Investimenti

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

Investimenti

John S. Strong
John R. Meyer

Introduzione

In economia per 'investimento' si intende l'acquisizione o la creazione delle risorse utilizzate nella produzione. Nelle economie di mercato l'investimento è inteso generalmente come spesa effettuata dalle imprese per l'acquisto di immobili, fabbriche, impianti e scorte. Tuttavia investimenti vengono realizzati anche dallo Stato, dalle famiglie e da altri soggetti, e nel concetto di investimento dovrebbero essere incluse anche le spese per l'istruzione, per la ricerca e lo sviluppo, e per la formazione di capitale umano o immateriale in genere (per una trattazione esauriente e un'analisi delle caratteristiche settoriali degli investimenti v. Jorgenson e altri, 1987; per un'analisi degli investimenti pubblici v. Aschauer, 1989; v. Lynde e Richmond, 1993; v. Munnell, 1990).

L'ammontare, il tipo e il momento di attuazione dell'investimento hanno conseguenze importanti per l'economia e il benessere della società. Gli economisti classici e neoclassici hanno sempre attribuito agli investimenti un ruolo centrale (sebbene non esclusivo) nella formazione della ricchezza futura. Per mantenere il livello corrente di produzione è necessario mantenere le risorse attualmente impiegate nel processo produttivo. Quindi la crescita economica richiede un ammontare di investimento che sia superiore al deprezzamento o all'obsolescenza del capitale esistente. Inoltre le spese di capitale possono contribuire alla crescita economica perché l'investimento costituisce il mezzo principale per l'introduzione di nuove tecnologie.

L'allocazione delle risorse attualmente disponibili in un investimento di capitale è collegata alle, ed è condizionata dalle, preferenze della società per il consumo futuro rispetto al consumo corrente, o per il consumo delle generazioni future rispetto al consumo delle generazioni presenti. L'investimento, ovviamente, costituisce una rinuncia al consumo immediato in vista della realizzazione di un consumo maggiore nel futuro. La misura in cui tale 'scambio' è possibile dipende dalla funzione della produzione, attraverso la quale investimenti addizionali di capitale vengono trasformati in prodotto addizionale futuro.

La seconda importante funzione degli investimenti attiene alla politica macroeconomica. La relazione tra investimenti, risparmio e fluttuazioni economiche è stata a lungo oggetto di dibattito. Gli economisti classici, sia della vecchia che della nuova scuola, sostengono che il meccanismo dei prezzi, che riflette l'offerta e la domanda, assicura che l'economia operi a livello di pieno impiego e che le risorse vengano pienamente utilizzate. Secondo i modelli classici un minore consumo corrente implica un maggiore investimento corrente, e quindi maggiore produzione e maggiore consumo nel futuro. In questo processo, tendente all'equilibrio, l'investimento è funzione del tasso di interesse, o, nella formulazione di Hayek (v., 1939), del tasso di profitto.

La teoria di Keynes sugli investimenti è molto diversa. Egli sostenne che, a causa della rigidità dei prezzi e dei salari e delle conseguenti imperfezioni dei mercati, le economie non operano sempre in situazione di pieno impiego. Nella contabilità nazionale l'investimento risulta sempre uguale al risparmio, poiché (a parte il saldo dei conti con l'estero) prodotto e reddito sono uguali. La parte del reddito che non viene consumata è, per definizione, risparmiata; la parte della produzione che non viene acquistata dai consumatori viene trattenuta dai produttori, e quindi costituisce investimento. Tuttavia questo investimento che effettivamente si realizza può non coincidere con l'investimento che si intendeva realizzare. Per esempio, se i produttori sono costretti ad accumulare scorte indesiderate (che vengono conteggiate come investimento), molto probabilmente nel periodo successivo ridurranno la produzione. Minore produzione significa minor reddito, e quindi minor consumo e minor risparmio. Pertanto, secondo la teoria degli investimenti di Keynes, un calo della domanda di investimento, o dell'investimento desiderato, rispetto al risparmio potrebbe provocare una contrazione della produzione e del reddito e costituire una causa primaria dei cicli economici. Per prevenire tali fluttuazioni Keynes prescrisse aumenti della domanda di investimento tali da rendere uguali risparmio e investimento e permettere così di raggiungere il pieno impiego. La domanda aggiuntiva di investimento non ridurrebbe il consumo, ma produrrebbe reddito addizionale, che, a sua volta, verrebbe in larga misura speso in consumi addizionali. Il consumo aggiuntivo potrebbe dar luogo a una seconda tornata di investimento aggiuntivo, in base al cosiddetto 'modello dell'acceleratore', che lega la domanda di investimento al livello di produzione e alla crescita (v. Samuelson, 1939; v. Hicks, 1950).

Quindi gli economisti keynesiani attribuiscono alla produzione un ruolo chiave nella determinazione della relazione tra investimento e risparmio. Invece gli economisti classici ritengono che l'equilibrio tra investimento e risparmio venga raggiunto principalmente attraverso variazioni del tasso di interesse. Il tasso di interesse è considerato - alla stregua dei salari pagati ai lavoratori - come il costo del finanziamento dell'investimento di capitale. La domanda di investimento è, secondo questa teoria, inversamente correlata al tasso di interesse e molto sensibile alle sue variazioni. Quindi, in presenza di un calo della domanda di investimento, i fondi disponibili in eccesso provocheranno una riduzione dei tassi di interesse e quindi stimoleranno un aumento dell'investimento (o una corrispondente diminuzione del risparmio). Pertanto non è necessaria una variazione della produzione per far aumentare gli investimenti. Al contrario, secondo la teoria keynesiana, la domanda di investimenti è pressoché insensibile alle variazioni del tasso di interesse, mentre sono determinanti le aspettative dei produttori circa la domanda presente e futura di produzione.

