Ingegneria gestionale

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2008)

Ingegneria gestionale

Lucio Bianco

Le profonde trasformazioni che hanno subito le tecnologie organizzative a partire dagli anni Ottanta e soprattutto negli anni Novanta del XX sec., insieme alla tendenza sempre più marcata, in atto nel mondo produttivo, verso la globalità e l’integrazione, hanno contribuito all’affermazione dell’ingegneria gestionale come settore autonomo. Oggi l’ingegneria gestionale è diventata una disciplina a sé stante, alla quale concorrono numerose metodologie qualitative e quantitative, quali la teoria delle decisioni, la teoria dei comportamenti individuali, di gruppo e collettivi, la teoria economica, la scienza dell’organizzazione e della gestione, la ricerca operativa, la teoria dell’ottimizzazione, la teoria dei sistemi a eventi discreti e del controllo, la teoria dei sistemi relazionali, la teoria della complessità; tali metodologie sono sia di derivazione strettamente ingegneristica sia provenienti da settori più vicini all’economia o alla sociologia. Questa caratteristica evidenzia il fatto che l’ingegneria gestionale affonda le radici nella cultura gestionale, così come si è formata a seguito del processo di definizione dell’organizzazione scientifica del lavoro, associata agli strumenti e ai metodi quantitativi tipici della cultura ingegneristica. Nel seguito vengono esaminati alcuni aspetti fondamentali dell’ingegneria gestionale, relativi in particolare alla progettazione e costruzione di sistemi tecnologici complessi e ai requisiti operativi condizionati dai caratteri sempre più dominanti della globalità e dell’integrazione presenti nel mondo della produzione. Viene inoltre messa a fuoco la nuova figura professionale dell’ingegnere gestionale che si è andata ridisegnando di recente, in conseguenza delle trasformazioni avvenute nella disciplina di appartenenza.

L’ingegneria gestionale, così come si è configurata nel tempo, studia il comportamento dei sistemi organizzati, in particolare di quelli per la produzione di beni e servizi, nonché gli interventi su tali sistemi che permettono di ottenere comportamenti assegnati. Questi sistemi hanno tipicamente un elevato grado di complessità, in quanto le diverse componenti interagiscono fortemente e concorrono tutte a determinare le prestazioni del sistema complessivo. Ciò significa che le variabili tecnologiche risultano dinamicamente interconnesse con le variabili economiche, ambientali, istituzionali e sociali, e non sono fra loro facilmente scindibili in sede di scelte strategiche o operative. Tali interdipendenze devono essere opportunamente considerate nel processo strutturato che mira a controllare il comportamento complessivo dei grandi sistemi organizzati, tipicamente non interpretabile attraverso un’analisi condotta a partire dalle singole variabili indipendenti, e devono pertanto trovare corrispondenze idonee nell’articolazione dei processi decisionali.

sommario

1. La gestione dei sistemi organizzati. 2. La figura dell’ingegnere gestionale. □ Bibliografia.

La gestione dei sistemi organizzati

Le professionalità tipiche dell’ingegneria gestionale sono legate alle origini dell’ingegneria e allo sviluppo dell’organizzazione scientifica della produzione avvenuta con il taylorismo-fordismo. Alcune attività tipiche sono la gestione di progetti e programmi, la progettazione delle specifiche funzionali dei grandi sistemi tecnologici (in particolare la fabbrica automatica, i sistemi flessibili di produzione manifatturiera, i sistemi logistici e i sistemi informativi industriali), l’allocazione e la gestione di risorse (per es., risorse fisiche, informative, umane, finanziarie), il perseguimento della qualità totale, il trasporto e la distribuzione, la produzione manifatturiera o di servizi, la pianificazione, la gestione della configurazione del processo o del prodotto, l’analisi costi-benefici per la valutazione delle prestazioni e degli interventi, l’integrazione delle diverse attività aziendali che sono qui di seguito decritte.

Classificazione delle attività

Secondo lo schema classico di Anthony, in una qualsiasi organizzazione si possono distinguere tre tipi di attività: strategiche, tattiche, operative.

