ARTOM, Isacco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ARTOM, Isacco

Giuseppe Talamo

Nato ad Asti il 31 dic. 1829, l'A. ricevette la prima educazione dal padre Raffaello e dai fratelli maggiori Israel e Alessandro. Aveva appena iniziato gli studi universitari a Pisa, quando scoppiò la prima guerra d'indipendenza (1848): l'A. si arruolò nel battaglione universitario toscano, ma una grave malattia lo costrinse a lasciare il reparto e a far ritomo alla casa patema in Asti. Ripresi gli studi nell'università di Torino, vi si laureò in giurisprudenza il 4 luglio 1853. Accanto agli studi giuridici, coltivò anche interessi letterari (collaborò, in forma anonima, al Crepuscolo di C. Tenca dal 1850 al 1857), e fu proprio questa comune disposizione che lo avvicinò a C. Nigra, stabilendo tra i due una amicizia destinata a restare salda per tutta la vita. Allo stesso periodo torinese risale l'affettuoso legame con G. Dina, il futuro direttore dell'Opinione.

Lasciata l'università, l'A. fece pratica forense presso uno dei più noti avvocati di Torino, F. Galvagno, finché, il 20 nov. 1855, vinse il concorso per volontario nel ministero degli Affari esteri, dove l'anno successivo (21 dic. 1856) venne promosso applicato di IV classe. Quando il Nigra,, inviato in missione a Parigi, lasciò la segreteria particolare di Cavour, segnalò, come la persona più adatta a sostituirlo, l'A. che da allora (novembre 1858) fu sempre accanto al grande ministro, di cui conquistò rapidamente l'intera fiducia: a giudizio di un diplomatico francese, H. d'Ideville, sarebbe stato addirittura preferito al Nigra. Anche se questa affermazione non può essere accettata perché contraddetta da diverse altre testimonianze più probanti, pure la collaborazione tra il Cavour e l'A. fu effettivamente strettissima. Estensore della sua corrispondenza più riservata, intelligente esecutore dei vari disegni cavouriani, l'A. agli inizi del 1859 scrisse per giornali inglesi, francesi, tedeschi e spagnoli una serie di articoli destinati a preparare l'opinione pubblica europea alla imminente guerra contro l'Austria. Partecipò attivamente alle trattative per la soluzione della questione rom nel 1860-61, formulando egli stesso un progetto circa l'elezione dei vescovi. All'A. il Cavour affidò la redazione della risposta all'arcivescovo di Chambéry che, nell'entrare a far parte dell'episcopato francese, in seguito alla cessione della Savoia alla Francia, aveva aspramente stigmatizzato la politica ecclesiastica "persecutrice" attuata dal governo sardo. Il 31 luglio 1860 l'Armonia attaccava molto violentemente Cavour - definito "ni un homme d'esprit, ni un homme sérieux" - a causa della "specialissima confidenza" che aveva con "un ebreo, applicato al suo gabinetto particolare, nel ministero dell'estero". All'attacco rispose subito, il 2 agosto, l'Opinione con una decisa replica di Cavour che rese aperta testimonianza di stima all'A., posto sullo stesso piano del Nigra: "collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozi i più delicati e difficili... d'ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo".

In realtà, però, la concezione separatistica cavouriana non mancò di suscitare nell'A. perplessità che si andarono accentuando dopo la morte del suo ideatore.

In polemica col Treitschke, nel 1871, l'A. diede infatti della formula "libera Chiesa in libero Stato" un'interpretazione assai restrittiva: "trop générique et abstracte pour constituer la seule règle de conduite du Gouvernement", essa rappresentava, in sostanza, "purement et simplement la tendance à resoudre dans un sens libéral la question des rapports entre l'Eglise et l'Etat s. La politica ecelesiastica cavouriana avrebbe avuto per effetto, a detta dell'A., di liberare il papato da tutte le odiosità del potere temporale, facendolo "crescere in prestigio", senza che esso avesse in ciò alcun merito o partecipazione effettiva: critica questa, accettata recentemente dall'Omodeo, che ne trovava conferma nelle testimonianze della diplomazia austriaca portate dal Salata.

Alla fine del giugno 1861, il conte F. Arese fu inviato a Parigi in missione straordinaria per ringraziare Napoleone III dell'avvenuto riconoscimento del Regno d'Italia, nonché per fare qualche cauto sondaggio sul problema del Veneto ancora sottoposto alla dominazione austriaca. L'A. fece parte della missione (30 giugno-11 luglio) in qualità di segretario.

