INQUINAMENTO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

INQUINAMENTO (inquinamento atmosferico, App. III, 1, p. 884)

Giovanni Battista Marini-Bettolo
Emilio Gerelli
Dino Marchetti
Ugo Facchini

L'i. è la presenza in un determinato ambiente limitato o circoscritto di una o più sostanze estranee oppure costituenti normali, ma presenti in proporzioni superiori alla media. Quando queste sostanze estranee, dette "inquinanti", non vengano eliminate rapidamente, turbano la composizione e quindi l'equilibrio dell'ambiente e possono provocare per la loro presenza danni agli uomini, agli animali e alle piante.

L'i. dev'essere sempre riferito a un oggetto. Si può parlare di "i. dell'ambiente" o "ambientale"; questo a sua volta va considerato nei suoi vari aspetti di "i. dell'atmosfera", "i. delle acque superficiali", "i. del suolo e delle falde"; atmosfera, acque e suolo s'indicano anche con il nome di recipienti nel vero senso etimologico.

L'i. dell'ambiente può essere di origine naturale o causato dalle attività umane.

L'i. naturale è dovuto soprattutto all'attività vulcanica e a fattori eolici come pure a contaminazioni locali naturali (frane nei fiumi, emanazioni di gas naturali, ecc.). I fumi dei vulcani in attività sono capaci di riversare nell'atmosfera un'ingente quantità di polveri e di anidride solforosa, SO2. Egualmente ingenti sono le quantità di polveri trascinate dai venti in zone anche molto lontane da quelle di origine. Le acque dei mari possono venire contaminate da sorgenti sottomarine e dalla presenza di particolari vegetazioni localizzate in alcune aree come, per es., la presenza di alghe in eccesso (Mar dei Sargassi, costa americana del Pacifico, ecc.).

L'i. causato dall'uomo e dalle sue attività dipende sostanzialmente dalla concentrazione in zone limitate di popolazioni, di industrie, di mezzi di trasporto, di attività minerarie o zootecniche che portano alla formazione di scorie gassose, liquide e solide in quantità tali che l'ambiente circostante non è capace di assorbire e nemmeno di disperdere rapidamente. In queste condizioni si creano delle alterazioni della composizione dei diversi recipienti, dove si accumulano quantità di sostanze estranee che portano alla modifica delle caratteristiche chimiche e fisiche dell'ambiente stesso. L'i. è infatti in diretta relazione con l'entità dello sviluppo demografico, industriale, agricolo e zootecnico che causa l'accumulo di tali quantità di sottoprodotti, di difficile smaltimento, mentre in condizioni di equilibrio naturale le scorie rientrano automaticamente nei cicli biologici (economia pastorale, economia agricola).

L'i. si può classificare rispetto al recipiente che viene inquinato oppure rispetto al tipo d'inquinante.

Nel primo caso abbiamo: "i. atmosferico", "i. delle acque", "i. del suolo".

Nel secondo caso si ha: "i. biologico" nel caso di inquinanti di origine biologica (umana, animale) quali rifiuti organici, batteri, virus, microrganismi patogeni; "i. chimico", quando il materiale è costituito soprattutto da sostanze chimiche, quali, per es., gas tossici, fumi, polveri, oli minerali, sottoprodotti di lavorazione industriale, pesticidi, detergenti.

Si definisce "i. fisico" il fenomeno che porta a modificare le caratteristiche fisiche dell'ambiente, per es., quando si modifica, con l'istallazione di una centrale termica, la temperatura delle acque di un fiume o di un lago ("i. termico"). Anche l'"i. acustico", da rumore nelle città e nei complessi industriali è un tipo d'i. fisico, come pure l'"i. radioattivo" (v. in questa App.), dovuto alla presenza nell'ambiente di una concentrazione di radioisotopi superiore alla norma.

Ancora gl'i. si possono classificare secondo la loro origine come "i. urbano", "industriale", "agricolo", "da traffico".

Inquinamento dell'atmosfera. - L'aria secca ha nella sua composizione media normalmente piccole quantità di gas estranei, come il monossido di carbonio, l'anidride solforosa e l'ammoniaca. Ogni variazione sensibile della percentuale dei componenti minori costituisce già i., com'è i. la presenza di sostanze estranee.

Nell'aria le sostanze estranee si possono trovare a diverse concentrazioni; in alcuni casi queste possono raggiungere livelli di pericolosità quando superino certi limiti o permangano per un prolungato e/o determinato tempo.

Infatti nell'i. atmosferico va tenuto presente il fattore concentrazione e il fattore durata. I livelli massimi stabiliti dalla legge per ogni tipo d'inquinante stabiliscono infatti il "limite massimo istantaneo" e la "quantità globale in un determinato periodo di tempo".

Gl'inquinanti più comuni dell'aria sono i prodotti della combustione e in particolare l'anidride solforosa e le polveri in sospensione.

In prima approssimazione questi due parametri vengono presi come indice dell'i. atmosferico, dovuto anche ad altri fattori.

L'anidride solforosa si forma dalla combustione dello zolfo presente in piccole quantità anche in stato di combinazione nei carboni, ligniti, oli minerali, e quindi si trova presente tra i prodotti della combustione industriale e domestica, si può dire dalla centrale termica al caminetto.

Le polveri in sospensione provengono per lo più dai processi industriali, da combustioni e dal traffico cittadino. La composizione delle polveri è quanto mai diversa e complessa: a parte le dimensioni delle singole particelle, che va dalle microscopiche a quelle visibili, sono costituite da materiale inorganico e organico. Tra quest'ultimo sono presenti numerosi idrocarburi, anche policiclici.

Oltre all'anidride solforosa e alle polveri componenti normali dell'i. dell'atmosfera al disopra di una città si trovano ossidi di azoto, idrocarburi, aldeidi, monossido di carbonio, provenienti da traffico urbano motorizzato e da combustioni incomplete e difettose. In aree limitate, soprattutto urbane, ma anche lungo le autostrade, si trova come inquinante il piombo proveniente dal piombo tetraetile e tetrametile, impiegato come antidetonante nei carburanti.

Anche l'anidride carbonica può superare le concentrazioni della composizione media dell'aria, specie in zone non ventilate, ma essa è abbastanza controllata dal ciclo dell'ossigeno-carbonio che attraverso i processi fotosintetici tende a ridurne la quantità.

Accanto ai componenti normali dell'i. dell'aria in una zona abitata, è possibile avere un certo numero di contaminanti occasionali, dovuti alla presenza di impianti industriali. Per es., si possono avere polveri vicino alle cementerie, ossidi di ferro vicino ad alti forni e alle acciaierie, mercaptani vicino alle raffinerie di petrolio, ossidi di azoto da numerose lavorazioni chimiche, polveri d'asbesto, ecc.

Le disposizioni normative in genere vietano gli scarichi non controllati di sostanze tossiche o fastidiose, oppure stabiliscono dei limiti da non superare. Tuttavia è sempre possibile rilevare sensorialmente la presenza di tracce di contaminanti specifici legati al ciclo industriale produttivo dell'area circostante.

L'i. dell'aria, a seconda dei livelli che i vari inquinanti possono raggiungere, costituisce un "fastidio" (nuisance) oppure un "danno alla salute".

