῾IRĀQ

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

IRAQ

Matteo Marconi
Germano Dottori
Monica Ruocco

῾IRĀQ. – Demografia e geografia economica. Condizioni economiche. Kurdistan. Storia. Letteratura. Bibliografia

Iraq
fig. 1

Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Asia sud-occidentale. La popolazione irachena è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni, nonostante il clima di costante incertezza politica. In mancanza di dati ufficiali, le stime evidenziano che dal 2007 al 2014 gli iracheni sono aumentati di oltre il 20%, raggiungendo nel 2014 una popolazione di 34.768.761 ab., secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs). La popolazione irachena è etnicamente frammentata: preponderante è l’etnia araba (75-80%, secondo stime CIA, Central Intelligence Agency), cui si affiancano una rilevante minoranza curda (15-20%) e altri gruppi di dimensione più ridotta, quali gli yazidi, i turcomanni, gli assiri (complessivamente il 5% circa). La quasi totalità della popolazione è di religione musulmana (circa il 99%), divisa tra la maggioranza sciita (60-65%) e una consistente minoranza sunnita (32-37%), spesso in contrasto fra loro (v. fig. 1).

La crescita annua della popolazione è al 2,9%, sostenuta dall’alto tasso di fertilità (ben 4,1 figli per donna). Data la situazione conflittuale, la speranza di vita si mantiene bassa (69,4 anni, 2013), tuttavia, le stime sui servizi essenziali continuano a essere accettabili per via delle strutture approntate dal vecchio regime. L’accesso all’acqua è garantito in città, dove vive il 69% della popolazione, mentre è scarso nelle aree rurali (appena il 68,5% risulta coperto). Le cure mediche essenziali sono assicurate alla quasi totalità degli iracheni (85%), mentre comincia a pesare il dato sull’analfabetismo, con quasi il 20% che non è in grado di leggere e scrivere. Baghdād si conferma come la città di gran lunga più popolata (6.036.000 ab.), seguita da Mōsul (1.494.000), Bassora (942.000) ed Erbil (1.039.000).

Condizioni economiche. – È difficile offrire stime affidabili sull’economia irachena, tuttavia la struttura economica del Paese segue alcune costanti. Il comparto da cui dipende la gran parte delle esportazioni (oltre il 90%) e dell’impiego della forza lavoro è quello petrolifero. La produzione irachena di greggio è fortemente condizionata dalle difficoltà del Paese. Sotto Ṣaddām Ḥusayn l’embargo ridusse le possibilità di esportazione al contrabbando e al programma Oil for food. Dopo la guerra del 2003 sono ricominciati gli investimenti internazionali per l’ammodernamento degli impianti di estrazione e raffinazione. Tra il 2007 e il 2013 la produzione irachena del petrolio è balzata in avanti del 50%, posizionando il Paese al settimo posto come produttore al mondo e al quarto per introiti dall’export. La capacità di raffinazione è aumentata di quasi il 25% nello stesso periodo. Tuttavia, nonostante gli innegabili progressi, l’avanzata dell’IS (Islamic State) nel Nord-Ovest del Paese nel 2014 e lo stato di guerra hanno sottratto numerosi pozzi di petrolio al controllo statale, mettendo in pericolo la capacità dello Stato di sovvenzionarsi, dato che il 90% del budget dipende dalle attività legate al petrolio. Oltretutto, sebbene il Paese stia sfruttando solo in parte le proprie capacità estrattive, la guerra dei prezzi lanciata nel 2014 dall’Arabia Saudita è un ulteriore elemento di instabilità. A causa delle difficoltà nel controllo del territorio, nessun programma di diversificazione industriale è stato implementato. Il settore primario, che interessa quasi il 25% della popolazione attiva, mostra un significativo deficit produttivo rispetto alle esigenze del consumo, così da obbligare all’importazione. Le principali coltivazioni, frumento e orzo, sono scese nella produzione, mentre è aumentata quella di datteri nelle regioni meridionali. Ogni ulteriore possibilità di sviluppo è legata alla pacificazione interna e all’arrivo di investimenti dall’estero, indispensabili per ricostruire comunicazioni e trasporti.

