MAYR, Johann Simon

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 72 (2008)

MAYR, Johann Simon

Paolo Russo

MAYR (Maier, Majer, Mayer), Johann Simon (Giovanni Simone). – Nacque il 14 giugno 1763 a Mendorf (vicino a Ingolstadt in Baviera) da Joseph e Maria Anna Prantmayer e fu battezzato nella chiesa di St. Leodegar.

Il padre (nato nel 1738 e morto a Mendorf nel 1807), insegnante e organista, e la madre (morta a Mendorf nel 1787), figlia di un produttore di birra della Svevia, si erano sposati il 30 sett. 1761 a Mendorf. Tra il 1762 e il 1785 ebbero, oltre al M., altri quattro figli, tutti morti prima di compiere l’anno: Maria Viktoria, Johannes Petrus, Maria Anna, Joseph. Da un secondo matrimonio del padre, con Theresa Wermuth, nacque un’altra sorella, Maria Anna, nel 1791.

Inizialmente il M. fu istruito nella musica dal padre, dal nonno Peter Mayr e dallo zio paterno Johann Michael; si formò come cantante nei cori ecclesiastici, studiò organo e clavicembalo, probabilmente anche sui brevi preludi e fughe che l’organista di Mendorf, J.B. Anton Vallade, aveva pubblicato a Norimberga nel 1755. Dal 1769 proseguì gli studi nel monastero di Weltenburg studiando musiche di J. Schobert, J. Erard, C.Ph.E. Bach. Il profitto fu tale che un mecenate di cui si ignora il nome gli offrì un periodo di studio a Vienna. Il padre preferì avviarlo alla professione di musicista nella sua città e lo iscrisse nel 1772 al collegio dei gesuiti di Ingolstadt. Il corpo insegnante era d’alto livello: spiccavano i nomi di B. Stättler (dal 1774 al 1781 parroco di St. Moritz a Ingolstadt) e J.M. Sailer, poi uno degli animatori del movimento ceciliano tedesco e vescovo di Ratisbona. Studiò anche viola, tanto da eleggerla a suo strumento prediletto; suonava l’organo nella chiesa di St. Moritz e per i padri agostiniani.

La sua formazione fu insolita per un musicista, rivolta alle discipline letterarie e filosofiche oltre che alla pratica musicale. Dal 1777 intraprese infatti a Ingolstadt gli studi in logica e retorica, dal 1781 in teologia e diritto canonico, dal 1780 al 1784 in medicina, infine dal 1784 in giurisprudenza. Ebbe per insegnante Adam Weishaupt, fondatore dell’Ordine degli illuminati, vietato e disperso nel 1784. Entrò anch’egli nell’organizzazione segreta di Weishaupt, dove conobbe il barone Thomas von Bassus, signore di Sandersdorf, possidente di terreni in Val Poschiavo nei Grigioni. Divenne così musicista dei Bassus e fu grazie al barone che si trasferì in Italia: Bassus organizzò la loggia italiana degli illuminati e nel 1780 avviò a Poschiavo un’attività editoriale che pubblicava libri destinati all’Italia, alla quale collaborò anche il Mayr. Nel 1786 il M. giunse in Italia, probabilmente con Bassus: si recò a Bergamo e a Venezia, fra l’altro per consolidare la rete commerciale della casa editrice. La polizia di Venezia li segnalò come persone sospette perché affiliate a una loggia proibita (il castello dei Bassus era stato perquisito alla ricerca di documenti della loggia); ancora nel 1802 una nota della polizia avrebbe indicato il M. come aderente alla massoneria.

A Venezia il M. si presentava come musicista, visto che aveva pubblicato a Ratisbona nello stesso 1786 un album di dodici canzoni, Lieder beim Klavier zu singen. Nel 1789 tornò a Bergamo per studiare con C. Lenzi, compositore di scuola napoletana e maestro di cappella a S. Maria Maggiore. I rapporti con Bassus si interruppero e il M. avrebbe dovuto provvedere da sé al proprio sostentamento se non fosse intervenuto V. Pesenti, canonico della basilica, che gli finanziò studi di musica a Venezia con F. Bertoni, maestro di cappella a S. Marco. Accanto alle lezioni di musica il M. proseguì un’intensa attività da autodidatta.