I limiti dei diversi contaminanti nell'aria sono basati sul fatto che i livelli di pericolosità non devono mai essere raggiunti.

Talvolta si possono tuttavia verificare alcune circostanze dovute a fenomeni meteorologici particolari per cui questi livelli possono venire superati malgrado le precauzioni prese. Altre volte, in modo non prevedibile, si possono formare nell'atmosfera sostanze tossiche, risultanti dall'interazione tra i vari contaminanti, in particolari condizioni atmosferiche.

La tendenza delle particelle in sospensione e dei gas a diffondere nell'atmosfera rende di solito il fenomeno della concentrazione di queste sostanze estranee piuttosto raro. Per es., l'emissione di monossido di carbonio in una strada non raggiunge, per la grande tendenza a diffondere di questo composto, concentrazioni pericolose per l'uomo, mentre le stesse concentrazioni sarebbero letali in gallerie e comunque in luoghi non ventilati.

Un processo analogo avviene nell'atmosfera di una città nella quale quotidianamente s'immettono tonnellate di anidride solforosa, di polveri in sospensione, di idrocarburi, di ossidi di azoto; queste sostanze vengono portate verso l'alto dai moti convettivi e quindi disperse dalle correnti atmosferiche. Il moto convettivo ascensionale è dovuto al gradiente termico che diminuisce dalla temperatura al suolo a quella delle quote alte dell'atmosfera, a questo fatto si deve appunto la dispersione degl'inquinanti atmosferici.

In alcune particolari condizioni meteorologiche questo fenomeno s'inverte, cioè gli strati superiori sono più caldi di quelli inferiori, si ha una "inversione termica". Di conseguenza non si verifica più il moto ascensionale dell'aria, anzi a una quota che può essere di poche centinaia di metri, si crea un tetto che impedisce ai gas e alle particelle di sfuggire. Questo fenomeno crea una specie di gigantesca scatola tra suolo e tetto dove non circola l'aria e dove si accumulano gas e polveri creando concentrazioni che possono superare i livelli di fastidio e di pericolosità, specie dovuti alla presenza di anidride solforosa e di ossidi di azoto. I fenomeni d'inversione termica di Londra e di Milano sono sempre stati associati ad aumenti di malattie bronchiali, di asma e di sofferenza e anche di morte di persone malate dovute alle elevate concentrazioni di questi inquinanti.

Non sempre gl'inquinanti che vengono versati nell'atmosfera agiscono come tali: spesso infatti possono combinarsi per dare origine ad altri prodotti talvolta anche più tossici, detti "inquinanti secondari".

L'esempio più noto di questi inquinanti secondari è il cosiddetto smog, parola coniata in Gran Bretagna dalle parole smoke (fumo) e fog (nebbia). In questo caso le particelle presenti nell'aria in sospensione agiscono come superficie di catalisi tra i gas presenti, in presenza di radiazioni ultraviolette, e costituiscono altresì centri di condensazione per l'umidità atmosferica. A seconda del tipo di reazioni che prevalgono e che dipendono da fattori atmosferici si può avere uno "smog ossidante" o fotochimico nelle zone dove è prevalente la radiazione luminosa, come a Los Angeles e a Milano, e lo "smog riducente" tipico della città di Londra.

Le reazioni principali che avvengono nello smog ossidante sono state studiate a fondo e portano tra l'altro alla formazione di composti tra idrocarburi non saturi e ossidi di azoto, per azione di radiazione ultravioletta, noti con il nome di perossi-acil-nitriti, sostanze dotate di elevato potere irritante per le mucose (v. schema).

Queste sono responsabili del disagio causato in varie zone, specie agli occhi, in città, come Los Angeles, soggette a questi fenomeni.

Misura dell'inquinamento atmosferico. - Una volta stabilito il tipo d'inquinante responsabile dell'i., nel momento che si fissano i limiti, si deve stabilire anche la metodologia per la sua determinazione analitica. Generalmente come indice dell'i. generico si assumono le concentrazioni dell'anidride solforosa e delle polveri nelle 24 ore. In alcuni casi va precisato che mai si devono superare taluni massimi istantanei. Questi due parametri riflettono abbastanza bene il grado d'i. in una città media. In altri casi occorre stabilire i limiti di ossidi di azoto e di idrocarburi volatili. Nelle zone industriali si devono prescrivere sistemi per controllare la presenza di contaminanti specifici come l'acido cloridrico o il cloro.

La presenza di analizzatori e il continuo rilevamento dei dati nelle immediate vicinanze di un complesso industriale, può consentire un controllo sull'impiego dei vari combustibili a diverso tenore di zolfo in modo da condurre le lavorazioni senza che mai vengano superati limiti di fastidio o di pericolosità.

In numerose zone industriali sono operanti reti di questo tipo con apparecchiatura automatizzata e rilevamento ed elaborazione dei dati su calcolatore (tabella dei limiti massimi d'i. allegata al d.P.R. 15 aprile 1971, n. 322).

Abbattimento e riduzione dell'inquinamento atmosferico. - L'i. atmosferico è soprattutto il risultato dell'attività dell'uomo: produzione di energia, riscaldamento, trasporti, industrie, attività tutte che si concentrano in zone relativamente limitate, aree urbane e industriali. In queste spesso non si riescono a realizzare sufficienti diluizioni e dispersioni degli effluenti gassosi e particolati; si creano quindi condizioni di fastidio e sofferenza per le popolazioni che vivono in quelle stesse aree.

Le prime misure per ridurre l'i. atmosferico risalgono allo scorso secolo in Gran Bretagna e sono di carattere tecnico normativo. Il principio sanzionato per le emissioni di cloro si fondava sulla proibizione di scaricare questo gas nell'aria e quindi obbligava a trovare un metodo per neutralizzare o utilizzare questo prodotto.

Il criterio normativo attuale tiene conto dell'odierno sviluppo industriale e delle necessità di tutelare la salute pubblica e su questa base fissa dei limiti di sicurezza per le emissioni, imponendo alle industrie l'adozione di accorgimenti tecnici, che consentano di rientrare nei limiti.

Nel caso di consumi individuali, quale il riscaldamento domestico lo Stato può proporre soluzioni drastiche. A Londra il riscaldamento è stato centralizzato in poche centrali termiche, tecnicamente perfette, che forniscono acqua calda e vapore ai singoli. In Italia la l. 13 luglio 1966, n. 615 pone dei limiti all'impiego del tipo di combustibile secondo le zone, cioè s'impone il consumo di oli minerali a basso contenuto di zolfo, nelle zone a maggior concentrazione industriale e a più elevata popolazione. Infatti dato che l'i. singolo si somma con quello di tutti gli altri, e dipende dal regime meteorologico, in alcune città poco inquinate si consente l'uso di combustibili a più elevato contenuto in zolfo, mentre in altre dove concorrono molte sorgenti all'i. si obbliga l'uso di combustibili a basso tenore in zolfo. In Italia la legge predetta prevede appunto una suddivisione dei Comuni in zone A e zone B a questo effetto (v. oltre).

