INUMAZIONE e INCINERAZIONE

Enciclopedia Italiana (1933)

INUMAZIONE e INCINERAZIONE

Ugo Antonielli

La pratica contemporanea e la promiscuità di queste due forme o modi di sepoltura è un fenomeno assai diffuso, che si verifica con varia vicenda nel tempo e nello spazio presso molte popolazioni, tanto nei tempi preistorici quanto in quelli storici, sia presso i popoli incivili e civili dell'antichità sia presso i "naturali" viventi. Ma, delle due forme o riti, l'inumazione senza dubbio precede l'altra.

Nella scienza paleoetnologica del secolo scorso, per molto tempo si ammise che il culto dei morti non fosse apparso prima dei tempi geologici attuali, cioè prima della civiltà neolitica, costituendo anzi di questa una delle caratteristiche più notevoli. Ma fortunate scoperte e l'attento esame delle reliquie umane pleistoceniche, nonostante le tenaci negazioni di alcuni paleoetnologi (primi i tre De Mortillet), hanno fornito la massima sicurezza per affermare che l'uomo paleolitico ebbe un vero culto dei morti e praticò il seppellimento intenzionale, almeno fin dai tempi del Quaternario medio, cioè dalla civiltà moustériana (v.), che ha per campione umano la razza di Neanderthal. Senza contare ritrovamenti meno chiari o dubbî, 8 scheletri del Mousteriano e ben 42 del Paleolitico superiore (fra cui i 16 delle celebri Grotte Grimaldi) sono una documentazione assai significativa.

Nulla si sa degli uomini che precedettero i Neanderthaliani; probabilmente, se la comparazione etnografica può valere, si può supporre, dato il silenzio archeologico, che essi abbiano abbandonato senz'altro i morti, lasciandoli in pasto agli animali famelici, come è costume di rozze tribù attuali (Cafri, Masai, in Africa; India settentrionale, Mongolia): costume vigente fra gli antichi Battriani e gli Sciti, e che raggiunge un preciso significato rituale e religioso nel Tibet e col Parsismo.

Per l'età neolitica i documenti tratti dallo scavo, comprovanti il culto dei morti professato con regolare fervore e con varietà formali nell'attuazione e nella costituzione del sepolcro da quasi tutte le tribù umane popolanti l'Europa, e di cui si è rintracciata la presenza, sono oltremodo abbondanti: è in questa ricchezza di reliquie la ragione per cui ancora si suole scrivere da taluni che il rispetto dei morti o la religione del sepolcro si affermò soprattutto con la detta civiltà; si può invece soltanto dire che nelle pratiche attuazioni il culto funebre si perfeziona e si complica. Il rito generalmente e costantemente praticato dalla vera e propria civiltà neolitica è quello dell'inumazione dei cadaveri, sia rattrappiti che distesi (talvolta la posizione diversa ha un significato distintivo sotto il riguardo etnico), in sepolture di vario genere.

Le sepolture collettive, veri ossarî con deposizioni successive, abbondano; a tal uso soprattutto si prestano le grotte, sia naturali sia artificiali, e i dolmen, la cui origine non si può riportare più in là della fine dell'età neolitica. Si hanno anche esempî non dubbî e non rari dell'uso della scarnitura del cadavere, la quale implica una duplice operazione: il disseccamento o la spolpatura mediante esposizione o macerazione, o altro, e poi il seppellimento definitivo. Questa pratica complicata si può anche concludere con la conservazione soltanto parziale, per lo più dei cranî, come è o era usanza di parecchie tribù primitive attuali (Australia occidentale, Tasmania, Nuova Guinea, Fân dell'Africa, ecc.): un primo esempio nella preistoria europea si ha certo nelle due fosse sepolcrali dell'età di transizione dal Paleolitico al Neolitico scoperte a Ofnet (Baviera), contenenti l'una sei e l'altra ventisette cranî disposti in file concentriche e orientati verso il sole occiduo. Quest'usanza preistorica, per la prima volta indicata dallo svedese Bruzelius e sostenuta con vigore da L. Pigorini, a proposito dello scheletro eneolitico di Sgurgola, trova una larga comparazione etnografica: era in vigore nell'America Settentrionale (Mound-Builders dell'Ohio, del Wisconsin, dell'Alabama), si nota presso molte tribù del Congo, della Nuova Guinea (es. i Coita), anche nel Madagascar (Betsileo, Sakalava, forse per influssi melanesiani), nell'Arcipelago di Bismarck, presso i Daiaki di Borneo, ecc.