Lesse e copiò decine di trattati musicali e di partiture, copie conservate nella Biblioteca civica A. Mai di Bergamo: tra queste, le Osservazioni sulla musica antica e moderna di G.R. Carli e poi trattati di F. Algarotti, J. André, Ch.H. de Blainville, J.-B. Le Rond d’Alembert, G. Riccati, A. Sabatier, F. Venini e musiche di L. Cherubini, B. Galuppi, G. Gazzaniga, Chr.W. Gluck, F.J. Haydn, N. Jommelli, C. Lenzi, A. Lotti, B. Marcello, W.A. Mozart, G.B. Pergolesi, G. Pugnani, A. Salieri, G. Spontini, P. von Winter, N.A. Zingarelli e altri ancora.

Nel 1795 Pesenti lo richiamò a Bergamo per comporre musica sacra per la basilica; ma, mentre il M. era in viaggio, il suo mecenate morì: decise così di rientrare a Venezia, dove sarebbe rimasto fino al 1802.

A Venezia si mantenne forse suonando la viola nell’orchestra del teatro La Fenice e con lezioni di musica. Certamente, già dal 1791, collaborò strettamente con l’ospedale dei Mendicanti. Le sue prime composizioni di un certo respiro furono, infatti, destinate agli ospedali veneziani, le scuole di musica femminili dalla ricchissima e secolare tradizione.

Come era d’uso in queste scuole, il M. compose oratori sacri in latino, su testi di G. Foppa: Iacob a Labano fugiens (1791), Sisara (1793), Tobiae matrimonium (1794), David in spelunca Engaddi (1795). Per i Mendicanti scrisse anche la cantata Femio, ossia Musica custode della fede maritata (testo di F. Boaretti, 1791) per tre solisti, coro e orchestra. Nel 1787 aveva comunque già composto una messa in do maggiore a tre voci con piccola orchestra per il santuario di Tirano in Valtellina. Alcuni suoi oratori vennero proposti anche fuori Venezia, sebbene in piazze sempre a essa collegate: è del 1794 la sua Passione su testo tratto da P. Metastasio e dell’anno successivo Il sacrificio di Jefte (Foppa), entrambi eseguiti a Forlì. Un nuovo oratorio, sul medesimo soggetto di quest’ultimo, sarà poi Il ritorno di Jefte, o sia Il voto incauto (I. Ferretti: Roma, teatro Valle, 1814), una parodia dell’opera Il sacrificio di Ifigenia.

Il successo di questi oratori gli assicurò contratti con La Fenice (Saffo, A.S. Sografi, 1794; La Lodoiska, F. Gonella, 1796; Telemaco, Sografi, 1797). Seguirono collaborazioni con diversi teatri veneziani per i quali compose farse: fra gli altri, S. Samuele e S. Moisè (Un pazzo ne fa cento e Il secreto, Foppa, rispettivamente 1796 e 1797) e, ancora, S. Benedetto (Che originali, G. Rossi, 1798). Come era tipico del mercato impresariale italiano, in quegli anni la sua attività teatrale fu frenetica e gli assicurò fama sufficiente perché nel 1796 a Londra fosse pubblicata, forse in edizione pirata, una sua raccolta di Venetian ballads. Nel 1796 sposò Angiola Venturali, figlia di mercanti veneziani e sua allieva. Angiola morì l’anno seguente dando alla luce un figlio che le sopravvisse solo un mese; nel 1804 il M. passò a nuove nozze con la sorella di Angiola, Lucrezia.

Nel 1802 il M. venne chiamato a Bergamo per succedere a Lenzi a capo della Cappella musicale di S. Maria Maggiore. Il 7 maggio prese servizio: tenne la carica per il resto della sua vita. La sua candidatura era stata sostenuta da Giuseppe Ambrosoli, cognato del barone von Bassus.

