ISRAELE

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Israele

Anna Bordoni
Guido Valabrega
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(App. III, i, p. 907; IV, ii, p. 237; V, ii, p. 790)

Geografia umana ed economica

di Anna Bordoni

Popolazione

Secondo una stima del 1998 la popolazione di I. (entro le linee armistiziali del 1949, ma comprese Gerusalemme orientale, le alture del Golan e gli Israeliani residenti nei territori amministrati) era di 5.984.000 ab., con un incremento - rispetto al censimento del 1983 - di circa il 44%. Come per il passato, tale incremento continua a dipendere prevalentemente dall'immigrazione, che tra il 1990 e il 1996 è stata di circa 700.000 persone, provenienti in larga parte dai paesi ex sovietici: attualmente il 15÷20% della popolazione ebraica complessiva è rappresentato da immigrati russi.

Il movimento naturale risulta differenziato tra i due principali gruppi religiosi: la maggioranza ebraica, infatti, presenta un tasso di natalità (18,1‰) assai meno elevato rispetto alla minoranza musulmana (37,9‰); i tassi di mortalità, comunque deboli, vanno invece dal 6,9‰ degli Ebrei al 3‰ dei Musulmani, con una conseguente struttura dominata dai giovani (un terzo della popolazione israeliana è compreso nella fascia di età che va da 0 a 14 anni). La densità media della popolazione è di 289 ab./km² (184 ab./km² nel 1983), ma la distribuzione è estremamente eterogenea: secondo stime ufficiali, alla fine del 1995 il minuscolo distretto di Tel Aviv accoglieva il 20,4% della popolazione complessiva; il 21,6% viveva nel distretto Centrale, il 13,2% nel distretto di Haifa, il 13,7% in quello Meridionale (che abbraccia circa i due terzi del territorio nazionale, compreso il deserto del Negev, abitato esclusivamente da nomadi), il 17% in quello Settentrionale (comprese 31.500 persone insediate sulle alture del Golan) e l'11,8% nel distretto di Gerusalemme. Altri 129.700 Israeliani vivevano negli insediamenti della Cisgiordania e di Gaza (ma alla fine del 1998 erano saliti a oltre 180.000).

Condizioni economiche

L'economia israeliana è molto evoluta e va considerata senz'altro come la più dinamica del Vicino Oriente, anche se va rilevato che un sensibile contributo alla crescita economica del paese deriva dai consistenti aiuti finanziari degli Stati Uniti. Scelta, a partire dal 1985, la via della liberalizzazione, il sistema economico israeliano si è rapidamente integrato nell'economia mondiale. Negli ultimi anni del secolo gli investimenti stranieri si sono moltiplicati; il PIL è aumentato, in termini reali, del 7,1% nel 1995, del 4,4% nel 1996 (ma solo dell'1,9% nel 1997) e, malgrado il mercato del lavoro abbia dovuto assorbire la manodopera di recente immigrata, il tasso di disoccupazione è ormai inferiore all'8%. Si aggiunga che la forza lavoro è prevalentemente qualificata: I. possiede la più elevata percentuale di ricercatori e tecnici del mondo (138 ogni 10.000 salariati contro gli 80 negli Stati Uniti). Nel 1998 il reddito pro capite ha raggiunto i 15.940 dollari, registrando un incremento annuo del 2,6% tra il 1990 e il 1997.

Nonostante l'ostilità dell'ambiente naturale, l'agricoltura assicura ampiamente l'autosufficienza alimentare e consente redditizie esportazioni, soprattutto nel campo dei prodotti ortofrutticoli. Le aree irrigue si estendono per circa 200.000 ha, malgrado la carenza di acqua resti un problema primario e si tenda a ottenere i massimi risultati qualitativi e quantitativi senza aumentarne il consumo. Il settore primario continua, come nel passato, ad articolarsi attorno a 267 grandi cooperative agricole (kibbutzim) e a 411 cooperative di piccoli produttori (moshavim).

Il settore industriale, sebbene debba far fronte alla carenza di combustibili e di altre risorse minerarie (il 90% del fabbisogno energetico è importato), è molto diversificato, con produzioni di punta nei comparti metallurgico, elettronico, chimico, dei macchinari e della lavorazione dei diamanti. A partire dalla fine degli anni Ottanta il turismo ha registrato una discreta crescita, proseguita nel decennio successivo, con un'unica eccezione nella seconda metà del 1990 e nel 1991 a causa della guerra del Golfo: nel 1997 il movimento turistico è risultato di oltre 2.000.000 di persone. Il commercio si svolge in massima parte con gli Stati Uniti, sia in entrata sia in uscita, ma una crescente quota degli scambi avviene con i paesi dell'Unione Europea.

