MAQUIGNAZ, Jean-Joseph

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 69 (2007)

MAQUIGNAZ, Jean-Joseph

Marco Cuaz

Nacque il 28 nov. 1829 a Crépin, piccola frazione del villaggio di Valtournenche, in Val d'Aosta, da Jean-Antoine, per molti anni soldato con Napoleone, e da Catherine Ravaz. Fu educato secondo severi principî religiosi e, dopo aver frequentato qualche anno la scuola locale, fu avviato dal padre alla professione di muratore e scalpellino. Ma dal 1860 i pascoli di Breuil divennero il campo base della più grande impresa alpinistica del tempo: l'assalto al Cervino, montagna "inaccessibile" come la definivano i Baedeker, assurta grazie a J. Ruskin, a J. Tyndall, a E. Whymper, a ideale estetico e a terreno di competizione sportiva.

Solo nell'estate del 1865 due spedizioni si misurarono con la conquista della cima: Whymper e la sua squadra sul versante svizzero da Zermatt, Jean-Antoine Carrel e il suo gruppo - allestito da Quintino Sella, ideatore e fondatore del Club alpino italiano (CAI) - sul versante italiano da Breuil. La spedizione dell'inglese raggiunse la vetta per prima, il 14 luglio, mentre tre giorni dopo Carrel e i suoi aprivano la prima via italiana al Cervino. Il M. fu assoldato proprio da Carrel per infiggere grossi ferri alla roccia cui poter attaccare le corde. Un compito modesto che consentì tuttavia al M. di mettere in mostra doti naturali di arrampicatore e soprattutto di far nascere in lui, anche in competizione con Carrel da lui ritenuto troppo prudente, il gusto della sfida e il desiderio di trovare un passaggio dove gli altri si erano arresi.

Fu così che il 13 sett. 1867 il M. partì con una spedizione di cui facevano parte i suoi due fratelli, Jean-Pierre e Victor, e una ragazza diciottenne del luogo, Félicité, per la quarta ascensione assoluta alla cima del Cervino, una cordata passata agli annali dell'alpinismo per l'apertura, nell'ultimo tratto, di una via che abbreviava di un'ora l'ascensione ed eliminava la pericolosa traversata detta della "galleria", variante che rappresenta tuttora la via normale di salita dal versante italiano. Ma vi è un altro elemento che rende importante la spedizione Maquignaz del 1867 e che segna una tappa fondamentale nell'evoluzione della professione di guida alpina e del rapporto con l'alpinismo delle popolazioni locali: nella cordata non c'era alcun viaggiatore pagante. Per la prima volta il M. non era soltanto il servitore del cliente, colui che trasportava gli zaini e scalpellava gli scalini sul ghiaccio, ma si proponeva come un esploratore della montagna, capace di aprire nuove vie, di dirigere una spedizione e quindi di dettare al cliente le sue regole.

Erano gli anni in cui nasceva una professione di cui si cominciavano a definire le regole, e che rappresentava per la popolazione locale non solo un'opportunità di guadagno ma anche una risposta ai modelli dell'alpinismo vittoriano, codificati da Leslie Stephen nel suo The playground of Europe (London 1871). L'alpinismo delle guide, cui la famiglia Maquignaz avrebbe dato un contributo decisivo, non era uno sport destinato a un'élite ricca e colta; non era sfida alla morte, esibizione estrema di muscoli e di coraggio, e nemmeno ricerca di Dio o della bellezza della natura. Era un modello nuovo che univa alcuni caratteri tradizionali della cultura montanara - pazienza, prudenza, resistenza fisica, tenacia e una profonda conoscenza dei luoghi - agli stimoli provenienti dagli ambienti urbani dei Club alpini: una mediazione culturale che modificava l'uso tradizionale della montagna, rendendo produttiva la montagna "inutile", aprendo il mondo dell'alta montagna a una cultura dell'ospitalità e modificando la stessa immagine che i montanari avevano di sé e del loro ambiente naturale. Non è probabilmente un caso che proprio l'anno successivo all'impresa del M., il Comune di Valtournenche abbia cominciato a distribuire allo stesso M., a Carrel e ad altri locali impegnati nelle prime imprese sul Cervino un regolare libretto che attestava la loro profonda conoscenza dei luoghi e l'assoluta affidabilità come portatori, dando il via all'organizzazione delle Guide alpine di Valtournenche, il secondo gruppo in Italia, dopo le guide di Courmayeur.