Sia la teoria classica che la teoria keynesiana pongono l'accento sulle relazioni tra la domanda e l'offerta nel mercato dei prodotti. Le prime ricerche empiriche hanno anche evidenziato l'importanza dei vincoli finanziari e della liquidità nella determinazione dell'andamento degli investimenti. Tuttavia la moderna teoria finanziaria, in particolare le opere di Modigliani e Miller (v., 1958 e 1963), ha dimostrato che, se il mercato dei capitali è perfetto, la struttura e la politica finanziarie sono irrilevanti nelle decisioni di investimento effettive. Questa tesi, che conduce alla separazione delle decisioni di investimento dalle decisioni finanziarie, costituisce il presupposto teorico dei modelli dell'investimento basati sulla tecnologia della produzione e sull'influenza dei fattori economici invece che finanziari. Quindi, se le ipotesi di Modigliani e Miller sono soddisfatte, le decisioni di investimento di capitale dovrebbero essere indipendenti da fattori di tipo finanziario, come la liquidità interna delle imprese, la politica debitoria o il pagamento dei dividendi.

Attraverso ricerche empiriche si è tentato di verificare queste contrastanti teorie e di misurare gli effetti che i tassi di interesse e le aspettative sulla domanda di produzione futura hanno sulle decisioni di investimento. Come si vedrà più avanti, in tali ricerche si deve tener conto di numerosi elementi che complicano l'analisi, come le imposte, i costi di aggiustamento, i ritardi, l'evoluzione tecnologica e la natura delle aspettative. Sia per motivi di disponibilità dei dati che per ragioni di scala e di importanza, questi studi si sono incentrati soprattutto sulle decisioni di investimento nelle grosse società industriali.

La teoria classica

Nella teoria classica l'analisi degli investimenti nell'economia di mercato parte dall'assunto che l'obiettivo del produttore, che acquista capitale per incrementare i profitti attesi nel futuro, sia la massimizzazione del profitto. Si suppone che il produttore investa fino al punto in cui il valore della produzione addizionale derivante dal nuovo investimento uguaglia il suo costo (nella terminologia economica, fino al punto in cui il ricavo del prodotto marginale uguaglia il suo costo). In questo processo decisionale viene stabilito il livello di investimento desiderato e quindi i rapporti capitale/produzione e capitale/lavoro per l'economia. Determinati tali elementi, il mantenimento dello stock di capitale esistente richiede investimenti di sostituzione, mentre gli investimenti netti positivi sono il risultato o di variazioni della domanda dei prodotti o del costo del capitale. Questa relazione può essere scritta

K*=f(p, c, Y*),

dove K* rappresenta lo stock di capitale desiderato, p è il prezzo del prodotto, c è il costo di utilizzo del capitale e Y* rappresenta la domanda futura attesa.

Nell'analisi dinamica è possibile trasformare il livello desiderato di capitale in domanda di investimento. Il passaggio dalla domanda di stock di capitale alla domanda di flusso di investimento dipende da numerose ipotesi riguardanti il tempo che intercorre tra l'ordinazione e la consegna dell'impianto e delle attrezzature; dai costi di aggiustamento connessi con il passaggio da un livello desiderato di capitale a un altro; dalla misura in cui il vecchio e il nuovo capitale incorporano tecnologie diverse con diversi livelli di produttività; dalla necessità di investimenti di sostituzione; dalla strategia e dalla politica finanziarie dell'impresa. Per tutti questi fattori sono necessarie delle ipotesi sulle aspettative. Poiché le aspettative di un'impresa generalmente non sono osservabili da parte del ricercatore, compito degli studi empirici è anche quello di sostituire tali variabili con variabili osservabili ritenute collegate a esse. Gli studi empirici sugli investimenti dipendono quindi non solo dalla natura del modello sottostante, ma anche dal modo in cui l'analisi dinamica viene applicata. Seguendo il metodo adottato da Chirinko (v., 1991), divideremo le teorie fondamentali degli studi sull'investimento in due classi: quelle per le quali l'analisi dinamica è separabile dal problema dell'ottimizzazione formale dell'investimento, e quelle che affrontano esplicitamente l'analisi dinamica.

Specificazioni empiriche

Le ipotesi specifiche più diffuse nell'ambito degli studi empirici sugli investimenti sono quelle del modello neoclassico di Jorgenson (v., 1967, 1971 e 1972; v. Jorgenson e altri, 1987). La caratteristica principale della teoria è l'ipotesi della reattività della domanda di capitale alle variazioni dei prezzi relativi dei fattori o dei prezzi della produzione. Il modello di base di Jorgenson massimizza il valore attuale dei profitti su un orizzonte infinito, assumendo un tasso geometrico di deprezzamento e tempi di consegna, costi di aggiustamento o differenze di capitale d'annata nulli. Jorgenson utilizza una funzione di produzione con elasticità generale di sostituzione costante (constant elasticity of substitution, CES), basata sull'ipotesi che il capitale possa essere sostituito ai fattori variabili in proporzioni simili lungo la frontiera delle possibilità produttive. Ciò conduce a una relazione, al tempo t, tra lo stock desiderato di capitale (K*t), il livello di produzione (Yt) e il 'costo di utilizzo del capitale' (Ct),K*t=aYtCt,conCt=pt(rt+d)(1-mt-zt)/(1-Tt), dove pt è il prezzo relativo del nuovo capitale rispetto al prezzo della produzione, rt è il tasso di interesse al netto degli effetti fiscali, d è il tasso geometrico di deprezzamento del capitale ipotizzato, mt è il credito d'imposta sull'investimento, zt è la detrazione per deprezzamento e Tt è l'aliquota marginale dell'imposta. Il punto centrale della teoria è la relazione tra lo stock desiderato di capitale, la produzione e le variabili-prezzo che esprimono il costo del capitale, il costo del finanziamento e gli effetti fiscali.