Quanto al rito dell'incinerazione, si è ritenuto per molto tempo che il suo primo apparire coincidesse con gl'inizî della civiltà del bronzo, affermandosi poi preponderante durante lo svolgersi di essa, fino a divenire quasi esclusivo in tanta parte del continente europeo, specie nelle regioni centrali e orientali (Germania centrale e meridionale, Cecoslovacchia, paesi danubiano-carpatici), perdurando nella prima età del ferro, o civiltà di Hallstatt (v.), in cui peraltro si mescola all'inumazione che riappare in più territorî per riprendere a sua volta il primato nella fase successiva. Ma oggi si deve riconoscere che la sua prima comparsa è provata almeno alla fine del Neolitico, in punti diversi e distanziati, quali la Bretagna, il Belgio, la Boemia e Moravia, la Romania.

Da tempo erano citate le constatazioni fatte da P. du Châtellier nei dolmen del Finistère (su 69 sepolture: 58 a incinerazione, 6 a inumazione, 5 incerte), nonostante qualche riserva sulla possibile attribuzione di più dolmen alla successiva età del bronzo, durante la quale il predominio dell'incinerazione in Bretagna è singolare e contrastante col resto della Francia, soprattutto nella 1ª fase dell'età. Alla prevalenza bretone spiegata come fenomeno d'eccezione, si aggiungono altri primi casi di incinerazione segnalati nell'Aisne, nel bacino della Senna, nel Poitou, e, fuori di Francia, nella Svizzera settentrionale e nei territorî germanici. Quanto al Belgio indubbie sono le prove fornite dalle levées funerarie delle stazioni di Ottenbourg e Boitsfort-Étange, del Neolitico finale, nel Brabante; così come sicure sono le scoperte fatte in Boemia (una tomba a incinerazione con vasi caliciformi, eneolitica, a Podĕbrady) e i ritrovamenti eneolitici di Moravia. Scavi recenti in Romania, a Tinosul (presso PloeŞti), hanno mostrato che l'incinerazione vi appare dall'Eneolitico per mantenersi incontrastata fino agli ultimi tempi dell'età del ferro, collegando così intimamente il territorio getico al gruppo culturale ucraino o ruteno (dalla Galizia orientale alla Russia sud-occidentale), caratterizzato dall'uso dell'incinerazione con la deposizione delle reliquie sotto il pavimento delle abitazioni, in assoluto contrasto con la civiltà di Lengyel (Ungheria), inumatrice.

Una volta affermatosi, il nuovo rito si diffonde soprattutto nell'Europa orientale e centrale, dai paesi danubiani alla Vistola e all'Elba; ma il rito inumatorio, nonostante il costituirsi di territorî esclusivamente incineratorî (i "campi d'urne" dell'età enea), rimane più o meno largamente in uso. L'inumazione infatti è praticata esclusivamente nella Penisola Iberica (civiltà di Argar); resta prevalente in Francia nei primi periodi, per cedere il posto preminente all'incinerazione solo alla fine quasi dell'età enea; caratterizza tutta la prima fase della civiltà del bronzo nordica, scandinava, in cui è esclusiva. Anche nella Svizzera il nuovo rito non appare prima dell'età enea, e vi porta il nuovo tipo di sepolcro "a tumulo); ma la zona occupata resta perfettamente distinta dapprima da quella in cui persistono le tombe a inumazione: è la parte orientale fino all'Aar. Solo nella successiva età, hallstattiana, i due riti si mescolano, perfino nel medesimo tumulo; ma alla fine, nei tempi di La Tène, l'inumazione torna a predominare.

In Italia il rito incineratorio fa la sua prima apparizione con la civiltà del bronzo "terramaricola", limitata alla Valle Padana, ed è in essa esclusivo; ma non si diffonde per la penisola se non all'alba della civiltà del ferro (v. italia: Preistoria). Pur essendo, nella 1ª età del ferro, in massima prevalenza nei territorî settentrionali (sempre esclusivo in Este) e nel versante tirrenico della parte centrale, fino al Lazio compreso, peraltro non guadagna affatto il versante adriatico, all'incirca dal Metauro in giù, né il Mezzogiorno intero. Ben presto, dalla fine del sec. VIII, di pari passo con lo sviluppo della civiltà etrusca, si mescola all'inumazione nei medesimi sepolcreti; e quest'ultima, tranne alcune poche località (Verucchio, Chiusi, Volterra), finisce per prevalere.

