‛IRĀQ

Enciclopedia Italiana (1933)

‛IRĀQ (A. T., 91-92)

Giorgio LEVI DELLA VIDA
Mario SALFI
Giuseppe FURLANI
Giuseppe CARACI

Il nome al-‛Irāq (in arabo sempre con l'articolo al-), arabizzamento del medio persiano o pahlavī ērāk "persiano", si riferiva nel Medioevo soltanto al territorio percorso dal Tigri e dall'Eufrate, a partire da poco a nord della latitudine di Baghdad e arrivando al Golfo Persico, ossia, presso a poco, l'antica Babilonide; mentre il territorio a nord di esso, l'antica Mesopotamia, fu chiamato dagli Arabi al-Giazīrah "l'isola" o "penisola".

Nel sec. XI, avendo i Selgiuchidi esteso il loro dominio dalla Mesopotamia alla Persia, il nome di ‛Irāq fu applicato anche all'antica Media, distinguendo questa col nome di al-Iraq al-‛Agiamī (‛Irāq persiano), in opposizione ad al-‛Irāq al-'Arabī (‛I. arabo). Ancor oggi la grande provincia persiana avente come capoluogo Ṭeherān si chiama in persiano ‛Irāq-i Agiamī.

Dal 1919 il nome di ‛Irāq fu esteso ufficialmente all'intera valle dei due grandi fiumi immediatamente al su dei monti dell'Asia Minore (esclusa la parte occidentale dell'al-Giazīrah posta sotto il mandato francese): questo territorio costituì il regno dell'‛Irāq, affidato (1920) dalla Società delle Nazioni a mandato britannico cessato nel 1932 con la proclamata indipendenza del regno (vedi appresso: Storia). D'altro canto già nel secolo XIX il termine classico Mesopotamia era spesso esteso da scrittori europei anche alla Babilonide, cosicché Mesopotamia e ‛Irāq sono divenuti all'incirca sinonimi (vedi mesopotamia).

Sommario. - Confini (p.529); Rilievo e morfologia (p. 529); Clima e idrografia (p. 531); Flora e fauna (p. 531); Etnografia (p. 531); Dati sulla popolazione (p. 532); Centri abitati (p. 533); Agricoltura e allevamento (p. 533); Produzione mineraria e industrie (p.534); Commercio e comunicazioni (p. 535); Ordinamento politico (p. 536); Finanze (p. 536); Storia (p. 536), Bibliograia (p. 537).

Confini. - Nello stato ‛irāqeno, la delimitazione consentita dalle frontiere viene a isolare, in complesso, una regione che presenta, in confronto alle finitime, una sua individualità: le questioni particolari che, intormo a queste frontiere, hanno disturbato e disturbano l'esistenza della giovane nazione non impediscono che, nelle loro linee generali, i termini segnati dalla natura si impongano quasi dovunque con evidenza. Se a S. l'‛Irāq è chiuso dal Golfo Persico, verso il Neǵd, la Transgiordania e la Siria è protetto da un'ampia fascia di deserto, mentre la lunga e tortuosa frontiera orientale corrisponde al limite morfologico tra il bassopiano mesopotamico e gli archi corrugati dello Zagros, ossia al contatto fra due territorî in cui le caratteristiche dell'ambiente creano all'uomo condizioni di vita diverse e per certi riguardi (clima) opposte. Da questo lato infatti il confine guarda all'alta schiena calcarea del Kebīr Kūh, dalla quale l'‛Irāq è diviso per mezzo di una larga striscia di arenarie e di conglomerati gessiferi: la frontiera corre su queste alture un po' depresse innanzi che esse scendano al piatto livello dei territorî mesopotamici. Più debole è il confine verso N., nella regione di Mossul, dove il passaggio fra ‛Irāq e Kurdistān si compie attraverso un mosaico etnografico, indizio chiaro, da solo, della mancanza di barriere naturali, e perciò punto di frizione delicato nelle trattative che hanno preceduto e seguito, fra Inghilterra e Turchia, il sorgere del nuovo regno. L'‛Irāq corrisponde a una zona depressa, definita a N. e a E. da masse in rilievo, a'O. dal deserto arabico, e a S. dal Golfo Persico, quindi, in sostanza, a quello che fu il territorio dell'antica Mesopotamia, paese di transito tra Asia occidentale e orientale, e in pari tempo crogiuolo dove vennero a sovrapporsi e a fondersi i popoli usciti dalle regioni che le fanno corona.

Rilievo e morfologia. - Per quanto riguarda la struttura geologica si deve rilevare che il corso dei due fiumi gemelli che l'attraversano ha colmato, con l'enorme pila delle alluvioni depostevi, il solco dividente la piatta zolla arcaica della penisola arabica lal margine esterno del corrugamento terziario che continua qui, con direzione mutata, i fasci montuosi armeno-anatolici. Il cambiamento di direzione (da O.-E. in NO.-SE.) corrisponde all'allargarsi delle masse eruttive che si stendono sul medio corso dei due fiumi e li costringono a divergere. A S. l'influenza del corrugamento, più che nella presenza di disturbi tettonici, si fa palese nell'emergenza che sull'imbasamento cretaceo-eocenico segnano le arenarie cenozoiche da cui risulta il gruppo del Gebel Makhūl e Gebel Ḥamrīn; attraverso questo il Tigri si apre il passaggio con una piccola gola di erosione, contrassegnata sul fondo da rapide. Le zone montuose che formano la parte settentrionale della regione di Mossul constano in prevalenza di calcari nummulitici, alternati con rocce ignee varie e soprattutto con basalti e serpentini, e con scisti cristallini, profondamente intagliati dai corsi d'acqua che scendono al Tigri (Khābūr e Gran Zāb). La loro altezza supera in più luoghi i 3000 metri e tutto il paesaggio ha forme aspre, come mostra il fatto che il transito verso i settori finitimi (turco e persiano) è possibile solo attraverso pochi valichi piuttosto elevati. Verso O. rientra entro l'‛Irāq un piccolo lembo del Gebel Singiār (835 m.), che il confine con la Siria divide in due; dal lato opposto, il margine rilevato si continua non meno impervio ed eccelso (Boz Dāgh, 3672 m.; Tepe Khān 2793 m.) lungo la frontiera persiana fino al Khūzistān, dove Kārkhah e Qarūn riescono ad aprirsi il passo verso lo Shaṭṭ al-‛Arab. Questa fascia di montagne, data anche la prevalenza dei calcari, funziona come serbatoio idrico rispetto alle pianure sottostanti, la cui economia agricolo-pastorale completa non meno con la transumanza che con la presenza di una più o meno densa popolazione sedentaria.