Per porre in relazione lo stock desiderato di capitale con i flussi di investimento, il modello neoclassico separa l'investimento nella componente-sostituzione e nella componente netta (v. Feldstein e Rothschild, 1974). L'investimento netto si avvicina allo stock desiderato di capitale a un tasso di aggiustamento che è determinato da un ritardo, che si suppone distribuito, sulla consegna del nuovo capitale.

L'analisi dinamica

Il modello neoclassico è stato criticato per le ipotesi sulle aspettative statiche, sul tasso di aggiustamento e sull'importanza relativa dei prezzi rispetto alle quantità nella determinazione delle spese d'investimento (v. Coen ed Eisner, 1987; v. Eisner, 1978; v. Eisner e Nadiri, 1968). Le aspettative statiche sono incompatibili con il carattere previsionale delle decisioni sulle spese d'investimento, e rendono difficile la considerazione degli effetti della tecnologia, dei nuovi prodotti o delle variazioni nelle condizioni economiche. Poiché, nel modello, le imprese scelgono il capitale, gli altri fattori e il livello di produzione simultaneamente, lo stock di capitale desiderato diventa un obiettivo mobile e, di conseguenza, il processo di aggiustamento non risulta sempre chiaro.

Anche le ipotesi del deprezzamento costante e degli effetti di annata (capitale con diversi livelli di produttività) nulli sono state oggetto di critiche. In molti studi sull'andamento degli investimenti il costo di utilizzo e gli effetti della produzione vengono inclusi come termine composito. Tuttavia, una volta realizzato, l'investimento può porre dei vincoli sul modo di utilizzo del capitale rispetto agli altri fattori (per un'illustrazione del caso dell'acciaio v. Meyer e Herregat, 1974); le variazioni della produzione, in questi casi, possono avere un'influenza molto maggiore nella determinazione delle spese d'investimento rispetto alle variazioni dei prezzi relativi o dei parametri fiscali. In generale la velocità di reazione dell'investimento alle variazioni del livello desiderato di capitale dipenderà dalla natura di tali variazioni. Le equazioni degli investimenti dovrebbero considerare la diversa distribuzione dei ritardi nelle reazioni alle variazioni dei prezzi relativi e della produzione, e includere la possibilità che le stesse strutture dei ritardi siano suscettibili di adattamento. Ciò implica che il processo di aggiustamento e il tasso di sostituzione dello stock di capitale non siano predeterminati, ma siano influenzati dalle variabili economiche e dalle aspettative.

Secondo le stime empiriche delle equazioni neoclassiche degli investimenti, le reazioni alle variazioni dei prezzi e dei fattori fiscali sono considerevoli e significative (v. Slemrod, 1990; v. Summers, 1981; v. Poterba, 1987). Tuttavia tali stime risentono delle restrizioni e delle ipotesi del modello. Se si utilizzano tecniche di stima meno restrittive, la conclusione generale è che gli effetti della produzione influiscono sugli investimenti più delle considerazioni dei costi (v. Shapiro, 1986). Questa bassa reattività degli investimenti alle variazioni dei prezzi o dei costi suggerisce che le politiche monetarie o le politiche fiscali, finalizzate all'abbassamento dei tassi di interesse o di sconto, abbiano un'influenza limitata sugli investimenti. Tuttavia le variazioni dei fattori fiscali possono dar luogo a sostituzioni intertemporali degli investimenti, nel senso che le variazioni dei costi possono indurre le imprese ad accelerarne o a ritardarne l'attuazione. Tali slittamenti indicano che queste politiche potrebbero svolgere un ruolo più attivo nell'ambito di una prospettiva anticiclica.

Le versioni più recenti del modello neoclassico riguardano in particolare gli effetti fiscali sugli investimenti, le specificazioni e le aspettative. La conclusione a cui questi modelli generalmente conducono è che l'interazione tra imposte e inflazione può avere effetti importanti per gli investimenti. I critici delle teorie in questione sostengono invece che questi effetti possono essere in buona parte imputabili alla scelta delle variabili quantitative e ai metodi di calcolo dell'aliquota effettiva dell'imposta sui redditi da capitale.

I problemi connessi alle stime e alla possibilità di interpretazioni diverse hanno portato alcuni ricercatori ad adottare modelli aventi una struttura meno aprioristica. Questa impostazione è legata soprattutto al nome di Sims (v., 1982), il quale adotta una metodologia di autoregressione vettoriale, che considera endogene tutte le variabili. Anche se questa impostazione permette di descrivere i dati con maggiore precisione, con essa diventa più difficile fare delle inferenze sul comportamento delle variabili economiche o sulle politiche più adatte.

Le restrizioni e le ipotesi dei modelli classici e neoclassici hanno spinto alcuni studiosi a elaborare altri modelli in cui si tenta di incorporare l'analisi dinamica nello studio degli investimenti in modo più specifico e strutturato. Questi modelli includono esplicitamente l'analisi dinamica nell'apparato teorico e pongono in relazione le stime empiriche con la tecnologia e le aspettative.In molti di questi modelli, a differenza di quelli neoclassici, sia lo stock di capitale desiderato che il tasso di investimento sono determinati da una combinazione di fattori finanziari e di costi di aggiustamento.

Come suggeriscono Eisner e Strotz (v., 1963), nei costi di aggiustamento possono rientrare voci come l'orizzonte temporale del progetto, prezzi crescenti per l'acquisto di ulteriori e futuri beni capitale, le ripercussioni della realizzazione del nuovo investimento sulla produzione. Se tali costi crescono con il livello di investimento per unità di tempo, allora diventa conveniente distribuire l'investimento su periodi diversi. La velocità di aggiustamento dell'investimento allo stock di capitale desiderato dipende quindi dalle cause e dalla grandezza delle variazioni. Inoltre, se lo stock di capitale esistente impone dei vincoli sulle combinazioni dei fattori, allora le variazioni dei prezzi relativi avranno un'influenza minore sull'investimento. Gli effetti delle variazioni della produzione sull'investimento possono anche dipendere in larga misura dal modo in cui tali variazioni vengono considerate, se temporanee o permanenti.