Le attività di tipo strategico sono compito dell’alta direzione e riguardano essenzialmente la pianificazione strategica cioè il processo decisionale che definisce gli obiettivi dell’organizzazione, il loro cambiamento, le risorse da acquisire e le politiche da seguire nel loro impiego. In quest’ambito rientrano per esempio, nel caso di un’azienda, le decisioni sulla scelta degli obiettivi, del mix di prodotti, delle aree di mercato, delle politiche finanziarie, dei piani di ricerca e sviluppo.

Le attività di tipo tattico sono connesse con la gestione corrente dell’organizzazione e riguardano il processo mediante il quale i dirigenti fanno in modo che le risorse disponibili vengano usate nel modo più efficace e più efficiente possibile per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione. Tra queste attività, spesso chiamate di programmazione e controllo, rientrano, facendo sempre riferimento a un’azienda, la formazione del budget, il controllo di gestione, le decisioni sui progetti in corso, le scelte sugli investimenti correnti, l’impiego ottimale delle risorse produttive. Naturalmente le decisioni relative devono essere coerenti con quanto deciso in precedenza a livello strategico.

I criteri che ispirano queste due classi di attività sono abbastanza differenti; mentre la programmazione e il controllo sono compiti ripetitivi, sistematici e orientati all’interno dell’azienda, la pianificazione strategica è diretta verso l’esterno, è irregolare e difficilmente strutturabile nonostante venga seguito sempre un percorso logico e razionale.

La pianificazione inoltre, poiché fa riferimento a orizzonti temporali di lungo termine, richiede un’attività analitica e creativa diversamente dall’attività di programmazione e controllo orientata allo svolgimento di mansioni più burocratiche.

Le attività di tipo operativo riguardano tutti quei compiti e quelle mansioni che permettono lo svolgimento del business aziendale. Rientrano in questo campo l’acquisizione di ordini, la fatturazione delle merci, la produzione, la gestione dei magazzini e così via. Si tratta cioè di attività esecutive e non più di attività di pianificazione e/o di verifica.

Ovviamente questa è una schematizzazione fatta a scopo esplicativo perché possono esserci attività che non rientrano perfettamente in nessuna di queste categorie ma hanno un carattere ibrido. L’ingegneria gestionale fornisce gli strumenti metodologici che aiutano i rispettivi responsabili a prendere le decisioni relative.

Il processo decisionale

Il processo decisionale è l’elemento centrale di una qualsiasi organizzazione e la sua strutturazione in termini precisi e quantitativi ha caratterizzato l’evoluzione dei sistemi organizzati negli ultimi decenni. Esso si articola generalmente, per ogni decisore o centro decisionale, in una serie di passi interdipendenti. Perché ogni fase del processo decisionale sia efficace e finalizzata all’obiettivo complessivo, è importante, nell’eseguire ogni singolo passo, integrare le decisioni in corso con quanto avviene in altre parti del sistema.

In effetti, bisogna tenere presente che, nei grandi sistemi integrati, il comportamento complessivo non è facilmente spiegabile a partire da quello dei suoi componenti, e questo rende necessario un approccio strutturato che tenga conto esplicitamente delle interdipendenze.

I sistemi a cui facciamo riferimento sono essenzialmente sistemi organizzati in ambito di aziende di produzione manifatturiera o di servizio, in cui sia possibile, almeno in linea di principio: (a) osservare l’evoluzione del sistema attraverso un adeguato sistema di flussi di informazione (tipicamente, sotto forma di documenti, moduli, rapporti ecc.); (b) misurarne il comportamento sulla base di un opportuno insieme di sistemi di rilevazione e immagazzinamento delle informazioni (automatico o manuale); (c) valutare il comportamento attraverso indicatori o modelli di valutazione delle prestazioni; (d) intervenire sull’evoluzione del sistema al fine di ottimizzarne il comportamento nell’ambito di vincoli ambientali prefissati.