Tutto il resto del paese a O. del Tigri è invece nel dominio del nomadismo, costituito com'è da deserto o da steppa: il primo sulla destra dell'Eufrate, la seconda essenzialmente nell'ampio triangolo (con vertice allo Shaṭṭ al-‛Arab) che i due fiumi maggiori lambiscono sui lati (la base è rappresentata qui dalla lunga, rettilinea frontiera siriana fra Abū Kemāl sull'Eufrate e l'Uadi Suwaidiyyah, dove confluisce nel Tigri) e circoscrivono a modo d'isola, com'è appunto definito dagli Arabi (al-Giazīrah). Morfologicamente più varia che non facciano supporre la semplicità e la monotonia del suo paesaggio vegetale, la al-Giazīrah assume, entro i confini dell'‛Irāq, i caratteri della classica steppa alofila, tanto più netti quanto più si progredisce verso Baghdad e ci si allontana dal Mediterraneo. Il Gebel Singiār manda verso il Tigri una serie di potenti uidian che si perdono tutti in pozze e laghi salati, prima di raggiungere il fiume, anche il lungo Tharthar, che pure si spinge a poca distanza da Ramādī, e solo in pochi luoghi i nomadi beduini che attraversano la regione sanno di poter trovare, nei pozzi, l'acqua necessaria al bestiame. D' altronde ambedue i fiumi maggiori corrono qui incassati rispetto al livello delle pianure circostanti, sì che il beneficio dell'irrigazione rimane limitato a tratti più o meno estesi dei loro letti. Per contro, già prima di giungere al punto in cui Tigri ed Eufrate più si avvicinano l'uno all'altro, i fianchi delle due valli si deprimono fino a confondersi a poco a poco con le piatte strisce di steppa o di deserto che le frangiano: le acque, non più contenute entro i pioventi delle gronde, divagano in meandri, spostando continuamente il loro decorso. La steppa a poco a poco cede il posto alle colline e il piano, prima nudo e senz'alberi, si anima per l'apparire e l'affollarsi dei palmizî che dànno il tono al paesaggio e annunciano la calda, ferace terra di Babilonia.

Tutta la regione compresa tra il 34° N. (all'incirca), il margine montuoso del Pusht-i kūh ad E., lo zoccolo cristallino del deserto arabico a O. e il Golfo Persico è costruzione alluvionale geologicamente recente, non però dovuta, come si potrebbe credere, soltanto all'opera dei due fiumi maggiori. Insieme con il Tigri e l'Eufrate hanno qui lavorato, e in proporzioni non minori, i corsi d'acqua provenienti dalle due estremità opposte (E., O.) del golfo: il Bāṭin, ora ridotto a semplice uadi, e il Kärkhah-Qārūn, che ha finito con l'unirsi anch'esso allo Shaṭṭ al-‛Arab. I delta di queste due correnti fluviali, di cui la seconda carica del copioso alimento di alluvioni strappate allo Zagros, hanno a poco a poco isolato dal mare alle loro spalle una zona lacustre (lago caldaico) che le acque dell'Eufrate e del Tigri sono venute via via colmando e seguitano a colmare: dei due fiumi, infatti, il secondo non trasporta a S. di al-Qurnah che una piccola frazione (forse un decimo) del proprio tributo solido, mentre il primo lo depone tutto, prima di unirsi al Tigri, nei laghi di Shināfiyyah e di Hammār. Naturalmente le condizioni idrografiche del delta presentano la stessa instabilità che si riscontra più o meno nelle zone analoghe, resa però qui anche più complessa dall'intervento dell'uomo, che ha dovuto fin da epoche antichissime cercar di correggere a suo beneficio il giuoco mobile delle forze della natura. Ma quando si prescinda da questioni particolari, è facile accorgersi che, in sostanza, anche per il territorio del delta le condizioni migliori d'insediamento si verificano in vicinanza delle due correnti maggiori, dove l'irrigazione, qui non meno indispensabile che in Egitto, era e rimane più agevole; e questo spiega la distribuzione degli antichi e antichissimi centri abitati, disposti tutti, come i moderni, sulle sponde dei due grandi fiumi, o meglio di quelle che, periodo per periodo, furono le vie seguite dalle acque nel loro mutevole defluire verso il mare. Di questo territorio la sezione superiore, a Nord del canale di el-Ḥayy, mantiene ancora, in sostanza, i caratteri di steppa salina che contraddistinguono il paeaggio a monte di Baghdad, solo che le inondazioni primaverili, e la maggiore facilità di irrigare consentono, almeno per brevi periodi dell'anno, lo sviluppo delle colture (orzo, miglio, dura, grano); se anche la più parte della zona rimane dominio dei nomadi pastori, le strisce marginali irrorate dalle acque dei fiumi e dei canali che ne vengono dedotti stendono un orlo di verde intorno alla landa giallastra del piano senza alberi. Queste condizioni mutano procedendo verso S. Col diminuire della pendenza le correnti fluviali si fanno più pigre e ristagnano in paludi o si ramificano, indugiando in meandri; diminuisce in pari tempo la frequenza e il pericolo delle inondazioni. Oltre la piana di Tello e le paludi che precedono il congiungersi dei due fiumi gemelli nello Shaṭṭ al-‛Arab, la coltura della palma si fa dominante, ma anche i cereali e il cotone trovano condizioni ideali di sviluppo, soprattutto il secondo, su cui sono fondate le speranze di quanti, da una rinnovata sistemazione del regime idrico, credono assicurata la fortuna del paese. In grazia di questa sistemazione, che prevede una serie di sbarramenti non solo sull'Eufrate e sul Tigri, ma anche sul più importante tra gli affluenti, il Diyālā, e la creazione di bacini di raccolta per evitare i danni delle inondazioni (Lago al-Ḥabbāniyyah per l'Eufrate, Āqarqūf per il Tigri), potranno essere messe in valore altre superficie coltivabili a monte della zona di Baghdād, e specialmente sulla sinistra del Tigri, dove le ricchezze del sottosuolo hanno già determinato un promettente risveglio. Per quanto si tratti di calcoli teorici, è certo che le possibilità appaiono cospicue, anche se limitate ai 15-20 mila kmq. che si è certi di poter bonificare nella zona del basso delta: cereali, cotone, legumi, frutta tropicali e datteri potranno consentire, con opportune rotazioni, prodotti largamente remunerativi.