Negli anni successivi le imprese alpinistiche del M. occuparono largo spazio nel Bollettino del CAI (gli vennero ufficialmente attribuite 33 nuove vie, fra le quali la prima traversata, con John Tyndall, da Breuil a Zermatt attraverso la cima del Cervino).

Tra i suoi clienti molti furono i personaggi di rilievo che ne cantarono le doti: Vittorio Sella in particolare e con lui l'intera famiglia degli imprenditori-alpinisti biellesi, di cui il M. divenne guida di fiducia; Guido Rey, il "poeta del Cervino", nipote di Q. Sella, gli studiosi fondatori del CAI, Alessandro Martelli, Luigi Vaccarone, Martino Baretti; politici di primo piano, appassionati della montagna, come Costantino Perazzi, fino alla regina Margherita che al M. si affidò nella salita al Breithorn, sul massiccio del Rosa, nell'agosto 1889.

Negli anni in cui nasceva l'alpinismo invernale, risposta italiana al predominio inglese sulle vette alpine, il M. divenne la guida più richiesta dai pionieri delle prime fuori stagione. Fra le diverse imprese scalò, insieme con V. Sella, la punta Dufour nel massiccio del Rosa (gennaio 1884), il Lyskamm e il Gran Paradiso (marzo 1885); a quasi sessant'anni, nel gennaio del 1888, passò da Courmayeur a Chamonix, attraverso la cima del Bianco.

Tuttavia la fama del M. è legata alla più straordinaria, e politicamente più significativa, scalata degli anni Ottanta: la prima al Dente del Gigante, la spettacolare guglia nel massiccio del Bianco, al confine con la Francia, l'ultimo "quattromila" inviolato delle Alpi, impresa da tutti ritenuta impossibile.

Era l'epoca in cui sulle Alpi iniziava la guerra delle bandiere e le vette di alcune montagne, particolarmente significative per la loro posizione o la loro visibilità, erano divenute luoghi di scontro reale o simbolico fra alpinisti di diverse nazionalità. Per l'alpinismo italiano, sconfitto dagli Inglesi su tutte le principali vette alpine, il Dente del Gigante restava l'ultima occasione di riscatto.

Nel luglio del 1882, poco dopo la firma della Triplice Alleanza, i cugini Sella ne parlarono al M. che, insieme con il figlio Jean-Baptiste e il nipote Daniel, si trasferì per diversi giorni sul ghiacciaio per attrezzare la parete con chiodi, scale e corde fisse. Tale lavoro consentì, il 29 luglio 1882, ai tre Maquignaz, ad Alessandro, Alfonso, Corradino e Gaudenzio Sella di scalare il Dente in sicurezza e di issarvi la bandiera italiana.

Rievocando l'impresa nelle pagine del Bollettino del CAI, Alfonso Sella evidenziava il significato non solo alpinistico dell'impresa, attribuendo al M. forti motivazioni patriottiche e presentandolo come colui che, avvicinato da diversi alpinisti che gli proponevano rilevanti somme di denaro per accompagnarli sul Dente, avrebbe dichiarato: "Io avrei potuto migliorare la condizione della mia famiglia, se avessi accettato questa proposta, ma mi sono ricordato di essere italiano; e voglio che la bandiera italiana sia piantata lassù per la prima volta da alpinisti italiani ed a voi mi sono rivolto perché vi sentivo capaci di comprendermi e di seguirmi" (Sella, p. 9).

Il M. fu visto per l'ultima volta il 18 ag. 1890. Insieme con l'amico Antonio Castagneri, prestigiosa guida di Balme con cui aveva condiviso molte spedizioni, era partito per accompagnare sull'Aiguille Bionassay nel massiccio del Bianco il conte Umberto Scarampi di Villanova. Nessuno conosceva il loro itinerario quando una violenta bufera si abbatté sulla montagna. Preoccupata del ritardo, la madre di Scarampi chiamò le guide di Courmayeur e i parenti del M. affinché organizzassero spedizioni di soccorso, ma il maltempo perdurò fino alla fine di agosto respingendo i soccorritori e cancellando ogni traccia dalla montagna. I loro corpi non furono mai più ritrovati.