La rete stradale è sempre più efficiente (da 2500 km nel 1954 è passata a 15.065 nel 1996) e collega tra loro i principali centri del paese, compresi quelli del Negev; le ferrovie contano su 610 km di linee principali e 355 km di linee secondarie: la più frequentata è la linea costiera, dalla quale si diramano alcuni tronchi verso l'interno. Le difficoltà di scambio con i paesi confinanti hanno stimolato lo sviluppo della navigazione marittima e di quella aerea: recentemente il governo ha annunciato un piano di privatizzazione della compagnia di bandiera israeliana El Al.

bibliografia

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Storia

di Guido Valabrega

L'ultimo decennio del 20° secolo ha costituito per lo Stato d'I. un periodo di profonde riconsiderazioni a conclusione d'un cinquantennio drammatico e complesso.

Dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale e il confronto con gli Arabi e con i Palestinesi del 1947-49, il rapporto fra I. e il mondo arabo è stato contrassegnato da un pressoché costante clima di tensione in cui si sono succeduti guerre e conflitti di vario genere: la guerra con l'Egitto nel 1956, la 'guerra dei sei giorni' nel giugno 1967, la guerra del Kippūr nell'ottobre 1973, la spedizione in Libano nel 1982, l'insurrezione palestinese dell'intifāḍa dal dicembre 1987, gli attacchi missilistici iracheni nel 1991, per non parlare dei colpi di mano, dei singoli atti di guerra e degli attentati da parte palestinese. Non sono mancate però importanti iniziative con intese più o meno stabili e costruttive come gli accordi di Camp David del 13 settembre 1978, seguiti dal trattato di pace con l'Egitto del 26 marzo 1979, la firma a Washington, il 13 settembre 1993, degli accordi con l'OLP sull'autonomia palestinese e ancora, alla fine di quell'anno, la firma a Gerusalemme dell'Accordo fondamentale tra I. e la Santa Sede, la firma del trattato di pace con la Giordania nel 1994 e, nell'ottobre 1998, dopo le trattative di Wye Plantation, la firma di un nuovo accordo con i Palestinesi.

Non meno tese e intricate sono state le vicende interne. Dopo una fase durata sino alla metà degli anni Settanta, in cui si succedettero governi gestiti dai capi storici del sionismo di ispirazione laburista, si avvicendarono ministeri o legati a una visione sempre più vaga del laburismo, o espressione di una destra intollerante e aggressiva. Un processo ancora oggi problematico e che costò non poche sofferenze è stato la fusione di tante genti immigrate, provenienti da paesi molto diversi e con tradizioni culturali e costumi spesso molto distanti.

A tali differenze, che rischiavano di compromettere la coesione del paese, si cercò di porre rimedio con l'esaltazione di quanto poteva sollecitare l'identità nazionale in formazione, uso della forza compreso, grazie anche alla strumentalizzazione della descrizione più celebrativa che storica delle vicende belliche che si stavano attraversando, o al riferimento a miti ripresi dalla Bibbia e da altri antichi testi e interpretati in quest'ottica di glorificazione dell'eroismo e di totale identificazione con un passato remoto, senza per lo più riferimento a eventi più vicini e concreti, cui contribuiva anche la strumentale lettura dei risultati degli scavi archeologici. Tra i tanti episodi riconsiderati con tale intento, da ricordare, per es., quello dei fanatici assassini della setta dei Sicari che, nel 73 o 74 d.C., in circa mille si sarebbero suicidati nella fortezza di Masada, nei pressi del Mar Morto, pur di non arrendersi ai Romani assedianti. In opposizione a queste ricostruzioni mistificanti non mancarono le critiche, i tentativi di approfondimento, la sottolineatura della loro superficialità e pericolosità. Esemplare il caso della studiosa H. Arendt la cui denuncia, agli inizi degli anni Sessanta, degli aspetti esasperati e strumentali del processo Eichmann (e non della criminalità del personaggio) fu attaccata con inaudita violenza.