Clima e idrografia. - Che l'irrigazione sia fattore decisivo nella vita di questa regione, è chiaro dalla storia stessa, recente o antichissima, dei popoli che l'abitarono, ed è, non meno che altrove, una conseguenza immediata del clima dominante nelle pianure, ossia nella parte senza confronto maggiore della regione stessa.

Di questo clima il carattere più evidente, comune anche alle fasce marginali montuose, è l'estrema continentalità. La media temperatura annua di Baghdād - che è una quarantina di m. s. m. - è di 21°5; ma, mentre in agosto si oscilla fra 33° e 35°, con massimi assoluti di 50° tutt'altro che rari, in gennaio si scende a 9°, con minimi che toccano fino a − 12°. Queste condizioni si modificano assai poco nel resto del paese, eccetto che nelle fasce montuose di N. e di E., dove l'altitudine tempera gli eccessi della stagione estiva e la maggiore piovosità, concentrata nei mesi invernali, ricorda il clima mediterraneo. Per contro le influenze dei vicini deserti arabico e siriaco oltrepassano il limite dei due fiumi maggiori e si spingono nell'interno della bassa zona deltizia, dove l'azione moderatrice delle correnti aeree che provengono dal Golfo Persico si può considerare nulla. La maggiore umidità relativa dell'aria, anzi, rende qui anche meno tollerabili i calori estivi, massime la notte: si cerca invano un po' di ristoro all'afa che opprime, quando spirano i venti di SE. Le piogge cadono tutte da novembre ad aprile, con un massimo in febbraio, ma non superano, nella Mesopotamia vera e propria, i 300 mm. annui (225 a Baghdād) e, quando si eccettuino i territorî marginali più elevati, il limite meridionale ov'è possibile la coltura dei cereali senza bisogno dell'irrigazione artificiale corre tutto fuori dei confini del regno. Si comprende quindi facilmente l'importanza che, in un territorio come questo, assumono le piene non solo dei due fiumi maggiori, ma anche di quelli che, nella più parte dell'anno, rimangono all'asciutto. Mentre Tigri ed Eufrate fanno sentire il beneficio delle loro acque nella stagione primaverile, come conseguenza delle piogge e delle nevi che cadono sulle alte terre del loro bacino di raccolta, la steppa si anima nel breve periodo invernale, quando improvvise burrasche o rovesci di poche ore convertono gli indian in impetuosi torrenti e la gialla distesa bruciata dal sole in un immenso specchio di acque stagnanti.

Flora e fauna. - Dato ciò, non meraviglia l'estrema povertà della flora mesopotamica e la quasi assoluta mancanza di vegetazione arborea fuori dei nastri umidi dei fiumi, dei canali e della zona del basso delta. I grossi animali si riducono in sostanza alla gazzella e all'asino selvatico, nella regione delle steppe, e solo più a sud compaiono i felini, fra cui il tipico leone senza criniera delle basse foreste mesopotamiche.

La fauna dell'‛Irāq fa parte del complesso faunistico mesopotamico e mentre da una parte si protende sul Golfo Persico dall'altra è inclusa nella zona occupata dalla gran fascia desertica paleartica che dal Sahara si estende fino all'Asia centrale. Tra i Mammiferi noteremo una forma particolare di Daino (Dama mesopotamica), varie specie di capre, gazzelle, l'onagro, varî rosicanti tra i quali lo Spalace; molti carnivori tra cui lo sciacallo, la volpe, il tasso persiano, l'icneumone, la mangosta, la iena, ecc. Tra gli Insettivori notiamo un riccio (Erinaceus auriculatus) proprio della Mesopotamia. Varie specie rappresentano il gruppo dei Chirotteri. L'avifauna è ricca di numerose specie di uccelli; numerosi i Rettili, gli Anfibî e i Pesci che insieme con svariate specie di invertebrati popolano le acque dolci della regione. Il mondo degli invertebrati è ricchissimo di Insetti, Aracnidi, Miriapodi e Molluschi terrestri.

Etnografia. - Sulle genti dell'antico ‛Irāq siamo ancora male informati, perché gli scheletri umani trovati nelle sepolture paleo-mesopotamiche ed esaminati scientificamente sono ancora pochi e perciò viene a mancare l'unica base certa e sicura per delineare, seppure nei suoi tratti elementari, la composizione antropologica della regione. Siamo bensì bene informati sulle civiltà e sulle lingue del paese dai tempi preistorici, dove in epoche molto antiche le immigrazioni e le fusioni di nazioni e schiatte, le sovrapposizioni di tribù e di popoli sono state numerose; ma la conclusione dalla lingua alla razza o anche soltanto al tipo antropologico non è lecita e non può condurre che a deduzioni erronee. Si è voluto riconoscere nelle antiche raffigurazioni di uomini e dei, nei rilievi di pietra, rappresentazioni fededegne dei tratti facciali e quindi si è concluso dall'immagine alla razza. L'esame più attento delle raffigurazioni ha rivelato però la loro poca attendibilità, poiché si è constatato che alcuni tratti caratteristici, che sembravano denotare un certo tipo antropologico dei Sumeri, andavano ricondotti, piuttosto che a caratteristiche antropologiche, a incapacità dell'artista o a convenzione. È certo comunque che la più antica civiltà del paese, civiltà ancora preistorica, è di tipo elamico, strettamente affine cioè a quella dell'antico Elam e specialmente di Susa. A questa civiltà succedette la civiltà sumera. Finora non siamo in grado di stabilire se queste due civiltà abbiano avuto per sostrato la stessa razza. È molto probabile che i Sumeri non fossero tutti appartenenti allo stesso tipo antropologico. Alla civiltà sumera subentrò poi, con l'immigrazione dei Semiti, la civiltà babilonese e assira. Tra le varie tesi sostenute sul tipo antropologico degli Elamiti, dei Sumeri e dei Semiti di Babilonia e Assiria va rilevata segnatamente quella di G. Sergi: tutti e tre questi popoli, produttori di un'alta civiltà e per alcuni millennî dominatori spirituali dell'Asia occidentale antica e del mondo allora civile, sarebbero stati fondamentalmente di razza mediterranea.

