Renoir, Jean

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Renoir, Jean

Marco Pistoia

Il grande gioco del cinema

Il regista Jean Renoir viene considerato tra i più grandi maestri dell’arte cinematografica: con i suoi film, realizzati in un arco di tempo che va dagli anni Venti a tutti gli anni Sessanta del Novecento, seppe creare grandi racconti corali in cui spesso i destini dei singoli s’intrecciano con le vicende della storia. Nel disegnare i vari personaggi, ne ricostruì in profondità i caratteri, creando una grande ‘commedia umana’

Tra arte e storia

Figlio d’arte (suo padre era il grande pittore impressionista Pierre-Auguste Renoir), Jean Renoir nacque a Parigi nel 1894, proprio un anno prima della nascita del cinema. Visse un’infanzia serena e stimolante, tra Parigi e la campagna, e fu educato all’amore per le arti e per la cultura.

Proprio il mondo delle arti in tutti i suoi aspetti (pittura, musica, teatro) ebbe una straordinaria importanza nella sua opera cinematografica, così come l’attenzione ai grandi eventi della storia, in particolare alla guerra. Degli orrori della guerra egli fece una traumatica esperienza personale, prendendo parte al primo conflitto mondiale e riportando una grave ferita alla gamba.

Si avviò alla regia cinematografica all’epoca del cinema muto e girò il suo primo film nel 1924. In quel periodo traspose per lo schermo anche un famoso romanzo di Émile Zola, Nanà (1926), e la celebre fiaba di Hans Christian Andersen La piccola fiammiferaia (1928), dimostrando interesse per la riduzione cinematografica di opere letterarie.

Un profondo pacifismo

Con l’avvento del sonoro realizzò la prima serie di importanti film di carattere storico. In La grande illusione (1937), uno dei suoi titoli più celebri, è proprio la Prima guerra mondiale al centro delle vicende che vedono coinvolti soldati e ufficiali di due eserciti nemici, quello francese e quello tedesco. Il tentativo di fuga di due ufficiali francesi da un campo di prigionia tedesco fallisce, e i due vengono chiusi in una fortezza. Lo spazio e gli ambienti, che Renoir scelse e realizzò sempre con grande cura, sono in questo film anche il luogo di un confronto diretto e pacifico tra nemici. In tal senso, estremamente efficace è la scena del colloquio tra il capitano francese prigioniero e l’ufficiale tedesco a capo della fortezza, in cui appare chiaro come uomini con origini sociali e culturali simili, e quindi in grado di capirsi e di comunicare, sono costretti dalla guerra a ritenersi nemici. Il francese muore per permettere ai compagni una nuova fuga, ma il tedesco gli rende l’onore delle armi deponendo un fiore nel luogo dove il suo avversario è stato ucciso.

Per questi momenti, La grande illusione è uno straordinario film pacifista, nel quale prevalgono le virtù del coraggio, della lealtà e dell’onore, nonché un film che ricostruisce in modo rigoroso la vita durante la guerra in ogni scena, compresa quella finale in cui una ragazza canta per i soldati.

L’impegno politico

L’impegno politico di Renoir, che in quel periodo era schierato a favore del Fronte popolare, accrebbe il suo spiccato interesse per gli eventi storici, tanto che nel 1938 egli decise di affrontare la ricostruzione cinematografica della Rivoluzione francese.

Realizzò così La Marsigliese, un film elogiato da autorevoli storici per la sua capacità di rappresentare il passato. In quest’opera il regista parte dalla piccola, marginale vicenda di due uomini per seguire il loro destino nell’ambito della grande vicenda della Rivoluzione, della quale offre un quadro positivo ma non retorico. Come sempre egli racconta questo evento corale come se fosse la cronaca delle azioni di semplici uomini e non di eroi.

Il gioco della vita, il cinema come gioco

Risale a questo periodo un’altra importantissima opera del regista, da molti considerata il suo capolavoro. Pur non trattandosi di un film storico, esso rivela importanti legami e riferimenti con l’epoca nella quale fu realizzato. Si tratta di La regola del gioco (1939), uscito nello stesso anno nel quale iniziò la Seconda guerra mondiale. L’opera assume spesso i toni della commedia, ed è basata sulle schermaglie d’amore, sullo studio delle diverse tipologie di personaggi e sul confronto-scontro tra le classi sociali. La vicenda è ambientata nella tenuta di un marchese dove si tiene una battuta di caccia alla volpe, e gli eventi coinvolgono sia i nobili ospiti sia i domestici, come in una straordinaria rappresentazione teatrale. Per offrire ampie visioni d’insieme il regista usa movimenti di macchina molto eleganti e fa ricorso spesso alla profondità di campo, in cui tutti gli elementi presenti in una scena, sia in primo piano sia sullo sfondo, sono messi a fuoco.

