IRAN

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

IRAN

Pier Giovanni Donini
Biancamaria Scarcia Amoretti
Laura Bottini
Bruno Genito
Giovanni Curatola
Maria Luisa Zaccheo
Stefania Parigi

(v. persia, XXVI, p. 806; App. I, p. 927; II, II, p. 522; III, II, p. 389; iran, App. IV, II, p. 221)

Dal 1° aprile 1979 l'I. è divenuto una Repubblica Islamica. Con la nuova costituzione la suprema autorità del paese è il Wālī faqīh, il capo religioso degli Sciiti nominato dal clero, il quale, pur non avendo compiti ben definiti, esercita una funzione di sorveglianza sulle istituzioni, sulle leggi varate e sui principali organi dello stato, presidente della Repubblica compreso. Questi viene eletto a suffragio diretto, dura in carica quattro anni ed è titolare del potere esecutivo. Il Parlamento esercita il potere legislativo; è composto da 270 membri, anch'essi eletti a suffragio diretto per la durata di un quadriennio.

Popolazione. - Al censimento del 1986 la popolazione del paese ammontava a 49.764.874 ab., corrispondenti a una densità media di 30 ab./km2. Stime del 1991 valutavano in 56,8 milioni di abitanti la popolazione complessiva. In conseguenza dell'elevatissima natalità (34,9‰), il tasso di accrescimento demografico è molto alto (oltre il 3,7‰ di media annua nell'intervallo 1984-89) e ha indotto il governo a lanciare, nel 1989, una campagna di controllo delle nascite. Sempre nel 1986 Teherān ospitava 6.042.584 ab. (erano 4,5 milioni al censimento del 1976). Fra le altre città solo Mašhad superava il milione di ab. (1.463.508), Iṣfahān ne aveva 986.753, Tabrīz 971.482, Šīrāz 848.289. Nel complesso la popolazione urbana sfiora il 55% della popolazione complessiva. La speranza di vita alla nascita è ora di 62 anni per i maschi e 64 per le femmine. Rimane elevata la mortalità infantile, che tocca il 65‰.

Nel giugno 1990 un violento terremoto ha devastato le province settentrionali di Gīlān e Zanǧān, causando la morte di 35.000 persone e provocando danni incalcolabili.

Condizioni economiche. - Effetto principale della rivoluzione del 1979 è stato quello di ridurre drasticamente i programmi d'industrializzazione avviati dallo scià Reẓā Pahlavī e di modificare l'assetto del commercio estero a vantaggio delle importazioni di alimentari e altri prodotti di base; malgrado il calo delle esportazioni in conseguenza della guerra con l''Irāq, gli idrocarburi continuano a costituire la principale fonte di valuta estera. La crisi economica che ha accompagnato la nascita della Repubblica Islamica (nel 1986 disoccupati e sottoccupati erano il 39% della popolazione attiva) è stata aggravata dai conflitti regionali che hanno fatto affluire in I. una massa di profughi seconda solo a quella accolta dal Pakistan: mezzo milione di Iracheni e 2,3 milioni di Afghani, secondo il censimento del 1986. Ristagna la produzione agricola, e all'inizio degli anni Ottanta il reddito nazionale ha registrato sensibili diminuzioni, riprendendo a crescere nel 1987.

Fino al cessate il fuoco dell'agosto 1988 nella guerra con l''Irāq, l'attività economica è stata penalizzata dalle esigenze belliche, oltre che dall'incertezza derivante dal decennale dibattito sul ruolo dello stato, inizialmente auspicato dai settori più progressisti, e poi nettamente ridimensionato per volontà dei dirigenti religiosi più conservatori, che hanno anche bloccato la radicale riforma agraria progettata subito dopo la rivoluzione.

Agricoltura. - Il settore agricolo, che assorbe il 29% della popolazione attiva e fornisce il 21% del prodotto interno lordo, può contare su 17,5 milioni di ha irrigui, in massima parte sottoposti a rotazione triennale. La produzione (58 milioni di q di frumento nel 1991, 26,4 di barbabietola, 36,5 di canna da zucchero, 25 di orzo, 12,2 di riso), che garantiva l'autosufficienza alimentare fino ai tardi anni Sessanta, è attualmente insufficiente, tanto che le importazioni di derrate alimentari, con 20÷30 milioni di q di frumento all'anno, figurano al terzo posto, dopo i macchinari e i prodotti semifiniti.

Constatato il fallimento dei grandiosi progetti di bonifica avviati dallo scià con la partecipazione di imprese straniere, il regime repubblicano ha puntato su un miglior rendimento dei terreni già coltivati, senza riuscire a frenare l'esodo dalle campagne (che hanno perduto altri 5 milioni di abitanti tra il 1982 e il 1990, dopo che la sola Teherān aveva attirato nel primo anno della rivoluzione un milione e mezzo di contadini), né a ridurre la dipendenza dalle importazioni. Sull'efficienza del settore continuano a gravare la mancata attuazione di una riforma agraria capace di porre termine all'incertezza seguita alle spontanee occupazioni di terre verificatesi nel 1979 e in parte sconfessate successivamente dal regime repubblicano, e le divergenze di vedute tra i fautori di una collettivizzazione almeno parziale dell'agricoltura e i sostenitori a oltranza della proprietà privata.

Prodotti del sottosuolo. - L'economia continua a reggersi sul settore degli idrocarburi le cui maestranze, paralizzando le esportazioni con una serie di scioperi, hanno dato un contributo decisivo alla caduta dello scià. Il nuovo regime ha immediatamente (marzo 1979) posto fine ai privilegi di cui godeva il Consorzio formato dalle maggiori compagnie petrolifere occidentali, offrendo direttamente il greggio sul mercato mondiale, ma a prezzi tali da ridurre la domanda, scoraggiata anche dalle pressioni politiche esercitate dagli Stati Uniti. L'I. si è pertanto rivolto in maniera crescente ai paesi in via di sviluppo e a economia pianificata. Nello stesso tempo i livelli produttivi (sui 250 milioni di t annue prima della rivoluzione) venivano drasticamente ridotti: la produzione è passata a 93 milioni di t nel 1986 e 166 nel 1991.