Per ridurre i danni delle emissioni dei veicoli a motore si cerca di modificare progressivamente i cicli dei motori a scoppio in modo da ridurre il tenore di ossidi di azoto e di monossido di carbonio: questo rappresenta oggi (1976) circa il 40% in peso della benzina consumata. Nel caso dei motori Diesel occorre ridurre l'emissione di fumi mediante adeguata manutenzione. Il traguardo per i mezzi di trasporto è il veicolo sempre meno inquinante (automobili elettriche, motori a turbina, ecc.); è tuttavia sempre ancora lontano.

Le norme attuali tendono a impedire l'ulteriore deterioramento della "qualità dell'aria", riducendo le fonti d'inquinamento.

Tuttavia anche numerose soluzioni vengono oggi prospettate per la disciplina di nuovi insediamenti territoriali, sia urbani sia industriali. Questi si basano sulla valutazione dei vari contributi d'i. da parte di ogni singola sorgente, in funzione delle condizioni meteorologiche medie. Questi dati permettono di sviluppare in base a un calcolo matematico un modello d'insediamento che salvaguardi dall'inquinamento.

Naturalmente il modello basato su fattori additivi, per essere valido, dev'essere globale e considerare anche i contributi all'i. delle acque e del suolo.

Infatti molto spesso molte misure tecniche che si prendono per ridurre l'i. si possono ridurre a un trasferimento dell'i. da un recipiente all'altro. Per es., abbattere dei fumi contenenti SO2 con acqua e alcali e versare questa soluzione nel fiume; bruciare rifiuti solidi e inquinare l'atmosfera con vapori acidi e particelle in sospensione.

Inquinamento delle acque superficiali. - Le acque, sopratutto quelle correnti, hanno da sempre costituito il principale mezzo delle società all'inizio di una organizzazione per allontanare i rifiuti. Ne sono ancora vivo esempio le reti di fognature da parte di antiche civiltà (Cloaca Massima a Roma). La presenza nelle acque correnti di sistemi biologici costituiti da microrganismi capaci di trasformare le sostanze organiche, in presenza dell'ossigeno disciolto, in anidride carbonica e acqua, consente a molti corpi idrici un potere ("autodepurante", che permette di ripristinare le caratteristiche del corpo idrico. Quando tuttavia il carico inquinante o per quantità o per qualità (scarichi acidi o alcalini, acque solfitiche, ecc.) turba questo fenomeno, sia agendo sui microrganismi, sia impoverendo di ossigeno le acque, il potere autodepurante delle acque diminuisce rapidamente fino a scomparire. In questo caso si ha un grave danno perché l'alterazione del corpo idrico può diventare irreversibile; il corpo idrico si trasforma in una fogna a cielo aperto. Questo fenomeno avviene sopratutto in fiumi di piccola portata ma con forti carichi inquinanti.

Nei laghi si verifica un altro fenomeno provocato da un eccesso di ioni nitrato e di ioni fosfato nelle acque, che causano un grande sviluppo della flora acquatica e in particolare di alghe che sottraggono ossigeno alle acque causando condizioni che non consentono la vita biologica nelle acque. Dopo la scomparsa degli animali acquatici, le stesse alghe imputridiscono per mancanza di ossigeno e il lago lentamente si avvia a divenire uno stagno. Questo fenomeno è noto con il nome di eutrofizzazione (o eutroficazione). Nei laghi oltre a fenomeni di eutrofizzazione si possono riscontrare, a seconda dei casi, alterazioni più complesse dovute allo scarico di determinati prodotti chimici che portano a modificazioni profonde e permanenti delle acque: per es., gli scarichi di sali di rame nel lago di Orta (Novara).

Questi fenomeni e soprattutto l'eutrofizzazione e la scomparsa del potere autodepurante delle acque sono causa di gravi alterazioni dell'ambiente.

Esse hanno diverse origini. Mentre nell'aria dobbiamo considerare solo i caratteri topografici e le condizioni meteorologiche che diversificano il "recipiente", nel caso dell'acqua dobbiamo considerare diversi parametri a seconda che la contaminazione avvenga in un fiume, in un lago, nel mare. Infatti ognuno di questi recipienti presenta caratteristiche particolari, per cui è necessario considerarli separatamente. Un posto particolare occupa l'i. delle falde idriche che potrà essere considerato insieme con l'i. del suolo.

Inquinanti. - L'i. delle acque può essere, come si è visto, "biologico", "chimico" o "fisico", oppure "urbano", "industriale", "agricolo".

Nell'i. biologico si considerano soprattutto gli scarichi urbani domestici di origine biologica e quelli degli allevamenti zootecnici (divenuti oggi di notevolissime dimensioni).

L'i. chimico è dato dallo scarico nelle acque di liquidi e sospensioni di materie organiche e inorganiche, raccolti dalle reti fognanti delle città (polveri detergenti, residui di oli minerali, ecc.), residui industriali della più diversa natura che possono andare dai residui di macelleria, ai liquidi solfitici dell'estrazione della cellulosa, a soluzioni di solfato di rame, a liquidi acidi o alcalini, a liquidi di lavaggio di tintorie, di concerie, ecc. Particolare importanza per la loro persistenza hanno i detergenti, largamente entrati nell'uso domestico, costituiti da fosfati, capaci di favorire l'eutrofizzazione delle acque, e da sostanze tensioattive che agiscono sulla vita biologica delle acque.

L'agricoltura contribuisce all'i. delle acque con l'apporto di nitrati e fosfati per dilavamento dei fertilizzanti chimici e con i pesticidi, specie quelli clorurati, molto persistenti e scarsamente degradabili per via biologica.

Inquinamento dei fiumi. - La presenza nei fiumi di una flora batterica, capace in presenza di ossigeno di ossidare e quindi di mineralizzare la maggior parte degl'inquinanti, è il fattore più importante per la determinazione del potere autodepurante delle acque. Da misure di carico inquinante, che di norma si conduce mediante il cosiddetto BOD (Biochemical Oxygen Demand) o richiesta biochimica di ossigeno, e di ossigeno disciolto, è possibile valutare la capacità di un corso d'acqua di autopurificarsi. Quindi nota la quantità d'inquinante che viene smaltita in un corso d'acqua, calcolando la portata di questo, l'ossigeno disciolto e il BOD, è possibile dosare il materiale da smaltire e mantenere il corso entro le capacità di autodepurazione. Questo vale per gl'impianti industriali oltre che per gl'insediamenti urbani.

Per questo motivo è tuttavia necessario, per alleggerire il carico del materiale da versare nelle acque, specie in zone molto popolate, e anche in zone industriali, fare un trattamento preventivo che valga a trattenere il materiale solido (grigliatura e decantazione o "processo primario"). In alcuni casi conviene sottoporre le acque contenenti materiale disciolto o in sospensione a un trattamento biologico, con i cosiddetti "fanghi attivi". Questo consente, per l'apporto microbiologico dei fanghi attivi, di far avvenire in speciali vasche o in torri attraversate da ossigeno l'ossidazione della materia organica (processo secondario). Dopo aver subìto questi trattamenti le acque possono essere versate nei fiumi (come pure nel mare) senza creare inquinamento. Questo sistema viene oggi usato nei principali centri urbani.