Scrivendo da Parigi il 6 luglio, egli formulava un proprio piano per risolvere la questione veneta (poi naufragato, nonostante l'appoggio inglese, per l'opposizione dell'Austria ,e della Turchia): acquistare dall'irnpero turco nell'Erzegovina e nella Bosnia un territorio pari per estensiune e per popolazione alla Venezia da cedersi all'Austria in cambio della regione italiana. Tale soluzione "diplomatica" e "moderata", in linea con tutta la tradizione piemontese da A. Cotti di Brusasco, ambasciatore in Russia nel 1818, a V. De La Tour, a C. Balbo, preferita di gran lunga dall'A. ,alle "inutili bravate sia in Parlamento, sia nei giornali semiufficiali", non gli impediva di avere contatti diretti con i rappresentanti del mondo slavo, quali il serbo Emanuele Jokic e lo scrittore croato Imbro Ignjatijević Tkalac.

Come segretario di legazione, l'A. venne inviato a Parigi il 3 marzo 1862, ma già nel dicembre di quell'anno rientrava in Italia per assumere la carica di capo di gabinetto del ministro degli Esteri, carica che conservò fino all'ottobre 1864, allorché cadde il ministero Minghetti che aveva concluso la convenzione di settembre con la Francia.

L'azione politica perseguita dall'A. fu sempre ispirata al modello cavouriano ("Con Nigra e Artoni cerchiamo di far rivivere la politica del passato, ma l'anima ci manca: Cavour non è più", scriveva O. Vimercati a M. Castelli il 2 marzo 1866), ma con una notevole accentuazione dell'elemento conservatore e una conseguente diffidenza per ogni iniziativa democratica. La costante preoccupazione dell'A. era rivolta esclusivamente ai problemi di politica interna e, tra questi, soprattutto al bilancio, onde logico appare il suo neutralismo che nasceva da sfiducia circa le possibilità dell'Italia di impegnarsi in una guerra europea e dal timore che l'elemento democratico potesse riprendere l'iniziativa, come era avvenuto nella fase conclusiva del Risorgimento (1860-61). Alla vigilia della guerra italo-austriaca del 1866, l'A. esprimeva al Castelli le sue perplessità circa l'eventualità di un conflitto in cui l'Italia fosse impegnata direttamente. Avrebbe potuto il paese "rimanere in armi tutto un mese, senza che l'entusiasmo e la concordia svaporassero in canzoni" e senza che i volontari trascinassero "a qualche mal passo" che avrebbe guastato "la nostra posizione diplomaticamente assai buona, finanziariamente pessima" (24 maggio 1866)?

Una volta scoppiata la guerra del 1866, l'A. lasciò Parigi il 27 luglio per raggiungere B. Ricasoli al quartier generale dell'esercito a Ferrara e nel mese successivo accompagnò il generale Menabrea a Vienna per i negoziati di pace.

Nel novembre dello stesso anno, chiamatovi da E. Visconti Venosta, l'A. si recò a Firenze per partecipare alle riunioni che avevano per fine la riorganizzazione delle forze liberali romane.

Il 3 dicembre ebbe un lungo colloquio con M. Montecchi e con Visconti Venosta, durante il quale si decise di agire per mezzo di Ricasoli su F. Gualterio perché si facesse "centro di una organizzazione più ampia" del Comitato nazionale romano. Ma le opinioni dell'A. sulla situazione romana erano in realtà lontane non solo da quelle di Montecchi, ma anche da quelle del Castelli, che gli appariva addirittura "un garibaldino". Il dissenso fra i due riguardava il comportamento che i liberali romani avrebbero dovuto tenere: per il Castelli essi avrebbero dovuto riorganizzarsi in attesa di una possibile azione, sempre naturalmente in stretto contatto con i deliberati dei governo di Firenze, per l'A., al contrario, essi avrebbero dovuto sospendere qualsiasi attività. "Tu temi che i romani sonnecchino troppo (scriverà a Castelli da Parigi il 22 genn. 1867); io desidero invece che essi facciano lunghi sonni, e che lo statu quo duri il maggior tempo possibile". Il fine da raggiungere era insomma: "cloroformizzare la questione romana".

Il problema del Lussemburgo, sollevato da Napoleone III, in quello stesso 1867, sembrò mettere in pericolo la pace europea. L'A. non si stancava di ripetere da Parigi consigli di pace: "L'Italia dovrebbe adoperarsi per impedire la guerra, ed in niun caso dovrebbe prendervi parte" (a Castelli, 6 apr. '67); la missione dell'Italia era di "favorire la pace, non la guerra" (allo stesso, 15 maggio '67). Una cosa sola era essenziale per il paese: "evitare il fallimento ed il rifiuto di pagare le imposte".