In generale si può osservare che l’evoluzione dei moderni sistemi organizzati va nella direzione di una maggiore complessità; nel corso dell’evoluzione, i sistemi, anziché semplificarsi adeguandosi a standard di efficienza consolidati, tendono a differenziare la loro struttura e le loro risposte alle sollecitazioni esterne, frammentandosi in una molteplicità di centri decisionali più o meno autonomi. In tale contesto anche i processi decisionali subiscono una trasformazione che tende a privilegiare, da un lato, procedure relativamente semplici che possono essere efficacemente attuate in sede locale da ogni centro decisionale e, dall’altro, procedure di coordinamento a livello centrale di sistemi organizzati strutturati a rete, in cui si cerca di controllare solo alcuni elementi globali (e con effetti tipicamente di medio-lungo termine) dell’evoluzione del sistema.

Entrando più nel merito, occorre sottolineare che la decisione è il momento conclusivo di un processo di scelta tra due o più possibili alternative di azione che hanno come scopo quello di raggiungere un obiettivo.

Quando i problemi da risolvere e le corrispondenti decisioni sono ben strutturate le decisioni vengono prese sulla base di una metodologia ben precisa, le cui fasi principali (modello di Simon) sono le seguenti: (a) definizione del problema; (b) ricerca di alternative di azione; (c) valutazione delle alternative; (d) scelta di un’alternativa e sua implementazione.

fig. 2
fig. 3

Queste fasi, anche se ben distinte concettualmente, interagiscono reciprocamente in maniera spesso determinante, per cui alla soluzione del problema si perviene, in genere, attraverso un procedimento iterativo i cui passi, rappresentati dalla fig. 2, sono descritti qui di seguito. Nella fig. 3 è illustrato il rapporto tra il processo decisionale e questo procedimento iterativo di soluzione.

Definizione del problema. - In questa fase si prende coscienza che un problema esiste, se ne determinano le caratteristiche, se ne definiscono con precisione i limiti e la rilevanza nell’organizzazione in esame. Una volta completata l’analisi, il problema viene classificato in una determinata categoria.

Modellizzazione. - La modellizzazione (detta anche formulazione) del problema implica la sua concettualizzazione e astrazione in forma matematica. Questa è una delle fasi più complesse e delicate ed è costituita da una serie di attività tra loro collegate.

La prima è la determinazione degli obiettivi e consiste essenzialmente nel tradurre gli obiettivi espressi con formulazioni verbali qualitative, e spesso confuse, in precise formulazioni matematiche (funzione obiettivo) che ne chiariscano il reale significato. Ciò implica, in concreto, identificare le variabili di interesse del problema ed esprimere alcune di esse (variabili dipendenti) in funzione di altre (variabili indipendenti o di decisione).

Una volta definiti in modo formale gli obiettivi, si esprimono mediante relazioni matematiche i legami di interdipendenza esistenti fra le grandezze in gioco, che talvolta sono note soltanto parzialmente o date in forma implicita. Si costruisce così un modello matematico del sistema che si sta studiando, sia esso un’impresa, un sistema territoriale o un servizio pubblico.

Occorre comunque sottolineare che la costruzione del modello è un’operazione complessa in quanto essa dipende dagli scopi dello studio, dalle caratteristiche della funzione obiettivo e dalle variabili scelte per rappresentare il sistema. Inoltre, una volta costruito il modello, è necessario verificare la precisione con cui esso approssima il comportamento del sistema reale ed eventualmente aggiustare i valori numerici dei suoi parametri fino a ottenere una buona corrispondenza (calibrazione del modello).

Soluzione del modello. - Una volta calibrato il modello, per determinare gli interventi da effettuare sul sistema per conseguire gli obiettivi fissati, occorre trovarne le soluzioni. In taluni casi il modello può dare soluzioni ottime, mentre in altri, per l’impossibilità di una formalizzazione completa in termini matematici di obiettivi e vincoli, ci si deve accontentare di soluzioni subottime o comunque ritenute soddisfacenti.

Valutazione della soluzione. - Quando i cambiamenti che intervengono nel sistema reale sono tali da richiedere una modifica del modello che lo rappresenta, occorre sviluppare procedure atte a determinare rapidamente nuove soluzioni. A tal fine è importante individuare i parametri critici del modello, cioè quelli le cui variazioni danno luogo a differenti soluzioni.