Nelle rovine deila città di Kish, negli scavi fatti durante la campagna archeologica degli anni 1923-1924, furono trovate in varie tombe anche alcuni scheletri, i quali dovrebbero risalire agli anni 3000-2800 a. C., a un'epoca nella quale la città era abitata, come risulta da altre circostanze, da una popolazione mista, sumera e accada. I cranî che si prestano allo studio sono otto. Essi non presentano alcun tratto mongoloide e nessuna traccia della razza nordica. Appaiono invece chiaramente due tipi: uno è dolicocefalo, simile a quello dei Proto-Egiziani. Gl'individui con questo tipo di cranio appartenevano certamente a una varietà della razza mediterranea. È lecito avanzare l'ipotesi che tali cranî fossero caratteristici degli abitanti antichissimi dell'Arabia e rappresentassero probabilmente il tipo fisico degl'invasori semitici della Mesopotamia meridionale. L'altro tipo è invece brachicefalo e appartiene precisamente al ramo occidentale dei brachicefali, al tipo armenoide. Esso era certamente quello della popolazione originaria o primitiva.

Altro materiale osseo hanno rivelato le tombe scoperte recentemente nelle rovine di Uru, e quelle vicino a Tell el-‛Ubaid, non lontano dalla prima città. Le sepolture di Tell el-‛Ubaid dovrebbero risalire al principio del 4° millennio o a un periodo ancora più antico. Le tombe di Uru sono invece più recenti, poiché non vanno al di là degli anni 1700-1900 circa. L'indice cefalico medio a Tell el-‛Ubaid è per i maschi 72,6 e per le femmine 77,6; a Uru, per i maschi 69,8 e per le femmine 77,6. I cranî tanto del primo quanto del secondo luogo sono dunque dolicocefali. Nei caratteri facciali gli antichi Sumeri presentano tipo europeo. Le facce erano molto lunghe, il naso lungo, il mento forte. A Tell el-iUbaid il naso era spiccatamente aquilino. Gli abitanti di Tell el-‛Ubaid erano dunque Arabi dolicocefali veri e proprî, ma Arabi dalle teste grandi, gente grossa con mascelle massicce. Nessuno era brachicefalo: nessuna traccia di tipo armenoide o mongolico. Invece in tutti si constata grande affinità col tipo caucasico. Essi erano affini agli uomini predinastici d'Egitto e ai paleolitici d'Europa. Tra il quarto e il secondo millennio il paese deve avere subito un'invasione di stirpi molto affini, con teste ancora più strette e lunghe, le quali soltanto per lievi sfumature dei caratteri somatici si distinguevano dagli abitanti più antichi del paese. La Mesopotamia meridionale era abitata nel quarto e nel secondo millennio da popoli dello stesso tipo fisico e della stessa origine. La stessa razza occupa oggi le pianure più basse della valle dell'Eufrate e del Tigri. Nella lunghissima storia della bassa Mesopotamia non è avvenuto quasi nessun cambiamento di razza. I moderni abitanti della Mesopotamia meridionale sono i diretti discendenti di quelli antichi. Gli antichi Sumeri possiedono caratteri che sono proprî degll'Irani e degli Arabi. La faccia sumera si trova ancora al giorno d'oggi nell'Afghānistān e Belūcistān, fino alla valle dell'Indo. A Ninive fu trovato un cranio nella campagna di scavi del 1927-1928. Esso è di tipo rotondo, armenoide e dovrebbe risalire al nono secolo o è ancora più antico. Ma da un solo cranio non si possono fare deduzioni sulla razza che abitava il paese.

Fino al giorno d'oggi la stragrande maggioranza della popolazione della Mesopotamia appartiene ancora al tipo rivelato dai cranî di Uru e Tell el-‛Ubaid. Carattere in parte diverso hanno i Curdi, i quali sono tuttavia, per quanto riguarda il tipo antropologico, molto compositi. Hanno una faccia stretta, mento forte, statura grande, sono per la maggior parte mesaticefali, quelli vicini agli Armeni brachicefali. Hanno i capelli molto scuri, e i loro occhi sono di colore castagno scuro. Sembrano rappresentare una mescolanza delle razze mediterranea e armenoide.

Nella Mesopotamia si può constatare, come d'altronde avviene anche in altre parti del mondo, che le sette religiose hanno una tendenza a sviluppare un tipo antropologico proprio, differenziandosi in alcune caratteristiche dalle popolazioni circonvicine.

Dati sulla popolazione. - Una persistente traccia della separazione tra l'elemento originario e le genti arabe immigrate si ha nel contrasto, non soltanto economico, fra le popolazioni sedentarie o semisedentarie del piano e i nomadi beduini. Per contro, di fronte ai gruppi semitizzati o semitici, solo l'elemento curdo rappresenta una proporzione notevole (17%), mentre una ragione di compattezza politica sta nel fatto che le zone di attrito con le minoranze allogene si riducono, in sostanza, alla frontiera settentrionale, ossia all'ex-vilāyet turco di Mossul, dove, accanto ai Curdi, vivono circa 65 mila cristiani e 40 mila Turcomanni; gli Ebrei (90 mila) e i Persiani essendo invece più sparsamente disseminati in tutto il paese. Non minore è l'omogeneità dal punto di vista religioso: di fronte ai più che 2 milioni di musulmani, le altre confessioni non riuniscono insieme neppure l'8% del totale (cristiani 80 mila); salvo il breve lembo montuoso a N. di Mossul, tutta l'area abitata rientra nel dominio della lingua e della cultura araba. È tuttavia notevole la divisione dei musulmani fra sciiti (52%) e sunniti (40%), di cui i primi prevalgono a S., i secondi a N. di Baghdad. Curdi, Turcomanni e Turchi sono anch'essi per la quasi totalità sunniti; sciiti invece i Persiani, numerosi nelle città della Babilonia di N. e NO. (specialmente Kerbelā' e an-Nagiaf). Notevoli nell'‛Irāq i varî santuarî sciiti, che rappresentano la meta di un intenso affluire di pellegrini: Sāmarrā, al-Kāẓimain, Kerbelā' e an-Nagiaf (quest'ultima famosa per la tomba di ‛Alī). Un certo numero di Yazīdi, vive nei dintorni di Mossul.

In complesso la popolazione dell'‛Irāq non è certo inferiore ai 3,5 milioni di ab. (una stima per il 1928 dà la cifra di 3,3, ma v'è motivo di credere che sia al di sotto del vero); secondo i dati raccolti a cura dell'amministrazione inglese nel 1920 sarebbe stata ripartita nelle tre provincie corrispondenti ai vecchi vilāyet turchi, così come mostra la tabella in calce alla pagina.