I trattamenti primari e secondari non sono tuttavia sufficienti, nel caso di laghi e di acque superficiali, a evitare il fenomeno dell'eutrofizzazione legato alla presenza negli scarichi di fosforo e azoto in forma utilizzabile da parte degli organismi acquatici vegetali. L'eutrofizzazione è pure favorita, come si è visto, dai fosfati provenienti dai fertilizzanti e dalle miscele detergenti.

Per proteggere quegli specchi d'acqua, come molti laghi della zona alpina dove l'eutrofizzazione minaccia di trasformarli in stagni e paludi, è necessario che le acque che vi si versano vengano sottoposte a un processo d'insolubilizzazione dei nitrati e dei fosfati - trattamento terziario, non sempre facilmente realizzabile in pratica.

I processi di eutrofizzazione sono seguiti anche da modificazioni delle specie dei microrganismi presenti nelle acque, in particolare nei laghi: la loro presenza costituisce un indicatore molto più sensibile degl'indici chimici.

Un aspetto molto importante dell'i. delle acque è l'i. microbiologico, dovuto essenzialmente a scarichi urbani. Accanto a microrganismi non patogeni come i coliformi si possono trovare anche numerosi patogeni come la Salmonella typhi, Vibrio cholerae, Mycobacterium tubercolosis, oltre a numerose spore, leptospire e virus tra i quali quello della poliomielite. Pertanto le acque sono un veicolo notevole di infezioni, diretto e indiretto. Per ovviare a questo è necessario far subire alle acque fognanti, prima del loro scarico indiscriminato nei fiumi e in mare, un processo secondario, oppure un processo primario seguito da un trattamento con ossidanti. La presenza nei corsi d'acqua infatti di questi microrganismi può anche contaminare la catena alimentare in quanto questi possono essere fissati dai molluschi. La presenza di acque con elevato indice di Escherichia coli, che indica l'i. fecale, può essere pericolosa per la balneazione.

Oltre all'i. da microrganismi e da virus nelle acque si possono avere contaminazioni dovute a particolari parassiti: in numerosi paesi africani, asiatici e anche del Sud America si trovano acque inquinate da Schistosoma mansoni, un parassita che ha come ospite intermedio un mollusco d'acqua dolce del genere Planorbis. Questo fatto crea un gravissimo danno sociale per la gravità della malattia (schistosomiasi o bilharziosi) che viene trasmessa e la non disponibilità di queste acque per numerosi impieghi, tra i quali non solo la balneazione ma anche le culture, come quella del riso, dove occorre grande manodopera che lavori nell'acqua.

Inquinamento del mare. - È necessario distinguere l'i. costiero da quello del mare aperto e degli oceani in genere. Nelle zone costiere l'i. più sensibile, specie vicino a coste particolarmente abitate, è quello biologico dovuto a scarichi indiscriminati che vengono effettuati senza trattamenti. Nei porti si ha una situazione d'i. molto particolare appunto per gli scarichi incontrollati delle navi. Per la contaminazione microbiologica delle acque costiere si deve ripetere quanto si è sopra riportato per l'i. delle acque superficiali. Molluschi e altri animali marini possono divenire veicoli pericolosi di tossinfezioni alimentari per la loro capacità di concentrare, filtrando le acque, microrganismi e tossine. È noto che uno dei veicoli più comuni per la trasmissione del tifo e dell'epatite virale è il consumo di molluschi crudi.

Ancora lungo le coste si possono avere contaminazioni dovute a scarichi industriali, ma soprattutto al traffico legato all'approvigionamento degl'impianti di lavorazione del petrolio.

La contaminazione da oli minerali del mare è uno dei più gravi problemi dell'i. del mare. Si calcola che le perdite normali dovute al trasporto del greggio siano già sensibili; a questi si aggiungano le quantità scaricate con l'acqua usata come zavorra nelle petroliere e gl'inevitabili incidenti. La contaminazione da idrocarburi porta alla formazione di uno strato monomolecolare diffuso su vaste estensioni di mare, oltre che alla presenza sulle coste di abbondanti tracce di residui catramosi. Malgrado processi di trasformazione e autopurificazione da parte del mare, questi idrocarburi turbano gravemente gli equilibri non solo biologici del mare, ma anche quelli chimico-fisici, cioè gli scambi gassosi tra mare e atmosfera cui è legata la funzione clorofilliana delle alghe e la formazione di carbonati e bicarbonati ad opera dell'anidride carbonica.

I detergenti inoltre per la loro resistenza agli agenti geobiologici come pure a quelli atmosferici permangono per lungo tempo anche nelle acque del mare creando una serie di problemi per la vita acquatica sia per la loro stessa tossicità sia per l'azione modificatrice della tensione superficiale.

Il mare inoltre come "ultimo recipiente" può venire inquinato da prodotti chimici molto resistenti alla degradazione quali i pesticidi clorurati e altri prodotti clorurati d'impiego industriale.

Queste sostanze, quali il DDT e i suoi prodotti di parziale trasformazione, come il DDE, l'esaclorocicloesano, i clorociclodienici da un lato e i polidifenili clorurati dall'altro, costituiscono sempre più un fattore d'i. che nel mare trova un veicolo per la concentrazione, attraverso il ciclo plancton-alghe-pesci-uccelli, nella catena alimentare dell'uomo.

Nel mare si trovano anche come contaminanti ioni di alcuni metalli: tra questi ha destato particolare preoccupazione il mercurio in quanto esso entra nella catena alimentare e si ritrova in quantità sensibili nelle carni dei pesci. Si è potuto stabilire che parte del mercurio presente allo stato di ione nel mare proviene da i. naturale, un'altra parte ha origine da lavorazioni industriali. Lo ione mercurio subisce una concentrazione e nei pesci si trova in gran parte trasformato in dimetilmercurio. Consumo di rilevanti quantità di pesce contaminato può provocare gravissime sindromi patologiche (malattia di Minamata) riscontrate la prima volta in Giappone. Attualmente (1976) il contenuto medio di mercurio delle carni di tonno o di pesce spada è di 0,5 ppm. Un problema di concentrazione simile è stato riscontrato con lo 90Sr, l'isotopo radioattivo che si forma nelle esplosioni nucleari la cui pericolosità per l'uomo è legata alla sua lunga vita media (27 anni) e alla capacità di sostituire il calcio e quindi alla sua lunga permanenza negli organismi. Lo 90Sr viene concentrato molte volte nel plancton e quindi attraverso i pesci passa nella catena alimentare.

Inquinamento termico. - La necessità per numerose centrali termiche, come anche in alcune fabbriche di prodotti chimici, di raffreddare vapori e circuiti porta a utilizzare le acque superficiali che al termine vengono restituite a una temperatura superiore a quella iniziale. Questo provoca un innalzamento della temperatura media di talune zone del fiume, ciò che causa l'alterazione dei processi biologici con conseguenze talvolta assai gravi: scomparsa di pesci, cambiamento della flora acquatica, ecc.