Bologna, con le sue dense necropoli, offre un quadro esemplare dell'avvicendamento: dapprima il rito incineratorio è quasi esclusivo (la necropoli villanoviana-arcaica fuori porta S. Vitale ha 763 tombe a incinerazione contro 30 a inumazione; la parte arcaica del sepolcreto Arnoaldi ha 100 tombe a incinerazione contro 11 a inumazione), poi, procedendosi nel tempo, le inumazioni si accrescono sempre più, diventando più regolari nella fase etrusca (necropoli della Certosa: 133 a incinerazione contro 287 a inumazione), e massimamente nell'epoca gallica; dopo, l'incinerazione nuovamente predomina durante il periodo romano, per essere debellata e infine scomparire col trionfo del cristianesimo.

Nel sepolcreto arcaico del Foro romano, che archeologicamente comprova l'esattezza della tradizione tramandata dalle leggi decemvirali sulla contemporanea usanza dei due riti, fin dagl'inizî della vita di Roma, le inumazioni prevalgono (13 tombe a incinerazione contro 27 a inumazione), salvo la ristretta zona dei Monti Albani, esclusivamente incinerante sul principio, ma dopo il sec. VII trasformata e tornata al rito più antico; man mano che si scende verso il sud la proporzione delle inumazioni è maggiore. Il territorio dei Piceni non mutò mai, dall'eneolitico a tutta l'età del ferro, il costume inumatorio; nell'Italia meridionale e in Sicilia, dove per effetto della colonizzazione greca s'introduce il rito incineratorio alla fine del sec. VIII e nel VII, l'inumazione resta sempre in prevalenza, specie nei primi tempi, come attestano le necropoli, esplorate dall'Orsi, di Siracusa, Megara Iblea, Gela, Camarina, e quella di Cuma. La più arcaica necropoli di Selinunte non presenta tracce d'incinerazione, la quale è anche assente da quella di Taranto.

Nel mondo greco, nella civiltà cretese-micenea, cioè per tutta l'età del bronzo, secondo i risultati archeologici, l'inumazione è il rito esclusivo. Parimenti la non combustione dei cadaveri, salvo qualche eccezione tra i Sumeri e gli Accadi, caratterizza le antiche civiltà della Mesopotamia, dell'Asia Minore, e l'egizia, nonché la fenicia, meno gli eccezionalissimi casi d'incinerazione praticati per i soli re a Negadah e Abido, e la presenza d'urne cinerarie nell'ambiente punico per effetto d'influenze greche. Il contrasto con la tradizione omerica, se non si vuole spiegare con fenomeni di eccezione derivanti dallo stato bellico, si può attribuire alla posizione cronologica tenuta dalla redazione letteraria dei poemi.

L'incinerazione, nel mondo orientale e greco, fa le sue prime apparizioni col declinare della civiltà micenea (es. a Moulianá in Creta, nella tholos dell'Ereo di Argo, in Argo, Tebe, Salamina, ecc.), ma il suo affermarsi, e non mai esclusivo, si ha con la comparsa stessa dei primi oggetti di ferro, cioè nell'età geometrica. La mescolanza dei due riti che, con lieve prevalenza dell'incinerazione, si ha nella necropoli rodiota di Ialiso (secoli VIII-VII a. C.), cessa col sec. VI, in cui si pratica solo l'inumazione; la stessa mescolanza, con adattamenti rituali e formali istruttivi, è stata bene studiata nella necropoli cretese di Arkades, dell'inizio dei tempi ellenici, mentre gli scavi del Della Seta a Lemno hanno messo in luce una delle prime e più importanti necropoli del periodo proto-geometrico (dal IX al VII sec.), tutta a incinerazione, e alla quale succedono le tombe a inumazione dei coloni ateniesi.

Ma, se il rito incineratorio nell'età geometrica è bene presente, se non dappertutto predominante come in Creta e in Caria (necropoli di Assarlik) o singolarmente esclusivo come a Tera (secoli VII-VI), non altrettanto si può dire per Atene arcaica, per Eleusi, per Tanagra, ecc. Anzi, come si è notato per l'Italia, anche in Grecia, dopo il sec. VII, l'inumazione tornò a prevalere. Durante l'epoca repubblicana, in Roma ambedue i riti sono in uso, con prevalenza dell'incinerazione, la quale a sua volta cedette il primato all'inumazione nei tempi imperiali, per effetto dell'influenza esercitata prima dalle religioni orientali e infine dal cristianesimo.