La guerra fu allora evitata mediante la neutralizzazione del Lussemburgo. L'A. fu inviato nel giugno alla Conferenza monetaria internazionale e il 10 agosto nominato ministro plenipotenziario a Copenaghen. La nuova destinazione non gli piacque molto e nel lasciare Parigi, il 31 nov. 1867, manifestava al principe Napoleone la speranza che il suo "esilio" non sarebbe stato di lunga durata. L'anno successivo, invece (23 genn. 1868), era inviato a Carisruhe.

Di fronte al precipitare della crisi franco-prussiana, nel giugno 1870, l'A. fu inviato dal governo italiano "in missione segreta" a Vienna. Egli avrebbe dovuto accertare in quale misura l'Austria era disposta ad entrare in una combinazione con l'Italia e con la Francia, o con l'Italia soltanto; cosa chiedeva per la sua neutralità, quale atteggiamento avrebbe tenuto in caso di occupazione dello Stato romano da parte italiana.

L'A. giunse a Vienna la notte tra il 18 e il 19 luglio, proprio mentre la Francia dichiarava la guerra alla Prussia. I contatti con F. F. von Beust, presidente del Consiglio dell'impero austro-ungarico, e con G. Andrássy, Presidente del Consiglio ungherese, procedettero con difficoltà a causa della "Posizione difficile e penosissima" in cui l'A. si trovava di fronte ai suoi interlocutori. Nello stesso mese di luglio, infatti, giungeva nella capitale austriaca O. Vimercati, inviato personale di Vittorio Emanuele II, con l'incarico di accertare le reali intenzioni dell'Austria circa un possibile intervento a favore della Francia insieme con l'Italia. Se si aggiunge il fatto che in quel periodo non esisteva a Vienna un rappresentante ufficiale del governo italiano, perché Minghetti, nominato, non aveva ancora accettato, si avrà un'idea della difficoltà della missione dell'A. che rischiava di essere da un momento all'altro smentita o superata da iniziative parallele e incontrollate. La tesi dell'A. sulla questione dell'eventuale intervento era, comunque, chiarissima e conseguente a tutta la posizione neutralistica constantemente da lui sostenuta: non si sarebbero dovuti prendere impegni "nemmeno, eventuali" né con l'Austria né con la Francia. L'Italia non sarebbe stata pronta prima di cinque o sei settimane, ed era inutile impegnarsi subito quando nel frattempo sarebbero potute mutare (come infatti mutarono) tante cose. La guerra, inoltre, non era sentita dagli Italiani; era una guerra "di gabinetto", estremamente pericolosa per uno stato così giovane, anche perché rivolta contro un popolo che difendeva la propria nazionalità. L'unità tedesca, infine, non era pericolosa per l'Italia, mentre assai dannosa si rivelava sempre più una eccessiva preponderanza francese sul nostro paese. Soltanto una "ragionevole" soluzione della questione romana avrebbe potuto giustificare un intervento.

Nel settembre del '70, quando oramai la sconfitta di Sedan e la fine del Secondo Impero avevano vanificato il problema dell'eventuale intervento italiano, l'A. venne chiamato dal Visconti Venosta ad occupare la carica di segretario generale del ministero degli Affari esteri, in un primo tempo (fino al novembre) di fatto, poi, dopo l'invio di A. Blanc a rappresentante ufficiale a Madrid, con nomina ufficiale (consiglio dei ministri del 30 nov. 1870).

La collaborazione col Visconti Venosta e col Nigra fu strettissima, basata (come ha scritto F. Chabod) non soltanto su una "consuetudine sentimentale", ma su una maturata "affinità di idee" che riusciva a unire insieme il "brillantissimo e seducente" Nigra con il "dignitoso e un po, solenne" Visconti Venosta: l'A. si riservava il ruolo che gli era ormai abituale di "confidente e ispiratore sagace". Non agì soltanto, perciò, come intelligente trait d'uníon tra il ministro degli Esteri e i rappresentanti italiani all'estero ma, all'interno, cercò di tenere i contatti tra i maggiori rappresentanti di quella classe politica che volgeva oramai al tramonto: ancora nel febbraio 1874 tentava di far entrare in uno stesso ministero Minghetti, Sella e Visconti Venosta, superando i passati dissidi.

La caduta della Destra significò la fine della carriera politica dell'A., esonerato dalle funzioni di segretario generale il 26 marzo 1876, tre giorni dopo che, a riconoscimento dell'opera svolta per oltre vent'anni al servizio del paese, era stato nominato senatore.