Kurdistan. – Regione autonoma dell’Irāq la cui popolazione è stimata dal governo regionale del Kurdistan iracheno intorno a 5.200.000 ab., perlopiù concentrati nelle aree urbane. La dura politica anticurda adottata sotto Ṣaddām Ḥusayn spinse buona parte della popolazione nelle città, dove spicca per dimensioni la capitale, Erbil, che conta 1.039.000 residenti, seguita da Dahuk e As-Sulayma niyah. L’economia curda è strettamente legata all’industria petrolifera, dato che detiene circa il 20% delle risorse irachene. Questo è il motivo per cui il principale contenzioso con il governo centrale riguarda la delimitazione dei confini della regione autonoma. La conseguente decisione curda di concludere numerosi contratti di investimento dall’estero è stata finalizzata allo sviluppo delle infrastrutture estrattive, facilitata dalle condizioni politiche relativamente più tranquille rispetto al caos iracheno.

Indicatori economico-sociali

Storia di Germano Dottori. – L’I. entrava in una fase di pronunciata instabilità in seguito all’attacco scatenato nei suoi confronti da una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti il 20 marzo 2003. Ufficialmente giustificata sulla base della controversa dottrina della guerra preventiva con riferimento alla necessità di privare il regime di Ṣaddām Ḥusayn dell’arsenale di armi chimiche che si sosteneva possedesse, si ritiene che l’operazione Iraqi Freedom servisse anche a indurre l’Arabia Saudita a cooperare in modo più efficace alla lotta contro il terrorismo jihadista. In ogni caso, l’occupazione dell’I. seguita alla sua sconfitta militare dava vita al primo esperimento di trasformazione democratica imposto dall’esterno a un grande Paese del Medio Oriente. Il tentativo otteneva solo un parziale successo.

L’attività dell’Autorità provvisoria della coalizione (CPA, Coalition Provisional Authority), posta sotto la direzione dell’ambasciatore statunitense Paul Bremer III, risentì fortemente degli effetti del saccheggio dei ministeri, assaltati dalla folla dopo la caduta di Baghdād. L’intransigente politica di espulsione degli iscritti al partito al-Ba῾t perseguita dalla CPA contribuì peraltro a sua volta al disordine, allargando l’area del dissenso interno e ponendo a disposizione delle milizie settarie in via di organizzazione rilevanti risorse umane, particolarmente in seguito all’ordine di scioglimento delle forze armate. Risale al 2003 la costituzione dell’esercito del Mahdī, guidato dal clerico sciita Muqtadā al-Ṣadr, particolarmente forte nell’I. centro-meridionale e in alcuni quartieri della capitale. Di una propria forza combattente, la cosiddetta brigata Badr, si era dotato anche lo SCIRI (Supreme Council for the Islamic Revolution in Iraq), il Supremo consiglio per la rivoluzione islamica in ῾Irāq, guidato da ῾Abd al-῾Aziz al-Ḥakim e di orientamenti filoiraniani.

Nel 2005 prese finalmente forma un nuovo sistema politico, grazie alle elezioni per la Costituente in gennaio, al varo della Costituzione nell’ottobre successivo e al voto per il primo Parlamento in dicembre. L’Alleanza irachena unita – raggruppamento sciita composto dallo SCIRI (poi ribattezzato ISCI, Islamic Supreme Council of Iraq) e dal Da῾wa, o Partito della chiamata – si impose rapidamente come la maggiore forza politica del Paese. Dalle file di quest’ultimo veniva anche Nūrī al-Mālīkī, premier dal 2006 al 2014. Replicando un modello tripartito applicato in Libano, la presidenza della Repubblica veniva attribuita a un esponente curdo – Ğalāl Ṭālabānī fino al 24 luglio 2014, poi Fū᾿ād Ma῾ṣūm – mentre ai sunniti si riservava la meno incisiva guida del Parlamento.

All’insurrezione contro il contingente alleato in ῾I. – scatenata da un coacervo di forze assai composite e senza alcun collegamento tra loro, di affiliazione tanto sunnita e jihadista quanto sciita – si sovrappose dal 2006 una vera e propria guerra civile, che fu innescata da alcuni attentati, come quello alla moschea di Sāmarrā᾿, compiuti da gruppi legati ad al-Qā῾ida e guidati da Abū Muṣ῾ab al-Zarqāwī.

Ne discese una sanguinosa campagna di pulizia confessionale, con altissimi picchi di violenza nelle zone in cui sciiti e sunniti convivevano. Le truppe della coalizione internazionale reagirono all’intensificazione degli scontri, sostenendo il tentativo del governo centrale iracheno di stabilire il proprio controllo sul Paese con un approccio inizialmente di tipo ‘cinetico’, cioè fondato sul ricorso alla forza armata e alla potenza di fuoco, di cui l’esempio più noto sono le battaglie combattute per al-Fallūja. A causa del suo evidente insuccesso, tale strategia fu tuttavia sottoposta a profonda revisione, con l’apporto di risorse interne ed esterne all’amministrazione statunitense, allora guidata da George W. Bush. Veniva intanto processato e messo a morte, il 30 dicembre 2006, Ṣaddām Ḥusayn.