Ma in Roma repubblicana, come in Atene, il popolo minuto veniva inumato per economia, mentre l'incinerazione era più propria delle famiglie nobili, salvo eccezioni, come per la gens Cornelia.

Tale inumazione "per economia" è praticata di solito dalle classi povere nel Giappone, ed era forse anche in uso nella civiltà azteca, dove in ogni modo venivano inumati gl'infortunati e i colpiti da malattie repugnanti. Del resto, l'incinerazione usata per distinzione, come più onorifica, per i capi o per i sacerdoti, come nell'antico Messico, è in uso presso molti popoli dell'America Settentrionale e dell'Asia, in Melanesia nelle isole Salomone, ed eccezionalmente, nell'America Meridionale, nella Guiana francese (Rucujenni): corrisponde all'inumazione soltanto riservata ai capi e agli stregoni presso molte tribù negre dell'Africa.

Tornando all'Europa continentale, la promiscuità dei due riti è anche caratteristica in generale della civiltà hallstattiana (a Salzberg di Hallstatt, su 983 tombe, 525 sono d'inumati, 455 d'incinerati, più 13 casi di combustione incompleta); ma l'inumazione torna a essere dominante nella seconda fase (civiltà di La Tène) nei territorî celtici, così come nel Nord (Danimarca, Scandinavia, ecc.), e nella pianura ungherese. Costantemente fedeli al rito incineratorio si mantengono invece le tribù germaniche che pertanto dànno l'impronta particolare, fino dall'età del bronzo, ai territorî centro-orientali, costituendo l'ampio e caratteristico gruppo dei "campi d'urne" (Urnenfelder), in contrasto con l'Europa occidentale, dolmenica, e anche con le regioni mediterranee. Anche le fonti storiche ci assicurano, ove non bastassero i dati archeologici, che i Galli al tempo di Brenno inumavano; ma Cesare attesta che al suo tempo il rito incineratorio era invece generale nelle Gallie. Ciò fu il risultato di due influenze esercitatesi al principio del terzo periodo di La Tène (v.): al nord dalle infiltrazioni germaniche, al sud dalla costituzione della provincia romana. In Inghilterra, continuandovi sempre la tradizionale forma tombale dei barrows, il rito incineratorio cominciò ad attecchire assai tardi, rispetto agli altri paesi europei, e all'epoca della conquista romana si usava promiscuamente all'inumazione.

Col diffondersi del cristianesimo, data la fede nella resurrezione della carne, l'incinerazione venne debellata dall'uso ormai reso sacro d'inumare i morti, uso che i primi cristiani derivarono dagli Ebrei. Ma, come per alcuni culti superstiziosi, non mancarono esempî di tenaci persistenze: Carlomagno nel 785 dovette proibire ai Sassoni l'uso di bruciare i cadaveri, e solo dopo il 1249 i Prussiani passarono all'uso dell'inumazione. Ugualmente in alcune regioni operò l'islamismo: ad esempio è per effetto della diffusione dell'Islam, nel sec. VII d. C., che in Persia ricompaiono le tombe, abolite dal mazdeismo.

Presso i popoli primitivi attuali, si nota una analoga complicazione di vicende, e soprattutto una tale varietà di usi, da rendere impossibili criterî assolutamente distintivi.

In generale, l'incinerazione non è praticata nell'Africa, nell'America Meridionale, nella Melanesia e in Polinesia, ma non potrebbe dirsi che nelle suddette terre si usi l'inumazione semplicemente; poiché se la spoglia viene alla fine sotterrata, quasi dovunque l'atto inumatorio è la conclusione di altre complesse operazioni (esposizione per la decomposizione delle carni, purificazione con varî metodi, disseccamento al calore, ecc.). Frequente è fra le tribù del Congo, dell'Africa occidentale (Sierra Leone, Costa d'Oro, ecc.), dopo una lunga serie di preliminari, il differimento dell'esequie e del seppellimento definitivo di mesi e perfino di anni, a causa delle ingenti spese occorrenti per il funerale: circostanza che si riscontra anche presso molte tribù del Madagascar, e nell'Indonesia (Kayan e Daiaki di Borneo). Tuttavia, come si è visto, in qualche luogo si hanno casi di incinerazione; perfino in via eccezionalissima nell'Africa, presso i Mkulué del Tanganica, che riesumano il cadavere putrefatto e lo bruciano per impedire l'incarnazione dello spirito terrificante.