La scelta di stabilirsi definitivamente nella città oggi lombarda (testimoniata anche dall’italianizzazione del nome di battesimo) rappresenta un caso raro nell’Italia musicale del tempo, un caso di attaccamento a una istituzione, a una città e a un progetto culturale forte e coerente. A quel tempo la direzione di una cappella musicale era considerata dai musicisti una sorta di pensionamento dopo i meriti acquisiti in una vita prevalentemente dedita al teatro; ma nel 1802 il M. era uno dei compositori più in vista del momento, le sue opere venivano richieste in tutti i teatri italiani e nei principali teatri europei. Diverse città gli offrirono la direzione delle loro principali istituzioni musicali: Parigi, con Napoleone, la direzione dei teatri e dei concerti imperiali (1805); San Pietroburgo, Londra, Lisbona (tutte nel 1807) e Dresda (1808), la direzione dei rispettivi teatri italiani; Milano (1808), la direzione del conservatorio appena fondato dal viceré del Regno d’Italia E. de Beauharnais (direzione poi assunta da B. Asioli); Bologna (1825), la direzione del liceo musicale; Roma (1816), la direzione della Cappella di S. Pietro.

Ogni volta il M. respinse le proposte e scelse di restare ai suoi uffici in Bergamo: lì nacque nel 1810 la sua unica figlia giunta alla età adulta, Maria Elisabetta (Marietta), che sposerà nel 1837 l’ingegnere Luigi Massinelli.

A Bergamo il M. si inserì nelle principali istituzioni culturali e avviò attività prestigiose. Nel 1805 diede vita alle «Lezioni caritatevoli di musica», una scuola destinata a ragazzi poco abbienti al fine di procurare loro un mezzo di sostentamento. Gli allievi assicuravano inoltre i servizi musicali per la liturgia della basilica di S. Maria Maggiore, ma erano anche in stretto rapporto con il teatro Sociale, attivo dal 1808, di cui il M. stesso era uno degli animatori. Per questo teatro scrisse, tra l’altro, il ballo La noce di Benevento per le coreografie di S. Viganò (1812). I più noti tra gli allievi delle «Lezioni caritatevoli» sono stati G. Donizetti, A.I. Bosio e M. Bonesi. Il prestigio di questa istituzione assicurò anche un corpo docente d’alto respiro che contava fra gli altri F. Salari, G.A. Capuzzi, A. Gonzales. Sul modello dei conservatori veneziani gli allievi eseguivano annualmente un’accademia per finanziare l’istituzione: il M. ne approfittò per introdurre a Bergamo le principali novità della musica europea, soprattutto Haydn (Le sette parole di Cristo dalla croce), Mozart e L. van Beethoven. La fama di questa istituzione e del livello intellettuale del suo fondatore spinsero nel 1811 il direttore generale della Pubblica Istruzione M. Scopoli a chiedere al M. un piano per l’istituzione di una cattedra di musica all’Università di Pavia. Nel 1809 il M. fondò il Pio Istituto musicale per assistere i musicisti anziani (inaugurato con l’esecuzione della Creazione di Haydn, la seconda esecuzione italiana dopo quella di Napoli del 1804) e, nel 1823, l’Unione filarmonica. Nel 1826 si manifestarono i primi sintomi di una malattia agli occhi che si aggravò sensibilmente nel 1832, portando progressivamente il M. alla cecità. Nel 1836 il presidente dell’Ateneo di Bergamo G.C. Suardo promosse la realizzazione di un busto del M. affidata a L. Manfredi. Per il suo settantottesimo compleanno, nel 1841, vennero celebrati grandi festeggiamenti a Bergamo con monete coniate a spese dell’Unione filarmonica.

Il M. morì a Bergamo il 2 dic. 1845, venti mesi dopo che era mancata la moglie. Oltre che con esequie solenni, la sua memoria venne celebrata con l’erezione nella basilica di un monumento realizzato da I. Fraccaroli (fra i sottoscrittori, anche G. Verdi). Nel 1875 le ceneri del M. furono traslate a S. Maria Maggiore.

