INTERDETTO

Enciclopedia Italiana (1933)

INTERDETTO

Arnaldo BERTOLA

Diritto romano. - Nel linguaggio giuridico si chiama interdictum l'ordine di compiere o non compiere una determinata attività o in genere di tenere un determinato comportamento, che il magistrato fornito d'imperium (praetor, proconsul, praeses provinciae) impone oralmente (dictum) a una persona in seguito a istanza (postulatio) di altra. È assai probabile che da principio tali ordini venissero emanati caso per caso (prout res incidit) e che successivamente il magistrato proponesse nell'edictum taluni schemi di interdicta indicanti non soltanto il contenuto dell'ordine, ma altresì le persone tra cui si dovesse attuare. Gl'interdicta appartengono a quel complesso sistema di mezzi giuridici (exceptio, restitutio in integrum, datio actionis, ecc.), con cui i magistrati giurisdicenti per esigenze sociali riuscirono a completare e a modificare addirittura l'ordinamento del ius civile. Grandissima fu la loro importanza nello svolgimento del diritto: il possesso ebbe riconoscimento giuridico precisamente per mezzo di interdicta, e per loro mezzo si attuò la riforma dell'antico sistema della successione legittima. Il sistema degl'interdetti segue la storia dell'editto del magistrato; ma con la codificazione dell'edictum perpetuum, avvenuta al tempo dell'imperatore Adriano, cessata ogni attività innovatrice da parte dei magistrati che si succedevano in carica, il sistema interdittale, come tutti i mezzi giuridici pretorî, venne a costituire un sistema invariabile; una parte notevole di tale editto, sotto la rubrica de interdictis, contiene lo schema dei varî interdetti proposti. Per tutta l'epoca classica gl'interdicta sono ben distinti dalle numerose actiones che il magistrato proponeva nello stesso editto; né ci sono note le ragioni per cui il magistrato preferiva emanare un interdictum anziché accordare un'actio.

I termini interdictum e interdicere esprimono il concetto di proibizione, e appunto perciò Gaio (IV, 40) distingue l'interdictum dal decretum, secondo che l'ordine contenga una proibizione, oppure imponga un comportamento positivo; la distinzione però non è rispettata dai giuristi romani, i quali parlano in genere d'interdicta qualunque sia il loro contenuto. I singoli interdicta sono denominati o dalle prime parole con cui incomincia l'ordine (interdictum quorum bonorum, interdictum uti possidetis), oppure dal loro oggetto (interdictum de tabulis exhibendis), o dal nome del pretore che li ha introdotti (interdictum Salvianum). Gl'interdetti riguardano tutto il campo dei rapporti sociali: dal diritto pubblico al diritto di famiglia, dai rapporti patrimoniali a quelli aventi carattere morale o religioso. Alcuni interdetti sono introdotti officii tuendi causa, e mirano a difendere la libertà umana (interdictum de homine libero exhibendo) o l'esercizio del culto (interdictum ne quid in loco saGro fiat). Molti altri tendono a escludere ogni abuso delle cose pubbliche (interdictum ne quid in loco publico vel itinere fiat, interdictum ne quid in flumine publico ripave eius fiat quo peius navigetur). La maggior parte degl'interdetti riguarda, però, la sfera del diritto privato. Taluni si riferiscono ai rapporti familiari (interdictum de liberis exhibendis); altri, assai numerosi e importanti, a rapporti patrimoniali, e tra questi ricordiamo gl'interdetti possessorî; inoltre l'interdictum fraudatorium, che ha lo scopo di revocare le alienazioni fatte dal debitore in frode dei creditori; l'interdictum de superficiebus, che segna il primo passo del riconoscimento della superficies come istituto autonomo; gl'interdetti de itinere actuque privato, de aqua cottidiana, de aqua aestiva, che tutelano l'esercizio di una servitù di passaggio o di presa d'acqua; l'interdictum quod vi aut clam, per cui si ottiene la demolizione di un'opera fatta nel proprio o altrui fondo vi aut clam; l'interdictum quorum bonorum, che riconosce il diritto delle persone chiamate alla successione ereditaria dal pretore.