L'inclusione dei costi di aggiustamento nel problema di ottimizzazione dell'impresa sposta l'accento dal raggiungimento meccanico di uno stock di capitale desiderato alla definizione di un percorso desiderato di accumulazione del capitale. In questa prospettiva l'investimento dipenderà dalla produzione e dai prezzi relativi attesi lungo l'orizzonte temporale della programmazione dell'impresa. Questa struttura, basata sulla previsione, è difficile da stimare empiricamente, poiché i costi di aggiustamento e le aspettative non sono, in buona parte, osservabili. Soluzioni deterministiche del problema richiedono assunti molto forti sulle funzioni della produzione, sulla tecnologia, sui costi di aggiustamento e sulle aspettative. Non deve sorprendere che i modelli che considerano i costi di aggiustamento generalmente portino, come risultato, a una maggiore reattività agli effetti della produzione che non alle variazioni dei prezzi relativi.

I modelli finanziari

La difficoltà di collegare il ricavo del prodotto marginale del capitale (costi di aggiustamento compresi) alle variabili economiche osservabili ha portato all'elaborazione di modelli che pongono l'accento sulla relazione tra gli effetti dell'investimento e dello stock di capitale sul valore finanziario dell'impresa. Keynes sosteneva che l'investimento si deve effettuare fino al punto in cui il suo rendimento marginale è uguale al tasso di interesse, ossia, in altri termini, fino al punto in cui il valore attuale scontato dell'investimento è uguale al suo costo. Keynes osservò anche che i mercati finanziari forniscono una valutazione continua del valore dell'impresa, delle sue opportunità di investimento e delle prospettive di crescita.

La teoria della q

Sviluppando ulteriormente il modello di tipo valutativo proposto da Keynes, Tobin (v., 1969) e Brainard e Tobin (v., 1968) elaborarono la cosiddetta 'teoria q dell'investimento', in cui l'investimento è correlato positivamente alla q media, definita come il rapporto tra il valore finanziario dell'impresa e il costo di sostituzione dello stock di capitale esistente. Il valore finanziario di un'impresa, così come emerge, ad esempio, dalle contrattazioni pubbliche nelle borse, rappresenta la valutazione effettuata dal mercato del valore attuale dei rendimenti attesi del capitale esistente e delle sue prospettive di crescita. Il costo di sostituzione delle attività riflette il costo che l'impresa deve sostenere per ottenere o riprodurre le sue attività nette (capitale finanziario circolante netto, scorte e attività di lungo periodo come impianti e attrezzature). Quando il valore della q (effetti fiscali compresi) è maggiore di 1,0 l'investimento si deve effettuare perché la valutazione che il mercato fa dei rendimenti addizionali dell'investimento supera il costo di acquisto di quelle attività. In altri termini una q maggiore di 1,0 dovrebbe indicare che il valore attuale netto dei progetti dell'impresa è positivo.Il modello q dell'investimento tratta in modo esplicito il problema delle aspettative non osservabili, poiché confronta la valutazione finanziaria del mercato, che è espressione di una previsione, con il costo del capitale esistente.

Data la q, è possibile avere una valutazione delle aspettative sulle opportunità future dell'investimento senza dover ricorrere a ipotesi restrittive sulla natura di tali aspettative.

La formulazione originale della teoria della q non distingue tra i rendimenti attesi dal nuovo investimento netto e i rendimenti generati dallo stock di capitale esistente dell'impresa. Cioè il valore della q riflette sia i rendimenti attesi dell'investimento già effettuato che i rendimenti attesi del nuovo investimento. Nelle versioni successive della teoria della q si è tentato di separare il rendimento medio aggregato dal rendimento marginale atteso del nuovo investimento. Abel (v., 1980) ha mostrato che l'ottimizzazione dinamica, in presenza di costi di aggiustamento, porta a una relazione tra l'investimento e la q marginale, essendo quest'ultima definita come il rapporto tra il valore attuale dei redditi futuri di un investimento e il prezzo di acquisto di quell'investimento. Se la q marginale è maggiore di 1,0, l'investimento netto dovrebbe risultare positivo. Baily (v., 1981) ha esteso tale relazione fino a includervi gli effetti di annata e gli effetti degli shocks della tecnologia.

Essendo la q marginale non osservabile, negli studi empirici è stata utilizzata la q media (v. Hayashi, 1982). Le ipotesi necessarie per stabilire un'equivalenza tra la q marginale e la q media sono piuttosto restrittive, poiché richiedono mercati concorrenziali dei fattori e dei prodotti, omogeneità lineare della produzione, omogeneità del capitale e separabilità delle decisioni di investimento da quelle finanziarie. Se i mercati non sono concorrenziali, allora il potere monopolistico può far sì che il valore della q risulti maggiore di 1,0 anche in presenza di opportunità di investimento netto o marginale scarse. Anche i rendimenti di scala, crescenti e decrescenti, possono differenziare la q media da quella marginale. E se le valutazioni finanziarie non possono prescindere dalla considerazione del valore delle attività, allora il segnale dell'investimento, rappresentato dalla q, diventa endogeno.