Un simile attivismo nel tessuto sociale, riconosciuto e celebrato dai concittadini, fu il frutto di una formazione intellettuale ampia e articolata, dei contatti stabiliti all’epoca degli studi universitari e della frequentazione giovanile con gli illuminati, il frutto, infine, della curiosità e della propensione allo studio che il M. ha sempre dimostrato e praticato nelle decine di trattati e partiture copiati di proprio pugno e negli appunti sparsi nel suo album (Zibaldone preceduto dalle pagine autobiografiche, a cura di A. Gazzaniga, Gorle 1977; Passi scelti dallo Zibaldone e altri scritti, a cura di A. Gazzaniga - A. Romagnoli - P. Zappalà, Bergamo 1993); lì trascriveva passi di libri letti e studiati, forse riflessioni personali: nell’insieme rende l’immagine di un lettore dalla vasta cultura e dai molteplici interessi.

La vocazione all’insegnamento e alla diffusione della musica nacque probabilmente dalla frequentazione con gli illuminati, tra cui il M. aveva conosciuto le teorie pedagogiche di J.H. Pestalozzi, aderente all’Ordine degli illuminati, e di J.F. Herbert, che sostenevano che la musicalità non nasce dall’apprendimento della teoria ma dalla pratica del canto e dall’imitazione. Quelle teorie sarebbero state rafforzate in lui dalla conoscenza di H.G. Nageli, allievo di Pestalozzi, conosciuto durante la sua collaborazione alla casa editrice del barone von Bassus. Il M. ne riprese i fondamenti pedagogici: osservava quanto in Italia la professione musicale fosse decaduta e denunciava lo stato di ignoranza dei musicisti italiani. Gli ideali filantropici assimilati tra gli illuminati lo convinsero infatti che il rigore della formazione musicale non poteva prescindere da una solida cultura generale. Le «Lezioni caritatevoli» furono così una delle esperienze pilota di educazione musicale dell’Ottocento italiano, organizzata per un verso sull’esempio della pratica assistenziale degli ospedali veneziani e per un altro sul modello educativo del conservatorio di Parigi. L’attenzione del M. per la diffusione della pratica musicale è dimostrata inoltre dalla composizione di diversi inni sacri di facile esecuzione.

Il suo incarico a Bergamo era però dedicato principalmente alla musica sacra. Non esiste ancora un catalogo ragionato delle sue carte; ma in esse sono state contate da Allit (p. 98) almeno diciassette messe più o meno complete e arrangiate, due messe da requiem (la Gran messa da requiem in sol minore è l’unica sua opera sacra edita con l’autore ancora in vita, sebbene in un’edizione pirata, a Milano nel 1819), una decina di versioni del Sanctus, Benedictus, Agnus, oltre a una ventina di Credo e a un centinaio di Gloria. In gran parte è musica sacra composta per Bergamo; ma vi si trovano anche pezzi destinati a Novara, a Napoli e al monastero benedettino di Einsiedeln in Svizzera (1826). Si hanno ancora quattro Passioni incomplete per soli e piccolo coro, il Te Deum eseguito per l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia a Milano nel 1805. Gran parte di queste composizioni risale agli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, dopo che il M. aveva lasciato le attività teatrali. In ambito cerimoniale spiccano le musiche sacre con strumenti a fiato. Nel complesso, infatti, la sua produzione sacra dimostra la contiguità tra musica cerimoniale liturgica e musica teatrale, propria di quegli anni in Italia: nell’opera del M. tale contiguità è contenuta, ma non è rifiutata e non avvalora l’immagine da alcuni sostenuta di un compositore impegnato nella riforma e purificazione del canto liturgico. Negli anni Venti il M. riprese anche la composizione di oratori sacri: Atalia (F. Romani, 1819-20), Samuele (B. Merelli, 1821) per l’ingresso del vescovo Pietro Mola, S. Luigi Gonzaga (P. Cominazzi, 1822). Per la visita a Bergamo dell’imperatore Francesco I d’Asburgo nel 1825 scrisse la cantata Armonia (G.B. Baizini); e per la visita del 1838 di Ferdinando I, la Schiera di fausti eventi.