fig. 2

Il 10 gennaio 2007, il presidente statunitense optava per il surge, un incremento temporaneo delle forze operanti in ῾I., affidando un mese dopo la direzione delle operazio ni di stabilizzazione al generale David H. Petraeus, fautore di una dottrina di controinsurrezione che era incentrata sul primato accordato alla protezione dei civili locali anziché alla distruzione fisica del nemico. La nuova strategia, dopo un iniziale deterioramento della situazione, ridusse progressivamente le violenze anche grazie agli accordi informali stretti con le tribù dell’al-Anbār, dai cui ranghi provenivano molti elementi jihadisti, permettendo agli Stati Uniti di preparare il loro ritiro militare dall’Irāq. Un accordo tra il governo statunitense e quello iracheno, sottoscritto nel novembre 2008, fissava quindi per il 30 giugno seguente il ripiegamento dei militari statunitensi dalle maggiori città e la loro definitiva uscita dal Paese entro il 31 dicembre 2011. Tale tempistica fu rispettata, senza che peraltro l’I. potesse considerarsi stabilizzato (fig. 2).

Solo marginalmente toccato dalle primavere arabe, l’I. veniva ulteriormente destabilizzato dalla guerra civile scoppiata nell’attigua Siria, conflitto che portava all’affermazione dell’IS (v.) su vaste porzioni del suo territorio, riunite in un califfato proclamato ufficialmente il 24 giugno 2014. La necessità di difendere gli equilibri regionali e le istituzioni irachene determinava un nuovo intervento militare internazionale e l’avvicendamento del premier al Mālīkī, dimessosi il 14 agosto 2014 per far posto ad Ḥaydar al-῾Abādī, in carica dal 9 settembre seguente. Neanche il nuovo governo insediatosi a Baghdād, tuttavia, riusciva a ristabilire la sua piena sovranità su tutto il territorio iracheno, in parte rimasto sotto controllo dell’IS. Durante il 2015, ebbero luogo aspri combattimenti per il controllo di città come Tikrīt e ar-Ramādī, più volte cambiate di mano.

Letteratura di Monica Ruocco. – La letteratura irachena degli ultimi due decenni si concentra principalmente sulla rielaborazione dei traumi provocati dagli avvenimenti che hanno stravolto il Paese dal 1991 e, ancor più, dal 2003 fino a oggi. Alla devastazione politica del Paese corrisponde una frantumazione etnica, oltre a una massiccia diaspora della popolazione che coinvolge anche l’ambiente culturale. Per quanto riguarda la poesia, la voce più autorevole è quella di Sa῾dī Yūsuf (n. 1934), il quale ha lasciato l’I. nel 1979, ma ne ha continuato a interpretare la disgregazione nei suoi versi, influenzati dapprima dall’ideologia socialista e panaraba, e impregnati poi da toni più lirici e introspettivi. Yūsuf è autore di trenta raccolte di poesie riunite in sette volumi, l’ultimo dei quali è stato pubblicato nel 2014. Alla sua si affiancano le voci di due poetesse: Amal al-Ǧubūrī (n. 1967), rientrata in ῾I. dopo la caduta del regime, autrice delle raccolte Hāǧar qabla al-iḥtilāl, Hāǧar ba῾da al-iḥtilāl (2008, Hagar prima dell’occupazione, Hagar dopo l’occupazione) e Anā wa al-ǧannah taḥta qadamayk (2013, Io e il Paradiso sotto i tuoi piedi) in cui centrale è l’interesse per la condizione della donna da una parte e per il misticismo dall’altra. Dunyā Miḫā᾽īl (n. 1965), trasferitasi negli Stati Uniti nel 1990, continua però a scrivere i suoi versi soffermandosi soprattutto sul tema della guerra come nella raccolta al-Ḥarb ta῾malu bi-ǧadd (2000; trad. it. La guerra lavora duro, 2011).