La cifra di densità, dovunque piuttosto bassa, non dà un'idea giusta delle condizioni del popolamento, se non si riflette che una buona metà e forse più del territorio del paese è solo temporaneamente abitata o affatto disabitata, e che anche per il resto la parte senza confronto maggiore della superficie utilizzabile è lasciata alla pastorizia nomade e seminomade. Popolazioni sedentarie non si hanno se non lungo le valli dei due fiumi gemelli, nello Shaṭṭ al-‛Arab e nella zona di Mossul, dove i Curdi tendono ad abbandonare via via le loro abitudini nomadi, fissandosi al suolo come agricoltori, e scendono lentamente verso S. secondo la direzione segnata dal Tigri e dai suoi alffluenti.

Le zone di massimo accentramento della popolazione si hanno a nord sull'alto Tigri, e a sud nel basso delta, separate l'una dall'altra dall'immensa distesa delle steppe mesopotamiche. La prima si continua, oltre i confini politici, in territorio turco e siriaco: la seconda si fraziona a sua volta in quattro gruppi distinti a guisa di oasi, di varia grandezza e importanza. Di questi gruppi, i più cospicui sono: uno tra la diga di al-Hindiyyah e il Baḥr-i Shināfiyyah, l'altro lungo lo Shaṭṭ al-‛Arab; i minori, da Samara a Sūq esh Shuyaikh sull'Eufrate, da Amārah ad el-Qurnah sul Tigri. Fra queste due fasce maggiori si distende, dove i due grandi fiumi più si avvicinano, un terzo addensamento, il più importante oggi di tutto l'‛Irāq, comprendente all'ingrosso il cuneo delimitato dal basso corso del Diyālā e dalla riva destra del Tigri.

Centri abitati. - Per poche regioni come per l'‛Irāq è altrettanto ingannevole l'uso di una comune carta geografica, quando si voglia formarsi un'idea dei centri abitati. Solo Baghdād e al-Baṣrah (Bassora), e più questa (60 mila ab.) che quella (poco meno di 300 mila), presentano carattere urbano nel senso che di solito si attribuisce a questa parola. Per la maggior parte del resto si tratta di raggruppamenti di case o casupole di argilla, o addirittura di capanne movibili (le srifa del basso delta), che occupano spazî vastissimi, ma non sono neppure sempre abitate: la riunione dipende o da opportunità del traffico, o dal periodico ripetersi di mercati, o dalla presenza di reliquie e di santuarî d'interesse religioso. A quest'ultima circostanza è dovuto il fiorire di località come Kerbelā' (65 mila abitanti) e an-Nagiaf (30 mila); per numero d'abitanti sono poi notevoli, oltre Mossul (60 mila), al-Kāzimain (65 mila ab.), al-Ḥillah (15 mila ab.) e Hīt (8 mila) sull'Eufrate, Sāmarrā (30 mila) sul Tigri e Kerkūk nella zona petrolifera nord-orientale. Tutti questi centri hanno segnato, in complesso, un discreto accrescimento di popolazione nel periodo postbellico, in armonia con lo sviluppo impresso al paese dalla riorganizzazione amministrativa, che ha caratterizzato il sorgere e l'affermarsi del nuovo regno.

Agricoltura e allevamento. L'agricoltura, che forma ancora in sostanza l'occupazione di gran lunga prevalente nell'‛Irāq, è rimasta per secoli in una condizione piuttosto arretrata, soprattutto per l'instabilità politica, la cattiva amministrazione e l'abbandono delle antiche pratiche irrigatorie che del basso delta avevano fatto, in altri tempi, una delle plaghe più feraci e più popolate della terra (si calcola che l'‛Irāq possa assorbire una popolazione di poco meno che 100 milioni di abitanti).

Tra le colture, le cerealicole sono le più largamente diffuse, con prevalenza del grano a N., dell'orzo a S., e in complesso di questo su quello; riso e mais costituiscono la base della seconda stagione coltivativa, che va da agosto a dicembre. Accanto a queste solo la palma da dattero esercita attualmente un'influenza decisiva sull'economia del paese, e consente anzi all'‛Irāq un primato mondiale. Si calcola che in complesso vi siano qui non meno di 30 milioni di alberi, di cui oltre la metà a valle di el-Qurnah lungo lo Shaṭṭ al-Arab: la produzione annua si aggira intorno alle 400 mila tonnellate, di cui oltre 1/3 destinate all'esportazione (vale a dire il 40% dei datteri di tutto il mondo). Molto meno importante è invece il contributo dato a questa dai cereali, sia perché una parte considerevole dei quantitativi viene destinata al consumo interno o è assorbita dai bisogni del bestiame, sia per il carattere ancora essenzialmente estensivo delle colture e il conseguente basso indice dei prodotti unitarî, sia infine perché, in un paese come questo, l'andamento delle stagioni influisce in modo assai variabile da anno ad anno sul rendimento. Grandi speranze si nutrono invece sul cotone, che ha dato prova di riuscire ottimamente nella regione del basso delta: col razionale impiego dell'irrigazione artificiale si spera di poter raggiungere qui una produzione media annua di un milione di balle, che, unite ad 1-11/2 milione di tonnellate di grano, compenserebbero l'impiego degli ingenti capitali necessarî alle bonifiche e alla canalizzazione. A differenza dell'Egitto, in cui la piena del Nilo cessa al sopraggiungere dell'inverno, il regime dell'Eufrate e del Tigri non apporta beneficio alle colture estive se non dove le loro acque, abbondanti fino al maggio, possono essere captate e distribuite opportunamente in questa stagione. Ma, dato il carattere e la violenza di tali piene e il decorso dei letti fluviali, che nel basso delta corrono pensili rispetto alle campagne circostanti, la condizione prima di ogni successo è in quella almeno relativa stabilità politica, che consenta il regolare funzionamento di pratiche irrigatorie delicate e bisognose di una continua, attenta opera di sorveglianza. Questo spiega la rapida decadenza succeduta alle invasioni mongole e continuata in regime turco, e anche il rapido rifiorimento che ha tenuto dietro all'occupazione inglese. I successi ottenuti fanno dunque bene sperare del futuro, anche se attualmente il cotone è limitato a pochi ettari (circa i 500, contro 140 mila su cui si conta), e da un prodotto che si può considerare quasi trascurabile e che arrivò appena a 4000 balle nel 1928.