L'aggressione irachena del settembre 1980 ha messo fuori uso la raffineria di Ābādān, ma non ha potuto ridurre a zero le esportazioni di greggio iraniano dal terminale di H̱ārg. La Guerra del Golfo ha tuttavia reso evidente la necessità di percorsi alternativi meno pericolosi: sono stati pertanto progettati un oleodotto destinato a collegare entro il 1992 i giacimenti dell'I. meridionale, attraverso la Turchia, con il porto di Dörtyol sul Mediterraneo, e un altro da H̱ārg a Bandar-i Tāherī, a est dello Stretto di Hormuz, ulteriormente prolungabile fino a Ǧāsk. Cessate le ostilità (che hanno causato agli impianti petroliferi danni per almeno 15 miliardi di dollari), è rientrata parzialmente in funzione (aprile 1989) la raffineria di Ābādān.

Nuove raffinerie sono previste a Bandar-i 'Abbās, Arāk e Bandar-i Tāherī, mentre la rete interna di condotte viene potenziata per ridurre il fabbisogno di veicoli ferroviari e stradali impiegati nella distribuzione dei derivati degli idrocarburi. Le riserve di gas naturale (14.000 miliardi di m3), che collocano l'I. al secondo posto nel mondo, si sono arricchite con la scoperta, nel 1988, dell'importante giacimento di 'Asalūyeh sulla costa del Golfo, 70 km a sud-est di Kangān.

Nel 1982 è entrata in funzione la miniera di Sar Češmeh (Kirmān), nel cuore di un giacimento di 1,2 miliardi di t di minerale di rame, considerato il secondo al mondo per importanza; la produzione di rame raffinato (68.000 t nel 1989) è destinata a superare le 150.000 t negli anni Novanta. Sempre nella provincia di Kirmān sono in costruzione le infrastrutture ferroviarie indispensabili per lo sfruttamento dei depositi di carbone e minerale di ferro destinati a potenziare la produzione siderurgica a Mobārakeh (Iṣfahān). Nel 1984 sono stati scoperti giacimenti di uranio nella regione di Saqand (Yazd), e i faraonici progetti di produzione di energia nucleare accantonati dopo la caduta dello scià (che aveva progettato la costruzione di una rete di venti centrali nucleari) vengono ripresi su scala più modesta con la collaborazione dell'Argentina.

Industria. - Subito dopo la rivoluzione funzionava soltanto il 20% degli impianti industriali realizzati durante il regno dell'ultimo scià, e alla fine del 1988 la maggior parte dell'industria operava a meno del 50% del potenziale per le difficoltà di approvvigionamento dall'estero e le conseguenze del conflitto con l''Irāq, che ha causato agli impianti industriali danni per almeno 40 miliardi di dollari, riducendo in particolare la disponibilità di energia elettrica. È tuttavia in ascesa la produzione di cemento (12,6 milioni di t nel 1989). Nel 1989 è stata preannunciata la privatizzazione delle industrie statali non strategiche.

Per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto va segnalato che nel 1985 sono ripresi i lavori per l'ampliamento del porto di Bandar-i 'Abbās. Dopo la fine della Guerra del Golfo (che aveva costretto l'I. a ricorrere agli impianti di Pakistan, Turchia e Unione Sovietica) sono stati rapidamente riattivati i porti di Bandar-i H̱omaynī e H̱orramšahr.

La bilancia commerciale (idrocarburi esclusi) è nettamente deficitaria. Le importazioni (18 miliardi di dollari nel 1988-89) sono costituite prevalentemente da materie prime e semilavorati, animali vivi e generi alimentari; vengono fornite soprattutto da Germania (18%), Giappone (10%), Svizzera, Turchia, Regno Unito e Italia (5%). Principali acquirenti di petrolio greggio sono i paesi dell'Europa occidentale (49%), seguiti da quelli dell'America meridionale (17,3%) e da quelli dell'Asia (13,4%) a esclusione del Giappone, che da solo importa il 12,7% delle esportazioni iraniane.

L'atteggiamento sostanzialmente favorevole alla coalizione internazionale antirachena mantenuto nel 1990-91 dall'I. nel corso della crisi seguita all'invasione del Kuwait da parte dell'῾Irāq ha portato a un netto miglioramento nei rapporti economici internazionali. Risolto il contenzioso con diversi paesi occidentali, tra cui l'Italia, e parzialmente pagati i debiti contratti prima della rivoluzione, è ripresa la partecipazione di imprese straniere ai progetti di sviluppo dell'industria pesante e delle infrastrutture d'irrigazione e trasporto.

Bibl.: S. Bakhash, The Reign of the Ayatollahs: Iran and the Islamic revolution, Londra 1985; A. Hussain, Islamic Iran. Revolution and counter-revolution, ivi 1985; F. Nahavandi, Aux sources de la révolution iranienne. Etude sociopolitique, Parigi 1988.

Storia. - Nell'agosto 1978 scoppiò una sanguinosa rivolta che trovò congiunti elementi mobilitati in nome dell'Islam, partiti di sinistra e gruppi nazionalistici, che non si identificavano con il regime. Le motivazioni erano evidenti: il fallimento del piano quinquennale di sviluppo (1973-78) che avrebbe dovuto modernizzare strutturalmente il paese, il mancato sviluppo del settore industriale, e la crisi dell'economia tradizionale.

La dipendenza alimentare dall'estero raggiungeva proporzioni inusitate; il piccolo e medio commercio, che si riforniva tradizionalmente dei prodotti locali e sul quale si costruiva il benessere di larghe fasce della popolazione urbana, non riusciva più a sostenere la competizione con il dilagante flusso di merci importate dall'Europa e dagli Stati Uniti. Il modello di società consumistica che il regime tentava di imporre non poteva attecchire né sul piano sociale né a livello economico. Gli effetti della ''rivoluzione bianca'' che, con la sua riforma agraria, avrebbe dovuto garantire un capitale nazionale, trasformando i grandi latifondisti in imprenditori e il bracciantato contadino in piccoli proprietari terrieri, non avevano avuto altro risultato che l'incremento della diaspora dalle campagne verso le città con il conseguente pericoloso aumento del sottoproletariato urbano.

Queste le premesse della cosiddetta ''rivoluzione islamica'' d'Iran. Vi parteciparono i bāzārī (i commercianti del mercato), i mostaḍfīn (i diseredati, preminentemente le masse delle grandi periferie cittadine, in primo luogo teheranesi), gli intellettuali (nazionalisti, marxisti e 'islamici', dove al termine si iniziava a dare il significato specifico, non di professante la fede islamica, ma di militante per l'instaurazione di uno stato islamico). Emerse la figura di R. Khomeini (H̱omeynī), che, seppure a lungo poco noto, si era comunque distinto già nel 1963, data del suo esilio dal paese, prima in Turchia, poi in ῾Irāq e infine (dal 1978) in Francia. Che fosse un uomo di religione non costituiva elemento di sorpresa per la realtà dell'I., dove gli uomini di religione formano a partire dal 19° secolo una sorta di clero (pur nella sostanziale impossibilità di omologazione con la realtà occidentale), si occupano di politica, si fanno interpreti, magari demagogici, delle esigenze popolari nei confronti del potere centrale, pur rimanendo attenti custodi di privilegi economici e sociali consolidati nel tempo. La rivoluzione poggiava su un equivoco: la formulazione dell'identità nazionale in base all'adesione della stragrande maggioranza delle popolazioni iraniane allo sciismo, forma minoritaria ed ereticale di Islam, faceva sì che frustrazioni di varia natura, comprese quelle di ordine culturale dovute alla politica antiislamica dello scià, si traducessero in una spinta eversiva in nome dell'Islam, inteso come sistema totalizzante, religioso, ideologico e politico insieme.