Il M. fu il capostipite di una famiglia di guide e portatori ripetutamente assurti agli onori delle cronache alpinistiche. Divennero guide i fratelli Jean-Pierre (20 sett. 1821 - 27 maggio 1896), autore di almeno 25 ascensioni del Cervino, compresa la prima traversata, con Tyndall, il 27 luglio 1868, e Victor (29 dic. 1826 - 2 genn. 1901), una fra le prime guide a salire sul Cervino; il figlio Jean-Baptiste (14 luglio 1862 - 26 genn. 1948), fedele compagno di ascensioni di Guido Rey e protagonista della cordata Sella al Dente del Gigante; il nipote Daniel (18 febbr. 1856 - 2 genn. 1910) che vantava una quindicina di ascese al Cervino ed era noto fra gli inglesi come "the Child of Nature". Tuttavia tale fama non fu sufficiente a risollevare le condizioni economiche della famiglia: tanto che, alla sua morte, la Rivista mensile del CAI lanciò una sottoscrizione per aiutare gli otto figli.

Guida prestigiosa fu soprattutto il nipote Antoine, figlio di Jean-Pierre. Nato il 14 ag. 1869, dopo essersi costruito una solida fama sulle montagne di casa, divenne guida di fiducia di Julius Kugi, Ewan Mackenzie, Giotto Dainelli, e soprattutto degli esponenti di spicco del CAI torinese, Ugo De Amicis, Guido Rey, Francesco Gonnella, Luigi Vaccarone, dai quali venne presentato e raccomandato a Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi. L'incontro con il principe reale, al Breuil, nel settembre del 1892, durante un'ascesa al Breithorn nel massiccio del Rosa sotto la bufera, mutò i destini della famiglia.

Luigi Amedeo di Savoia lo volle con sé nella spedizione al Saint Elias (m 5502) in Alaska e il 17 maggio 1897 Antoine partì con il tenente Umberto Cagni, Francesco Gonnella, Vittorio Sella e il medico Filippo De Filippi nella prima delle grandi spedizioni del duca degli Abruzzi. Sbarcati sulle coste dell'Alaska, il 23 giugno iniziarono la lunga marcia di avvicinamento sul più lungo ghiacciaio a quel tempo conosciuto. Il 31 luglio Antoine e la guida di Courmayeur, Joseph Petigax, guidarono la cordata decisiva cedendo solo a pochi metri dalla vetta il passo al duca che piantò nella neve la bandiera italiana.

L'impresa ebbe grandi ripercussioni negli ambienti alpinistici europei e consolidò la fama di Antoine, da quel momento molto richiesto per le lunghe spedizioni extraeuropee. Sir William Martin Conway, dell'Alpine Club londinese, impressionato dalle lodi del duca degli Abruzzi, lo volle con sé nella spedizione alle Ande boliviane e argentine, dove, in sette mesi di campagna esplorativa, nel 1898 furono compiute la prima salita del Nevado de Illimani (m 6440) e dell'Aconcagua (m 6962) e furono tentate, senza successo, la prima del monte Sorata (odierno Nevado Illampu, m 6550) e del terribile Sarmiento de Gambia (m 2500, ma in condizioni meteorologiche estreme), nella Terra del Fuoco, dove la spedizione fu respinta dai venti.

Per vent'anni Antoine continuò a esercitare il mestiere di guida, circondato da una fama che, oltre a inserirlo tra le migliori delle Alpi, lo voleva di "buon carattere", "allegro ed ottimista" (ben diverso dallo zio, severo e taciturno), capace, come aveva scritto anche Conway nel suo libretto, di "condurre un alpinista in qualunque parte del mondo […] di essere un'eccellente guida in un paese nuovo per lui e un buon viaggiatore"; capace di mantenere "sangue freddo nelle avversità", di adattarsi "alle più svariate situazioni, vivendo con poco cibo ed era spiacente soltanto quando non vi era lavoro per lui", e soprattutto di farsi "molti amici e nessun nemico fra i popoli che noi incontrammo" (Cavazzani, 1946, p. 200).