Non del tutto trascurabile è invece l'importanza della frutticoltura, diffusa soprattutto nelle regioni del N. (ciliege, susine, albicocche, fichi, pesche, mandorle, noci) e degli ortaggi, che avrebbero certo anche maggiore sviluppo se potessero contare su vasti mercati di sbocco, o su trattamento industriale in situ.

Discreto è il patrimonio zootecnico, sebbene limitato in sostanza agli ovini (5,5 milioni di capi) e ai caprini (1,5 milioni) e quasi tutto in mano dei nomadi (nel basso delta sono impiegati i bufali nei lavori agricoli). Se ne ricavano essenzialmente pelli, cuoi e lane, che passano anche all'esportazione e animano il commercio locale. Notevole è anche il numero dei cammelli (150 mila capi), il mezzo di trasporto più comune per gli scambî con le regioni finitime e per i prodotti d'uso comune.

Produzione mineraria e industrie. - Le risorse del sottosuolo non sono tutte ben conosciute, ma un elemento di per sé bastevole a costituire una grande ricchezza è rappresentato dai giacimenti petroliferi, scaglionati lungo il confine orientale, dal Golfo Persico a Mossul. Due zone sono finora state prescelte per l'estrazione: la più larga e la più ricca intorno a Kerkūk, dove una decina di pozzi sono in attività a cura della Irak Petroleum Co., e un'altra presso Khānīqin, data in concessione alla società omonima, che coltiva anche l'attigua zona in territorio persiano. Infine ad ‛Abbādān, a SE. di al-Baṣrah, è stato costruito dalla Anglo Persian Oil Co. un immenso deposito per raccogliere il petrolio estratto dai pozzi della regione di Maidān-i Nafṭūn (Persia) di cui lo Shaṭṭ al-‛Arab rappresenta lo sbocco naturale al mare. L'esistenza di queste riserve e il loro sfruttamento hanno dato origine a complicazioni economico-politiche acute, specie dopo la guerra e la conseguente scomparsa della Germania dal campo della competizione. Attualmente le concessioni sono regolate in modo che poco meno della metà della produzione è controllata dal capitale inglese, poco meno di un quarto dalla Francia e altrettanto dagli Stati Uniti. La divergenza degl'interessi è tuttavia tale, che solo una piccola parte del petrolio disponibile viene estratto; a un aumento della produzione s'oppongono poi anche le difficoltà delle comunicazioni, che si pensa di vincere con la costruzione d'una gigantesca pipe-line, congiungente la zona di Kerkūk con al-Hadīthah sull'Eufrate, e di qui diramantesi da un lato verso Tripoli, dall'altro verso Haifa. La produzione attuale ha oscillato intorno ai 750 mila barrels annui (circa 800 nel 1929).

Le industrie sono ancora nello stadio d'infanzia, e tutte scarsamente attrezzate; una certa importanza hanno tuttavia, oltre quelle connesse col petrolio (raffineria di Khāniqīn e di ‛Abbādān), le fabbriche di saponi e di sigarette e quelle destinate al trattamento della lana prodotta nel paese, concentrate tutte intorno a Baghdād.

Commercio e comunicazioni. - Singolare contrasto col modesto sviluppo economico-politico dell'‛Irāq presenta la vivacità del commercio; ciò va posto in rapporto con la funzione di transito che il paese compie nei riguardi delle regioni vicine, massime della Persia (più della metà delle esportazioni persiane passano da Baghdād; il commercio di transito dell'‛Irāq ha raggiunto nel 1926-28 una media di 4,5 milioni di sterline annue), con la natura pianeggiante del territorio e con le opportunità offerte al traffico dai fiumi gemelli. Di questi il più adatto alla navigazione è il Tigri, che ha letto meno instabile, e maggior copia di acque; discreto è perciò il movimento che vi ha luogo a valle di Mossul per mezzo delle caratteristiche zattere (in arabo quffah) e, a S. di Baghdād, con velieri e barche a vapore di piccolo pescaggio. Delle ferrovie l'unica a carattere non locale è quella che da al-Baṣrah lungo l'Eufrate conduce a Baghdād e di qui si continua da un lato nella valle del Tigri, dall'altro lungo la fascia pedemontana petrolifera fino a Kerkūk: dei due tronchi il primo, che venne costruito come parte della celebre ferrovia tedesca di Baghdād, è ora parzialmente in demolizione. Il congiungimento con Mossul e Naṣībīn dovrà invece avvenire per mezzo del secondo, tronco, che serve una delle plaghe più ricche del paese. In complesso le ferrovie misurano 1500 chilometri.

La rete stradale, ove si prescinda dalle carovaniere, si riduce alle camionabili destinate a collegare Baghdād con Damasco e Mossul con Aleppo, sulle quali è concentrato tutto il traffico diretto verso il Mediterraneo.

Regolari servizi aerei collegano Baghdād con la Palestina e con l'Egitto da un lato, con la Persia settentrionale dall'altro, mentre un terzo collegamento muove di lì verso il Golfo Persico e l'India. L'unico porto dell'‛Irāq è al-Baṣrah sullo Shaṭṭ al-‛Arab, il centro modernamente meglio attrezzato del paese e il punto di raccolta di quasi tutti i prodotti destinati all'esportazione, a cominciare dai datteri e dal petrolio.

Il commercio estero dell'‛Irāq ha segnato negli ultimi anni le cifre (in milioni di sterline) che sono registrate nella tabella più sotto riportata.

Nelle esportazioni datteri e petrolio occupano un posto di gran lunga predominante; seguono i cereali (orzo soprattutto), le lane, le pelli, l'oppio, il sesamo, le frutta e la cera. Fra le importazioni, in ordine di valore, si succedono il cotone, lo zucchero, i manufatti in metallo d'ogni genere, i tessuti, gli olî, ecc. Il commercio è per i 4/5 in mano dell'Inghilterra e dell'India; verso quest'ultima è diretto il più delle esportazioni, dalla prima proviene oltre 1/3 delle importazioni. Importantissimo è il traffico con la Persia meridionale e non trascurabile la parte che nelle importazioni occupano Belgio, Olanda e Germania, mentre il 20% delle esportazioni va agli Stati Uniti.