Di fronte al manifestarsi in Italia di tendenze filobismarckiane e autoritarie, l'A., rimasto fedele ad una concezione liberale conservatrice, espresse il suo dissenso da esperimenti, come quello crispino, che comportavano "una vera abdicazione del Parlamento" (a Nigra, 21 dic. 1887). E non è priva di significato, da questo punto di vista, l'introduzione che premise alla sua traduzione del volume di R. Gneist Lo Stato secondo il diritto, ossia la giustizia nell'amministrazione politica (pubblicato nella "Biblioteca di scienze politiche" diretta da A. Brunialti, VII, pp. 1111-1335; l'introduzione dell'A. è alle pp. 1111-1138; Torino 1881), quando le cure della politica militante appartenevano a un passato che gli appariva sempre più remoto non tanto per il numero degli anni trascorsi quanto per il costume politico così profondamente mutato. Morì a Roma il 29 genn. 1900.

Oltre alla introduzione allo Gneist, l'A. scrisse pure l'introduzione all'Oeuvre parlementaire du Comte de Cavour, traduite et annotée par I. A. et Albert Blanc, Paris 1862.

Fonti e Bibl.: Nel Museo Nazionale del Risorgimento di Torino vi sono diverse lettere dell'A.dal 1858 al 1897 (Archivio Carutti, 58/10-11; Archivio Bardesono, 170; Archivio Durando,127/32 e 44; Carteggio A/156/19; Archivio Nigra 183/41 Archivio Berti, 50/29; Archivio Dina: 202/98-110; Archivio Levi, 27/23, 24, 25, 26 e 27); altre, ma copie, presso la Fondaz. Cavour a Santena. Documenti vari presso l'erede Angelo Artom, a Roma. Carteggio politico di Michelangelo Castelli, a cura di L. Chiala, Roma-Torino-Napoli 1890, I (1847-1864), pp. 364, 370, 371; II (1864-1875), pp. 5, 6, 91, 105, 131, 170, 178, 182 s., 187, 203 s., 223 s., 242, 374 s., 484: 487, 519; Isacco ed Ernesto Artom, Iniziative neutralistiche della diplomazia italiana nel 1870 e nel 1915. Documenti inediti, a cura di A. Artom, Torino 1954, passim; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del regno d'Italia. Carteggi di Camillo Cavour, a cura della Commissione editrice, I, Bologna 1949, p. 212; La questione romana negli anni 1860-1861. Carteggi dei conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. Vimercati, Bologna 1929, I, pp. 6, 308, 328; II, pp. 200, 268 s.; Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, a cura della Commissione editrice, IV, Bologna 1961, pp. 6, 119, 142, 307; I Documenti diplomatici italiani, Seconda serie, 1870-1896, I (21 sett-31 dic. 1870), Roma 1960, passim; G.Massari, Diario dalle cento voci, 1858-1860, a cura di E. Morelli, Bologna 1859, pp. 196, 201, 264, 334, 494, 506, 507, 509, 510; Annuario diplomatico del Regno d'Italia per l'anno 1886, compilato per cura del ministero per gli Affari Esteri, 1° luglio 1886, Roma 1886, p. 119; H. d'Ideville, Journal d'un diplomate en Italie, 1859-1862, Paris 1872, p. 239; A. Bonfadini, Vita di Francesco Arese con documenti inediti, Torino 1894, pp. 213 s.; E. Artom, L'opera politica del senatore Artom nel Risorgimento italiano, Parte I: Collaborazione col conte Camillo di Cavour, Bologna 1906; D. Zanichelli, L'opera politica di I. A., in Nuova Antol., CCX(1906), fasc. 837, p. 40; A. D'Ancona, Ricordi storici del Risorg. italiano, Firenze 1913, pp. 445-456; A. Comandini, Il principe Napoleone nel Risorgimento italiano, Milano 1922, pp. 231 s., 252; F. Salata, Per la storia diplomatica della questione romana, I: Da Cavour alla Triplice Alleanza con documenti inediti, Milano 1929, pp. 13, 272 s.; A. Omodeo, recens. a La questione romana..., in La Nuov, Italia, I(1930), pp. 451, 500, ripubblicata in Difesa del Risorgimento, Torino 1951, pp. 331, 350; F. Cataluccio, La Politica estera di E. Visconti Venosta, Firenze 1940, p. 69; F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896. I: Le premesse, Bari 1951, passim; A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, pp. 195, 202 s.; L. Baudoin, I. A., Torino 1961; A. Tamborra, Imbro I. Tkalac in Italia, 1863-1870, in Studi in onore di E. Lo Gatto e F. Maver,Firenze 1962, p. 9 dell'estr.; S. Wininger, Grosse jüdische Nationalbiographie, p. 154; Encyclopaedia judaica, III, col. 409; The Encyclopaedia of jewish knowledge, p. 49.

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