Quest’operazione, che si chiama analisi di sensibilità, permette di valutare a priori le soluzioni migliori corrispondenti ai differenti valori che i parametri in gioco possono assumere. Secondo Herbert A. Simon, in un’ampia maggioranza dei casi, il decisore non ha interesse a una soluzione ottimale rispetto a un qualche criterio fissato, ma tende a ritenersi soddisfatto della scelta di un piano di azione cui corrisponde un valore della prestazione accettabile rispetto ad un target prefissato. Per questo motivo il modello di Simon è chiamato anche a razionalità limitata.

La gestione del lungo termine

Caratteristiche dominanti degli interventi sviluppati dall’ingegneria gestionale per il controllo dei sistemi organizzati sono, come abbiamo già anticipato, globalità e integrazione: ogni intervento viene visto in relazione a tutti gli altri nell’intero ciclo di vita del sistema che si sta analizzando.

In tale contesto, fondamentale è la valutazione delle prestazioni nel lungo termine, ovvero l’analisi delle conseguenze di lungo periodo delle scelte effettuate oggi, limitando l’enfasi sulle conseguenze di breve termine delle scelte da fare. Questo non è sempre facile, in quanto strategie di lungo termine richiedono maturità decisionale, ambiente favorevole e disponibilità di risorse.

Un fattore che rende spesso problematiche le scelte di lungo termine riguarda l’avvicendamento nelle posizioni di responsabilità dei decisori o, perlomeno, l’incertezza sulla durata dell’incarico. È naturale la tendenza a voler privilegiare i risultati relativi al periodo in cui il decisore è in carica, rispetto a quelli che interessano presumibilmente un successore. Solo adeguate politiche di formazione, che abituino i decisori a farsi carico dei problemi di lungo periodo del sistema, possono contrastare questo fenomeno. In un ambiente in rapida evoluzione, il livello di incertezza tende ad aumentare rapidamente allo spostarsi in avanti dell’orizzonte temporale. È quindi naturale privilegiare il breve termine, relativamente certo, rispetto a un lungo termine incerto, anche quando le conseguenze di errori fatti oggi potrebbero essere catastrofiche nel lungo periodo e tali catastrofi fossero prevedibili con buona approssimazione. In altre parole, è più facile passare sotto silenzio dubbi, anche gravi, relativi a un lungo termine parzialmente incerto, piuttosto che accettare penalizzazioni certe nel breve periodo. Anche in assenza di incertezza può essere considerato preferibile dal decisore optare per linee di azione che permettano di evitare rischi vicini nel tempo, piuttosto che linee di azione che permettano di evitare crisi lontane (non imminenti). Questo nella speranza che, nel lungo periodo, intervengano nuovi fattori a modificare la situazione, permettendo così di evitare la crisi. Solo in un processo decisionale in cui si raggiunga la sufficiente fiducia nelle previsioni di lungo periodo, è possibile valutare correttamente il rischio reale di una crisi futura e tenere conto adeguatamente degli effetti di lungo termine. Tra l’altro, il sistema premiante (aumenti di stipendio, promozioni ecc.), adottato dalla maggioranza delle aziende pubbliche e private, tende fortemente a privilegiare il breve termine in base a considerazioni di bilancio, di sopravvivenza in mercati fortemente competitivi e di comportamento analogo di altre aziende. La definizione di sistemi premianti, che riequilibrino il processo decisionale a favore del lungo periodo, è complessa e richiede un alto grado di accordo dei vari decisori su quali siano gli obiettivi complessivi del sistema.

