IPERTENSIONE arteriosa

Enciclopedia Italiana (1933)

IPERTENSIONE arteriosa (dal greco ὑπέρ "oltre" e dal lat. tensio "tensione"; ted. übermassige Spannung)

Pietro Castellino

È l'aumento della tensione arteriosa, cioè di quella forza creata dalla contrazione del ventricolo sinistro, sostenuta dalla reazione che la parete dei vasi, grazie alla loro elasticità, oppone alla distensione e regolata dalla resistenza dei vasi periferici al deflusso del sangue. Questo aumento può essere transitorio e permanente. Il primo è provocato, anche in condizioni fisiologiche, da variazioni dell'attività cardiaca, della massa e della viscosità del sangue, delle resistenze periferiche. In condizioni patologiche poi si conoscono varie forme di vasocostrizione transitoria di alcuni distretti vascolari periferici, causa d'ipertensione. Sono le crisi vascolari ipertensive, come nella tabe, nell'epilessia durante l'accesso, nell'eclampsia, nell'uremia, nell'intossicazione da piombo, nell'eccitazione del simpatico.

Per la clinica merita maggiore attenzione l'ipertensione arteriale permanente, frequente tra il quarto e il sesto decennio della vita con preferenza per il sesso maschile. La causa meglio conosciuta è un perturbamento della funzione renale. In genere le malattie del rene, specialmente le nefriti croniche e la nefrosclerosi tanto della forma pura di Bright, quanto dell'arteriosclerosi renale, provocano l'ipertensione. Molte volte la malattia renale può essere latente. S'ammette però anche l'esistenza di un'ipertensione arteriale permanente al di fuori d'ogni affezione del rene, e si ritiene come sua causa prima lo spasmo e poi la sclerosi delle arteriole degli organi. L'ipertensione arteriale per manente è un segno quasi costante dell'arteriosclerosi, della sifilide dei vasi. Da H. Huchard essa fu considerata come lo stadio premonitore dell'arteriosclerosi e come la causa principale di quest'ultima. Due teorie furono avanzate per spiegare il meccanismo dell'ipertensione: la meccanica e l'umorale. La prima, sostenuta principalmente da R. Bright e da L. Traube, riconosce il suo fattore etiologico nelle resistenze opposte dalla diminuzione del filtro renale; la seconda, invece, mette l'ipertensione in rapporto o con la ritenzione dei prodotti del ricambio, insufficientemente eliminati dal rene o con l'elaborazione di sostanze ipertensive da parte del rene stesso o di altre ghiandole a secrezione interna, tra cui il primo posto spetta alle capsule surrenali. L'ipertensione arteriale permanente, causa dell'arteriosclerosi e sintomo di questa, quando s'è stabilita, provoca un'ipertrofia della parete muscolare del ventricolo sinistro, premonitrice d'insufficienza cardiaca ed è uno dei fattori etiologici indispensabili dell'emorragia cerebrale. I sintomi clinici più importanti dell'ipertensione sono l'ampiezza e la durezza del polso, che si apprezza alla pressione palpata con le dita sulla radiale, sulla carotide o sulla femorale, per lo sforzo di compressione maggiore necessario per far scomparire il polso, l'accentuazione del secondo tono sull'aorta, l'itto cardiaco più vibrato, la frequente congestione del volto, le non rare vertigini. L'ipertensione si determina esattamente con la sfigmomanometria. I valori della pressione normale oscillano tra 110 e 125 mm. di mercurio: al disopra di queste cifre esiste già uno stato d'ipertensione che può giungere nelle forme più gravi fino a 250 mm. di mercurio.