Negli anni Novanta, per un insieme di circostanze (dalle leggi sull'apertura degli archivi all'avvicendarsi delle generazioni), alle voci isolate di pochi filosofi si aggiunse una schiera di giovani storici che con una molteplicità di posizioni - variamente definite asioniste, postsioniste o antisioniste - si opposero alla retorica e ai modelli preconfezionati impegnandosi per ricostruire le reali vicende. Con un lavoro coraggioso, attraverso una lunga stagione di dibattiti e polemiche, coinvolgendo giornalisti, sociologi e ricercatori, i nuovi storici si conquistarono uno spazio nella cultura, e non solo nella storiografia israeliana, in un raffronto sempre più esteso con i colleghi palestinesi e con gli studiosi dei vari paesi. Oltre al ridimensionamento dei miti, tra i nodi storici più contestati vi fu il quadro tradizionale della fuga dei Palestinesi nel 1947-49, in realtà gestita dalle forze armate israeliane, superiori in armamenti e rifornimenti non solo ai deboli guerriglieri palestinesi, ma anche ai malmessi contingenti dei paesi arabi.

Mentre il dibattito politico-culturale si estendeva, il governo guidato da Y. Rabin, vincitore alle elezioni del giugno 1992, subentrò a quello della destra, guidato da Y. Shamīr, anche nella trattativa con i Palestinesi che si era aperta alla Conferenza di Madrid. Il clima restava però incandescente a causa del moltiplicarsi degli atti di violenza. Se i laburisti accettarono l'indicazione statunitense per la prosecuzione in ogni caso dei negoziati, trasformatisi nel corso del 1992 in colloqui diretti e segreti in Norvegia con la mediazione di tale paese, non mancarono i segni del persistere dell'intransigenza di fondo: esempio di questo atteggiamento fu l'espulsione verso il Libano, nel dicembre di quell'anno, di circa 500 Palestinesi sospetti di simpatie terroristiche, che furono costretti ad accamparsi in una zona franca tra i due Stati, finché I. non dovette rimpatriarli.

Occorre rammentare anche le disponibilità negoziali che emersero da parte israeliana, auspice il nuovo presidente della Repubblica, E. Weizman, eletto il 24 marzo 1993, che portarono al nuovo assetto dell'autonomia palestinese lasciando intravedere, sia pure in mezzo a molteplici difficoltà, ragguardevoli progressi per l'avvenire come indicava, tra l'altro, l'avvio di trattative con la Siria per il ritiro dal Golan. Fu tuttavia carente, nel governo Rabin, la percezione degli umori del paese: se un quarantennio all'insegna di un ostentato ricorso alla forza aveva reso alquanto incerto di fronte al nuovo l'elettorato laburista, vivace restava la pressione dei gruppi più consapevoli contro le perdite di tempo e la lentezza nell'approdare a una più flessibile strategia; ma soprattutto il governo non seppe affrontare l'oltranzismo dell'opposizione di destra, il moltiplicarsi dei fanatici disposti a tutto pur di non cedere all'intesa con i Palestinesi, e il diffondersi delle interpretazioni bibliche più cupe nella mistica pessimista del popolo eletto circondato da nemici. Grave fu inoltre la sottovalutazione dei ritardi e degli errori nell'operato dei servizi segreti: una situazione che permise il massacro di circa trenta fedeli musulmani a opera di un colono, B. Goldstein, nella moschea di Hebron il 25 febbraio 1994, o l'uccisione dello stesso Rabin il 4 novembre 1995, durante una manifestazione in una piazza di Tel Aviv, a opera del giovane estremista Y. Amir. Né - indette nuove elezioni per il 29 maggio 1996, con un sistema che comportava la scelta diretta del premier - fu opportuna la decisione, avallata dal primo ministro S. Peres nell'ambito dell'operazione antiterroristica Furore, di colpire pesantemente la popolazione civile in Libano. Fu una scelta che incise significativamente sugli umori dell'elettorato di origine palestinese divenuto essenziale per la vittoria elettorale dei laburisti.

Anche questo contribuì al successo di misura di B. Netanyahu alla testa di una coalizione di estrema destra che si orientò nettamente per ridimensionare gli accordi con l'OLP. Basti ricordare, per quanto riguarda la questione di Gerusalemme, le decisioni unilaterali di aprire un antico tunnel sotto le moschee di ῾Umar e al-Aqṣā (23 settembre 1996), di costruire un quartiere ebraico sulla collina di Har Homa o Abu Ghneme (20 febbraio 1997) e di allargare i confini della città a una serie di centri abitati ebraici vicini (21 giugno 1998).

Di conseguenza le sollecitazioni della Casa Bianca, portate avanti con svariati interventi della diplomazia ed espresse in termini molto cauti, non incisero sulla tattica dilatoria di Netanyahu: il clima politico, a causa della prosecuzione degli insediamenti, del loro allargamento, delle pesanti misure di sicurezza (che non evitavano, peraltro, il ripetersi di attentati a opera del terrorismo palestinese) e del mancato procedere delle misure distensive, divenne quindi sempre più teso, lasciando temere l'interruzione del processo di pace.