Per questi motivi apparve squalificato in partenza il governo moderato di S. Baẖtiyār, chiamato dallo scià all'inizio della rivolta; fu inevitabile l'esilio dello scià (16 gennaio 1979) e il trionfale rientro di Khomeini il 1° febbraio successivo. Khomeini nominò un governo provvisorio presieduto da Mahdī Bāzargān, ma il potere reale venne assunto da un Consiglio rivoluzionario islamico designato dallo stesso Khomeini. Il 1° aprile 1979 venne proclamata la Repubblica Islamica dell'I. a seguito di un referendum popolare e nel dicembre dello stesso anno un altro referendum approvò la costituzione che prevedeva, tra l'altro, l'esistenza di una ''guida'' religiosa, destinata a verificare la congruità tra l'azione legislativa, l'operato del governo e la legge canonica, carica che fu affidata a vita a Khomeini. L'entrata in vigore della costituzione fu, però, ritardata dall'esplosione di conflitti etnici. Le minoranze che avevano appoggiato la rivoluzione rivendicavano il riconoscimento del loro ruolo e chiedevano autonomia e compartecipazione al potere, ma, sia pure in modi e tempi diversi, la risposta fu negativa e si risolse nella ripresa della repressione, che, già sperimentata sotto il regime Pahlavī, fu diretta soprattutto contro i Curdi (v. kurdistan, in questa Appendice).

Tuttavia − positivamente nei paesi musulmani, negativamente in Occidente − altro è il motivo che impose l'I. all'attenzione internazionale: nel novembre 1979, 50 funzionari dell'ambasciata statunitense a Teherān furono presi in ostaggio, e il tentativo di liberarli con un'azione di forza (aprile 1980) finì miseramente (saranno rilasciati solo nel 1981 in cambio della sospensione delle misure di congelamento dei depositi iraniani in USA). La risposta occidentale fu puntuale: furono decretate sanzioni economiche da parte di Stati Uniti, Giappone e CEE, e si permise all'῾Irāq di denunciare il trattato stabilito nel 1975 con gli accordi di Algeri, circa la definizione dei confini sullo Šaṭṭ al῾Arab, motivo di un contenzioso plurisecolare tra i due paesi.

Questo fornì all'῾Irāq il pretesto per attaccare l'I. (settembre 1980), dando inizio a una guerra, che nelle intenzioni irachene sarebbe dovuta essere una ''guerra lampo'', ma fu in realtà lunga e cruenta e dissanguò economicamente i due paesi. La guerra mise in evidenza il lealismo patriottico piuttosto che quello confessionale: gli sciiti iracheni non costituirono infatti nessuna quinta colonna iraniana. L'I. ebbe un vantaggio iniziale, ma gli aiuti occidentali all'῾Irāq permisero a quest'ultimo una controffensiva che trasformò il conflitto in una guerra di trincea (v. ῾ir·aq, in questa Appendice).

La guerra esasperò i conflitti interni al regime, ma, nel contempo, servì da deterrente per un possibile intervento popolare, i cui esiti apparivano comunque incerti, visto il persistente grado di mobilitazione delle masse. Il presidente della Repubblica, Abū'l-Ḥasan Banī Ṣadr, eletto nel gennaio 1980, fu sostanzialmente esautorato e con lui perse credito l'ala riformista, mentre gli integralisti si rafforzarono con le elezioni del 1980, vinte dal Partito repubblicano islamico. Il Consiglio rivoluzionario si sciolse (maggio 1980) e, contro la volontà del presidente della Repubblica, fu nominato primo ministro Muḥammad ῾Alī Raǧā᾽ī. La fisionomia integralista del regime si stava irreversibilmente istituzionalizzando e la reazione più vistosa fu una sorta di guerriglia urbana che vide in prima fila l'Organizzazione dei Moǧāhedīn (moǧāhedīn-i ẖalq). Nell'attentato contro la sede del Partito repubblicano islamico (28 giugno 1981) morirono, oltre al segretario, Beheštī, esponente del ''clero'', ma educato anche in Europa, membri del governo e del Parlamento.

Dopo la destituzione di Banī Ṣadr (giugno 1981), fu eletto presidente della Repubblica Raǧā᾽ī, che morì il successivo 30 agosto in un altro attentato alla Presidenza del Consiglio. Gli successe (ottobre 1981) ῾Alī H̱āmene᾽ī. La situazione sembrò stabilizzarsi, attraverso una durissima repressione contro ogni forma di contestazione, etnica, politica o altro, nei due anni seguenti. Nel 1983 fu sciolto, sotto l'accusa di spionaggio a favore dell'URSS, il Partito comunista Tudè, fino ad allora alleato del regime. Dirigenti e militanti furono arrestati e condannati a morte, dopo penose ''autocritiche'' teletrasmesse.

Si andavano modificando, anche se non profondamente, i rapporti internazionali: più difficili quelli con l'URSS, anche a seguito dell'intervento sovietico in Afghānistān, condannato dal regime; meno conflittuali, nei fatti, anche se non formalmente, quelli con l'Occidente per l'obiettiva necessità di ottenere i rifornimenti bellici per un tipo di armamento ereditato dal precedente regime e prevalentemente di fabbricazione europea e americana. Anzi, Israele, nemico emblematico dell'I. islamico, fu indicato come tramite per una serie di operazioni finanziarie, tese a superare le sanzioni mai revocate.

Nell'agosto 1985 H̱āmene᾽ī fu riconfermato alla presidenza della Repubblica.

Nell'agosto del 1988 i successi bellici dell'῾Irāq indussero l'I. ad accettare la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU che imponeva il cessate il fuoco. Si avviarono così, pur tra grandi difficoltà, i negoziati di pace.