L'interdictum è soltanto un ordine che trova il suo fondamento nell'imperium del magistrato; non è un'azione giudiziaria, bensì un atto amministrativo. Ma se l'ordine non è eseguito, l'interessato può provocare un regolare processo (Gaio, IV, 141). L'ordine non è assoluto ma condizionato, nel senso che la sua esecuzione è esplicitamente subordinata alla verità del fatto accampato dal richiedente; e appunto nel processo che segue l'emanazione dell'interdetto si accerta se sussistano le circostanze presupposte nell'interdetto, e nel caso affermativo se l'ordine sia stato o no eseguito. Questo processo s'imposta in via indiretta per mezzo della sponsio e della restipulatio: chi ha interesse all'esecuzione dell'interdetto provoca l'avversario a fare a suo favore una sponsio con cui promette di pagargli una certa somma di denaro, qualora risultino accertate le circostanze presupposte nell'interdetto e conseguentemente l'illegittimità della sua inesecuzione; alla sponsio segue la restipulatio, che è una sponsio inversa, per cui il richiedente dell'interdetto si obbliga a pagare la stessa somma di denaro all'avversario qualora non risultino accertate le circostanze previste dall'interdetto, e quindi questo a buon diritto non sia stato eseguito. Il magistrato interviene per costringere le parti alla prestazione della doppia promessa. Successivamente le parti agiscono in base alle azioni nascenti dalla sponsio e dalla restipulatio; in questi giudizî si viene ad accertare solo indirettamente la verità dei presupposti contemplati nell'interdetto e quindi la legittimità della sua inesecuzione, in quanto il giudice può condannare a pagare la summa sponsionis solo nel caso in cui risulti provata, unitamente ai fatti presupposti dall'interdetto, la sua inesecuzione; nel caso inverso il promittente è assolto e può ottenere la condanna dell'avversario a pagare la somma indicata nella restipulatio. L'ulteriore corso del procedimento nel caso in cui il restipulante vittorioso consegua la summa sponsionis, ma non sia soddisfatta la pretesa che forma il contenuto dell'interdetto, è questo: negl'interdetti restitutorî ed esibitorî il postulante, che avesse vinto nel processo relativo alla summa sponsionis, poteva esercitare uno speciale giudizio (iudicium secutorium) de restituenda vel exhibenda re, che mirava a far ottenere dall'avversario la restituzione o esibizione della cosa, conformemente al contenuto dell'interdetto. Questa procedura imperniata sulla sponsio, che certo è la più antica, venne successivamente semplificata, in quanto fu consentito alla parte cui si rivolgeva l'interdetto, qualora si trattasse d'interdetto restitutorio o esibitorio, di domandare al magistrato la nomina di un arbitro (da ciò la denominazione di formula arbitraria), il quale, senza bisogno di alcuna sponsio, era chiamato a giudicare direttamente se ricorrevano gli estremi dell'interdetto, e conseguentemente ordinava la restituzione o esibizione della cosa, procedendo, come in tutte le azioni, alla litis aestimatio, cioè alla condanna pecuniaria, nel caso di mancata volontaria restituzione od esibizione. Queste due procedure (per sponsionem e per formulam arbitrariam) coesistono nell'epoca classica, e la scelta fra esse spetta a colui al quale l'interdetto è rivolto, giacché, se questi non domanda la nomina dell'arbiter, l'avversario ha facoltà di provocarlo alla sponsio: l'una si qualifica come agere cum poena o cum periculo, in contrapposto all'altra per cui si parla di agere sine poena o sine periculo, appunto relativamente al pagamento della summa sponsionis che il soccombente deve pagare nella prima.