La misurazione della q è quasi sempre abbastanza difficile nella pratica (v. Schaller, 1990). Anzitutto in molti studi si mette ora in discussione il fatto che i prezzi espressi dai mercati finanziari possano costituire valutazioni affidabili del valore attuale dei flussi di cassa futuri di un'impresa (v. Hayashi, 1985; v. Furstenberg, 1977). Se i mercati finanziari sono caratterizzati da ondate speculative, riavvicinamento ai valori medi, o eccessiva volatilità, allora la stima del numeratore della q sarà, nella migliore delle ipotesi, instabile, nella peggiore, errata. In secondo luogo la misurazione del costo di sostituzione delle attività esistenti pone molti problemi. Molti beni capitale sono idiosincratici e hanno mercati molto limitati, e quindi il loro valore corrente non è sempre facilmente determinabile. Inoltre implicita nel calcolo del valore di sostituzione è l'idea che la sostituzione sia conveniente. Per esempio il costo di sostituzione, per un produttore di acciaio, potrebbe riflettere il costo corrente della costruzione di un impianto per la produzione dell'acciaio Martin o di un forno di fusione, ma senza che ci si chieda se ciò sarebbe conveniente. A rendere difficile il calcolo del capitale intervengono anche le differenze nella produttività relativa delle attività nelle diverse annate. Inoltre il valore di molte imprese può dipendere anche da attività immateriali come il marchio, l'avviamento, le attività di ricerca e sviluppo, che non trovano espressione nei bilanci patrimoniali convenzionali.I test empirici condotti sui modelli q hanno dato risultati ambigui. Gli studi in cui si sono utilizzati dati aggregati hanno mostrato che i modelli q hanno un potere esplicativo limitato e, se si stimano equazioni più ampie, sono dominati dalle misure della produzione. Questi stessi modelli hanno dato risultati migliori a livello di industria o di settore, ma l'effetto della q sulla spesa in investimenti è ancora quasi sempre molto minore di quello delle misure della produzione.

Data l'importanza delle aspettative nella determinazione della spesa in investimenti, gli scarsi risultati empirici dei modelli q sono deludenti. Proprio le aspettative, elemento chiave nella teoria della q, dovrebbero avere, più di tutte le altre variabili, una relazione sistematica con la spesa in investimenti. L'influenza dei costi di aggiustamento, delle imposte e di altri fattori dovrebbe essere inglobata nella stima della q. Tuttavia le equazioni che arrivano a includere altre misure della produzione e dei prezzi indicano che la q, come determinante della spesa in investimenti, svolge una funzione supplementare e non dominante.

Mentre la teoria della q ricorre alle valutazioni finanziarie per risolvere il problema della misurazione delle aspettative non osservabili, altri modelli espliciti adottano metodi diversi. Nei modelli basati sull'equazione di Eulero si utilizzano le misure delle variabili 'principali' in un processo in cui i valori effettivi vengono sostituiti ai valori attesi all'inizio del periodo che si vuole analizzare. Il metodo consiste fondamentalmente in un'equazione che esprime la previsione relativa al periodo successivo, e che si assume stabile nel periodo di riferimento; gli errori sono dati sia da errori nelle aspettative che da shocks nella tecnologia o nella produzione. Questo metodo fornisce un'analisi del processo di investimento sulla base del confronto col movimento verso un definitivo risultato ottimale (come avviene nell'ottimizzazione dinamica).

A causa della necessità di adottare forme generali della funzione della produzione, delle aspettative e dei processi relativi ai costi di aggiustamento, per stimare empiricamente questi modelli si deve ricorrere a variabili strumentali.Trovare variabili strumentali valide e stabili non è facile; i risultati empirici sono spesso influenzati dalle ipotesi specifiche del modello. Come prevedibile, per quanto riguarda la reattività stimata dell'investimento al tasso di interesse, al prezzo e alle misure della produzione, i risultati sono molto discontinui, anche se, in generale, il potere esplicativo del modello è abbastanza buono. Pur non fornendo molte informazioni sugli effetti degli shocks e della tecnologia sull'investimento, questi modelli possono in parte far luce sulla diversa reattività degli investimenti, nel breve e nel lungo periodo, a cambiamenti anticipati del contesto in cui si effettua l'investimento.I modelli che considerano esplicitamente i costi di aggiustamento, la tecnologia e le aspettative hanno una struttura più aprioristica dei modelli neoclassici.

Empiricamente danno risultati non omogenei; i risultati migliori, comunque, vengono da quei modelli che includono misure della produzione e considerano orizzonti temporali di previsione basati su aspettative di breve periodo. I dati empirici suggeriscono che la reattività dell'investimento ai prezzi (tassi di interesse e imposte) è bassa o moderata, mentre la reattività alle variazioni della produzione è molto maggiore.

I flussi di cassa

I modelli presentati sopra pongono l'accento sulle diverse caratteristiche dei mercati dei prodotti nella determinazione dell'investimento. In generale si postula che il mercato dei capitali sia perfetto e quindi che le imprese che hanno buone opportunità di investimento non incontrino ostacoli di natura finanziaria. C'è stato, tuttavia, un rinnovato interesse per i modelli di investimento che contemplano vari tipi di influenze finanziarie (v. Fazzari e altri, 1988; v. Hubbard, 1990). Tale rinnovato interesse trae origine da alcune ricerche sull'investimento svolte nell'immediato dopoguerra, in particolar modo dagli studi di Meyer e Kuh (v., 1957). Poiché si assume che i fattori finanziari influenzino l'investimento attraverso i prodotti o i flussi di cassa dell'impresa, i modelli teorici devono spiegare perché queste fonti finanziarie interne hanno un costo minore di quelle esterne. Tra i fattori tradizionalmente indicati vi sono i vantaggi di tipo fiscale (ad esempio riduzione delle aliquote di imposta sui redditi di capitale attraverso il reinvestimento) e i minori costi di transazione. In particolare, dato che lungo l'intero ciclo di vita di un'impresa di successo i costi di capitale devono essere coperti con il realizzo di flussi di cassa, con una maggiore sincronizzazione tra le spese in investimenti e i flussi di cassa necessari è possibile ridurre sia i costi finanziari che i costi di transazione.