I Tasmaniani usavano in via secondaria l'inumazione con la positura seduta, e più comunemente la riesumazione con combustione parziale (meno il cranio); gli Andamanesi e i Nicobaresi seppelliscono i bambini sotto le capanne paterne, e solo per distinzione espongono su alberi o piattaforme i cadaveri rattrappitì e legati.

In Australia, prima della penetrazione europea, era più diffuso il sistema di mangiare i morti, che sopravvive tra le più selvagge tribù del Queensland: questo cannibalismo funebre, non ignoto alla preistoria europea, che Erodoto ricorda per gl'Issedoni, era in uso presso alcune tribù dell'India ai tempi di Marco Polo, e ai giorni nostri nell'Africa equatoriale e occidentale (Manyema, Gabon, società segrete del Kassai).

Altrimenti le tribù australiane, come gl'Indiani dell'America Settentrionale, si distinguono per una straordinaria varietà di modi (inumazione, incinerazione, sepoltura aerea su alberi o piattaforme, affumicamento e scarnitura con conservazione delle ossa).

Nel continente asiatico l'incinerazione è veramente il rito più diffuso. Se nell'India essa oggi si mostra come uso generale, non mancano le eccezioni (i corpi dei vecchi Aryas e di asceti sono inumati, perché già uniti a Brahma), e probabilmente nei tempi prevedici e preistorici l'inumazione era più generale. Al contrario, in Cina, forse dopo il primitivo modo moogolico dell'abbandono, dalla combustione, attestata da Marco Polo, si è passati all'inumazione, oggi generale. Il rito incineratorio è usato nel Siam, come già in Birmania; nell'Indocina variano i modi (in Cambogia si brucia, nell'Annam s'inuma, nel Laos più comunemente s'incinera, riservando l'interramento ai poveri e ai prigionieri).

Nel Giappone, dove l'uso più antico era l'inumazione, il rito incineratorio fu introdotto nel sec. VIII dell'era volgare ed era molto più diffuso prima del 1870; la combustione veniva effettuata con un particolare sistema, nello spazio d'una notte, mediante abile disposizione del cadavere, aereandolo, sopra una fossa e a fuoco lento, impiegando relativamente una scarsa quantità di legname (cfr. O. Olshausen, in Zeitschr. für Ethnol., XL, 1908, pp. 100-106). Questo metodo "all'aria libera" si può riferire utilmente nei tempi preistorici, a spiegare anzitutto la ristrettezza dei focolai funebri, più volte notata. I popoli artici o gettano i cadaveri in mare, ovvero li seppelliscono sommariamente alla superficie del suolo (Eschimesi); talora anche li espongono.

Origine e significati. - Per l'inumazione, che precede nel tempo, non ci sono questioni da porre; la sua significazione è chiara, e la sua ripresa, in certi momenti, facilmente spiegabile. Ma, qual'è invece l'origine dell'incinerazione, e quale la sua finalità? Esiste o no un centro originario? Perché avvenne la sua rapida propagazione, nell'Europa preistorica? Come si spiega la promiscuità dei due riti fondamentali? Il rito diverso, se mantenuto esclusivo o costante, è indice di diversità etnica?

Difficile è rispondere alla prima domanda: l'origine dell'incinerazione può ben essere spontanea, ma, considerata la sua prima apparizione in uno stadio civile già avanzato, non si può staccare il problema dell'origine da quello della finalità. Si è pensato che, rispondendo meglio la distruzione rapida col fuoco al bisogno di liberarsi dal terrore che incute il ricordo o lo spirito dei morti, l'incinerazione sia stata adottata perché "utile ai vivi". Se si riflette ai tanti mezzi usati per purificare il cadavere, prima di conservarne le ossa o seppellirlo, si può anche credere che la combustione, costituendo il mezzo di purificazione più rapido e completo, sia stata per questo accettata precipuamente, e perché "più utile agli scomparsi". La credenza nella sopravvivenza delle anime, cui il rogo rende più spedita la migrazione, avrebbe contribuito alla diffusione del nuovo rito.