I decenni Venti e Trenta videro un grande impulso anche dell’attività d’erudizione, storiografica e giornalistica: il M. collaborò attivamente all’Ateneo di scienze lettere ed arti (1817), di cui fu socio fin dalla fondazione e che presiedette dal 1823 al 1826, e scrisse tra l’altro la biografia di Franchino Gaffurio e una storia dell’oratorio in musica (Cenni storici intorno all’oratorio e ai misteri che lo precedettero), entrambe relazioni presentate all’Ateneo rispettivamente il 20 febbr. 1840 e il 24 ag. 1843.

La dedizione incondizionata alla sua patria adottiva non gli impedì però di proseguire l’intensa attività teatrale avviata a Venezia con opere serie e farse, spesso quest’ultime derivate direttamente dal teatro sentimentale francese ed europeo (per esempio, Lodoiska) e realizzate talvolta con ampio uso di cori (Elisa, Rossi, 1804). Dal 1802, pur continuando a rappresentare con frequenza opere a Venezia e in altre città, elesse La Scala di Milano a teatro di riferimento, dove allestì I misteri eleusini (G. Bernardoni, 1802) su soggetti massonici e iniziatici. Fino al 1824 le sue opere furono richieste e ospitate dai principali teatri italiani sia in Italia sia all’estero. Già nell’agosto 1802, appena assunto a Bergamo, il M. si era recato a Vienna, dove restò fino al febbraio 1803 per allestire l’opera Ercole in Lidia (G. De Gamerra). In quei mesi incontrò certamente la vedova di Mozart, Constanze, e probabilmente Haydn, Beethoven e Salieri. La fama internazionale del M. fu dunque precoce: nel 1828 un critico della Allgemeine musikalische Zeitung lo definì artefice di una delle più grandi rivoluzioni nella musica teatrale italiana per aver introdotto nell’opera armonie, modulazioni, sviluppi, accompagnamenti, effetti strumentali prima ignoti in Italia.

In effetti, così come si adoperò per introdurre e diffondere in Italia il repertorio musicale viennese, il M. introdusse nella tradizione operistica italiana modelli e stilemi d’Oltralpe, tedeschi soprattutto, ma anche francesi, magari derivati da quegli autori italiani come Salieri e Cherubini che operavano all’estero. Le sue prime opere ebbero notevole successo e ampia circolazione: Alonso e Cora (Bernardoni, La Scala, 1803), Zamori (L. Prividali, Piacenza, 1804), Adelasia e Aleramo (L. Romanelli, La Scala, 1807) contarono notevoli allestimenti e riprese. Ginevra di Scozia (Rossi) inaugurò il teatro Novo di Trieste nel 1801 e restò ininterrottamente in circolazione almeno fino al 1831, in un’epoca in cui il teatro d’opera non si fondava ancora prevalentemente su opere di repertorio. Il M. si dimostrò così interessato al gusto corrente per il romanzesco, le ambientazioni nordiche, gli intrecci avventurosi, la componente patetica e sentimentale; condivise con il dramma romantico incipiente la mescolanza dei registri e la commistione dei generi.

Altre opere, se ebbero minor successo di pubblico, assicurarono comunque il prestigio del loro autore perché assursero al rango di partiture dotte ed esemplari. Lo testimonia, in questi casi, non la quantità di libretti stampati (segnale di diffusione nei teatri), quanto invece il numero di partiture copiate in bella calligrafia ed elegantemente rilegate: non oggetti d’uso, dunque, ma oggetti da conservare e da studiare. Un caso tra questi è Medea in Corinto, prodotta nel 1813 su libretto di Romani per il S. Carlo di Napoli dopo la progressiva penetrazione dell’opera del M. nel Regno delle Due Sicilie (Ginevra di Scozia nel 1804, Elisa nel 1807, I misteri eleusini nel 1809, Adelasia e Aleramo, L’amor coniugale e Le due giornate nel 1810, La roccia di Frauenstein e ancora Elisa nel 1812). Della Medea si hanno almeno ventitré copie manoscritte della partitura oltre a uno spartito edito a Parigi; i pochi libretti pervenuti testimoniano invece una scarsa diffusione in Italia (Bergamo, Milano, Roma) e in ogni caso piuttosto tarda, successiva al 1821. La questione venne d’altronde posta fin dalle prime recensioni nel Monitore delle Due Sicilie: «Vi sono certamente due specie di musica, una cioè che occupa lo spirito e la mente, e l’altra che muove ed agita il cuore. La prima sembra regnare nell’opera del Signor Mayer, ma non debbe dirsi affatto priva della seconda» (15 dic. 1813). Alla densità della scrittura orchestrale, alla continuità dei numeri, all’armonia che, a detta del critico napoletano, nell’opera del M. soffocherebbe le voci, non era riconosciuta piena funzionalità nel mondo espressivo e teatrale italiano, ma neppure le era negato valore estetico. Medea in Corinto aveva insomma valore nei confronti di un pubblico «intelligente», per quanto poco diffuso e generalizzato esso potesse essere.