Inquinamento del suolo e delle falde. - L'i. del suolo è dovuto allo smaltimento dei rifiuti solidi, da quelli urbani a quelli delle miniere, in modo da creare delle condizioni di disturbo e di alterazione del suolo e anche causa di infezioni e di contaminazioni. I residui solidi urbani hanno subìto nella composizione una notevole modificazione negli ultimi anni, passando da sostanze organiche, generalmente facilmente biodegradabili, a materiali plastici e metallici e a una forte proporzione di carte e cartoni. La reintegrazione nel ciclo agricolo di questi rifiuti è complessa e richiede una preselezione. L'accumulo di questi rifiuti, oltre a danneggiare materialmente il terreno e quelli circostanti, è causa di infezioni trasportate da insetti e roditori. Vari sistemi, dalla fermentazione alla carbonizzazione parziale (compostaggio), al recupero dei metalli, alla preparazione di mangimi, vengono usati per ovviare a questa grave forma di degradazione dell'ambiente, non sempre con successo, data la massa quotidiana di rifiuti cui far fronte; oggi si calcola il peso di rifiuti per giorno e per abitante a seconda del livello di vita nei vari stati da i a 3 kg in città e da 0,7 a 2 in campagna. La presenza di masse di rifiuti, oltre alle infezioni, conduce alla contaminazione, per dilavamento, di altro terreno e sopratutto delle falde sotterranee. Lo sversamento nei pozzi di liquidi residui dei processi di cromatura dei metalli ha portato in molte zone all'i. delle falde e quindi degli acquedotti con CrVI notevolmente pericoloso.

La presenza su vasti territori di residui di minerali, soprattutto nel Nord Europa e in molti terreni minerari in America, porta per azione di agenti atmosferici alla formazione di soluzioni che contaminano con i loro sali i terreni circostanti e attraverso il suolo le falde.

I. del suolo si ha anche nell'agricoltura e nella zootecnia intensiva. In agricoltura si deve considerare la contaminazione della catena alimentare da parte dei pesticidi, la cui permanenza nei terreni e persistenza è causa di grave turbamento ecologico e fonte d'i. delle acque e anche delle sorgenti. La zootecnia intensiva a sua volta, concentrando migliaia di capi in zone ristrette, viene a creare una tale concentrazione di rifiuti organici che è molto difficile il loro smaltimento e la loro utilizzazione in agricoltura.

Va tenuta sempre presente l'interdipendenza tra i tre "recipienti principali" ai fini dell'i., in quanto spesso l'abbattimento è apparente ed è solo un trasferimento di "recipiente".

Inquinamento acustico. - Recentemente tra le forme d'i. si è preso in considerazione l'"i. da rumore" o "i. acustico" dovuto alle modifiche delle condizioni ambientale da parte del rumore. Le sorgenti dell'i. acustico sono i trasporti (aerei e terrestri), le industrie e l'abuso di mezzi di amplificazione sonora. I rumori, soprattutto quando sono confinati in ambienti di lavoro, possono portare a uno stato d'irritazione e quindi a danni alla salute. Particolarmente esposte ai danni da rumore sono le zone limitrofe agli aeroporti, alle ferrovie e alle strade di grande comunicazione. Per evitare l'i. acustico si deve procedere all'insonorizzazione delle macchine industriali e del traffico, alla separazione delle zone industriali da quelle residenziali e all'insonorizzazione degli edifici. L'i. acustico oltre che sull'uomo ha effetti dannosi anche sulla vita animale: per es., in zone di riserva e di protezione faunistica che si trovino dislocate vicino ad aeroporti (per es., gli Everglades in Florida).

Bibl.: A. C. Stern, Air pollution, Londra e New York 1962; A. Wolman, Metabolism of cities, in Scientific American, vol. 231 (165), p. 178; Organisation Mondiale de la Santé, Recherches sur la pollution du milieu, Rapporto tecn. n. 406, Ginevra 1968; American Chemical Soc., Cleaning our environment, Washington 1969-1971; MIT (Massachussets Institute of Technology), Man's impact on global environment, Cambridge, Mass., 1970; ISVET (Istituto per gli studi sullo Sviluppo e il Progresso Tecnico), Documenti sull'inquinamento, Roma 1970; G. B. Marini-Bettolo, Science and the protection of the environment, in Commentationes Pontificia Academia Scientiarum, vol. 22 (1970), p. 25; Environmental quality, in Annual Report, Government US, Washington 1970-74; Senato della Repubblica, Problemi di ecologia, Roma 1971; Accademia Nazionale dei Lincei, Insediamenti territoriali e rapporti tra uomo e ambiente: criteri e metodologie, ivi 1976.

Aspetti economici. - Dal punto di vista economico, l'i. è studiato nell'ambito dell'economia ambientale, ossia da quella parte della scienza economica che determina i criteri per attuare una distribuzione ottima, fra usi alternativi, di quella parte delle risorse costituenti l'ambiente fisico (per es. aria, acqua), la cui destinazione non viene regolata attraverso i meccanismi del mercato. È noto infatti che, nella condizione astratta di concorrenza pura e perfetta (e supponendo anche che sussista una distribuzione dei redditi socialmente accettabile), l'azione che produttori e consumatori esplicano attraverso il mercato determinerebbe una situazione ottima, nel senso che verrebbe reso massimo il valore della produzione ottenibile mediante le risorse scarse disponibili. Fra le numerose condizioni che debbono manifestarsi perché ciò accada, v'è però logicamente anche quella che il mercato sia in grado di attribuire un prezzo, cioè un indice di scarsità, a tutte le risorse utilizzate per la produzione di tutti i beni e servizi.

Così, per es., occorrerebbe che le contrattazioni di mercato fossero in grado di attribuire un prezzo all'acqua d'un lago utilizzato per fornire il servizio della "bella vista". Soltanto sulla base del valore così espresso, la collettività potrebbe infatti determinare, attraverso il mercato, se preferisce un godimento estetico e naturale del lago o, sempre per es., la vendita delle acque per destinarle all'alimentazione di acquedotti in cui il valore sociale dell'acqua, sempre espresso mediante prezzi, fosse superiore all'utilizzo estetico-naturale.

Tuttavia una valutazione completa delle risorse mediante prezzi non avviene, come vedremo fra breve, sicché sì ha un parziale fallimento del mercato, con la conseguenza che, rispetto all'ottimo sociale, si sviluppano troppe attività inquinanti o, più in generale, dannose all'ambiente, e troppo poche attività dirette alla conservazione della natura. Compito dell'economia ambientale è, perciò, anzitutto spiegare perché ciò accada (mediante schemi interpretativi), per poi suggerire opportuni rimedi (schemi normativi).