Un problema strutturale, riferito a decisioni di lungo termine, è legato alla complessità. In effetti, ogni decisione rilevante coinvolge un elevato numero di decisori e di utenti. Prevedere i comportamenti di tutti gli elementi del sistema nel lungo termine è costoso e, in alcuni casi, praticamente impossibile. Nel breve termine possono essere adottate ipotesi di continuità del comportamento che permettono di scomporre il problema di decisione in sottoproblemi più semplici. Solo con strumenti modellistici sofisticati si possono trattare casi sufficientemente complessi. Tali strumenti sono oggi sempre più disponibili, ma il loro uso richiede un ambiente adeguato e una specifica cultura del decisore. Anche nel caso in cui sia tecnicamente ed economicamente possibile acquisire tutte le informazioni utili per una certa decisione, può risultare troppo difficile e/o costoso, per il decisore, stabilire una chiara relazione causa-effetto tra decisioni e prestazioni del sistema nel lungo termine. Un’adeguata formazione del decisore e/o un’adeguata assistenza di esperti può consentire di spostare, in misura rilevante, la frontiera di ciò che è tecnicamente ed economicamente possibile. L’ingegneria gestionale può dare un contributo rilevante in questa direzione. Tuttavia, capita spesso che strategie efficaci di lungo periodo richiedano modifiche alla situazione attuale, sacrifici di alcuni o di tutti e quindi siano impopolari e possano generare conflittualità all’interno dell’azienda o all’esterno. La tendenza a muoversi nella direzione di minima resistenza, rispondendo positivamente alla pressione dell’opinione pubblica o del contesto sociale, è ovviamente molto forte (e apparentemente crescente nelle attuali condizioni in cui la decisione-spettacolo viene privilegiata dai mezzi di comunicazione, rispetto a processi decisionali più seri ma più faticosi e spesso meno comprensibili in assenza di un’adeguata e diffusa preparazione). La riduzione della conflittualità può avvenire soltanto in ambienti favorevoli e in presenza di adeguate politiche di formazione tecnica del personale e degli utenti.

La base per una seria definizione di strategie future in un sistema complesso è un’analisi approfondita del passato. L’unico modo per far sì che previsioni e relazioni causa-effetto siano affidabili è quello di ripetere il processo decisionale, correggendo la strategia progressivamente che diventano disponibili i risultati sugli effetti delle scelte. In pratica è inevitabile che, prima o poi, gli approfondimenti necessari per la definizione di strategie future mettano in evidenza errori passati. Poiché molti di tali errori possono rivelarsi a posteriori evitabili, è evidente che i decisori coinvolti in quelle scelte non vedano con molto favore tali approfondimenti.

Un’altra difficoltà nella gestione della complessità è una diffusa tendenza, da parte di singoli decisori e degli organi decisionali, a sottostimare le risorse necessarie per costruire una politica decisionale di lungo termine e, successivamente, per implementarla. Viene sistematicamente risposto in modo errato (o non viene data risposta) alle domande alla base di qualsiasi processo decisionale strutturato: chi fa cosa? Entro quale tempo? Con quali informazioni? Con quali mezzi di supporto? Con quali risorse economiche e di personale? Questo fenomeno non riguarda soltanto la definizione delle politiche decisionali, ma anche la loro successiva implementazione. È tipico delle organizzazioni non mature intervenire per singoli provvedimenti, senza seguire gli sviluppi causati da tali interventi e senza programmare tutti i necessari interventi di supporto, manutentivi e correttivi, che, nel corso del tempo, sono richiesti. Viceversa, le organizzazioni complesse sono caratterizzate da interventi che richiedono rilevanti strutture di supporto e risorse la cui disponibilità deve essere pianificata, in molti casi, con anni di anticipo. Sistemi, anche molto sofisticati, vengono realizzati e poi tranquillamente lasciati in balia dell’erosione del tempo. Anche in questo caso, soltanto in un processo decisionale continuativo è possibile arrivare a una valutazione corretta delle risorse necessarie.

La gestione della complessità

Nell’ambito dei sistemi organizzati il problema della complessità ha diverse sfaccettature. In generale la complessità dei moderni sistemi organizzati (come, per es., un sistema flessibile di produzione) è legata alla struttura a rete dei flussi di informazione, dei flussi di risorse e dei flussi fisici, con sistemi di decisione multipolari, con ambiti di competenze differenziati e obiettivi multipli (e tipicamente contrastanti). L’esistenza di queste reti è uno degli elementi che ha portato all’introduzione di un livello intermedio di decisione e coordinamento fra il livello organizzativo complessivo dell’azienda e il livello tecnologico-operativo. Questo livello intermedio, sempre più importante in tutti i sistemi moderni, viene spesso indicato come livello funzionale o di sistema.

