NOGAROLA, Isotta

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NOGAROLA, Isotta

Lorenzo Carpanè

NOGAROLA, Isotta. – Nacque a Verona nel 1418 da Leonardo, erede di una delle famiglie veronesi di più antica e illustre nobiltà, e dalla padovana Bianca Borromeo, dal cui matrimonio nacquero quattro figli: Ludovico, Antonio, Leonardo, Iacopo, e altre cinque figlie: Bartolomea, Laura, Samaritana, Isabella e Ginevra (nata verso il 1419).

Morto giovane il padre, tra il 1425 e il 1433, fondamentale per la formazione morale e culturale di Isotta e delle sorelle fu la madre, anche se, cosa normale per l’epoca, era analfabeta, come testimonia il fatto che per redigere il testamento, il 24 marzo 1457, ricorse all’arciprete della chiesa di S. Stefano, Giovanni di Facino. Isotta poteva inoltre contare su una tradizione familiare di studi, nei quali si erano affermato gli zii Angela e Giovanni. Forse a partire dai primi anni Trenta, ebbe come maestro Martino Rizzoni, il più qualificato di Verona, in relazione con Guarino Guarini e altri illustri letterati dell’epoca

A Rizzoni Eugen Abel (in I. Nogarola, Opera..., 1886, I, p. XVI) attribuisce il merito della formazione umanistica di Isotta e Ginevra, anche se, come osserva Rino Avesani (1984, p. 63), la partenza da Verona di Guarino aveva lasciato una situazione ben poco felice per gli studi, cui il «mediocre» Rizzoni non poteva sopperire. Non è dato sapere con certezza se Isotta abbia avuto altri precettori, come sembrerebbero dimostrare testimonianze di Giorgio Bevilacqua e di Ludovico Foscarini. Va comunque rilevato lo stretto legame che unì, durante la formazione, Isotta e Ginevra. Per loro, su richiesta della madre, il maestro Ognibene da Lonigo tradusse l’orazione De virtute et vitio di s. Giovanni Crisostomo.

Isotta visse insieme con la madre nella casa di proprietà prima del fratello Antonio e poi di Ludovico, in contrada S. Cecilia. Fin da giovane condusse vita monacale e forse proprio questa condizione virginale costituì il prerequisito perché potesse essere accettata come intellettuale dal mondo maschile.

La maggior parte delle lettere di Isotta che sopravvivono risale al periodo 1434-40; il tema prevalente è quello della difesa del sesso femminile, come si può vedere specialmente nella lettera a Damiano Del Borgo del 18 aprile 1539 o 1540, nella quale propone come modelli alcune grandi donne del passato, quali Cornelia o Saffo; ma anche in quella a Guarino dell’11 ottobre 1536 loda Lasthenia e Axiothea, donne che si erano travestite da uomini per potersi avvicinare a Platone.

In questa prima parte dell’epistolario le presenze patristiche e bibliche sono scarse, mentre abbondano quelle classiche: Cicerone in primo luogo, ma anche Virgilio, Valerio Massimo, Giovenale, Petronio. La prima lettera, del 1434, scritta a Ermolao Barbaro su sollecitazione dello stesso e contenente le congratulazioni per la sua elezione alla carica di protonotario apostolico, manifesta chiari intendimenti letterari e inizia con una citazione dal Satirycon di Petronio.

Dalla prima missiva datata diretta a Isotta, scritta da Giorgio Bevilacqua nel febbraio 1436, si ricava che la donna era in possesso di un codice di Livio. Bevilacqua, inoltre, fece dono alle due sorelle di un codice di s. Girolamo. Lo stesso Bevilacqua in un’epistola da Bologna (22 luglio 1436 o 1437) racconta come la fama delle due sorelle Nogarola fosse già diffusa anche in quella città, tanto che durante una discussione in piazza tra uomini illustri ci fu chi affermò che «illas in Corneliae matris gremio pariter ac sermone educatas appareat» (Opera..., 1886, I, p. XXI). Una sola lettera, tra quelle note, fu scritta da Isotta a Bevilacqua (ibid., I, pp. 36-41) e si differenzia dalle altre dell’epistolario per il carattere personale, tanto che, secondo Avesani (1984, p. 66) le sue parole riflettono «una sommessa, sofferta tensione femminile, un pudico, forse inconscio, ma appassionato trasporto sentimentale».