Più recentemente nella spiegazione dei motivi per cui i fondi esterni possono comportare costi maggiori l'attenzione si è rivolta ai costi di agenzia e all'asimmetria delle informazioni (v. Stiglitz e Weiss, 1981; v. Myers, 1984). In particolare, se la direzione o coloro che operano all'interno di un'impresa sono in possesso di maggiori informazioni circa il valore di un investimento, terzi esterni all'impresa e meno informati possono non essere disposti a fornire fondi alle stesse condizioni che proporrebbero se fossero in possesso di informazioni complete. In una struttura decisionale di tipo gerarchico si può supporre che i managers di un'impresa dispongano di informazioni complete sul valore delle opportunità di investimento e sulle attività dell'impresa. Se tale impresa, grazie ai flussi di cassa e alle attività liquide, dispone di capitale interno sufficiente, gli investimenti validi verranno realizzati. Se il volume dei progetti validi supera le possibilità di finanziamento interno, l'impresa deve ricorrere ai mercati dei capitali esterni. Se gli investitori non sono in grado di distinguere tra imprese e imprese (e se le imprese sono eterogenee), allora valuteranno ogni impresa a livello medio. Il risultato è che gli investitori riceveranno implicitamente dalle imprese di qualità superiore un premio che compenserà le perdite derivanti dalle imprese di qualità inferiore.

Tale premio farà aumentare il costo del finanziamento esterno (sia indebitamento che capitale proprio) per le imprese che hanno buone opportunità di investimento, e quindi avrà l'effetto di ridurre l'investimento a un livello inferiore a quello ottimale. In conclusione, se il finanziamento esterno presenta dei costi maggiori, la disponibilità di fondi interni avrà effetti positivi sulle decisioni di investimento di un'impresa. Inoltre flussi di cassa interni maggiori irrobustiscono il bilancio patrimoniale e permettono all'impresa di indebitarsi in termini più vantaggiosi. Quindi per le imprese caratterizzate da informazioni asimmetriche o da problemi di agenzia nei mercati dei capitali l'offerta di capitale non sarà perfettamente elastica. Tali condizioni possono anche essere causa di fallimenti nei mercati delle azioni o del credito, se questi sono sensibili al ciclo, e aumentare le fluttuazioni della produzione e dell'investimento (v. Greenwald e Stiglitz, 1993). A prescindere dal processo sottostante, che genera la domanda di investimento, l'offerta di finanziamento a basso costo, e quindi dei flussi di cassa o della liquidità interna, condizionerà le decisioni di investimento di un'impresa. Così i modelli basati sui flussi di cassa sono teoricamente compatibili con i modelli neoclassici, con i modelli incentrati sui costi di aggiustamento, con la teoria della q e con gli altri modelli espliciti discussi prima.

Quest'impostazione di tipo gerarchico è compatibile anche con il 'principio dell'aumento del rischio' di Kalecki (v., 1939), secondo cui il rischio marginale aumenta all'aumentare del capitale investito.

Empiricamente, sia i flussi di cassa interni che le altre misure della liquidità di un'impresa hanno in genere effetti statisticamente significativi sugli investimenti, sia a livello di impresa che a livello di industria. Questi risultati sono stati conseguiti utilizzando dati a livello di impresa, che si riferiscono non solo agli Stati Uniti ma anche al Giappone, al Regno Unito e alla Germania. Come hanno riscontrato Fazzari e altri (v., 1988) e Whited (v., 1992), tali risultati vengono confermati anche in presenza di ipotesi specifiche e di tecniche di stima abbastanza varie. Non solo, ma quando nelle equazioni dell'investimento si considerano sia i flussi di cassa e le misure della liquidità che le variabili neoclassiche o le stime della q di Tobin, i termini relativi ai flussi di cassa risultano generalmente i più determinanti e significativi. Tali modelli, più estesi e più completi, suggeriscono inoltre che le considerazioni di tipo fiscale possono influire sull'investimento non solo riducendo il costo del capitale, ma anche aumentando i flussi di cassa interni, attraverso fattori come il credito di imposta sugli investimenti o le detrazioni per il deprezzamento. Il modello di agenzia non è molto preciso nella definizione dei flussi di cassa e dell'investimento di capitale, né chiarisce i processi decisionali e i processi di destinazione dei fondi nell'ambito dell'impresa. In alternativa Strong e Meyer (v., 1990) presentano un modello 'dei fondi residui', che tenta di catturare la dimensione della pianificazione degli investimenti nell'impresa e della conseguente destinazione delle risorse. Questo modello si basa sulla teoria dei fondi residui presentata per la prima volta da Meyer e Kuh (v., 1957) e sviluppata da Kuh (v., 1963), Meyer e Glauber (v., 1964) e Dhrymes e Kurz (v., 1967).

La scala gerarchica

Nel modello esteso dei fondi residui il volume e il finanziamento dell'investimento da parte delle imprese sono innanzitutto funzione dei fondi disponibili o dei fondi rimasti una volta che si sia proceduto all'utilizzo del flusso di cassa per impieghi prioritari, stabiliti secondo una scala gerarchica. Il punto di partenza è dato dal flusso di cassa totale generato dall'impresa, che fornisce la quantità di base per la distribuzione dei fondi a diversi richiedenti e per diverse opportunità di investimento. Precedenza assoluta è attribuita al servizio del debito esistente, che incorpora il pagamento sia degli interessi che delle obbligazioni primarie associate (o alla scadenza o attraverso i fondi di ammortamento). Il livello di debito esistente riflette presumibilmente le valutazioni, effettuate dall'impresa, del mix migliore di finanziamento, tra indebitamento e mezzi propri, considerando gli effetti fiscali e altri fattori, e tenendo conto, dove possibile, delle aspettative di crescita dell'impresa.I fondi disponibili dopo il servizio del debito vengono utilizzati per pagare i dividendi delle azioni privilegiate. Seguono nella scala gerarchica, secondo Lintner (v., 1956) e i più recenti sviluppi (v. Ross, 1977), gli azionisti ordinari, che ricevono i dividendi secondo una struttura 'regolare' di pagamenti, fissata in precedenza. In tale struttura è contemplata la crescita, stabilita o attesa, dei dividendi.