La complessità non è generalmente proporzionale al livello di aleatorietà nei comportamenti e nei dati; infatti, mentre in un sistema completamente casuale è impossibile prevedere il comportamento di ogni singolo elemento del sistema (e quindi il problema di previsione non si pone), è possibile, su base statistica, prevedere il comportamento di opportuni aggregati e stabilire regole di controllo e ottimizzazione delle prestazioni. In altre parole un sistema casuale non è necessariamente complesso: ciò che può essere fatto, in genere, è affrontabile con strumenti aggregati, spesso relativamente semplici; mentre ciò che non può essere fatto non pone problemi di decisione.

Nella realtà, i problemi più difficili da trattare sono quelli in cui il comportamento non è affatto casuale, ma in cui interviene un numero elevato di fattori, con interazioni di diverso tipo, nel determinare il comportamento dell’intero sistema.

La classificazione dei sistemi organizzati, in base alle loro caratteristiche di complessità (sia per sistemi deterministici sia per sistemi con elementi dal comportamento aleatorio), e lo studio di metodi esatti e approssimati per la determinazione degli interventi da fare per raggiungere obiettivi prefissati, rientrano in pieno nell’area di competenza dell’ingegneria gestionale e rappresentano alcuni dei problemi centrali della scienza delle decisioni e della gestione.

Una prima caratteristica è la molteplicità delle entità e la difficoltà a mettere insieme aggregati sufficientemente significativi. Oltretutto, nella maggioranza dei casi, la classificazione deve tenere conto non solo delle caratteristiche dell’oggetto che si sta analizzando, ma anche di quelle dell’ambiente in cui l’oggetto si evolve. Spesso infatti le caratteristiche più importanti di complessità derivano non tanto dai meccanismi di risposta dell’oggetto in esame, quanto dall’interazione dell’oggetto con un ambiente molto articolato e differenziato. Un carrello trasportatore, per esempio dotato di un sistema di guida automatico che gli faccia evitare gli ostacoli, può anche avere un programma di controllo e di reazione agli stimoli dei sensori relativamente semplice, ma, se si muove in un ambiente pieno di altri oggetti fermi o in movimento, dalle forme più svariate (come nel caso di uno stabilimento industriale), seguirà una traiettoria estremamente complessa e difficile da calcolare a priori. Per calcolare la sua traiettoria è necessaria una simulazione dell’intero stabilimento, in cui siano rappresentate posizioni e movimenti di tutti gli oggetti presenti e potenzialmente interagenti con l’oggetto in esame.

La molteplicità delle entità significative diverse e difficilmente aggregabili è spesso accompagnata da una molteplicità di collegamenti fra entità, a due a due o per sottoinsiemi. Tali collegamenti portano a una molteplicità delle possibili interazioni che, a fronte di fattori specifici, determinano l’evoluzione delle singole entità e del sistema organizzato nel suo complesso. Peraltro i collegamenti forniscono una base per la costruzione di una guida che consente di riconoscere le funzioni, prevedere i comportamenti e le evoluzioni possibili. La molteplicità di entità e collegamenti porta a una certa confusione nei linguaggi, una difficoltà a comunicare e a definire scelte collettive (accordi formali, protocolli d’intesa o anche solo accordi informali), in cui tutti gli attori abbiano la stessa idea sull’oggetto e sui termini dell’accordo. La formalizzazione della rete delle interazioni fra entità, con la formalizzazione dei protocolli d’interfaccia e delle procedure d’interazione, è un elemento essenziale di razionalità del sistema organizzato e di efficacia delle comunicazioni fra entità, base quindi di ogni processo decisionale collettivo. La capacità di gestire tale rete è un elemento chiave del successo di molte imprese.

Un altro aspetto della complessità particolarmente significativo è la maggiore o minore possibilità di fare estrapolazioni o previsioni, a partire da un determinato sistema che si trovi in uno stato assegnato.

Nel passato, esaminando un ambiente industriale e conoscendo, anche in modo approssimato, gli interventi fatti e quelli previsti, era relativamente facile per un esperto dire come probabilmente l’ambiente era stato un anno prima e come sarebbe diventato un anno dopo. Previsioni a lungo termine erano comunque difficili, ma sul breve-medio termine le previsioni relative all’assetto generale e alle linee possibili di sviluppo erano altamente affidabili.