La drammaturgia del M. rifugge da forme stereotipe e convenzionali: se per un verso conserva strutture del numero lirico ampiamente praticate nel tardo Settecento italiano, dall’altro ne introduce di nuove, variate con notevole libertà. La sua ricerca non è progressiva, non intende risolvere problemi tecnici compositivi e definire nuove strutture valide in ogni situazione drammatica: l’adozione di forme o sezioni che sarebbero poi diventate usuali negli anni Venti, come le cabalette o i tempi di mezzo dinamici, per il M. non significa mai una acquisizione definitiva, ma una soluzione possibile entro un’ampia tavolozza formale. La forma tripartita dell’aria (cantabile, tempo di mezzo, cabaletta), che dominerà gli anni rossiniani, per esempio, si trova già in Adelaide di Guesclino (Rossi, 1799), Zamori (1804), Tamerlano (Romanelli, 1813), ma non, per esempio, in La rosa bianca e la rosa rossa (Romani, 1813), dove pure si trovano arie in più movimenti. Il M. amministra le forme liriche su un asse retorico basato su specifiche considerazioni drammatiche, cerimoniali, convenzionali: esemplare è, per esempio, il caso dell’Ercole in Lidia, rappresentato a Vienna nel 1803, molto innovativo rispetto alla tradizione italiana, ma che il M. intese probabilmente come occasionale adesione ai gusti più francesizzanti e cosmopoliti della corte austriaca: il ridimensionamento dell’elemento virtuosistico, l’abbondanza del recitativo accompagnato, il ruolo del coro, la strumentazione con largo uso di ottoni e arpa, gli elementi marziali e lo «stile grandioso» non sono, infatti, conquiste definitive, ma opzioni stilistiche tra tante. Analogamente sarà il recupero della tradizione metastasiana alla fine della sua carriera, quando opere come Demetrio (Torino, 1824) saranno probabilmente il dazio da pagare alle corti italiane più rigorose nel ripristino della Restaurazione dopo i moti carbonari degli anni Venti.

Nelle partiture del M. è dunque difficile individuare un tratto omogeneo: il colore orchestrale e il carattere melodico sono estremamente diversificati, così come lo sono la struttura fraseologica e la morfologia, spesso descrivibile tanto nei termini della tradizione settecentesca quanto sulla base di modelli poi codificati nelle opere serie di G. Rossini. La libertà con cui il M. accosta forme diverse discende dall’ambiguità intrinseca che sottende ogni singolo numero, a livello sia macroformale sia fraseologico: la melodia è costruita per brevi incisi, volta a volta variati, citati, ripresi nel profilo melodico o in quello ritmico o in entrambi; è concepita come tessuto di frasi distintamente articolate, varie nella configurazione ritmica ma armoniosamente disposte in una regolare scansione metrica, sul modello delle teorie italiane della melodia, esemplificate, per esempio, dai trattati di F. Galeazzi (1790); in ogni caso, a salvaguardia del principio ancora roussoviano dell’unità della melodia, accostate secondo un principio di varietà più che di contrasto.