Nel febbraio 1989 scoppiò il caso S. Rushdie, il noto scrittore britannico di origine indiana. Il suo romanzo, Versetti satanici, fu infatti giudicato blasfemo, e Khomeini, in qualità di giurisperito, pronunziò una condanna a morte contro l'autore, incitando i fedeli musulmani a eseguirla. Questa sentenza suscitò enorme scalpore nell'opinione pubblica internazionale, fu condannata dai governi occidentali, portò alla rottura delle relazioni diplomatiche tra I. e Gran Bretagna (ripristinate nel novembre 1990) e tuttora costringe Rushdie alla clandestinità. Il 4 giugno 1989 morì Khomeini, ormai lontano dai giochi di potere, e il giorno successivo H̱āmene᾽ī fu nominato suo successore come ''guida'' del paese.

Nello stesso 1989, a Vienna, fu assassinato Qāsemlū, segretario generale del Partito democratico del Kurdistan iraniano, già espulso dal Consiglio nazionale della resistenza, che, formato dagli oppositori al regime, era stato costituito ancora in I., il 21 luglio 1981, ed era stato poi presente diplomaticamente soprattutto all'estero, specie in Francia, pur vantando anche un ''esercito di liberazione'' creato nel giugno 1987, attivo in territorio iracheno lungo tutto il confine con l'I. (rappresenta un particolare significativo la partecipazione femminile, che secondo alcune fonti ammonterebbe al 40% degli effettivi, a tutti i livelli). Si disse che Qāsemlū stesse trattando con il regime per trovare una soluzione per i Curdi iraniani, tuttavia la sua uccisione indicava il permanente pericolo rappresentato dalle rivendicazioni dei Curdi, che sarebbero divenuti più noti all'opinione pubblica internazionale a seguito delle vicende della Guerra del Golfo che li coinvolsero.

Al posto di H̱āmene᾽ī divenne presidente della Repubblica ῾Alī Akbar Rafsanǧānī, il quale fece approvare dal Parlamento il primo piano economico quinquennale che prevedeva la riduzione dal 70 al 50% della partecipazione statale nell'economia e la richiesta di un prestito estero di 27 milioni di dollari. Il vice presidente, Mohāǧirānī, propose la ripresa delle relazioni con gli USA: tale proposta, anche se fu bocciata, ebbe grande significato. Il regime si divise in un'ala moderata e relativamente aperta, rappresentata da Rafsanǧānī, il quale, però, si poneva in fatto di morale (velo alle donne, proibizione di alcoolici, ecc.) e d'interpretazione della legge canonica sulla linea di rigore che era stata di Khomeini, e un'ala più dura che si presentava da un lato come più aderente ai principi ispiratori della rivoluzione, dall'altro come continuatrice della politica repressiva adottata negli anni 1981-83.

Il relatore speciale della Commissione dei diritti dell'uomo dell'ONU ebbe, nel gennaio 1990, per la prima volta, il permesso di recarsi a Teherān, ma a livello internazionale si intensificavano le proteste contro il regime. Il 24 aprile 1990, a Ginevra, fu ucciso Kāẓem Raǧavī, rappresentante del citato Consiglio nazionale della resistenza. Nello stesso aprile il leader iracheno chiese a H̱āmene᾽ī un incontro tra capi di stato per giungere a una soluzione definitiva del conflitto, richiesta cui l'I. non aderì. Tuttavia, dopo l'occupazione irachena del Kuwait e dopo che l'I. ebbe dichiarato di appoggiare le risoluzioni dell'ONU, il 14 agosto 1990 l'῾Irāq accettò tutte le condizioni iraniane per il cessate il fuoco e propose un trattato di pace che ricalcava l'accordo del 1975. L'I. non firmò nessun trattato, ma riprese a esercitare la sovranità sullo Šaṭṭ al-῾Arab e sui territori che l'῾Irāq aveva occupato militarmente. Al termine della Guerra del Golfo, nell'aprile 1991, si ebbero i primi contatti ufficiali tra I. e Francia, Italia, Germania e Austria.

Per la prima volta, dopo la rivoluzione, vi furono manifestazioni contro il regime nelle principali città del paese (luglio-settembre 1991) e nel gennaio-marzo 1992 si registrarono addirittura alcuni scioperi, per es. nel settore petrolifero. La nuova situazione creatasi in URSS intanto permetteva al regime di acquistare armamenti sofisticati dalle ex-repubbliche sovietiche. Nell'aprile-maggio 1992 si tennero elezioni politiche, che, boicottate da tutta l'opposizione, videro una netta vittoria dell'ala legata a Rafsanǧānī. Il programma di modernizzazione di quest'ultimo, caratterizzato da un certo pragmatismo, da una maggiore apertura nei confronti della comunità internazionale e dalle prospettive di privatizzazione in campo economico, è stato fra le motivazioni dei numerosi e gravi incidenti, scoppiati in maggio e giugno 1992, in alcune città roccaforti dei radicali. La risposta del governo è stata estremamente dura e sono state eseguite alcune condanne a morte.

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Letteratura. - Le differenti fasi della rivoluzione islamica hanno lasciato tracce e segnato differenze nella letteratura. La libertà concessa nei primi anni dal nuovo stato all'immaginazione creatrice (più di settanta pièces di teatro furono composte durante i primi anni postrivoluzionari) è stata man mano sostituita dalla censura; la letteratura ha preso, in parte, il cammino dell'esilio. Le tendenze letterarie, formatesi nel periodo precedente, la šir-i naw ("poesia nuova"), la mawǧ-i naw ("ondata nuova") e la prosa moderna continuano ad avere i loro rappresentanti, sia all'estero che in patria, accanto ai loro colleghi della più recente tendenza poetica detta šir-i ḥaǧm ("di volume").