Dal punto di vista economico l'esistenza di livelli ingiustificati d'i. dipende dal fatto che non tutti i costi derivanti dall'esercizio di determinate attività vengono sopportati dal soggetto agente, ma vengono in parte scaricati su altri. Per es., una cartiera deve pagare determinati prezzi per il legno che trasforma, ed è quindi interessata a non sprecarlo, mentre può spesso utilizzare gratuitamente una risorsa oggigiorno pur scarsa, qual è l'acqua nella quale vengono scaricati gli effluenti nocivi. Il costo derivante dal fatto che l'acqua così inquinata non possa essere utilizzata a valle per altri usi (per es. irrigazione) non viene dunque sopportato dall'inquinatore; si manifesta allora un costo esterno (originato da quella che gli economisti chiamano "diseconomia tecnologica esterna") che non viene addebitato dal mercato a carico di chi lo provoca, ma grava su altri soggetti (è questo il già menzionato fallimento del mercato). Il motivo per cui ciò accade è l'insoddisfacente attribuzione, o il mancato rispetto, dei diritti di proprietà delle risorse ambientali. Il fatto che l'aria o l'acqua di buona qualità siano spesso considerate risorse "libere" (ciò che dal punto di vista economico sarebbe accettabile solo nel caso di risorse illimitate), e inoltre la circostanza fisica che esse si muovono in certe direzioni, fanno sì che taluno (nell'esempio fatto sopra, la cartiera) possa avvantaggiarsi di tali risorse - per motivi apparentemente irrilevanti quali una localizzazione a monte - a danno d'altri. Occorre dunque trovar rimedio alla situazione descritta, che impedisce il raggiungimento d'un ottimo sociale.

Il suggerimento fondamentale avanzato dalla teoria economica a questo proposito è quello di un intervento correttivo del settore pubblico. Questo intervento dovrebbe manifestarsi mediante l'introduzione di una tassa gravante l'attività inquinante, e pari al danno marginale sociale da essa provocato. In tal modo verrebbe evitato il cosiddetto fallimento del mercato, poiché il settore pubblico, in sostanza, introdurrebbe un prezzo per l'uso delle risorse ambientali, la cui scarsità verrebbe così presa in conto al pari di quella delle altre risorse scarse. Il grave limite di questa proposta è che, in concreto, la misura del danno provocato dall'i. spesso non è valutabile in termini monetari, poiché è difficile attribuire un prezzo, per es., agli effetti negativi esercitati sulla salute pubblica dalle emissioni di anidride solforosa, oppure valutare in lire deterioramenti estetici. Si ripiega quindi, in pratica, su di una soluzione sub-ottimale. Essa consiste nel richiedere che, sulla base di una valutazione sia pur grossolana dei danni derivanti dall'i., le autorità pubbliche fissino standards per la protezione dell'ambiente, e che gl'inquinatori siano tassati in relazione alla quantità e qualità degli effluenti scaricati, in misura tale da essere incentivati a rispettare gli standards prefissati. In definitiva, il livello di tutela dell'ambiente diviene una scelta politica, che lo strumento economico della tassazione consente, in generale, di realizzare a costo minimo.

Bibl.: A. V. Kneese, B. T. Bower, Managing water quality: economics, technology, institutions, Baltimora 1968; E. Gerelli, Economia e tutela dell'ambiente. Possibilità e problemi di uno sviluppo "pulito", Bologna 1974; K. G. Mäler, Environmental economics. A theoretical inquiry, Baltimora 1974; W. J. Baumol, W.E. Oates, The theory of environmental policy, Englewood Cliffs 1975.

Legislazione vigente. - Una norma generale di prevenzione dell'i. è contenuta nell'art. 217 t.u. leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), il quale dispone che quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il sindaco prescrive le disposizioni adeguate per prevenire il pericolo o il danno e si assicura della loro esecuzione ed efficienza. La norma ha carattere generale ed è diretta a prevenire il pericolo o il danno alla salute pubblica. È applicabile a ogni industria sia di nuovo impianto sia già esistente, indipendentemente dall'iscrizione nell'elenco di quelle insalubri previsto dal precedente art. 216.

Altra norma di carattere generale è contenuta nell'art. 9 r.d. 8 ott. 1931, n. 1604, modificato dall'art. 43 r.d. 20 giugno 1955, n. 987, il quale disponeva che gli stabilimenti industriali, prima di versare rifiuti nelle acque pubbliche, devono ottenere il permesso del presidente dell'amministrazione provinciale, il quale adotta gli eventuali provvedimenti atti a impedire danni all'industria della pesca. Tale norma, peraltro, è da ritenere che resterà abrogata con la completa attuazione della l. 10 maggio 1971, n. 319, di cui sarà trattato più avanti. Per gli scarichi nelle acque marittime la l. 16 apr. 1976, n. 126, subordina all'autorizzazione del ministro per la Marina mercantile l'immissione diretta di rifiuti di lavorazioni industriali o provenienti da servizi pubblici. Peraltro, l'art. 9 della l. 10 maggio 1976, n. 319, conferma che tale immissione resta subordinata all'autorizzazione del capo del compartimento marittimo.

Per la pesca marittima l'art. 15 l. 14 luglio 1965, n. 363, dispone, alla lettera d) che è vietato danneggiare le risorse biologiche delle acque marine con l'uso, fra l'altro, di sostanze tossiche atte a intorpidire o uccidere pesci e altri organismi acquatici; alla lettera e) che è vietato immettere, direttamente o indirettamente, o diffondere nelle acque marine sostanze inquinanti. Sono considerate tali le sostanze estranee o non facenti parte della normale composizione delle acque naturali e aventi proprietà che possano produrre un danno diretto alla fauna ittica o che determinino alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, tali da influenzare sfavorevolmente la vita degli organismi acquatici.

Ma una vera e propria legislazione diretta a prevenire l'i. si è avuta in anni più recenti, in relazione e in conseguenza dell'attenzione che il legislatore ha portato alla tutela dell'ambiente, minacciato dallo sviluppo industriale. Per l'i. atmosferico provvede in generale la l. 13 luglio 1966, n. 615, che, ai fini della prevenzione, stabilisce due distinte zone ("A" e "B") che comprendono, rispettivamente:

zona "A": i comuni dell'Italia centro-settentrionale con popolazione da 70.000 a 300.000 abitanti, ovvero con popolazione inferiore, ma con caratteristiche industriali o urbanistiche o geografiche o meteorologiche particolarmente sfavorevoli; e i comuni dell'Italia meridionale e insulare con popolazione da 300.000 abitanti a un milione, ovvero con popolazione inferiore, ma con caratteristiche, corrispondenti a quelle già indicate, particolarmente sfavorevoli nei confronti dell'i. atmosferico;

zona "B": i comuni dell'Italia centro-settentrionale con popolazione superiore a 300.000 abitanti e i comuni dell'Italia meridionale e insulare con popolazione superiore a un milione di abitanti; i comuni di cui sopra, con popolazione anche inferiore a quella sopra indicata, purché presentanti caratteristiche particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell'i. atmosferico.

Nelle zone suddette un primo gruppo di norme disciplina gl'impianti termici, che, se di potenzialità superiore alle 30.000 kcal/h, debbono possedere i requisiti tecnici e costruttivi previsti dal regolamento (d.P.R. 22 dic. 1970, n. 1391) e i combustibili da utilizzare negl'impianti stessi, che debbono possedere determinate caratteristiche merceologiche, in modo da ridurre al massimo l'i. atmosferico (per particolari v. art. 13 citata legge n. 615).