Lo Schliz, osservando in tonbe neo-eneolitiche della valle del Meno e del Neckar tracce di fuoco sulla terra che le ricopriva, poi alcuni scheletri avvolti da terra bruciata, e poi combustioni avvenute nella fossa stessa, e infine a livello del suolo, ha supposto in ciò una seriazione significativa per spiegare l'origine dell'incinerazione, che nata assai semplicemente dal rito di purificazione generica si sarebbe poi fissata o regolarizzata con finalità religiosa. Certo è che non si deve disconoscere il fine supremo spirituale. Ai tempi nostri si è fatta propaganda in favore della cremazione, per ragioni d'igiene; ma questa ripresa fu condannata dalla chiesa cattolica nel 1886.

Riguardo a un possibile centro originario, si è cercato di scorgerlo in Asia, o meglio in un territorio tra l'Asia e la vera Europa (M. Hoernes finiva per insistere sull'importanza della civiltà ucraina o rutena); ma la comparsa contemporanea in Occidente (Belgio, Bretagna, Germania) sembra togliere ogni valore all'indicazione orientale. Sono ammissibili più centri originarî; tuttavia bisogna riflettere che il mondo asiano è quello dove l'incinerazione si mostra predominante; e se anche viene praticata altrove (Americhe, Oceania), lo è non solo promiscuamente con altri riti, ma per eccezione o in via secondaria.

La rapida propagazione in Europa, in realtà col progresso della metallurgia, è stata spiegata da taluno perfino con una propaganda religiosa; ma come è ben difficile ammettere tali fatti in tempi primitivi, così è irragionevole riflettere nel passato preistorico il fenomeno avvenuto, dopo tanto progresso morale e intellettuale del mondo greco-romano, col cristianesimo, paragonabile all'azione esercitata dall'Islam su molte regioni asiatiche. Quella propagazione, se non è sempre dovuta allo spostamento di masse umane, e quindi a invasioni, si può attribuire al semplice risultato di scambî culturali.

La promiscuità dei due riti, comunque causata, sia dalla coesistenza in un medesimo territorio di genti diverse, sia dalla diversità del gusto o del costume, in realtà si ha in momenti successivi all'introduzione vigorosa: è un fenomeno seriore. Basti il quadro offerto dalla Svizzera dell'età del bronzo, per non parlare dell'Italia. Le separazioni territoriali che si possono descrivere in Europa, ora più decise e ora meno (si aggiungano: i "campi d'urne" contro l'occidente dolmenico, il territorio celtico contro il germanico), la stessa differenza che nel campo etnografico si deve sottolineare fra il mondo asiatico e l'africano, fra l'America Settentrionale e quella Meridionale, infine altri motivi derivati dai fenomeni di persistenza: tutto ciò rende verosimile l'ipotesi che la diversità del rito funebre stia a dimostrare un'originaria diversità di razza, almeno in certi momenti e in determinate regioni. Rispetto alle civiltà dell'Egeo e del Mediterraneo, l'incinerazione si può definire un costume "nordico".

L'indifferente uso, anche addotto contro quella ipotesi da qualche critico, troppo fisso al mondo storico, greco-romano, non vale; perché l'indifferenza si ha in tempi non antichissimi, o presso una umanità evoluta o sottoposta a varie influenze civilizzatrici. D'altronde non si spiegherebbero i chiari fenomeni di attaccamento tenace, di persistenza rituale, contrastante o col generale costume o con logiche necessità di vita: ad es. l'uso d'inumare mantenutosi, in Roma, dalla nobile gente degli Scipioni, quasi sacro dettame; la costante pratica inumatoria col cadavere rannicchiato dei Piceni; le persistenti incinerazioni, in Italia e fuori, durante il nuovo prevalere dell'inumazione nei tempi protostorici; la singolare resistenza degl'isolani i Bali (contro l'ormai comune pratica inumatrice nell'arcipelago Giavanese, per effetto dell'Islam), i quali incinerano perché fedeli all'induismo; il fatto che gli abitanti del Ladak, poveri, in un paese squallido, costretti a cuocersi le vivande con sterco disseccato, compiono ogni sforzo per accumulare il denaro necessario all'acquisto della legna per il rogo.

Tuttavia, se si vuole dare massimo peso a certe attestazioni di uso promiscuo e indifferente e alle distinzioni applicate al grado o alla casta sociale, al sesso (ad es. nel Caucaso preistorico, necropoli di Dido, gli uomini sono inumati e le donne incinerate), o all'età (es., i bambini inumati, se l'uso generale è l'incinerazione, come nell'India, e perfino in Australia, nella N. Galles del Sud), il criterio sopra esposto va adottato non in senso assoluto, ma con le debite cautele o relativamente.

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