Ordinamento politico. - L'ordinamento politico dell'‛Irāq è regolato dalla costituzione del 1924, la quale stabilisce che l'‛Irāq è una monarchia costituzionale ereditaria in linea diretta nella famiglia del re Faiṣal, la capitale è Baghdād, la religione dello stato è l'Islām, la lingua ufficiale l'araba; gli altri culti sono rispettati, nei distretti a maggioranza curda la lingua curda è ammessa nelle scuole e nei tribunali. Il re esercita il potere legislativo con il parlamento, composto da due camere, la camera dei deputati (maglis an-nuwwāb), elettiva (un deputato ogni 20.000 abitanti maschi, elezioni a doppio grado, 88 deputati nelle elezioni del 1925 e del 1928) e il senato (maglis alayān) di nomina regia (non più di 20 persone). Il potere esecutivo è esercitato dal re mediante un consiglio di ministri responsabili presieduto dal primo ministro; la giustizia è amministrata da tribunali civili (con una corte di cassazione a Baghdad), religiosi (tribunali sciaraitici per giudicare in materia di statuto personale dei musulmani e consigli di comunità per la stessa materia riguardo alle altre comunità religiose) e speciali. L'approvazione delle leggi, la nomina dei ministri, ecc., avvengono mediante decreti reali (irādeh). Amministrativamente il paese è diviso in 14 liwā': el-Mawṣil (Mossul), Irbil, Kerkūk, es-Suleimāniyyah, Diyālah, Baghdād, Dulaim, el-Kūt, Karbalā, el-Ḥillah, ed-Dīwāniyyah, en-Nāṣiriyyah, Amārah, al-Baṣrah. I liwā' si dividono in cazà (qaḥā) e questi in nāḥiyah.

Finanze. - Bilanci. - Le entrate del bilancio dell'‛Irāq derivano soprattutto dai dazî d'importazione e dalle tasse sul reddito agrario, in minima parte vi contribuiscono anche i diritti sui tabacchi e le tasse postali. Le spese di gran lunga superiori sono quelle sostenute per opere d 'irrigazione.

Le entrate, che negli ultimi esercizî avevano quasi sempre superato le spese dando luogo a piccoli avanzi, hanno subito, nel 1930-31, una notevole contrazione a causa delle poco favorevoli condizioni economiche generali.

Moneta e credito. - La Currency Law 19 aprile 1931, entrata in vigore il 1° luglio 1931 e sospesa poi fino all'aprile 1932, ha sostituito alla rupia indiana che era la moneta ufficiale e costituiva la massa fondamentale della circolazione, un'unità monetaria nazionale, il dinaro, corrispondente a 1 lira sterlina (cioè = g. 7,322.382 di oro fino) e diviso in 1000 fils. La circolazione consistente di monete divisionali d'argento e di biglietti anche di grosso taglio è sotto il controllo dell'Iraqui Currency Board, che risiede a Londra.

Storia. - Sede da tempi remoti dell'antica civiltà sumero-accadica (v. babilonia e assiria), poi, dal sec. VI al IV a. C., provincia persiana, il territorio mesopotamico subì, sotto l'impero dei Seleucidi, l'influsso della civiltà greca, che tuttavia non lasciò tracce profonde; il risorgere della potenza persiana con i Parti e ancora più con i Sassanidi annullò quasi interamente questo influsso, la presenza del quale non si fece sentire se non in via indiretta, attraverso l'azione del cristianesimo diffuso in quelle regioni fin dal sec. II d. C. Nel frattempo (continuazione d'un fenomeno iniziatosi in tempi antichissimi) gli Arabi nomadi andavano avvicinandosi sempre più al corso dell'Eufrate, attraverso il confine mal determinato e malsicuro del deserto, con tanto maggiore intensità quanto più profonda andava manifestandosi la decadenza politica ed economica del paese. Al principio del sec. VII, quando gli Arabi islamizzati se ne impadronirono e diedero al nome di ‛Irāq un carattere ufficiale, già da lungo tempo la popolazione, costituita essenzialmente dei discendenti degli antichi Babilonesi aramaizzati (v. aramei), era frammista di numerosi elementi persiani e arabi. La religione dominante era quella cristiana (nelle forme delle eresie giacobita o monofisita e nestoriana); ma numerosi erano i nuclei giudaici; vigoroso, nonostante la persecuzione da parte dei Sassanidi, il manicheismo; e la religione ufficiale dell'impero persiano, il zoroastrismo, vi si era, com'è naturale, impiantata solidamente.

La conquista araba (per la quale v. arabi: Storia) si trovò dunque di fronte a una civiltà composita e rigogliosa: nel processo di assimilazione, che fu lento, gli Arabi imposero la loro religione e la loro lingua, ma assorbirono a loro volta molteplici elementi estranei, i quali, in seguito alla parte predominante che l'‛Irāq ebbe nella formazione della civiltà islamica, si estesero a questa civiltà tutta intera. Le città (dapprima semplici accampamenti di beduini) di al-Küfah e al-Baṣah furono centri di espansione e di ulteriori conquiste verso l'altipiano iranico e l'Asia centrale, e al tempo stesso teatro delle rivalità politico-religiose che ben presto si manifestarono in seno all'Islām. L'‛Irāq divenne il centro della vita politica musulmana quando il quarto califfo ‛Alīvi si stabilì, per combattere la Siria, dominata dagli Omayyadi. La vittoria di questi (40 èg., 61 d. C.) fece dell'‛Irāq un focolare di opposizione, e in esso si svilupparono i due partiti degli Sciiti e dei Khārigiti, le cui sollevazioni turbarono la pace del paese per quasi un secolo. Pure l'energica azione di alcuni governatori degli Omayyadi, specialmente di al-Ḥaggiāǵ, valsero a promuovere la prosperità dell'‛Irāq, specialmente col riattamento dei canali d'irrigazione e navigazione, elemento essenziale della vita economica iraqena. Quest'opera fu proseguita sotto gli ‛Abbāsidi (v.); i quali, sostituitisi agli Omayyadi nel califfato, ne trasportarono la sede nell'‛Irāq, dove ben presto, e nel punto centrale del paese, sorse la splendida capitale Baghdād. I secoli IX e X videro uno straordinario sviluppo della ricchezza e della civiltà dell'‛Irāq, divenuto centro del commercio e della cultura internazionali: nello stesso torno di tempo si compie l'arabizzazione del paese, salvo che per pochi nuclei isolati (vedi mandei); gli stessi cristiani ed Ebrei, pur mantenendo il siriaco e l'ebraico come lingue liturgiche e di cultura religiosa, adottano l'arabo nell'uso quotidiano e si arabizzano nella cultura laica.

Tuttavia la decadenza politica del califfato, iniziatasi nel sec. XI, tolse all'‛Irāq la posizione di preminenza nel mondo islamico e ne promosse la decadenza economica.