Nel 1436 iniziò uno scambio epistolare con il figlio del doge Francesco Foscari, Giacomo, il quale, nell’ottobre di quell’anno, in aggiunta alle sue, fece pervenire lettere delle due sorelle Nogarola a Guarino, allora residente in Valpolicella, vicino a Verona. Nella risposta a Foscari, Guarino esaltò con ampie lodi l’erudizione e l’eleganza delle lettere tanto di Ginevra quanto di Isotta. Tuttavia, in una lettera di poco successiva a Leonello d’Este, mostrò minore considerazione. Isotta, spinta comunque dalla pubblica approvazione, decise di scrivere direttamente al famoso umanista. Una prima missiva rimase senza risposta, per cui ne seguì una seconda, in cui si lamentò del silenzio dell’interlocutore, con toni di smarrimento, manifestando il timore di essere coperta dal ridicolo. Finalmente Guarino rispose il 10 aprile 1437, incitando le due sorelle a proseguire gli studi e a leggere in particolare le opere di Virgilio, Lattanzio e Cicerone. In questa vicenda, in cui esce il carattere forte e deciso di Isotta, Ginevra rimase in secondo piano.

Alla metà del 1438 Ginevra sposò Brunoro Gambara, signore di Pratoalboino, presso Brescia, e si trasferì nel Bresciano. L’unione cambiò radicalmente la vita della donna, che sino ad allora aveva dimostrato pari propensione rispetto alla sorella per gli studi letterari, come prova una lettera di Tobia Del Borgo (Opera..., 1886, I, p. 124). Abbandonò gli studi e la relazione intellettuale, non quella umana, con Isotta. Di questo periodo si conoscono due sole brevi lettere, scritte da Pratoalboino nel 1440 e nel 1441 a Damiano Dal Borgo (ibid., II, pp. 336-342). Secondo Dal Borgo, che la vide nel 1440, ella si trovò a condurre una vita grama, affaticata da malattie, gravidanze e aborti (ibid., I, pp. 261-263). Mise la mondo cinque figli maschi: Maffeo, Giovanni Francesco, Marsilio, Pietro, Nicolò; e una figlia, Caterina. Maffeo fu mandato alla scuola di Battista Guarini, che gli dedicò il trattato De ordine docendi ac studendi. A Ginevra appartenne un manoscritto membranaceo di Giustino, ora University of Yale, Marston 279, poi finito nelle mani di Ambroise Firmin Didot (Avesani, 1984, p. 63), con una bella nota di possesso alla c. 2r: «Cenevra anogarolis scripsi manu mea immaculata». Nel 1464 fu colta da un grave malattia al ventre; probabilmente a causa di essa un giorno cadendo si sarebbe tagliata la lingua. Morì a Pratoalboino in quello stesso anno.

Tra il 1438 e il 1441, per la paura delle peste e per le guerre tra Venezia e Milano, Isotta si rifugiò a Venezia, insieme con la madre, i fratelli Antonio e Leonardo, la sorella Bartolomea e il marito di lei Giacomo Lavagnola. Nei primi tempi del soggiorno Isotta e Bartolomea subirono le accuse, da parte di tale «Plinius Veronensis», di condurre vita licenziosa. Se non è da escludere che la ventenne Isotta potesse anche apprezzare le attenzioni riservatele da giovani locali, giova ricordare che gli ambienti culturali veneziani, un ventennio più tardi, riservarono pari trattamento anche a Pomponio Leto (Avesani, 1984, p. 69).

Tornata a Verona, per tutti gli anni Quaranta Isotta si dedicò ad approfondire i suoi studi. Di questo periodo non possediamo scritti, ma dalle citazioni presenti nella produzione successiva si ricava che avesse approfondito lo studio dei testi biblici e patristici, allontanandosi da quelli profani.

Attorno al 1443 fu in corrispondenza con Costanza Varano, che, venuta a conoscenza delle sue doti, le aveva mandato una lettera e un carme latino. Degna di nota è una lettera databile al 1448 circa, scrittale dal letterato veneziano Lauro Quirini, che le suggerì una serie di letture, di cui si trova in effetti traccia negli scritti successivi: non solo diverse opere aristoteliche, ma anche commentari medievali (Boezio, Tommaso, Averroè), Cicerone, Livio. Circa dello stesso periodo è una missiva di Andrea Contrario, nella quale afferma di aver conosciuto per fama Isotta da una raccolta di lettere che aveva visto a Roma.

Nel 1450, insieme con altri personaggi illustri, Isotta si recò a Roma per il giubileo e nell’occasione scrisse probabilmente un’orazione da presentare a papa Nicolò V, di cui si è persa memoria.