Dopo il pagamento dei dividendi delle azioni ordinarie, i fondi rimasti possono essere utilizzati per investimenti di capitale di vari tipi. In primo luogo si procede agli investimenti obbligatori, come quelli necessari a soddisfare i requisiti di sicurezza o le norme per la tutela dell'ambiente. In secondo luogo vengono realizzati gli investimenti finalizzati a sostituire o a incrementare l'efficienza della capacità produttiva esistente. In terzo luogo vengono intrapresi investimenti di espansione delle linee di prodotto esistenti e, in seguito, quelli finalizzati alla produzione dei prodotti derivati più vicini. Infine si considererà la possibilità di realizzare investimenti al di fuori delle linee prodotte; generalmente ciò accade soltanto se, dopo aver soddisfatto gli impieghi prioritari secondo l'ordine gerarchico, rimangono fondi interni disponibili.Il modello dei fondi residui può anche produrre risultati compatibili con i modelli di agenzia riguardanti i flussi di cassa dell'impresa (v. Jensen e Meckling, 1976). Consideriamo, a questo punto, sia le determinanti dell'investimento di capitale che la duplice posizione degli azionisti ordinari nel processo di redistribuzione dei fondi. Innanzitutto l'investimento di capitale rappresenta solo parzialmente una ricerca di progetti che abbiano valore attuale netto positivo, in cui gli investimenti precedenti siano continuamente rivalutati e i nuovi investimenti vengano analizzati alla luce di criteri neoclassici di redditività. Piuttosto, quando il livello di investimento di capitale è condizionato dalla disponibilità di flussi di cassa residui, occorre fare un'importante distinzione tra tipi di investimento di capitale.

Se ipotizziamo che l'impegno finanziario principale, relativo al debito e ai dividendi, si basi sull'estrapolazione del mix presente dei prodotti, su fattori di scala e sull'andamento del mercato, ecc., allora è possibile classificare l'investimento di capitale in due tipi. Il primo è l'investimento di mantenimento, ossia il volume necessario per garantire un livello di fondi commisurato alle esigenze finanziarie e produttive attuali. In genere questo tipo di investimento dovrebbe corrispondere all'investimento di sostituzione, anche se le fluttuazioni di breve periodo delle rendite economiche e le variazioni, di periodo più lungo, della relazione tra produttività e prodotto possono far sì che tale corrispondenza risulti meno che biunivoca. Poi vi è l'investimento discrezionale, definito come quello che va al di là di quanto è necessario per mantenere l'attività dell'impresa al suo livello di funzionamento corrente.

La preferenza per il finanziamento interno, che presenta costi minori, indurrà le imprese ad attingere il più possibile ai fondi residui per l'investimento di mantenimento. Al contrario è più probabile che gli investimenti discrezionali vengano intrapresi solo nel caso in cui, dopo aver effettuato gli investimenti di mantenimento, restino fondi residui disponibili. Se i fondi disponibili vengono completamente assorbiti da impieghi prioritari, gli investimenti discrezionali diventano meno probabili, risultato, questo, compatibile sia con le ipotesi di agenzia che con quelle dei fondi residui. Quindi l'investimento di mantenimento tende a essere prevalentemente legato allo stock di capitale esistente e ai modelli neoclassici di redditività, mentre le spese discrezionali in investimenti dipenderanno dalla disponibilità di fondi residui. Anche il ricorso al finanziamento esterno può essere concepito come una possibilità residua, poiché dipende dalla relazione tra i flussi di cassa interni, gli impieghi prioritari e le esigenze di investimenti di mantenimento. L'asimmetria ciclica osservata da Meyer e Kuh (v., 1957) tra l'acceleratore e gli effetti dei flussi di cassa sull'investimento potrebbe essere spiegata in modo simile; è possibile che la predominanza dell'acceleratore, riscontrata dagli autori durante le fasi di ripresa, corrisponda a periodi in cui l'investimento di mantenimento supera la possibilità di finanziamento interno. In breve l'investimento discrezionale agisce da tampone: quando non sono disponibili fondi residui, tende ad annullarsi, e quando i fondi interni sono in eccesso, concorre, nella destinazione di tali fondi, con la distribuzione, di natura straordinaria, dei dividendi.

Se, come accade in molti casi, non è possibile finanziare con fondi interni tutti i progetti necessari o di mantenimento, la carenza di fondi residui fornirà la base per la quantificazione del fabbisogno di finanziamento esterno. Per considerazioni di ordine fiscale (almeno negli Stati Uniti) l'indebitamento rappresenta la fonte di finanziamento esterno meno costosa, e generalmente vi si fa ricorso, specialmente se esso può essere inquadrato negli obiettivi di struttura del capitale concordati. Tali obiettivi incorporano informazioni sulla capacità di far fronte al pagamento del servizio del debito attingendo ai flussi di cassa senza compromettere gli altri impieghi, in particolare il pagamento del servizio del debito precedente e dei dividendi delle azioni privilegiate e la distribuzione dei dividendi ordinari secondo lo schema stabilito. Il finanziamento tramite l'emissione di nuove azioni diventa conveniente solo in condizioni particolari: per esempio in presenza di rapporti prezzo/utili molto alti e antidiluitivi o nel caso in cui il debito addizionale comporti un premio per il rischio elevato. Se, d'altro canto, dopo aver soddisfatto le esigenze finanziarie e di investimento 'stabilite' restano dei fondi interni, allora questi fondi possono essere distribuiti agli azionisti (ad esempio come dividendi 'extra' o attraverso il riacquisto delle azioni), o utilizzati per ricostituire posizioni liquide sul bilancio o per finanziare investimenti 'discrezionali'. È a questo punto che si pongono i problemi di agenzia. Esistono, ovviamente, diverse soluzioni e alternative possibili, e un'ulteriore complicazione è costituita dalla circostanza che le considerazioni di tipo gerarchico riguardano sia il lato finanziario che quello reale. Tuttavia il modello dei fondi residui costituisce spesso una buona approssimazione della pianificazione degli investimenti così come avviene nel mondo reale delle imprese.