Non mancano opere conformi alla prosodia classica, come la maggioranza dei carmi di H̱. Faršidvār nei quali il poeta, avversatore dei partigiani della ''nuova ondata'', incita i giovani a difendere la patria e la religione. La rivoluzione letteraria inaugurata in poesia da Nīmā Yūšīǧ (1895-1960) è stata ripercorsa individualmente dai suoi discepoli: A. Šāmlū (n. 1925), ricercatore instancabile di nuove forme poetiche; H. Ebtehāǧ (n. 1927), poeta impegnato dallo stile raffinato; S. Kasrā'ī (n. 1927), storico dei grandi miti dell'I.; Umīd, pseudonimo di Aẖavān-i Ṯāliṯ (1928-1991), impegnato politicamente, grande rappresentante della poesia nuova per le qualità tecniche della sua arte, per l'assoluta padronanza della lingua persiana, per la ricerca di uno stile proprio. Altre vie artistiche sono state esplorate con la poesia lirica di Nādir Nāderpūr (n. 1929, residente dopo il 1980 a Parigi); con la vena mistica di S. Sepehrī (1928-1980); con l'arte colorata ed emotiva delle tribù del Sud di M. Ātešī (n. 1931); con le esperienze folkloristiche di ῾A. Sepānlū (n. 1938); con le speculazioni filosofiche di E. H̱o'ī (n. 1938). Tahereh Ṣaffarzāde (n. 1936), la cui prima poesia è stata influenzata da Nīmā Yūšīǧ e dalla tendenza lirica di Nādir Nāderpūr, ricerca in seguito forme espressive ancora più libere, sottilmente ironiche; passa poi, attraverso una fase di ricerca interiore, al periodo di maturità poetica esemplificata da Safar-e Panǧom ("Il quinto viaggio"), sei poemi brevi e tre lunghi in cui la poetessa saluta la conquista araba come la salvezza della Persia. Serešk (nome d'arte di M.R. Šafī῾i-i Kadkanī, n. 1939) è grande artista nel dimostrare la continuità della poesia classica e moderna. E infine Y. Royā'ī (n. 1932, residente a Parigi), affascinato dall'universo delle forme e delle strutture, è il rappresentante, insieme a P. Eslampur, B. Elaī, B. Ardebīlī, F. Rahnema, della già ricordata corrente šir-i ḥaǧm.

Caposcuola della prosa moderna ed erede dei principi posti da Ǧamālzāde (n. 1891-92, trasferitosi in Svizzera), è stato Ṣādiq Hidāyat (m. 1951). Ṣādiq Čubāk (n. 1916, vive all'estero), Āl-i Aḥmad (1923-1969), influente pensatore della rivoluzione islamica d'I.; Bihāḏīn (n. 1915), Ibrāhīm Golestān (n. 1922, residente a Londra), scrittore e cineasta, sono i rappresentanti della prima generazione di tale tendenza. Appartiene alla stessa scuola di scrittori B. ῾Alawī (n. 1907, residente a Berlino), iniziatore, insieme a Čubāk e Hidāyat, della corrente realista; novellista e romanziere eminente dalle tendenze progressiste, politicamente e socialmente impegnato, maestro nell'utilizzare la struttura di tipo analettico, tratteggia nei suoi racconti una ricca e variegata galleria di tipi sociali, primi fra tutti i ceti più poveri della società iraniana. Appartengono al periodo realista Časmhāyaš (1952, "I suoi occhi") e il suo ultimo romanzo storico Sālārihā (1979, "I comandi generali") attraverso cui ripercorre le lotte contro le strutture feudali all'inizio di questo secolo.

Tra gli altri prosatori ricordiamo: ῾A.M. Afġānī (n. 1925), che nel lungo romanzo Šawhar-i Āhū-H̱ānum (1961, "Il marito di Āhū-H̱ānum") tratta il problema del ruolo femminile, mentre in Šalġam mive-ye beheštī (1977, "La rapa frutto del paradiso") dà uno spaccato della vita di un quartiere povero di Teherān; M. Dawlatābādī, autore di Kelīdār (1978-84, "Kelīdār"), saga in dieci volumi del mondo rurale e tribale del H̱orasan alla fine della seconda guerra mondiale, rimarchevole per l'impiego della lingua dei contadini del Nord-Est dell'Iran. Altri si confrontano con i grandi drammi della società iraniana contemporanea: Aḥmad-i Maḥmūd in Zamīn-i sūẖte (1982, "La terra bruciata") tratta della guerra tra l'I. e l'῾Irāq ad Ahvāz durante i primi tre mesi del conflitto, come pure N. H̱āksār nel suo diario di viaggio nel H̱uzestān. Insieme ad altri autori della sua stessa generazione − come F. Tunakābunī (n. 1936; vive in Germania), Sā῾edī (1935-1985) e Dawlatābādī − H̱āksār ha contribuito a far conoscere la vita delle province d'Iran. Fra i romanzieri più giovani citiamo M. Zamāni-Nyā, originario della regione di Farāhān: in Kūč-e Ismāīl (1985, "La fuga di Ismā῾īl") descrive la vita di una comunità rurale attraverso il destino di un adolescente orfano di madre; Esmā῾īl-i Faṣiḥ, che in uno dei suoi romanzi, Ṯorayyā dar eġmā᾽ (1983, "Ṯorayyā in coma"), imitando E. Hemingway, descrive la vita della diaspora iraniana a Parigi. Da menzionare inoltre E. Ṭabarī (m. 1991), scrittore di talento e autore di Čehreẖāne ("Galleria di ritratti"), schizzi immaginari della società di Teherān all'inizio della dinastia pahlavi, ottima fonte per la conoscenza psicologica e sociologica dell'Iran.

Bibl.: A. Karimi-Hakkak, An antology of modern Persian poetry, Boulder (Colorado) 1978; Nouvelles Persanes (l'Iran d'aujourd'hui évoqué par ses écrivains), a cura di G. Lazard, Parigi 1980; A. Karimi-Hakkak, Of hail and hounds: the image of the Iranian revolution in recent Persian literature, in State, Culture and Society, i, 3 (1985), pp. 148-80; E. Yarshater, Persian literature, Albany 1988.

Archeologia. - L'attività archeologica in I. in questi ultimi anni è stata fortemente condizionata da due avvenimenti politici di grande rilevanza internazionale: la rivoluzione islamica del 1978-79 e la guerra I.-῾Irāq scoppiata nel 1980. Questi due avvenimenti hanno profondamente modificato, nel paese, la stessa natura ''ideologica'' dell'attività culturale, nella quale l'aspetto archeologico non ha ovviamente potuto avere una particolare attenzione. Ciononostante, se completamente sospesa si può considerare l'attività di scavo delle numerose missioni archeologiche straniere già operanti in I. prima della rivoluzione, certamente non si è interrotta, anche se notevolmente ridotta, l'attività archeologica locale diretta dal Centro iraniano per la ricerca archeologica e dal ministero della Guida Islamica.

È interessante notare che in questi ultimi 15 anni, a dispetto della scarsa attività sul campo, si è notevolmente accresciuto il numero degli studi relativi all'I. antico, dalla preistoria all'epoca islamica. Un notevole impulso è stato rivolto infatti alla ricerca nel campo della storia climatologica e in quello della storia del paesaggio in genere; gli argomenti più diffusamente trattati sono stati, per i periodi preistorici, il Pleistocene e l'antico Olocene nella catena degli Zagros, i cambiamenti climatici nell'epoca post-glaciale e, per il periodo neolitico, lo studio delle forme di adattamento biologico delle specie animali soprattutto nell'I. centro-meridionale o in quello sud-occidentale.

