la visione dell'infinità inesauribile del vero, che l'uomo può conquistare con l'esperimento. E contro l'infecondità della deduzione, che non ci fa dare un passo in avanti, ma ci chiude nel circolo di alcune premesse, accettate dalla tradizione o poste arbitrariamente, si proclama vero metodo di ricerca scientifica l'induzione; e non quella per enumerazione semplice, ma la vera induzione, che, anche partendo da pochi casi bene osservati, giunge a una legge. Galileo Galilei e Francesco Bacone furono i due grandi assertori del metodo nuovo. Ma né Galilei, né Bacone, mentre formulavano per i primi le regole da seguire nella ricerca delle leggi per mezzo dell'esperimento, si posero il problema intorno alla legittimità del passaggio da alcuni casi soltanto a una legge valida per tutta la classe di fenomeni. È il dubbio di David Hume che fa per la prima volta sentire la gravità del problema: si è costituito nella mia coscienza un legame associativo fra due fenomeni che ho osservato succedersi sempre l'uno all'altro, dimodoché, se si produce il primo, mi aspetto il secondo; ma questo legame soggettivo, dovuto a un'abitudine della mia coscienza, non è affatto una garanzia che la natura seguirà sempre quella legge. Kant cercò di superare lo scetticismo di Hume affermando che il principio di causalità è una delle forme universali e necessarie che costituiscono il presupposto logico d'ogni esperienza possibile: è il nostro intelletto che lo impone ai dati sensibili. Non si può concepire un'esperienza fuori di quella forma. Ma il problema così si spostava, non si risolveva: chi ci garantisce che le cose nel futuro agiranno in modo da lasciarsi inquadrare in quella forma? Posto il dualismo di soggetto conoscente e cosa in sé, l'obiezione era legittima. Il dubbio di David Hume rinasceva nella dottrina empiristica di Stuart Mill che negava l'universalità e la necessità del principio che sta a fondamento dell'induzione, e del postulato dell'uniformità delle leggi della natura faceva una specie di riassunto delle esperienze del passato, non accorgendosi che in ogni induzione lo spirito oltrepassa infinitamente le esperienze attuali e passate e costruisce un nuovo ordine logico, nuovi enti, nuovi rapporti sintetici, che non rispecchiano passivamente i dati empirici, ma sono prodotti della sua attività. Su questa attività, intesa non come il funzionamento d'una stereotipa forma a priori, ma come azione efficace, capace di produrre nuove strutture logiche, ha avuto il merito d'insistere il pragmatismo contemporaneo; ma esso, d'altra parte, considerando quell'azione come una manipolazione pratica del mondo dell'esperienza, diretta al fine di dominarlo e di farlo servire al soddisfacimento dei nostri bisogni, ha finito col negare ogni valore teoretico alla scienza; e, conservando il dualismo di attività dello spirito e cose esteriori, si è trovato davanti alla difficoltà insuperabile di spiegare come mai i dati esteriori fossero così docili da subire le manipolazioni arbitrarie dello spirito. In realtà, nella nostra esperienza concreta, non c'è questo dualismo. Il mondo dei fatti, da cui parte la scienza, il mondo delle cose del senso comune, porta in sé l'impronta dell'attività spirituale, ha già in sé una certa struttura razionale. I particolari non ci son mai dati fuori d'una certa forma universale.

Chiedere come dal particolare si passi all'universale è un problema mal posto, e, in questi termini, perciò insolubile. Si passa, in realtà, attraverso il processo induttivo, da un grado a un altro di razionalità: si parte dai fatti organizzati in una certa struttura logica già formulata nei termini delle teorie scientifiche attuali, per costruire nuovi rapporti logici. L'universalità e la razionalità possono concretizzarsi in forme e gradi infiniti. L'induzione è il processo attivo per cui il pensiero scientifico passa da un grado inferiore d'organizzazione logica del mondo dell'esperienza a un grado superiore. E in questo processo si possono creare nuove categorie, nuove leggi. La critica contemporanea della scienza ha distrutto l'idolo d'un tipo unico, statico di razionalità. Sono possibili costruzioni infinite di nuove strutture, di nuovi ordini logici operanti nel mondo della nostra umana esperienza, e che dalla loro efficacia, dalla loro capacità di elevarci a una forma più coerente e nel medesimo tempo più ricca di vita e di pensiero, traggono il grado relativo della loro umana verità.

Bibl.: A. Lalande, Les théories de l'induction et de l'expérimentation, Parigi 1929; H. H. Dubs, Relational Induction, Chicago 1930.

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