TOBIN, James

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

TOBIN, James

Pierluigi Sabbatini

Economista statunitense, nato a Champaign (Ill.) il 5 marzo 1918. Ha studiato all'università di Harvard dove ha compiuto anche le prime esperienze d'insegnamento; dal 1955 è professore di economia politica alla Yale University. Membro dell'American Economic Association, di cui è stato anche presidente nel 1971, e dell'Econometrics Society, ha avuto un ruolo di primo piano nella direzione dell'economia americana come consulente del Federal Reserve System, del Dipartimento del Tesoro, ma soprattutto come membro del President's Council of Economic Advisors (1961-62), durante l'amministrazione Kennedy. In questa veste fu uno dei principali ispiratori della "Nuova Economia", di derivazione keynesiana, che negli anni Sessanta cominciò ad affermarsi negli Stati Uniti, non più soltanto all'interno di una ristretta cerchia di addetti ai lavori ma soprattutto in un pubblico più ampio, di operatori economici, di uomini politici. Pur consapevole dei problemi legati all'inflazione, T. si espresse con molta decisione per il raggiungimento di un livello più accettabile di disoccupazione (il famoso 4%), da ottenere con un ampio spettro di strumenti di politica economica ma soprattutto attraverso una più accorta e flessibile politica monetaria, con il controllo della quantità di moneta e delle condizioni in cui avviene l'intermediazione finanziaria. È proprio il campo della teoria monetaria che T. ha maggiormente curato e arricchito con successivi approfondimenti.

Concordando con N. Kaldor che la teoria della preferenza per la liquidità di J. M. Keynes era basata sull'assunto di "inelasticità delle aspettative rispetto al saggio d'interesse", cercò di arrivare alle stesse conclusioni di Keynes partendo dal presupposto d'incertezza rispetto ai futuri saggi: così, prendendo spunto dal famoso articolo di J. R. Hicks del 1934, "Un suggerimento per semplificare la teoria monetaria", sviluppò un modello in cui la scelta della migliore composizione di portafoglio si basava sulla distribuzione di probabilità del rendimento e del rischio atteso per ogni tipo di titolo presente sul mercato.

Sempre sullo stesso argomento, T. ha analizzato l'intera struttura dei vari tassi di rendimento che considera come "tesa tra due poli: da un lato il tasso zero convenzionalmente attribuito alla moneta, dall'altro la produttività marginale dello stock di capitale"; con questa formula si poneva l'obbiettivo di operare una sintesi tra la posizione che attribuiva alla vecchia "scuola di Cambridge", che considerava solo la moneta e il capitale fisico, e l'impostazione keynesiana, dove le variabili strategiche erano rappresentate dalla moneta e dal saggio di rendimento delle obbligazioni. Nell'applicare queste considerazioni alla politica economica, T. ha prestato molta attenzione alle operazioni degl'istituti di credito, in particolare all'attività delle banche. Il frutto più significativo di questa analisi, ovviamente legata alle caratteristiche dell'economia americana, consiste in una più attenta definizione delle variabili esogene controllabili dall'autorità monetaria, cioè l'ammontare di debiti a vista disponibili come riserve primarie delle banche, le offerte di altre categorie di debito pubblico (oltre, cioè, alla moneta), le percentuali delle riserve obbligatorie, il tasso di sconto.

Le sue principali pubblicazioni sono: The American business creed (Harvard 1956); National economic policy (Yale 1956); Liquidity preference as behavior towards risk, in Review of economic studies, 1958; Money, capital and other stores of value, in American economic review, 1961; A general equilibrium approach to monetary theory, in Journal of money, credit and banking, 1969; Inflation and Unemployment, in American economic review, 1972.

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