Per l'età dei metalli, costante linea di ricerca è stata l'analisi e il confronto tra lo sviluppo urbano dell'altopiano e quello della valle dell'Indo, assieme allo studio delle prime forme di produzione di cibo nel 4° e 3° millennio. Particolare polo d'interesse, soprattutto da parte di studiosi americani, è stato lo studio del contributo dato dal nomadismo pastorale, nelle aree periferiche, allo sviluppo della civiltà urbana. Lo studio dell'estrazione e della lavorazione di minerali come la clorite o di pietre dure come la corniola e l'alabastro nell'I. protostorico è stato, invece, argomento di ricerca di studiosi italiani e francesi.

I primi rudimenti di tracce di scrittura a Susa e le relazioni commerciali tra la Turkmenia meridionale, l'I. settentrionale e la Mesopotamia hanno costituito la base per indagini di nuovo taglio disciplinare, come quelle etnoarcheologiche soprattutto concentrate nell'I. centro-occidentale. Lo studio e l'analisi dei meccanismi di formazione statale da un lato e della costituzione di entità politiche diverse dall'altro ha occupato un notevole spazio nell'impegno scientifico di archeologi americani, francesi, italiani e sovietici, anche se ciascuna scuola ha operato da prospettive metodologiche diverse. Oggetto principale di questi lavori è stato quel particolare rapporto sociale, economico e culturale tra cosiddette ''aree centrali'' e ''aree periferiche'' che ha condizionato non poco la storia e lo sviluppo delle grandi formazioni statali del Vicino Oriente antico.

Per le epoche storiche non vanno trascurati i numerosi studi fatti sui famosi bronzi del Lūristān, oggetto, tra l'altro, anche di alcune recenti mostre in Europa, sul periodo elamita e ancora sul rapporto tra cultura elamita, civiltà sumerica e civiltà dell'Indo.

Nell'ultimo decennio è stato rivolto particolare interesse allo studio del periodo pre-achemenide, fino a non poco tempo fa del tutto trascurato o erroneamente analizzato. Questo periodo, invece, si rivela sempre più come centrale nella comprensione delle dinamiche storiche, socio-economiche, ecc., che portarono alla costituzione dell'impero achemenide. Un forte condizionamento storiografico (sia antico che moderno) aveva sopravvalutato la dimensione ''imperiale'' dell'epoca meda la quale, invece, alla luce della documentazione archeologica appare piuttosto come un momento particolare dello sviluppo statale dell'altopiano senza lasciar trasparire complessità socioeconomiche di tipo imperiale. Il periodo urarteo da un lato e quello scito-cimmerico dall'altro sono stati anch'essi oggetto di particolare interesse. Uguale attenzione è stata rivolta all'arte persiana del periodo achemenide, partico e sassanide, con numerosissimi articoli che si possono facilmente rintracciare in riviste specializzate.

Bibl.: L. Vanden Berghe, Bibliographie analytique de l'archéologie de l'Iran ancien, Leida 1979; G. Herrmann, Parthian and Sasanian Iran, in The Cambridge Encyclopaedia of Archaeology, Cambridge 1980, pp. 278-83; D. Stronach, Iran under the Achaemenians and Seleucids, ibid., pp. 206-11; L. Vanden Berghe, E. Haerinck, Bibliographie analytique de l'archéologie de l'Iran ancien, suppl. i, 1978-80, Leida 1981; Iranian Center for Archaeological Research, Condensed resume of the research, preservation restoration, activities and introduction of cultural heritage after the islamic revolution, Teherān 1983; R.N. Frye, The history of ancient Iran, Monaco 1984; I.M. Djakonov, Media, The Cambridge history of Iran, 2. The Median and Achaemenian periods, Cambridge 1985, pp. 36-148; L. Vanden Berghe, E. Haerinck, Bibliographie analytique de l'archéologie de l'Iran ancien, suppl. ii, 1981-85, Leida 1987. Si segnala inoltre che le riviste Studia Iranica (Leida) e Archaeologische Mitteilungen aus Iran (Berlino) forniscono annualmente ampie rassegne bibliografiche su tutta la pubblicistica archeologica dell'I. dall'epoca antica a quella islamica.

Arte. - È molto difficile seguire l'evoluzione dell'arte figurativa contemporanea in I., essendo pochissimi gli strumenti critici a disposizione per analizzare la produzione recente del settore. I movimenti artistici dell'ultimo ventennio del 20° secolo recano l'impronta degli avvenimenti politici che hanno profondamente mutato la situazione sociale e culturale del paese. Gli ultimi anni di regno dello scià segnano un periodo di interessanti elaborazioni tese a inserire l'arte iranica nel più vasto complesso asiatico e mondiale. È un panorama variegato ma con poche personalità emergenti. Assai diversa è la prospettiva artistica negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione e in quelli di guerra. Lo sforzo degli artisti (con prevalenza del settore grafico, molto utile dal punto di vista propagandistico) è indirizzato verso la creazione di un'arte che sia rivoluzionaria e quindi islamica; il rischio maggiore è quello di un eccessivo intento pedagogico. Alla prima fase, pre-rivoluzione, appartiene Sepehrī (Sohrabā, n. 1928), artista e poeta che ha avuto modo di studiare a Parigi perfezionando un linguaggio ispirato, fatto di colori lievitati e sorretto da una notevole conoscenza delle tradizioni folcloriche e artistiche del paese (non va dimenticato che l'I. è la terra delle più importanti scuole miniaturistiche dell'Islam). L'ispirazione rivolta alla tradizione miniaturistica classica è presente anche in altri artisti, quali M. Oveissī (n. 1934) e F. Pilaram (n. 1936); la ricerca di un misticismo orientale sembra pervadere l'opera di H. Kāẓemī (n. 1924), tutta impostata su un graficismo quasi esasperato, reso con una tecnica molto elaborata e dagli esiti originali. Il gruppo artistico più noto degli anni Settanta è il Saggaẖāne, protagonista del dibattito artistico per circa quindici anni; ne sono stati fondatori H. Zanderudī e P. Tanavolī (n. 1937, la personalità più dotata e ben noto all'estero).