Il titolo stesso può essere interpretato in vari modi. Il gioco di cui qualcuno fissa una regola è quello da fare in società: per esempio i giochi nel castello dove è ambientato il film. Ma è anche il gioco-conflitto che si stabilisce tra domestici e nobili o tra domestici e borghesi o tra nobili e borghesi. Così come è il gioco dell’amore e dei sentimenti. E soprattutto è il grande gioco del cinema, in quanto spettacolo e per i suoi rapporti con il teatro, evidenti nelle scene che mostrano gli spettacoli allestiti al castello. Il film stesso del resto è un gioco, tanto che prima dell’inizio Renoir sceglie una citazione dalle Nozze di Figaro del drammaturgo francese Pierre-Augustin de Beaumarchais. Da un lato per far comprendere che si sta per assistere a una commedia brillante e un po’ malinconica in cui si intrecciano le vicende d’amore. Dall’altro per ribadire che in questo, come in altri film, è sempre presente il riferimento al mondo del teatro.

Il cinema e le altre arti

In altre sue opere Renoir riuscì a valorizzare il rapporto del cinema con le altre arti. Privilegiato fu sempre quello con la letteratura, come nel film tratto da uno dei romanzi di George Simenon incentrati sul commissario Maigret, La nuit du carrefour (1932). O come il delizioso La scampagnata (realizzato nel 1936 ma uscito solo nel 1946), tratto da un racconto di Guy de Maupassant, nelle cui immagini sono evidenti i continui riferimenti alla pittura del padre Pierre-Auguste. Nel 1936 diresse un film, Il delitto di Monsieur Lange, scritto dal poeta Jacques Prévert, in cui si racconta l’omicidio di un affarista senza scrupoli e si affronta il difficile tema della lotta per la giustizia.

La bellissima fotografia di Il fiume (1951), girato da Renoir in India, rende evidente il suo amore per la pittura. Suo primo e smagliante film a colori, che risultano molto densi anche nelle scene notturne, è ambientato nell’India coloniale e narra le delicate avventure e i primi amori di un’adolescente inglese e delle sue amiche.

Sono combinati tra loro i riferimenti al cinema, alla pittura e al teatro in La carrozza d’oro (1952), interpretato da Anna Magnani e ambientato nel 18° secolo. Nel film un gruppo di comici con le maschere della commedia dell’arte compie un viaggio in Perù per allestire spettacoli alla corte del viceré. Attraverso quest’opera Renoir propone sia una ricostruzione di un genere fondamentale della storia dello spettacolo – appunto la commedia dell’arte – sia una riflessione sui rapporti tra cinema e teatro e sull’arte della recitazione e della messa in scena. Tutti elementi sempre presenti nel suo cinema, che ha valorizzato gli attori e ha considerato la messa in scena di uno spazio e di un’azione come un aspetto fondamentale anche della regia cinematografica.

Addio al cinema

Benché Renoir sia morto in età avanzata – nel 1979 a Los Angeles – già da molti anni aveva deciso di dedicarsi con minor frequenza al cinema, e di occuparsi invece di teatro e di televisione. Uno dei suoi ultimi film fu Il testamento del mostro (1959), tratto dal celebre racconto di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde, ma ambientato nella Parigi contemporanea, a ribadire il suo amore per la rilettura di capolavori letterari.

L’ultimo da lui girato, Il piccolo teatro di Jean Renoir (1971), fu coprodotto dalla rai e, attraverso i quattro episodi in cui è strutturato, presenta una sintesi dell’esperienza di vita e di lavoro del grande regista. Pertanto ci appare come la testimonianza esemplare di un cinema che è stato al tempo stesso classico ma anche moderno, legato ad altre arti ma anche in grado di elaborare un proprio, specifico linguaggio. Un cinema pieno di umanità e di eventi, in cui si avverte sempre il piacere di raccontare il mondo.

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