Questo procedimento dimostra come l'interdictum non è di per sé un'azione, ma il presupposto di un giudizio; i giuristi romani separano nettamente l'interdictum dall'agere ex interdicto, la restitutio in integrum, come provvedimento del magistrato che annulla un atto giuridico o considera non avvenuto un fatto, dall'actio che si può successivamente esercitare rescisso il negozio o considerando come non avvenuto il fatto. Per quanto si tratti di un mezzo giudiziario a tutela di una pretesa, pure l'interdictum non è mai chiamato actio. Invece nell'epoca postclassica giustinianea, quando vien meno l'imperium del magistrato, il quale ora ha il potere non d'imporre una determinata condotta ma di applicare la legge al caso concreto, la separazione tra interdictum e actio può dirsi sostanzialmente scomparsa, in quanto l'actio ex interdicto si viene a confondere con lo stesso interdictum; non si domanda più l'emanazione dell'interdictum, onde successivamente agire in base a esso, ma si agisce senz'altro nei casi in cui la legge accorda l'interdetto; per conseguenza anche tutto il procedimento ex interdicto (cioè formula arbitraria e sponsio) è scomparso. Si parla ancora d'interdicta per forza di tradizione ma in realtà gl'interdicta vengono ormai inquadrati nella categoria delle actiones, e così sono anche chiamati; si veda soprattutto Dig. XXXXIII, 1, "de interdictis sive extraordinariis actionibus quae pro his competunt".

Le fonti romane presentano numerose classificazioni e distinzioni degl'interdetti; talune si trovano in Gaio, altre nel Corpus iuris e furono introdotte da Giustiniano soprattutto per assimilare gl'interdicta alle actiones. La principalis o summa divisio fra interdicta prohibitoria, restitutoria ed exhibitoria si fonda sul diverso contenuto dell'interdetto: si chiamano prohibitoria quegl'interdetti in cui il magistrato vetat aliquid fieri, si chiamano restitutoria quegl'interdetti con cui il magistrato ordina in genere una restitutio, cioè la restituzione di una cosa o di un complesso di cose, oppure la rimessione al pristino stato di una determinata situazione; si chiamano infine exhibitoria quegl'interdetti in cui il magistrato iubet exhiberi, ordina cioè la presentazione di una persona o cosa. Altra distinzione è fra interdicta simplicia e duplicia; i primi, che sono la regola, si rivolgono solo a una delle parti contendenti, gli altri invece impongono un determinato comportamento in astratto a entrambe le parti, ma che in concreto dovrà essere tenuto solo da quella che si trovi nelle condizioni previste dall'interdetto. Gl'interdetti relativi al possesso possono essere adipiscendae, recuperandae e retinendae possessionis, secondo che mirino all'acquisto del possesso, o al riacquisto del possesso di cui l'attuale possessore sia stato spogliato violentemente, oppure alla tutela del possesso contro ogni molestia o turbativa. Altre distinzioni sono poi le seguenti: 1. Interdicta annalia e interdicta perpetua: la distinzione corrisponde a quella tra actiones temporales e actiones perpetuae; l'interdictum si chiama annale qualora si possa domandare entro l'anno dal fatto che vi ha dato origine, perpetuum invece se non sono stabiliti limiti di tempo per domandarlo. 2. Interdicta in praesens e interdicta in praeteritum collata: nei primi l'ordine si riferisce a un fatto presente; nei secondi invece l'ordine si ricollega a un fatto passato; la distinzione ha però scarsa importanza pratica e non è rigorosa. 3. Interdicta privata e interdicta popularia, secondo che siano accordati al singolo a tutela di un suo interesse, oppure a qualsiasi persona a tutela d'interessi che riguardano tutto il populus. 4. Interdicta quae proprietatis causam o possessionis causam continent: la distinzione è alquanto oscura, e forse nel pensiero giustinianeo si ricollega alla distinzione tra mezzi giudiziarî definitivi e mezzi provvisorî. 5. Interdicta utilia (il termine contrapposto interdictum directum non si trova nelle fonti) sono gl'interdetti che vengono accordati in casi analoghi a quelli contemplati nell'editto. 6. Interdicta noxalia sono nel diritto giustinianeo gl'interdetti che si accordano contro il dominus, qualora il fatto che riveste il carattere di delictum, sia stato commesso dal suo schiavo; il concetto di interdictum noxale, ignoto ai giuristi classici perché l'interdetto non poteva avere per oggetto una poena, spunta invece nel diritto giustinianeo quando l'interdictum viene assimilato alle actiones.