Zanderudī, che opera a Parigi, nei suoi primi lavori suscita un'atmosfera intensamente religiosa, quindi si afferma come uno dei maggiori modernisti persiani. In opere più recenti, messa da parte l'arte folcloristica sciita, l'artista si trasforma in calligrafo eseguendo innumerevoli composizioni costruite sul ritmo della scrittura e utilizzando parole e intrecci di lettere oltre a impressioni di sigilli. Nel clima assai fervido creato alla scuola di Arti decorative di Teherān (nella quale insegna Kāẓemī, personalità attiva in numerosi settori del mondo culturale teheranese), si forma anche M. ῾Arabšāhī, uno dei pochi artisti che non abbia attinto al repertorio religioso islamico − semmai il suo debito è per i rilievi assiro-babilonesi e achemenidi −, capace di un grande equilibrio compositivo accompagnato da una tecnica sapiente. Di S. Tabrīzī si ricordano gli inizi come ceramista e quindi una fase successiva in cui la calligrafia era il dato predominante dell'opera; negli ultimi anni Settanta compone specie di collages con l'impiego di catene, pietre semipreziose, francobolli, riuniti con abilità a formare una visione del mondo non priva di elementi ludici e ironici.

La personalità artistica più interessante è comunque quella dello scultore Tanavolī, formatosi a Milano e molto attivo nell'arco di un trentennio. Pittore piuttosto modesto (qualche spunto originale si trova in quadri ispirati alle antiche leggende dello Šāh-nāme, il "Libro dei Re"), è uno scultore di sicuro intuito, assai interessato al problema della spazialità. Dopo l'esperienza italiana e il ritorno in patria, Tanavolī si avvicina a materiali tradizionali, propri del folclore. Si appassiona e studia i lucchetti metallici (tanto ingegnosi meccanicamente quanto eleganti artisticamente: vere e proprie minisculture a tutto tondo) ai quali dedicherà una mostra, il cui catalogo è il primo tentativo d'indagine scientifica in questo settore tutt'altro che marginale. Un suo ciclo di opere s'ispira alla storia di Farhād e Šīrīn (il primo un fabbro), mentre nel periodo Saggaẖāne prevale una visione religiosa misticheggiante. Artista ideologicamente consapevole, non sempre riesce a tradurre nell'opera le molteplici e complesse tensioni del suo messaggio. Tra le sue attività più recenti si segnalano le raccolte di materiali tessili tribali (sacche, stuoie, tappeti), procurate allo scopo di una loro valorizzazione. Uomo sensibile e curioso, Tanavolī è infaticabile nel proporre e realizzare iniziative culturali.

Gli ultimi dieci anni della produzione artistica in I. sono poco noti e ancor meno documentati; vi prevalgono le opere grafiche, dedicate ai temi della guerra e del martirio, spesso realizzate collettivamente e pubblicate anonime. Un'evasione dai temi dell'impegno politico si riscontra negli acquerelli di H. Ṣadrī (n. 1958), che sorprendentemente riporta in auge la rappresentazione paesaggistica.

Bibl.: Tehran Museum of Contemporary Art, Saggakhaneh, Teherān 1977; M.L. Hodissa, Pish-goftar dar Honar-e mo'aser-e Iran ("Profilo dell'arte contemporanea"), ivi 1981; H. Sadri, The green leaves, ivi 1986; P. Golbarghe, Honar va sarhang dar Iran ("Arte e cultura in Iran"), ivi 1987; The arts of Persia, a cura di R.W. Ferrier, New Haven e Londra 1989.

Architettura. - Dall'inizio degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta, molte ditte europee e americane si recarono in I. attratte da grandi progetti e incarichi prestigiosi. Consulenti, ingegneri, architetti, urbanisti, costruttori contribuirono al rapido sviluppo del paese quasi sempre in collaborazione con professionisti ed enti locali; ma la maggior parte di essi non furono in grado di portare a termine i loro incarichi a causa dell'inizio dei moti rivoluzionari, che costrinsero gli stranieri ad abbandonare l'Iran.

Di questo periodo si ricordano, tra gli altri, il piano regolatore di Tabrīz, elaborato dalla collaborazione franco-iraniana di Moqtader, Andreef ed Ecochard (1971), il piano regolatore dell'università di Mašhad, elaborato dallo studio inglese Fry Drew Knight Creamer & Lasdun con Riḍā H̱āzenī (1976), il piano regolatore dell'università di Šīrāz di Fry Drew Knight Creamer (Londra) in collaborazione con MODAM (1974-78).

Un altro esempio d'internazionalismo fu il concorso per la biblioteca nazionale Pahlavī a Teherān (1977-78), con una giuria composta dall'iraniano Nāder Ardalan, l'indiano Ch. Correa, l'italiano G. de Carlo, l'inglese T. Dannat, il giapponese Fumiko Maki. Queste collaborazioni straniere trovarono la loro eco nel Congresso internazionale di architettura in I. (1971), dove tra gli altri furono presenti gli italiani L. Quaroni, B. Zevi, L. Benevolo, e nel Congresso internazionale di donne architetto, Rāmsar 1976, a cui tra le altre partecipò l'italiana G. Aulenti.

Verso la fine degli anni Settanta, poco prima della rivoluzione, tra alcuni architetti, che in quell'epoca avevano intorno ai quarant'anni, sorse un movimento per lo sviluppo di un linguaggio basato sull'architettura iraniana tradizionale. Questa nuova corrente si basò sulla tipologia della casa unifamiliare raggruppata intorno a un cortile circondato da alte mura, sull'adozione di cupole e archi in mattoni, di tetti a falda secondo lo stile dei villaggi montani dell'Elburz, di facciate decorate con piastrelle secondo lo stile persiano dell'epoca Safavid, sull'adozione della calligrafia kufica come decorazione. Tra questi architetti si ricordano Ḥusayn Amānat, Nāder Ardalan, Kāmrān Dībā con il suo Joindishapuor University Campus (1975-78), Bīǧān Fūladī con la sua Prince Maḥmūd Reẓā Pahlavī residence (1976), Mas῾ūd Ǧahānārā con la sua Children's library a Iṣfahān (1974), Hūšang Seyhūn con la sua casa a Teherān (1974).

Contemporaneamente a questo ritorno verso la tradizione si svilupparono studi e ricerche archeologico-scientifiche, che aumentarono la ricchezza del patrimonio storico iraniano e accelerarono l'interesse verso stili persiani antichi. Questo rinnovato interesse per la tradizione trovò eco nell'adozione di materiali tradizionali, come i mattoni, la pietra, il legno, la terra battuta.