Feritosi accidentalmente nei boschi di casa durante una partita di caccia, dopo due giorni di agonia, Antoine morì il 26 dic. 1920.

Tra i figli del M. si distinse in particolare l'ultimogenito, Ange, nato a Châtillon il 5 apr. 1872, la cui attività alpinistica incominciò alla morte del padre, quando le ristrettezze economiche in cui piombò la famiglia lo costrinsero a integrare l'esiguo reddito pastorale con l'attività estiva di portatore.

Nel 1896-98 partecipò ai ripetuti attacchi di Guido Rey alla inviolata Punta Bianca, facendosi notare per le "qualità di agilità, di costanza e di prudenza": caratteristiche che gli permisero di collaborare con i migliori alpinisti del tempo. Nella primavera del 1899 fu contattato da Vittorio Sella per partecipare a una spedizione sull'Himalaya, guidata da Douglas W. Freshfield, esploratore del Caucaso e conquistatore dell'Elbruz (5642 m), futuro presidente dell'Alpine Club londinese. Obiettivo era la prima esplorazione della zona del Kangchenjunga (8580 m), il più orientale degli "ottomila", al confine tra Nepal, Tibet e Sikkim. Partita da Darjeeling il 5 sett. 1899, la spedizione si inoltrò nel Sikkim fino alla capitale Gangtok, proseguì per Lachen fino al grande ghiacciaio Zemu che scendeva dal Kangchenjunga. Non era obiettivo della spedizione l'assalto ai "settemila" e agli "ottomila": vette non alla portata dell'alpinismo ottocentesco e che solo con ben altro equipaggiamento e preparazione furono attaccate negli anni Trenta del Novecento; bensì l'esplorazione di passi, alcuni superiori ai seimila metri, che consentivano l'accesso a una delle zone ancora inesplorate della terra. Dopo due mesi e mezzo la spedizione rientrò in India dopo aver percorso, a un'altitudine media fra i 4000 e i 5000 metri, un dislivello di 23.000 metri, in territori in larga misura disabitati e mai cartografati.

Il prestigio acquisito nella spedizione himalayana consentì ad Ange, fatto ritorno in Valtournenche, di esercitare per molti anni con grande successo il mestiere di guida, aprendo diverse nuove vie. Tra queste, con Guido Rey, nel 1900, una variante della parete orientale del Gran Paradiso partendo da Cogne, e il Cervino dalla Cresta di Zmutt; nel 1904 la prima traversata dalla Tour du Creton alla Punta Budden e, l'anno successivo, la traversata dalla Becca di Guin alla Punta Budden.

Ancora attivissimo dopo la guerra, Ange morì il 29 maggio 1940.

Fonti e Bibl.: Fonte principale per la storia dei Maquignaz è la Rivista mensile del CAI. Sul M.: A. Sella, Giuseppe Maquignaz, in Riv. mensile del Club Alpino Italiano, XXIV (1890), 57, pp. 3-20; su Daniel: U. De Amicis, La guida Daniele Maquignaz, ibid., XXIX (1910), pp. 113-115; su Antoine: Necr., ibid., XLVI (1921), p. 7; su Ange: Necr., ibid., LX (1940), p. 452. Più ampie biografie su alcuni membri della famiglia in F. Cavazzani, J.J. M. e Antoine Maquignaz, in Uomini del Cervino, I, Firenze 1946, pp. 108-232; Id., Ange Maquignaz, ibid., II, Milano 1955, pp. 9-56. Notizie sui Maquignaz si trovano in molte opere dedicate al Cervino, in particolare: G. Rey, Il Monte Cervino, Milano 1904, ad ind.; Id., Alpinismo acrobatico, Torino 1914, ad ind.; A. Berardi, Il Monte Cervino, Bologna 1963, pp. 186 ss.; nonché negli studi dedicati alle origini della professione di guida alpina: R. Chabod, Camarade prend ton verre. Storia delle guide di Courmayeur, Bologna 1972, ad ind.; G. Bertoglio, Carrel, Jean-Antoine, in Diz. biogr. degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 725-727; G. Garimoldi, Guida alpina. Immagini e ruolo di una professione, Torino 1984, ad ind.; E. Camanni, Grandi guide italiane dell'arco alpino, Ivrea 1985, ad indicem.

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