Soltanto alla metà di ottobre del 1998 la presidenza Clinton, pressata da esigenze interne oltre che dalla necessità di dimostrare il proprio impegno per la pace in Palestina al fine di recuperare autorevolezza sul piano internazionale, riusciva a promuovere un incontro per rilanciare il dialogo tra le parti. Le serrate discussioni tra Clinton, ῾Arafāt e Netanyahu, con il contributo di re Ḥusayn di Giordania, avvenute nella località di Wye Plantation (Maryland), ebbero un esito positivo con la firma il 23 ottobre, a Washington, di un'intesa che stabiliva, anzitutto, l'attuazione della proposta statunitense per il ritiro degli Israeliani dal 13,1% del territorio della Cisgiordania.

Il governo di Tel Aviv, che aveva approvato il documento con il voto contrario o l'astensione di non pochi ministri, tentò comunque di rinviarne l'attuazione. Tanto sul piano interno quanto in politica estera il ministero Netanyahu si trovò in difficoltà per l'opposizione degli elementi più intransigenti che minacciavano di uscirne. Così la prima lettura del bilancio dello Stato venne votata il 2 novembre dal Parlamento con 54 voti contro 53, grazie al passaggio su nuove posizioni del Partito democratico arabo; e mentre il 'falco' A. Sharon assumeva la guida del dicastero degli Esteri, si avviava una contemporanea trattativa con la 'colomba' E. Levy per un suo ritorno nel ministero. Il protocollo di Wye Plantation venne approvato dal Parlamento soltanto grazie al voto dell'opposizione laburista, ma insidiosa appariva l'imminente votazione, su proposta laburista, per un anticipo delle elezioni parlamentari, anche per la minaccia da parte del Partito nazionale religioso (9 seggi) di abbandonare la maggioranza di Netanyahu.

A livello internazionale, d'altro canto, emergevano evidenti i rischi di rottura tra gli orientamenti espressi da Clinton e l'intransigenza di cui Netanyahu era portavoce (con rischi di peggioramento anche nei rapporti con la comunità ebraica statunitense) e, nonostante la visita del presidente Clinton nello Stato di Israele e nei territori palestinesi (12-16 dicembre 1998), la situazione politica rimase ancora tesa, inducendo Netanyahu (21 dicembre) a sciogliere in anticipo il Parlamento e a indire nuove elezioni.

Se sotto il profilo del gioco parlamentare i laburisti parvero più volte in grado di recuperare l'iniziativa, occorre riconoscere che sotto il profilo ideale a contrapporsi all'oltranzismo aggressivo e irrazionale furono in primo luogo le correnti intellettuali fautrici della consapevolezza, della rilettura critica e della necessità di riscattarsi dagli sbagli del passato.

Svoltasi il 17 maggio 1999, la consultazione, anche per il ritiro dei candidati minori, vide il successo al primo turno del candidato laburista Ehud Barak con circa il 56% dei suffragi (contro il 43% di Netanyahu). Complessa rimane, peraltro, la composizione del Parlamento, con i laburisti che riuscirono a contenere il calo (da 34 a 26 seggi) solo per la confluenza nella lista 'Israele è uno' di vari gruppi di centro-destra che avevano abbandonato Netanyahu, con il tracollo del Likud (da 34 a 19 seggi), l'aumento degli ortodossi dello Shas (da 10 a 17 deputati) e con la presenza di un elevato numero di piccole liste che confermò la forte frammentazione della rappresentanza parlamentare. All'inizio di luglio, dopo lunghe consultazioni, Barak - di cui sono noti l'efficientismo e il glorioso passato nell'esercito - presentò il nuovo governo, caratterizzato dalla forte presenza dello Shas, che si aggiudicava quattro importanti ministeri, e dall'assenza nella coalizione dei partiti arabi che durante la campagna elettorale avevano appoggiato i laburisti. Di grande importanza, per la realizzazione del processo di pace con i Palestinesi, l'intesa siglata nel settembre 1999 tra ῾Arafāt e il primo ministro israeliano che rilanciava l'attuazione degli accordi di Wye Plantation, sistematicamente elusi da Netanyahu, accelerando i tempi del ritiro degli Israeliani dai territori occupati. Permanevano tuttavia forti attriti sul nodo cruciale del destino di Gerusalemme.

bibliografia

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