A proposito della ricerca del linguaggio e delle forme antiche nell'architettura contemporanea si debbono citare due esempi: la moschea di al-Qādir a Teherān dell'architetto Ǧahāngīr Mazlūn, e la nuova città di Šūštar del gruppo architetti DAZ. Nel primo caso l'architetto ha fatto uso di materiali tradizionali come la struttura muraria e ha adoperato la calligrafia kufica come motivo di ornamentazione; l'edificio fu iniziato nel 1977 e completato nel 1987. Nel secondo caso gli architetti urbanisti si sono rifatti alla tipologia tradizionale delle case a cortile e delle unità di vicinato facenti parte del quartiere come unità maggiore; l'esperimento fu iniziato nel 1976 e completato nel 1987. È interessante notare come questa città abbia saputo rendere la tessitura dei villaggi e città iraniane al punto da soddisfare la sua popolazione rurale interpretandone l'attaccamento alle tradizioni, e da ricevere una menzione speciale tra i premi che l'Aga Khan destina ai migliori edifici dell'architettura islamica.

Bibl.: Tabriz master plan, in Art and Architecture in Iran, 9 (1971), pp. 74-92; M. Usinov, The problem of using ancient architecture in contemporary architecture, ibid., 17 (1973), pp. 15-17; Contemporary architects in Iran, ibid., 18-19 (1974), pp. 128-48; H. Shirvami, Urban form in the Islamic World, ibid., 31-32 (1976), pp. 10-15; Project for the Pahlavi National Library competition, ibid., 45-46 (1978), pp. 112-32; Town planning; new towns, Iran Shushtar, in Al Albena, 75 (1986), pp. 18-21; The al Ghadir Mosque in Teheran, in Mimar, 29 (1988), pp. 24-29; Vernacular architecture: Huts/Iran Gilan, ibid., 31 (1989), pp. 38-44.

Cinema. - Il cinema iraniano nasce intorno alla corte dello sci'a: i primi documentari riguardano cerimonie e scene di vita della casa reale. Soltanto nel 1931 un armeno, Avanes Ohanian, fonda una scuola d'arte drammatica a Teherān e realizza alcune commedie ispirate ai comici danesi Bivognen e Fyrtärnet. Successivamente l'iraniano Abū᾽lḤusayn Sepenta, considerato il pioniere del cinema nazionale, gira in India il primo film sonoro, Doẖtar-e Lor ("Una ragazza della tribù Lor", 1932), ambientato al tempo della dinastia dei Sassanidi, cui segue Česmhā-ye siāh ("Gli occhi neri", 1935), sulla conquista dell'India da parte di Nāder Šāh.

Nel dopoguerra viene fondata da Ismā῾īl Kūšān la prima casa di produzione iraniana, la Mitra Film, che esordisce con Tūfān-e zendegī ("La tempesta della vita", 1948) di Muḥammad ῾Alī Daryabegī, e finanzia in seguito alcuni melodrammi, come Šarmsār ("Vergognoso", 1950) e Mastī-ye ešq ("L'ebbrezza dell'amore"), capostipiti di un filone di successo, in voga per buona parte degli anni Cinquanta.

Tra le opere più interessanti di questo periodo si ricordano innanzitutto Amīr Arsalan (1954) di Šāpūr Yasemī, che racconta le avventure dell'omonimo eroe popolare, e Lāt-e Ǧavānmard ("Il bandito di buon cuore", 1957), un dramma sociale girato dall'attore Maǧīd Moḥsenī. Ai nomi di Farroẖ Gaffārī (Šab-e Qūzī, "La notte del gobbo", 1963) e di Ebrāhīm Golestān (H̱ešt va Āīne, "Il mattone e lo specchio", 1965) si lega invece il cinema d'autore degli anni Sessanta, solitario ed emarginato, spesso preso di mira dalla censura, in un mercato totalmente omologato sul basso livello commerciale.

Una sorta di rinascita caratterizza l'inizio del decennio successivo, animato da molteplici e vari talenti che s'impongono con successo nei maggiori festival internazionali: Dāriyūš Mehriǧū᾽ī, formatosi negli Stati Uniti e attivo fin dal 1966 (Gāv, "La vacca", 1969; Postčī, "Il postino", 1972); Bahrām Beizā'ī, commediografo e saggista (Ragbār, "L'acquazzone", 1972; Garībe va meh, "Lo straniero e la nebbia", 1974); Parvīz Kimiavī, diplomato a Parigi e proveniente dal documentarismo (Moġolhā, "I mongoli", 1973; Bāġ-e Sangī, "Il giardino di pietra", 1974; Okey Mester, "OK Mister", 1976); Sohrāb Šahīd Ṯaleṯ (Yek ettefāq-e sāde, "Un caso semplice", 1973; Tabīat-e bīǧān, "Natura morta", 1974); e infine due autori particolarmente attenti al mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, Amīr Nāderī (Enteẓār, "Aspettando", 1974; Marṯiye, "Elegia", 1978) e ῾Abbās Kiyārostamī (Taǧrobe, "Esperienza", 1974; Gozāreš, "Il resoconto", 1978).

Nel 1979 la rivoluzione khomeinista blocca questo interessante processo di sviluppo. Concentrata sui temi e sulle questioni sociali, la produzione riprende nel 1983, quando lo stato vara una politica di programmazione e di sostegno legislativo e finanziario. Nonostante il permanere di forti limiti censori, il cinema iraniano vive così una nuova e ricca stagione: accanto agli autori già operanti nel decennio precedente (come Beizā'ī: Bāšū, ġarībe-ye kūček, "Basu il piccolo straniero", 1989; Kiyārostamī: H̱āne-ye dūst koǧā-st?, "Dov'è la casa del mio amico?", 1987; Nāderī: Davande, "Il corridore", 1986; Āb, bād, ẖāk, "Acqua, vento, sabbia", 1988), emerge una fitta schiera di esordienti, tra i quali si distinguono in particolare Moḥsen Maẖmalbāf (Dastforūš, "Il venditore ambulante", 1987; Bāysikelrān, "Il ciclista", 1989; Nōbat-e ešqī, "Tempo d'amore", 1991), Kiyānūš ῾Ayyārī (Ānsu-ye ātaš, "Oltre il fuoco", 1988) e Mas῾ūd Kīmiyā'ī (Dandān-e mār, "Il dente del serpente", 1991; Gorūhbān, "Il sergente", 1991).

Da segnalare il largo spazio dedicato al film per ragazzi, uno dei generi più coltivati e vivaci della produzione post-rivoluzionaria, non di rado utilizzato per apologhi di carattere sociale.

Bibl.: Bahman Maghsoudlou, Iranian Cinema, New York 1987; M. Ali Issari, Cinema in Iran, 1900-1979, Metuchen (N.Y.) 1989; AA.VV., L'Iran e i suoi schermi, Venezia 1990.

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