Oggi questo non è più vero. La rete di interconnessione fra aziende, a livello azionario e di integrazione produttiva, i meccanismi di diffusione del know-how e dell’innovazione tecnologica, le caratteristiche dei mercati internazionali, la rilevanza e la mobilità delle risorse umane (almeno di quelle critiche per le prestazioni d’azienda) fanno sì che il numero di possibili combinazioni di fattori da valutare, per stabilire le linee evolutive e il numero e tipo di possibili evoluzioni diverse, sia talmente elevato, articolato e strutturalmente legato all’evoluzione di altre entità, da rendere in pratica difficile un’estrapolazione relativa a singole realtà aziendali, anche su intervalli di tempo relativamente brevi.

Ogni processo di estrapolazione richiede l’uso di strumenti concettuali sofisticati, la raccolta e la classificazione di dati e informazioni, la costruzione di modelli logico-matematici complessi, un ambiente di supporto (software, hardware, di comunicazione e di interfaccia) costoso e di utilizzo spesso non banale e infine un ambiente culturale e formativo in cui i concetti e le metodologie alla base delle estrapolazioni possano essere messi a punto e verificati.

Un ulteriore fattore di complessità, legato all’organizzazione del lavoro in ambienti tecnologici avanzati, conseguenza in parte della struttura distribuita e policentrica dei sistemi organizzati moderni, è la molteplicità dei ruoli che ogni attore è tenuto a giocare, sia nel tempo, sia con i diversi interlocutori. L’appartenenza stessa di una persona a una data entità del sistema non è più così chiara. Un operatore può, contemporaneamente, appartenere a una data entità per alcuni aspetti della sua attività, e a un’altra (magari con obiettivi contrastanti o, almeno, non omogenei) per differenti aspetti. Gli incroci azionari, i consorzi, le associazioni trasversali e le organizzazioni a matrice, sono tipici elementi che producono ruoli incrociati. Questa molteplicità di ruoli è comunque un elemento di stabilità del sistema, in quanto favorisce la comprensione dei punti di vista altrui e delle soluzioni o compromessi a cui è possibile e ragionevole arrivare nei problemi di scelta collettivi. In effetti, la molteplicità dei ruoli aumenta il grado di interdipendenza delle varie parti del sistema e questo fattore di connessione, che nei sistemi fisici può determinare instabilità, nei sistemi organizzativi produce tipicamente stabilità.

A fronte di questa molteplicità, una caratteristica della progettazione organizzativa in ambiente tecnologico avanzato è la flessibilità degli schemi organizzativi e delle procedure, per cui i contenuti effettivi dell’attività di molte unità elementari del sistema risultano di fatto molto diversi da quanto preventivato. Un esempio tipico è quello legato al passaggio di un progetto dal settore della progettazione a quello della produzione.

Inoltre, in molti casi, le decisioni prese in punti diversi del sistema organizzativo sono fortemente interdipendenti. Sorge quindi il problema di prendere decisioni e fissare specifiche in un ambiente che evolve continuamente nel tempo in funzione di altre decisioni. Gli esempi di questo fenomeno sono molti. Un caso studiato in modo sistematico è quello della definizione delle specifiche di un sistema formato da un numero elevato di sottoinsiemi progettati da gruppi diversi. Le specializzazioni dell’ingegneria gestionale, note come ingegneria dei processi correnti, ingegneria simultanea e gestione della configurazione, sono nate per affrontare in modo razionale questo fenomeno. Il grado di parallelismo della gestione dei processi correnti, relativi a decisioni/eventi separati ma fortemente integrati, è un significativo indice di complessità del sistema.