La maggior parte delle lettere più significative è ascrivibile agli anni compresi tra il 1451 e il 1461: in esse Isotta mise a frutto l’intenso studio condotto nel decennio precedente. Del 1451 è un dialogo sul peccato originale; del 1453 l’elogio a Ermolao Barbaro e una lezione pubblica sulla vita di s. Girolamo; al 1459 risale il discorso contro i turchi, mentre del 1461 è la consolatoria scritta per il volume di elogi messo insieme da Antonio Marcello.

Il testo a oggi più citato è certamente il De pari aut impari Evae atque Adae peccato. Lo scritto, che ora si legge nell’edizione delle opere curata da Abel (1886), fu stampato per la prima volta solo nel 1563 per l’officina di Aldo, in una versione interpolata, in cui non solo mutano gli argomenti, ma cambiano anche gli interlocutori. Una lettera di Matteo Bosso (Opera..., 1886, II, pp. 131 s.) fa pensare che il Dialogus sia nato da una reale disputa pubblica, intervenuta, non è dato sapere dove e in che forma, tra la stessa Isotta e Ludovico Foscarini, podestà di Verona. Il fatto in sé è di grande rilievo, perché per la prima volta una donna avrebbe partecipato a un dibattito pubblico con un uomo.

Oggetto del dialogo è la natura maschile e femminile. Entrambi i protagonisti prendono le parti rispettivamente del proprio sesso, e quindi di Adamo e di Eva. Foscarini insiste nel dichiarare più grave il peccato di Eva, Isotta controbatte che Eva mangiò il frutto dell’albero per semplice fragilità e che il suo errore sarebbe rimasto senza conseguenze se non l’avesse mangiato Adamo, sul quale cade la più severa condanna divina. In sostanza, Isotta cerca di trasformare in punto di forza la fragilità di Eva: «Se la posizione di fondo da lei difesa in questo scritto pertiene ad una inveterata tradizione, nuovo sembra essere l’impegno a penetrare nelle sue autentiche motivazioni e quindi a difendere in ogni modo il comportamento della prima madre in un momento decisivo per le sorti dell’umanità» (Avesani, 1984, p. 71).

L’amicizia con Foscarini continuò fino al 1453, quando egli divenne podestà di Brescia. Nello stesso anno si manifestarono per Isotta gravi problemi familiari per questioni ereditarie e morì Giacomo Lavagnola, marito di Bartolomea e personaggio di grande levatura politica. Nel 1461 morì la madre, mentre era ancora minorenne il fratello Ludovico, di cui Isotta si prese cura.

Morì a Verona nel 1466. Fu sepolta nella chiesa di S. Cecilia.

Abel (Opera..., 1886, I, p. CLVI) ipotizza che avesse raccolto le lettere e le altre opere in un volume oggi perduto, dal quale derivarono le successive copie manoscritte ed edizioni a stampa. Le lettere, in particolare, hanno goduto di ampia fortuna e ne esistono numerose copie, specie all’interno di miscellanee di testi umanistici.

Isotta è stata oggetto negli ultimi decenni di un rinnovato interesse, legato soprattutto agli studi di genere. Punto di partenza obbligato è il monumentale lavoro edito nel 1886 da Eugen Abel sulla base del materiale raccolto da Alexander Appony (Opera quae supersunt omnia Isotae Nogarolae Veronensis, accedunt Angelae et Zenevrae Nogarolae epistolae et carmina, Vienna). Le lettere di Guarino sono edite anche nel suo Epistolario (a cura di R. Sabbadini, II, Venezia 1916, pp. 292-298, 304-309; III, ibid. 1919, pp. 337). L’elenco completo dei numerosi manoscritti di opere di Isotta, sparsi in molte biblioteche italiane ed europee si legge nello studio di Abel e in P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden 1962-1996, ad indicem. In edizioni moderne Chi abbia maggiormente peccato Adamo od Eva dialogo, Verona 1851; Elegia, Verona 1892; Complete writings. Letterbook, Dialogue on Adam and Eve, Orations, a cura e trad. di M.L. King - D. Robin, Chicago-London 2004.