Un altro gruppo di norme (artt. 22-24) riguarda i veicoli a motore, che non debbono produrre emanazioni inquinanti oltre i limiti fissati nel regolamento (d.P.R. 22 febbr. 1971, n. 323). Allo stesso fine provvede anche la l. 3 giugno 1971, n. 437, che contiene misure da adottare contro l'i. atmosferico causato da gas di scarico provenienti dagli autoveicoli.

Un terzo gruppo di norme (artt. 20 e 21) riguarda gli stabilimenti industriali, i quali devono essere dotati di impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere, entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta l'emissione di fumi, gas, polveri o esalazioni che possano contribuire all'i. atmosferico. La mancanza di tali impianti può importare l'ordine del prefetto di chiusura dello stabilimento. Sono altresì previste sanzioni penali.

Più dettagliate norme sono contenute nel regolamento relativo alle industrie approvato con d.P.R. 22 dic. 1970, n. 1391. La vigilanza è affidata ai comuni e alle provincie e, in caso di i. atmosferici interessanti comuni appartenenti a regioni diverse, alla commissione centrale contro l'i. atmosferico costituita presso il ministero della Sanità. Commissioni sono costituite anche in ciascuna regione, con il compito prevalente di dare parere sui provvedimenti da adottarsi dalle amministrazioni comunali in materia d'i. atmosferico.

Una più generale legge in materia di tutela delle acque dall'i. è quella del 10 maggio 1976, n. 319, che ha per oggetto: a) la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché in fognature, sul suolo e nel sottosuolo; b) la formulazione di criteri generali per l'utilizzazione e lo scarico delle acque in materia di insediamenti; c) l'organizzazione dei pubblici servizi di acquedotto, fognature e depurazione; d) la redazione di un piano generale di risanamento delle acque, sulla base di piani generali; e) il rilevamento sistematico delle caratteristiche qualitative dei corpi idrici.

La parte di maggior rilievo è quella relativa agli scarichi, per i quali sono prescritti limiti di accettabilità in tabelle allegate alla legge a seconda delle varie sostanze contenute nell'acqua. Per gli scarichi di insediamenti produttivi già esistenti sono previsti termini vari di adeguamento; per quelli nuovi è, invece, prescritta l'osservanza della disciplina sin dall'attivazione.

I comuni o i consorzi intercomunali hanno diritto al pagamento di un canone per i servizi relativi alla raccolta, allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto provenienti da superfici e da fabbricati privati e pubblici, inclusi stabilimenti e opifici industriali. Questi ultimi, inoltre, sono tenuti al pagamento di una somma corrispondente alla quantità e qualità dell'acqua restituita, a titolo di parziale compenso dei danni provocati dai propri scarichi, fino a quando non saranno stati ultimati i dispositivi, privati e pubblici, per il risanamento degli scarichi. Le tariffe sono determinate da un comitato di ministri, che vi ha provveduto con delibera pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 14 giugno 1977.

Al grave problema dell'i. delle acque marine sono dedicate alcune convenzioni internazionali. Le più importanti sono quella di Londra del 29 dicembre 1972 e quella di Bruxelles del 29 novembre 1969 (ratificata dall'Italia con l. 6 aprile 1977, n. 185) in materia d'i. da idrocarburi. In attesa che divenga esecutiva la convenzione di Londra, l'art. 11 l. 10 maggio 1976, n. 319, sottopone lo scarico nel mare libero all'autorizzazione del comitato di ministri, che la legge stessa prevede con compiti generali di coordinamento e di direttiva.

Inquinamento radioattivo. - Nell'ambiente terrestre naturale, dalle origini del pianeta stesso, è presente un insieme di radiazioni ionizzanti, sia provenienti dal cosmo (raggi cosmici: protoni veloci e loro prodotti secondari dovuti all'interazione con gli atomi dell'atmosfera terrestre, mesoni, elettroni positivi e negativi, raggi gamma, neutroni, ecc.), sia radiazioni dovute a elementi radioattivi contenuti nella crosta terrestre (uranio, torio e loro prodotti di decadimento, nonché isotopi radioattivi vari, quali l'isotopo 41$$09$K). Fra i prodotti di decadimento dell'uranio e del torio, i gas nobili radon e toron si diffondono nell'atmosfera, emettendo particelle α nel giro di poche ore o pochi giorni, e i prodotti di decadimento radio A, radio B, torio C e C′, e altri si fissano agli aerosoli atmosferici. Gli uomini, quindi, da sempre respirano nuclidi radioattivi e con il latte e il formaggio, ricchi di potassio, ingeriscono questo nuclide attivo. Altri nuclidi come il carbonio 14 e il trizio sono formati nell'atmosfera per effetto del bombardamento cosmico; essendo atomi strutturali delle sostanze biologiche essi vengono fissati più o meno stabilmente nell'organismo umano. Si ritiene che le radiazioni, anche nelle basse dosi naturali, abbiano a produrre danni irreversibili alle strutture molecolari della cellula, in particolare danni somatici, quali carcinogenesi e in particolare generazione di leucemia, e danni genetici, che si riflettono cioè sulla discendenza. Notiamo come i danni somatici sopra riferiti abbiano carattere latente, verificandosi parecchi anni, fino a venti, dopo l'irraggiamento. I danni da radiazione qui discussi sono quelli riferiti alle basse dosi di radiazione (danni genetici e danni somatici latenti), aventi rilevanza statistica se riferiti a un grande numero di persone. Altra materia sono i danni somatici acuti, dovuti a un intenso irraggiamento di un solo organismo; in tal caso l'azione distruttiva contemporanea su molte cellule provoca immediati gravi disturbi e, con dosi di 500 ÷ 1000 rem, la morte del soggetto. Questo tipo di effetti non si riferisce ai problemi di radioattività ambientale, dove sono in gioco dosi basse, ma estese a gran parte della popolazione, ma piuttosto va considerato con riferimento a incidenti legati a macchine radiogene.

In realtà carcinogenesi e danni genetici non sono stati osservati direttamente nel caso di basse dosi di radiazione, ma sono stati rilevati sull'uomo con irraggiamenti più elevati, con dosi cioè di 100: 300 rem. Ricordiamo che il rem (roentgen equivalent man) è la dose di radiazione che, assorbita dal corpo umano, produce effetti biologici uguali a quelli che produrrebbe negli stessi tessuti l'assorbirnento di un rad (v. radiobiologia, App. III, 11, p. 550). Il dato oggi più accreditato indica circa una vittima ogni diecimila persone irraggiate con un rem. Questo dato è stato ricavato da osservazioni su persone irraggiate con dosi assai elevate, quali quelle colpite dalle radiazioni derivanti da esplosioni nucleari in Giappone, oppure su persone irraggiate a scopo terapeutico con raggi X. Tuttavia, poiché l'effetto somatico latente e il danno genetico si possono far risalire a un'interazione elementare fra una sola particella β o γ e una sola cellula, si ritiene che statisticamente il danno sia presente anche a basse dosi di radiazione, in quantità proporzionale alla dose stessa. Non è stato infatti dimostrata la presenza di una soglia nel danno, al di sotto della quale la radiazione possa ritenersi innocua per l'uomo.