Soprattutto la parte settentrionale, di difficile accesso, e dove dilagarono le invasioni dei Curdi, nomadi di razza iranica, quella meridionale, dove l'incuria nella manutenzione dei canali permise il riformarsi di una zona paludosa, e il confine verso il deserto, dove le incursioni dei nomadi non trovarono più salda resistenza, imbarbarirono rapidamente e furono sede di movimenti di ribellioni specialmente di carattere sciita. Il frazionamento dei dominî selgiuchidi in una serie di piccole dinastie locali e le lotte di queste contro i nemici sciiti (e in parte contro i crociati) tolsero all'‛Irāq l'unità politica nel corso del sec. XII; tuttavia il prestigio morale del califfato e lo splendore di Baghdād, soprattutto culturale, si mantennero fino all'invasione dei Tartari, che avvenne alla metà del secolo XIII.

Da questo tempo in poi l'‛Irāq è dominato da dinastie discendenti dal ceppo di Genghīz Khān, le quali, completamente islamizzate, continuano le tradizioni culturali del califfato, ma in un ambiente impoverito e decaduto. L'elemento persiano riprende vigore, senza tuttavia togliere alla regione il carattere arabo, ormai definitivamente assicurato. Alle dinastie d'origine mongola tuttavia si sostituiscono, nel sec. XVI, i Ṣafawidi persiani, che ricondussero nell'‛Irāq lo sciismo, il quale proprio colà aveva avuto origine, ma era stato debellato dall'ortodossia sunnita. Tuttavia il dominio dei Persiani fu contrastato, fin dall'inizio, dall'espansione dei Turchi ottomani: già sotto il sultano Selīm parte della Mesopotamia settentrionale fu annessa all'impero turco: Solimano s'impadronì di Baghdād (1534) e dell'‛Irāq meridionale; ma sotto i suoi successori esso fu più volte riperduto, e specialmente la regione di al-Baṣrah cadde ripetutamente in potere dei Persiani. Questo succedersi di guerre, cui s'intrecciano le periodiche invasioni e ribellioni dei beduini stanziati sui confini del deserto e penetranti sempre più addentro nelle regioni disertate dall'agricoltura, condussero l'‛Irāq a un grado d' estrema decadenza. Soltanto nella seconda metà del sec. XIX si ha l'accenno a un risollevamento, determinato, oltre che dalle riforme introdotte, sia pure senzs energia e senza continuità, dal governo ottomano, dall'interessamento delle potenze europee, per le quali l'‛Irāq costituiva non soltanto un possibile campo di sfruttamento economico, ma altresì un elemento nel giuoco di rivalità della politica internazionale. Il progetto tedesco d'una ferrovia da Costantinopoli a Baghdād, e di lì ad al-Baṣrah, apparve una minaccia per l'Inghilterra, cui mirava a tagliare la via all'India. Da ciò l'importanza che l'‛Irāq assunse nella guerra mondiale: l'Inghilterra, con contingenti in massima parte indiani, iniziò subito l'avanzata dal Golfo Persico verso Baghdād,. e, nonostante i gravi scacchi subiti, s'impadronì di Baghdād nel marzo 1917; intanto, da parte dei Turchi, si compivano persecuzioni e stragi negli elementi allogeni della popolazione sospetti d'ostilità verso il governo ottomano (Armeni e Assiro-Caldei, denominazione dei cristiani di origine nestoriana, passati in parte alla confessione di Roma).

Alla fine della guerra (novembre 1918) l'‛Irāq (comprendente gli antichi vilāyet ottomani di al-Baṣrah, Baghdād e Mossul) fu occupato interamente dall'Inghilterra, la quale già prima aveva, insieme con la Francia, proclamato di voler dare un governo autonomo al paese. Ma la costituzione di tale governo (per la quale fu subito riunita un'assemblea costituente) incontrò gravi difficoltà sia per le richieste delle minoranze (Curdi, Assiro-Caldei), sia per la complicata questione dei confini verso la Turchia, la Siria, la Transgiordania, il Neǵd, sia finalmente per le velleità di completa indipendenza manifestate da gran parte della popolazione. Assegnato l'‛Irāq all'Inghilterra come territorio di mandato, esso fu eretto a regno (23 agosto 1921) sotto Faiṣal (v.), figlio del re al-Ḥusain del Ḥigiāz e già pretendente al trono di Siria. Il nuovo re governò con grande abilità in mezzo a continue difficoltà prodotte dalla necessità di un'intesa con l'Inghilterra, da un lato, e da quella di non perdere popolarità con una politica troppo remissiva, dall'altro. Numerosi mutamenti di ministeri (uno dei presidenti, ‛Abd al-Muḥsin Sa‛dūn, giunse a uccidersi nel novembre 1929 per la difficile situazione in cui si trovava) e frequenti scioglimenti del parlamento (riunito per la prima volta nel 1925), ripetuti trattati con l'Inghilterra (1922, 1926, 1927, 1930), incursioni di bande wahhābite, rivolte di Curdi segnalarono il tormentato primo decennio del regno di Faiṣal; ma, al tempo stesso, la vita economica e civile dell'‛Irāq fece enormi progressi: assicurate le comunicazioni (specialmente automobilistiche), sviluppata l'agricoltura, promossa l'istruzione tanto elementare quanto superiore, l'‛Irāq è divenuto in breve una delle regioni più progredite del mondo musulmano e il suo re si è acquistato una larga popolarità, che egli ha saputo sfruttare proponendo (1930) un'alleanza tra gli stati arabi che sembra a molti preludere alla rinascita dell'antico califfato, ma che ha scarse probabilità di successo immediato. Anche con Ibn Sa‛ūd che persegue il medesimo scopo con tendenze più conservatrici, Faiṣal ha saputo conchiudere un trattato d'amicizia che, almeno provvisoriamente, ha troncato la rivalità tra i due regni. Finalmente, nel 1932, l'‛Irāq ricevette dall'Inghilterra la piena indipendenza (tuttavia con alcune concessioni economiche e militari che dànno all'Inghilterra il controllo effettivo del paese) e il 3 ottobre fu ammesso nella Società delle Nazioni. Le sue grandi ricchezze naturali e la situazione geografica permettono all'‛Irāq, qualora l'ordine e la buona amministrazione vi siano mantenuti, un avvenire quanto mai prospero.

V. tavv. LXXXV-XC.

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