Fonti e Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri italiane, Gambara di Brescia, Milano 1858, tav. III; R. Sabbadini, Notizie sulla vita e sugli scritti di alcuni dotti umanisti del secolo XV. V: I. N., in Giornale storico della letteratura italiana, VI (1885), pp. 163 s.; E. Abel, I. N., in Vierteljahrschschrift für Kultur und Literatur der Renaissance, I (1886), pp. 323-355, 440-473; R. Sabbadini, I. N., in Archivio storico italiano, s. 4, XVIII (1886), pp. 435-443; A. Segarizzi, Niccolò Barbo patrizio veneziano del sec. XV e le accuse contro I. N., in Giornale storico della letteratura italiana, XLIII (1904), pp. 39-54; A. Pomello, Le N., Verona 1908; P. Gothein, L’amicizia tra Lodovico Foscarini e l’umanista I. N., in La Rinascita, VI (1943), pp. 394-413; A. Marucchi, Stemmi di possessori di manoscritti conservati nella Biblioteca apostolica Vaticana, in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964, p. 30 e tav. II 7; C. Cenci, Fra Pietro Arrivabene da Canneto e la sua attività letteraria. I, in Archivum Franciscanum historicum, LXI (1968), p. 291; II, ibid., LXII (1969), p. 178; M. King, Th Religious Retreat of I. N. (1418-1466). Sexism and its consequences in the fifteenth century, in Signs, III (1978), 4, pp. 807-822; P.O. Kristeller, Learned women of early modern Italy: humanists and university scholars, in Beyond their sex. Learned women of the European past, a cura di P.H. Labalme, New York-London 1980, pp. 96 s.; L. Jardine, I. N.: Women humanists. Education for what?, in History of education, XII (1983), pp. 231-244; M L. King - A. Rabil, Her immaculate hand, Binghamton 1983, pp 11-13; R. Avesani, I. e Ginevra N. e la loro società di letterati. Giorgio Bevilacqua e Francesco Aleardi, in Verona e il suo territorio, IV, 2, Il Quattrocento, Verona 1984, pp. 60-76; L. Jardine, «O decus Italiae virgo», or the Myth of the learned lady in the Renaissance, in The Historical Journal, XXVIII (1985), pp. 799-819; G. Gardenal, I. N., in Le stanze ritrovare. Antologia di scrittrici venete dal Quattrocento al Novecento, a cura di A. Arslan et al., Dolo 1991, pp. 3-14; M.L. King, I. N. umanista e devota, in Rinascimento al femminile, a cura di O. Niccoli, Roma-Bari 1991, pp. 4-31; R. Rius Gatell, I. N.: una voz inquieta del Renacimiento, in Filosofía y género. Identitades femeninas, a cura di F. Birulés, Pamplona 1992, pp. 65-91; M.L. King, I. N., in Italian women writers. A bio-bibliographical sourcebook, a cura di R. Russel, Westport, Connecticut, 1994, pp. 313-323; S.T. Fenster, Simplece et sagesse: Christine de Pizan et I. N. sur la culpabilité d’Eve, in Une femme de lettres au Moyen Age: études autour de Christine de Pizan, a cura di L. Dulac - B. Ribémont, Orléans 1995, pp. 483-484; P. Allen, The concept of woman, 2. The early humanists reformation, 1250-1500, Grand Rapids, Michigan, 2002, pp. 944-969; H.N. Parker, Angela Nogarola (ca 1400) and I. N. (1418-1466). Thieves of language, in Women writing Latin. From Roman antiquity to early modern Europe, III, Early modern women writing Latin, New York 2002, pp. 11-30; G. Gasparini De Sandre, I. N. umanista, monaca domestica e pellegrina al Giubileo (1450), in A. Rigon, I percorsi della fede e l’esperienza della carità nel Veneto medievale, Padova 2002, pp. 133-154; F. Ambrosini, Voci e presenze femminili in terra veneta tra XVI e XVIII sec., in Studi veneziani, L (2005), pp. 257-266; M. Fubini Leuzzi, I. N. e Arcangela Tarabotti. Alcune considerazioni in margine ad una recente pubblicazione, in Archivio storico italiano, CLVIII (2005), pp. 595-601; T. Fenster, Strong voices, weak minds? The defenses of Eve by I. N. and Christine de Pizan, who found themselves in Simone de Beauvoir’s situation, in Strong voices, weak history. Early women writers and canons in England, France, and Italy, a cura di P. J. Benson - V. Kirkham, Ann Arbor, Michigan, 2005, pp. 58-77; M.J. Bertomeu Masiá, Transgredir aquellas reglas de silencio impuestas a las mujeres: I. N. e Isabella di Morra, in Lectora. Revista de Dones i Textualitat, XIII (2007), pp. 17-27; S. Lorenzini, G.N. Gambara, in Le stanze segrete: le donne bresciane si rivelano, a cura di E. Selmi, Brescia 2008, pp. 81-102; A. Pacifico, I. N. L’opera. Le epistole, il dialogo, le orazioni, Verona 2011.

TAG

Biblioteca apostolica vaticana

Protonotario apostolico

Giovanni crisostomo

Città del vaticano

Simone de beauvoir