In base a queste considerazioni è possibile ipotizzare l'incidenza di mortalità dovuta alla radiazione naturale, che ha intensità circa un decimo di rem/anno, in un caso grave su centomila persone per anno. Questo dato, anche se ritenuto plausibile entro un fattore due o tre in più o in meno, non ha potuto essere provato direttamente, prima di tutto poiché il danno genetico o somatico è uguale a quanto già si osserva in natura come dovuto ad altre cause, cosicché le eventuali leucemie o carcinomi prodotti dalle radiazioni non si distinguono dagli altri casi e ne rappresentano solo una piccola frazione; ìn secondo luogo perché una fluttuazione della radioattività anche di un fattore due o tre, poco verrebbe a risentirsi globalmente e una corrispondente variazione del danno sarebbe di difficile rilevazione, occorrendo dati statistici assai accurati e presi su intere popolazioni. La radioattività naturale in effetti fluttua di un fattore sino a 3 da luogo a luogo e anche nel tempo, sui monti essendo più elevata la radiazione cosmica per effetto del minor assorbimento atmosferico, nelle regioni a rocce granitiche essendo presenti in maggior quantità uranio e torio, le zone tufacee essendo ricche di torio, fino a raggiungere livelli elevati nelle miniere poco aerate e soprattutto nelle miniere d'uranio, dove il radon liberato produce dosi di radiazione assai elevate e fortemente pericolose.

Alla radioattività naturale, alla quale bene o male l'uomo si è adattato, si è aggiunta in questi decenni la radiazione usata in medicina per diagnostica e terapia e le radiazioni prodotte dai radionuclidi prodotti nella fissione dell'uranio e del plutonio. Circa la radiazione, sia X, sia da radioisotopi, usata in medicina, si può ritenere che incida per una dose media di 30 ÷ 70 millesimi di rem per anno. Solo recentemente si va facendo strada l'opinione di limitare allo stretto necessario l'uso delle radiazioni in medicina, eliminandole dove sia possibile o riducendone l'intensità al minimo. In particolare nei confronti degl'infanti e dei feti, che si sono rivelati più sensibili al danno di radiazione.

Per quanto riguarda i nuclidi prodotti dalla fissione dell'uranio e del plutonio, la situazione è assai complessa. Il nucleo di ²%³9%52%U si scinde, per effetto del bombardamento neutronico, in due frammenti, le cui masse sono dell'ordine di 85 ÷ 105 e di 125 ÷ 150. I nuclidi così formati, avendo un eccesso di neutroni, risultano fortemente radioattivi. La più parte di essi ha vita media di pochi secondi o di poche ore, ma alcuni hanno vite lunghe, di mesi o anche di decenni: fra questi in particolare ¹%³5%¹3%I, ¹%³5%75%Cs, 93%08%Sr, 83%56%Kr. Con una frequenza dell'1% si forma anche trizio, quale prodotto leggero di una fissione a tre frammenti (fissione ternaria). Inoltre i neutroni di fissione vengono a produrre il plutonio, quando sono catturati nei nuclei di uranio 238; nei materiali circostanti, per es., il ferro delle strutture delle centrali nucleari, si forma per irraggiamento neutronico cobalto radioattivo. La reazione di produzione del plutonio è così indicata:

e similmente per il cobalto.

Tutti questi nuclidi sono pericolosi per l'uomo, e occorre anche tener conto dei loro effetti specifici differenti; per es., lo iodio si fissa nella tiroide, lo stronzio e il plutonio producono tumori ossei, e il trizio s'insedia nelle strutture cellulari. Il plutonio, in particolare, è assai velenoso: pochi microgrammi su una ferita inducono carcinomi e, se inalato, è assai tossico anche in minore quantità. In complesso, similmente a quanto accade per la radiazione naturale, occorre tener conto di una dose esterna dovuta alle radiazioni emesse dai nuclidi diffusi nell'ambiente e di una dose interna dovuta ai nuclidi fissati nell'organismo attraverso l'aria e attraverso la catena alimentare.

Una gran parte di questi radionuclidi è stata diffusa sulla Terra a seguito delle esplosioni nucleari, in ispecie di quelle russe e americane negli anni 1950-60, fino a quando un'unanime protesta per l'aumento della radioattività ambientale ha portato a sospendere le prove nucleari. In effetti, i prodotti radioattivi diffusi con le esplosioni nell'alta atmosfera sono ricaduti (fall-out) dopo un certo tempo, specialmente con le piogge, sul suolo, contaminandolo. Si calcola che la dose di radiazione media, dovuta al fall-out, non superi tuttavia 5 ÷ 10 millesimi di rem per anno. Questa radiazione va lentamente decadendo, essendosi ora assai ridotta, rispetto a quegli anni, sia per via del decadimento radioattivo, sia per una lenta rimozione dei nuclidi dall'ambiente biologico, operante nel tempo.

Una nuova problematica relativamente alla diffusione di radionuclidi si è andata profilando negli anni Settanta a seguito dei programmi di sviluppo delle centrali elettronucleari. In effetti la quantità di radionuclidi prodotti nelle centrali è di gran lunga più rilevante di quella liberata nelle esplosioni nucleari; tuttavia nelle centrali ogni accorgimento e dispositivo di sicurezza è messo in opera per contenere i nuclidi radioattivi nell'ambito del reattore stesso, limitando al massimo la loro dispersione nell'ambiente. Un moderato efflusso di alcuni componenti è tuttavia tollerato, in particolare di trizio e di kripto, difficilmente contenibili, e in minor misura di altri radionuclidi, quali cesio e stronzio.

Negli ultimi anni le società americane costruttrici di reattori nucleari, al fine di tranquillizzare le popolazioni, hanno assicurato di poter limitare, nell'esercizio normale della centrale, una dose, ai bordi di essa, non superiore a pochi millesimi di rem/anno. Un accurato controllo ambientale è tuttavia necessario, soprattutto per tenere sotto controllo eventuali fughe di radionuclidi facenti seguito a piccoli incidenti o a comportamenti anomali del reattore. Più pericolosi, da questi punti di vista, dei reattori nucleari, sono gl'impianti di ritrattamento dei combustibili nucleari esauriti, i quali contengono in forte quantità nuclidi radioattivi. Tali combustibili vengono trattati chimicamente, per depurarli dei prodotti di fissione ed estrarre da essi il plutonio e in questa operazione è possibile che gas radioattivi, quali trizio e kripto, trattenuti nelle barre di combustibile fino a quel momento, vengano liberati nell'ambiente; inoltre nei residui di lavorazione rimangono quantità di plutonio e di altri nuclidi transuranici (americio, curio). Questi nuclidi hanno vite di decadimento assai lunghe (²%³9%94%Pu ha una vita media di 24.000 anni), e vanno quindi custoditi in perpetuo, in appositi "cimiteri" per sostanze radioattive. Fino ad oggi difatti non si è trovato un modo conveniente di distruggere tali scorie e questo problema costituisce uno dei rilevanti ostacoli a un esteso impiego dell'energia nucleare.

Vedi tav. f. t.

Bibl.: M. Eisenbud, Environemtnal radioactivity, New York e Londra 1973; G. Zamparo, Energia ed inquinamento nell'ecologia, Milano 1974; J. M. Fowler, Energy and the environment, New York 1975.

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