Una questione interessante, a questo punto, riguarda le acquisizioni di particolare rilievo, che rappresentano un caso speciale di investimento discrezionale. Qui l'ampio ricorso all'indebitamento e la frequenza delle ricapitalizzazioni successive alla fusione, miranti a ricostituire il rapporto di indebitamento, possono apparire in contrasto con il modello dei fondi residui. Tuttavia tali acquisizioni generalmente mutano la scala, il mix e il trend dell'attività principale dell'impresa, modificando così le esigenze relative all'investimento di mantenimento. Allo stesso tempo i cambiamenti sopraggiunti nella proprietà delle attività e nelle operazioni indurranno un ripensamento della struttura finanziaria nella neonata entità. In particolare c'è la possibilità che, a seguito di acquisizioni importanti, si assista a un allontanamento dagli obiettivi di crescita interna delle attività originarie delle imprese. Se ciò accade, è probabile che si verifichi un riordino dei flussi di cassa per quel che riguarda gli impieghi finanziari. Ovviamente la ristrutturazione generalmente contempla l'assunzione delle obbligazioni dell'impresa acquistata, ma tale voce, insieme con le politiche dei dividendi, può risultare sostanzialmente mutata a seguito della ristrutturazione. Quindi la preferenza per il finanziamento interno, nel modello dei fondi residui, è condizionata dalle acquisizioni e dalle fusioni, che comportano variazioni nella gerarchia sia degli investimenti che dei finanziamenti, e rendono necessario l'aggiustamento a un nuovo regime di fondi residui.

La seconda caratteristica importante del modello dei fondi residui è che gli azionisti ordinari occupano due posizioni nella gerarchia della distribuzione dei fondi. Le due posizioni corrispondono alle due fonti di reddito: i dividendi e l'apprezzamento del capitale durante il periodo di detenzione del titolo. La duplice posizione degli azionisti ordinari aumenta le possibilità di controllo. Infatti l'andamento dei dividendi fornisce informazioni sul valore presente dell'impresa, mentre la distribuzione aggiuntiva, attuata attraverso i riacquisti o la distribuzione di dividendi straordinari, può essere portatrice di informazioni negative sulle opportunità di investimento.

A livello aggregato il filo comune che lega i lavori empirici è l'idea che le variazioni del tasso di crescita della domanda e della produzione aggregate siano di primaria importanza nella determinazione del volume degli investimenti, proprio come ipotizzò Keynes. A livello di impresa o di industria è probabile che i flussi di cassa e la liquidità siano positivamente correlati alla domanda di investimento, e che quindi colleghino indirettamente le decisioni di investimento con le variazioni della produzione. Ruggles e Ruggles (v., 1987) hanno dimostrato che, nel lungo periodo, le determinanti del risparmio (reddito lordo non distribuito) e dell'investimento (formazione lorda di capitale) sono collegate. Intercorre una stretta relazione tra la capacità delle imprese e delle industrie di trovare interessanti opportunità di investimento, il livello di redditività e la capacità di finanziare la formazione di capitale con fondi interni. I dati presentati dai due autori suggeriscono che il ricorso all'indebitamento è molto più frequente nelle industrie a uso intensivo di capitale - in cui sono necessarie spese complessive ingenti - che nei settori che hanno una crescita più omogenea o bilanciata, come sostiene l'analisi del ciclo di vita del finanziamento interno. Come osservano Coen ed Eisner (v., 1987), il tasso di crescita della produzione (a livello aggregato) o dei fondi interni (a livello di impresa o di industria), concepito dagli economisti classici e neoclassici come il risultato dell'investimento, può essere benissimo considerato anche un fattore importante dell'investimento.

Conclusioni

In breve, l'investimento occupa un ruolo centrale nella determinazione dell'attività economica e, di conseguenza, della crescita economica. La teoria classica pone l'accento sugli effetti del tasso di interesse sull'investimento, mentre la teoria neoclassica si concentra sugli effetti dei prezzi dei fattori sulla domanda di capitale. La teoria keynesiana attribuisce priorità agli effetti della produzione sugli investimenti. I modelli strutturali tentano di inserire esplicitamente, tra questi fattori, la presenza dei ritardi e dei costi di aggiornamento. Intanto i legami tra le considerazioni finanziarie e le decisioni di investimento vengono sempre più riconosciuti e integrati concettualmente. Questi legami sono determinanti per la comprensione delle connessioni tra il settore reale e il settore finanziario dell'economia, con implicazioni concomitanti per la politica fiscale, la gestione macroeconomica e la produttività. Inoltre le interrelazioni tra settori e le molteplici forme di investimento implicano che, nell'ambito della politica pubblica dell'investimento, si devono prendere in considerazione il capitale pubblico, quello umano e quello immateriale (come la ricerca e lo sviluppo), poiché la complementarità di diversi tipi di formazione di capitale è un fatto ormai provato.

Molte questioni restano ancora aperte. In tutti i modelli vi sono numerose ipotesi restrittive. Gli effetti delle aspettative e della tecnologia sull'investimento restano difficili da incorporare, sia sul piano teorico che sul piano empirico. Mentre la reattività dell'investimento ai prezzi o al costo del capitale appare bassa rispetto alla sua reattività alle misure della produzione o del flusso di cassa, gli effetti di shocks esogeni sono ancora relativamente inesplorati. Circa questi e altri argomenti permangono problemi concettuali, di dati e di stima di difficile soluzione.

(V. anche Contabilità nazionale; Credito; Domanda; Incentivi economici; Infrastrutture; Innovazioni tecnologiche e organizzative; Interesse, saggio dell'; Sviluppo economico).

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