Intuizione

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In filosofia, rapporto immediato e diretto tra soggetto pensante e oggetto; questo rapporto può essere poi inteso come semplice presenza dell’oggetto alla mente o come immedesimazione del soggetto nell’oggetto. Già nella filosofia antica e medievale sono rintracciabili entrambi i significati. Così Platone e Aristotele affermano la possibilità di raggiungere i principi primi mediante l’i., intendendo con ciò la possibilità di percepirli direttamente. L’altro significato di i. è presente specialmente nell’opera di pensatori interessati alla problematica religiosa. Plotino, s. Agostino e i mistici medievali indicano nell’i. l’unica via per l’uomo di entrare in contatto con Dio, intendendo talora questo contatto come immedesimazione o partecipazione. Ancora, sempre Plotino e s. Agostino e inoltre s. Tommaso affermano il carattere intuitivo proprio della conoscenza divina concepita come creatrice dei suoi stessi oggetti.

La filosofia moderna insiste inizialmente sulla coincidenza tra i. ed evidenza. Con Cartesio si parla d’i. a proposito della percezione immediata di alcuni singoli contenuti assolutamente certi (l’io, Dio ecc.); mentre nel caso di J. Locke si riconosce nell’i. la via privilegiata per percepire immediatamente e con sicurezza la concordanza e la discordanza tra diversi contenuti. Sull’i. e sulla sua capacità di rendere partecipe il soggetto della natura dell’oggetto insiste invece B. Spinoza nelle pagine in cui afferma la superiorità della scienza intuitiva. I due diversi significati d’i. sono poi chiaramente distinti da I. Kant, che contrappone l’i. sensibile, come percezione passiva, ma immediata, dell’oggetto da parte di un essere finito, all’i. intellettuale, propria di Dio, in forza della quale l’oggetto stesso è creato.

La filosofia idealistica si è proposta, in seguito, di recuperare all’uomo l’i. intellettuale affermando, con J.G. Fichte, F. Schelling e G.W.F. Hegel, la capacità dell’ente finito di cooperare al processo di creazione dell’oggetto.

Nel 20° sec. H. Bergson riconosce nell’i. una forma privilegiata di percezione che permette di superare gli schemi dell’intelletto per giungere a una più vera comprensione dell’oggetto in tutta la sua plasticità e dinamicità; la fenomenologia di E. Husserl ritiene l’i. eidetica l’unica via per cogliere le essenze con la medesima pregnanza degli oggetti empirici.

Con il termine intuizionismo si designano quelle concezioni che non solo riconoscono una funzione all’i., ma rivendicano a essa un ruolo privilegiato. Di intuizionismo si è così parlato a proposito della scuola scozzese del senso comune di T. Reid e W. Hamilton, che nel tentativo di superare le conclusioni scettiche di D. Hume affermò la capacità degli uomini di percepire, mediante l’i., verità certe sia sul piano gnoseologico sia su quello morale. Nel 20° sec., invece, l’intuizionismo di Bergson non si limita a riconoscere un posto primario all’i., ma contrappone questa funzione libera e creatrice all’intelletto schematico e statico. Alla reazione allo scientismo positivistico si possono far risalire, oltre alla filosofia di Bergson, anche altre forme d’intuizionismo affermatesi nei primi decenni del Novecento. Nell’etica anglosassone, le teorie di G.E. Moore, H. Prichard, W.D. Ross e A. Ewing, contro la tendenza dell’utilitarismo a considerare la morale come una parte della scienza, ne hanno affermato l’autonomia riconoscendo nell’i. la forma di percezione peculiare nel campo valutativo. Nell’opera di M. Scheler e N. Hartmann, l’i. è vista come l’unica via per cogliere la gerarchia dei valori. Nella matematica, L.E.J. Brouwer, opponendosi alla concezione della disciplina come sistema puramente formale di simboli, ha visto all’origine degli elementi della matematica (numeri, assiomi, teoremi) un continuo intervento dell’i. concepita come attività della mente che crea e costruisce i costituenti essenziali di questo campo.

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