Bibl.: O. Lenel, Edictum perpetuum, 3ª ed., Lipsia 1927, pp. 446-495 (per la serie completa di tutti gl'interdetti); A. Übbelohde, Fortsetzung des Glückschen Pandektenkommentars, lib. 43-44 (trad. it. Pouchain, Milano 1899); K. A. Schmidt, Das Interdiktenverfahren der Römer, Lipsia 1853; E. Albertario, in Riv. it. scienze giuridiche, LII (1912); A. Berger, Interdictum, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, 1609-1707; L. Wenger, Institutionen des rom. Zivilprozessrechts, Monaco 1925, pp. 237-245.

Diritto canonico.

Nel diritto canonico l'interdetto è una censura o pena ecclesiastica spirituale, con la quale sono vietati ai fedeli i divini uffici, l'uso di taluni sacramenti e la sepoltura ecclesiastica. Con questa pena non s'intende sciolta la comunione con la Chiesa, come avviene con la scomunica, ma s'infligge solo una punizione per taluni delitti commessi sia contro l'autorità della Chiesa, sia in violazione delle leggi della morale da cui risulti grande e pubblico scandalo, o per altre gravi colpe.

L'interdetto è personale o locale, a seconda che colpisce i fedeli direttamente in date persone, o indirettamente mediante l'imposizione del divieto in dati luoghi. L'interdetto personale segue ovunque le persone; il locale non ha effetto fuori dei luoghi interdetti, ma in essi tutti sono tenuti a osservarlo. Una volta esisteva anche l'interdetto misto, che colpiva insieme le persone e i luoghi, in quanto, dovunque le persone interdette entrassero, restava interdetto il luogo anche per le altre persone che ivi si trovavano. L'interdetto può essere generale o particolare. Il primo si riferisce a tutti gli abitanti o clero di un dato paese - parrocchia, diocesi, stato - o a una comunità come tale (interdetto personale generale), oppure a tutto il territorio di un paese, diocesi, stato, ecc. (interdetto locale generale). Il secondo colpisce una o più persone determinate (interdetto personale particolare), o una o più determinate chiese e non gli altri luoghi adiacenti (interdetto locale particolare).

L'interdetto personale vieta agl'interdetti di celebrare o assistere agli uffici sacri, li esclude dall'amministrare e ricevere i sacramenti o i sacramentali, dal diritto di eleggere e presentare, o di conseguire uffici ecclesiastici, e li priva della sepoltura ecclesiastica. L'interdetto locale impedisce la celebrazione dei divini uffici e dei sacri riti, salve talune eccezioni per le principali festività. Non vieta l'amministrazione dei sacramenti ai moribondi; da esso sono liberi (salva la proibizione della sepoltura ecclesiastica) gl'infanti e gli amenti incapaci di dolo. In caso d'interdetto generale, e salvo che non sia stabilito altrimenti in modo espresso, il clero può celebrare la messa e gli uffici privatamente, a bassa voce, porte chiuse e senza suono di campane; sono consentite nella sola chiesa principale del luogo la celebrazione di una messa, la predicazione, l'amministrazione del battesimo, dell'eucaristia, della penitenza, l'assistenza ai matrimonî esclusa la benedizione nuziale, e le esequie, esclusa tuttavia ogni solennità, canto e suono di campane. L'interdetto generale, sia locale contro il territorio di una diocesi o di uno stato, sia personale contro il popolo di tali regioni, può soltanto essere pronunziato dalla Santa Sede o per mandato di essa. L'interdetto generale contro una parrocchia o la sua popolazione, e quello particolare, sia locale sia personale, possono essere pronunziati anche dal vescovo.

L'epoca dell'introduzione di questa pena non è ben determinata; ma la si trova già sotto Gregorio di Tours (sec. VI). Dal sec. IX fu inflitta a singole diocesi e provincie ecclesiastiche, e dal see. XII a interi paesi (Scozia, 1180; Francia, 1200; Inghilterra, 1209; Repubblica Veneta, 1606). Oggi è applicata più raramente.

Bibl.: J. B. Sägmüller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, II, Friburgo in B. 1914, p. 361 segg. V. inoltre i commenti al Lib. V, pars II, art. II, del Cod. iur. can.