Di fronte alla complessità e alle incertezze del mondo reale, i progettisti e gestori di sistemi organizzativi hanno da sempre reagito sovrapponendo alla realtà delle sovrastrutture che, anche se non derivabili direttamente dalle finalità del sistema fisico, permettono tuttavia di gestirlo in modo più o meno efficace. Esempi di tali sovrastrutture sono le linee di montaggio introdotte agli inizi della produzione manifatturiera su larga scala, gli standard che governano il funzionamento dei sistemi di telecomunicazione, la borsa che governa le transazioni del mercato azionario, l’organizzazione interna delle imprese. In generale, scopo della semplificazione è quello di sviluppare architetture complessive del sistema organizzativo tali da poter ricondurre scelte, i cui effetti sono globali, a scelte basate su informazioni e valutazioni locali, in modo che l’architettura complessiva fornisca ragionevoli garanzie di efficacia globale come effetto di scelte localmente efficienti. Il gioco tra scelte locali e scelte globali è alla base di molti studi organizzativi e di ottimizzazione delle prestazioni.

La figura dell’ingegnere gestionale

Pur avendo radici che risalgono alle origini dell’ingegneria industriale, l’ingegneria gestionale nasce come settore formativo autonomo a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. In effetti, le attività tipiche dell’ingegneria gestionale venivano tradizionalmente svolte in passato da tutti gli ingegneri dopo un certo numero di anni di attività specialistica nella progettazione (meccanica, elettrica o civile); la gestione diventava più un compito legato all’anzianità o all’avanzamento di carriera, che non un’attività corrispondente a una disciplina consolidata a sé stante. Succedeva quindi spesso che gli ingegneri svolgessero attività gestionali senza una preparazione specifica, ma cercando di adattare alla gestione, a volte anche con successo, metodi sperimentati nella progettazione specialistica.

Partendo da questa esperienza consolidata, si è sostenuto per molto tempo che fosse preferibile, piuttosto che un indirizzo specifico della laurea in ingegneria, una formazione gestionale costruita nell’ambito di uno dei settori specialistici tradizionali dell’ingegneria. Secondo questa tesi, solo avendo sperimentato nel concreto i modi di operare della progettazione si possono usare efficacemente gli strumenti gestionali; è bene quindi, dovendo intervenire nella gestione di un sistema tecnologico complesso, avere svolto per un certo tempo, possibilmente in modo operativo, almeno alcune delle attività di progettazione specifiche che tale sistema richiede.

Con l’aumentare delle dimensioni e della complessità dei sistemi da gestire, questo tipo di impostazione ha mostrato i suoi limiti e si è progressivamente affermata la figura autonoma dell’ingegnere gestionale, con competenze tecniche di base impiantistiche e di sistema e una preparazione specifica relativa alle discipline caratteristiche dell’ingegneria gestionale prima menzionate.

In effetti, l’esperienza ha dimostrato come sia molto difficile inserire in modo adeguato una formazione gestionale nei curricula di tipo specialistico; l’abitudine a metodi esatti supportati da misure oggettive, mal si concilia con approcci di natura meno deterministica quali quelli tipici dell’organizzazione e della gestione.

D’altra parte, si è rivelato possibile consentire un’adeguata esperienza di progettazione a persone inserite in un curriculum gestionale, rimanendo in tale ambito, senza dover costruire una preparazione specialistica settoriale. Infatti, in un ambiente tecnologico in cui tutta la progettazione si sta spostando su aspetti funzionali e viene effettuata attraverso interfacce informatiche, la progettazione di un apparato diventa sempre più simile a quella di un sistema organizzativo, di una linea di produzione o di una procedura di gestione di un servizio.

L’ingegnere gestionale resta perciò, innanzi tutto, un ingegnere, ossia una persona dotata di un bagaglio di conoscenze di tipo metodologico e quantitative da utilizzare in tutte quelle attività in cui la tecnologia interagisce in modo critico con le variabili socio-economiche e ambientali e l’innovazione gioca un ruolo rilevante. In questo modo egli accumula un insieme di competenze di carattere tecnologico, economico, organizzativo e gestionale che lo mettono in grado di progettare e gestire sistemi complessi quali i sistemi logistici, di trasporto, di produzione, di accounting e altri ancora. Egli diventa in buona sostanza uno specialista capace di gestire la complessità che caratterizza oggi il mondo della produzione e dei servizi.

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Waters 1996: Waters, Donald, Operations management, Harlow-Reading (Mass.), Addison-Wesley, 1996.

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