Nonostante la critica situazione politica e sociale il genere del romanzo vive un’indubbia rinascita. L’eredità di Fu᾽ād al-Takarlī (1927-2008), pioniere della narrativa irachena, è stata raccolta da scrittori il cui valore è riconosciuto nel mondo arabo e a livello internazionale. Molti sono quelli che hanno sentito l’esigenza di mettere al centro dei propri romanzi il tema dell’esilio, a partire da In῾ām Kaǧahǧī (Inaam Kachachi, n. 1942), trasferitasi in Francia nel 1979, quando Ṣaddām Ḥusayn assunse il potere. Tra i suoi romanzi Sawāqī al-qulūb (2005, Flussi di cuori), seguito da al-Ḥafīdah al-amīrikiyyah (2008, La nipote americana) che descrive l’intervento statunitense in ῾I. attraverso lo sguardo di una donna arabo-statunitense rientrata nel Paese come interprete per l’esercito occupante; Ṭašārī (2013), il cui titolo riprende un’espressione che si riferisce al colpo sparato dai fucili da caccia a pallini e si usa nella lingua comune come metafora della diaspora degli iracheni in tutto il mondo, mentre la storia parte dagli anni Cinquanta e segue la dispersione di una famiglia in luoghi diversi del mondo. Il suo saggio Paroles d’Irakiennes (2003; trad. it. Parole di donne irachene, 2003) raccoglie testimonianze femminili sul dramma della guerra.

Una serie di scrittori nati tra gli anni Sessanta e Settanta mostrano l’intento comune di riscrivere la storia recente del Paese, ma anche di raccontarne gli orrori. Sinān Anṭūn, nato a Baghdād nel 1967 da padre iracheno e madre statunitense, si è trasferito negli Stati Uniti nel 1991 ed è considerato il più importante scrittore della sua generazione. Ha pubblicato I῾ǧām (2003; trad. it. Rapsodia irachena, 2010), ambientato durante la guerra Irān-῾Irāq in cui descrive le assurdità del regime baathista attraverso la storia di un prigioniero politico; Waḥdahā šaǧarat al-rummān (2010, Soltanto l’albero di melograno), tradotto dall’autore in inglese con il titolo The corpse washer, è un romanzo di formazione che ha come protagonista un giovane sciita; e Yā Maryam (2012, Ave Maria) sulla questione delle minoranze cristiane nel Paese. Nel 2003 Anṭūn è rientrato in ῾I. per girare il documentario About Baghdad (2004) sugli effetti di decenni di violenza sulla capitale. Hassan Blasim (n. 1973), originario di Kirkuk, è invece emigrato illegalmente spostandosi in diversi Paesi fino ad arrivare in Finlandia, dove vive come rifugiato politico dal 2004. Nei suoi testi, per lo più racconti brevi, rompe diversi tabù che riguardano sia la lingua sia i temi delle sue storie, al cui centro vi sono comportamenti e sentimenti caratterizzati da bassezza morale e assenza di principi etici. La sua raccolta Maǧnūn sāḥat al-ḥurriyah (trad. it. Il matto di Piazza della libertà, 2012) è stata dapprima pubblicata esclusivamente sul blog dell’autore e poi a Beirut nel 2012. Le due raccolte pubblicate in inglese The Iraqi Christ (2013) e The corpse exhibition and other stories from Iraq (2014) comprendono racconti di guerra e migrazione in cui la morte è la vera protagonista. ῾Alī Badr (n. 1974), che risiede in Belgio come rifugiato politico, ha scritto una serie di romanzi incentrati sull’ambiente intellettuale. Tra questi Bābā Sārtr (2001, Papà Sartre), sul decennio Cinquanta-Sessanta dominato da una classe intellettuale infatuata dell’esistenzialismo francese; al-Walīmah al-῾āriyah (2004, Il banchetto nudo), sul dibattito tra i sostenitori di un discorso religioso e i fautori del secolarismo alla vigilia dell’occupazione britannica; Ṣaḫab wa nisā᾿ wa kātib maġmūr (2005, Tumulto, donne e uno scrittore misterioso), sull’emarginazione della generazione di scrittori vissuti negli anni Novanta sotto la dittatura; Ḥāris al-tabġ (2008, Il guardiano del tabacco) in cui ritrae ottant’anni di storia irachena attraverso le diverse componenti etniche e religiose del Paese. Infine Aḥmad Sa῾dāwī (n. 1973), l’unico di questi autori che risiede ancora in ῾I., ha ricevuto nel 2014 l’IPAF (International Prize for Arabic Fiction) e il riconoscimento britannico Independent Foreign Fiction Prize per Frānkištāyn fī Baġdād (2013, Frankenstein a Baghdād), la storia di un uomo che gira per le strade della capitale raccogliendo pezzi di cadaveri di persone morte a causa delle esplosioni.

Bibliografia: Al-Mutanabbi street starts here. Poets and writers respond to the March 5th, 2007, bombing of Baghdad’s “Street of the Booksellers”, ed. B. Beausoleil, D. Shehabi, New York 2012; F. Caiani, C. Cobham, The Iraqi novel, Edinburgh 2013.

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