Nel suo catalogo di oltre sessanta opere liriche si trovano titoli classicisti, come Medea in Corinto o I misteri eleusini, o ancora Il sacrificio di Ifigenia (G. Arici, Brescia, 1811), ma si trovano anche (e tra i primi in Italia) soggetti romantici come Lodoiska, L’amor coniugale (Rossi, Padova, 1805), Ginevra di Scozia, La rosa bianca e la rosa rossa, Raoul di Créqui (Romanelli, La Scala, 1810). Il declino artistico del compositore corrisponde anche a un ripiegamento classicista con il recupero di soggetti aulici (Fedra, Romanelli, La Scala, 1821, e Demetrio). Nel complesso, questa parabola segna una stagione di grande vivacità e curiosità per forme, temi e strutture musicali, che hanno rinnovato l’operismo italiano negli anni della Rivoluzione e poi napoleonici, ma anche una resa sul limitare del nuovo teatro romantico.

L’influenza del M. dagli anni Venti in avanti è limitata ai suoi studi teorici, che garantiscono al romanticismo dilagante una deriva profondamente immersa nei valori classici e illuministici. La sua formazione estetica, infatti, se è nutrita delle teorie e delle poetiche di J.G. von Herder, Novalis (Fr.L. von Hardenberg) e Fr.D.E. Schleiermacher, affonda anche nella trattatistica di d’Alembert, J.-J. Rousseau, nel sensismo di É. Bonnot de Condillac: in bilico tra razionalismo e irrazionalismo, ma sempre con la consapevolezza dell’importanza di una tecnica compositiva in costante perfezionamento. Pochi sono, infatti, i suoi trattati puramente estetici, come la Dissertazione sul genio e sulla composizione (Sisk); per la gran parte la sua riflessione sulla musica e i suoi ideali artistici è esposta in opere erudite e storiche (conservate nella Biblioteca civica di Bergamo), in un continuo dialogo tra storia della musica e critica della produzione artistica recente (Cenni intorno allo stato e alla coltura progressiva della musica in Germania, Un saggio sopra l’opera in musica); anche l’attenzione ai grandi maestri alterna studi, talvolta pionieristici, su autori del passato (G. Pierluigi da Palestrina, Orlando di Lasso (Roland de Lassus), E. Astorga, A. Corelli) ad altri su autori coevi o viventi (Rossini, S. Viganò, Haydn), così che lo sguardo sulla musica del presente è sempre sostenuto da una profonda consapevolezza storica.

Per il catalogo dettagliato delle composizioni e degli scritti editi e inediti del M. si rimanda a The New Grove Dictionary (XVI, pp. 180-183) e Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004).

Fonti e Bibl.: G. Calvi, Di Giovanni Simone M. (1846-48), a cura di P. Pelucchi, Bergamo 2000; Il carteggio di Giovanni Simone M., Bergamo, I-III (in corso di stampa); L. Schiedermaier, Beiträge zur Geschichte der Oper um die Wende des 18. und 19. Jahrhundert: S. M., I-II, Leipzig 1907-10; A. Gazzaniga, Il fondo musicale Mayr della Biblioteca civica di Bergamo, Bergamo 1963; E. Gallizioli, Gli scritti di Giovanni Simone M. nella cultura musicale italiana del primo Ottocento, in Atti dell’Ateneo di scienze lettere ed arti di Bergamo, 1982-83, vol. 43, pp. 489-515; L.T. Sisk, Giovanni Simone M. (1763-1845): his writings on music, diss., Northwestern University, Evanston, IL, 1986 (con edizione della Dissertazione sul genio e sulla composizione); S.L. Balthazar, M., Rossini and the development of the opera seria duet. Some preliminary conclusions, in I vicini di Mozart, I, a cura di M.T. Muraro, Firenze 1989, pp. 377-398; A. Bonazzi, Indice del carteggio di Giovanni Simone M., in Ex Filtia. Studi e fonti per la storia di Bergamo, 1990, n. 2, pp. 65-94; A.M. Rondalli, Le proprietà musicali di J.S. M. pervenute in dono alla Biblioteca civica «A. Mai» di Bergamo dal 1846 al 1900, tesi di diploma, Univ. di Pavia, a.a. 1990-91; S.L. Balthazar, M., Rossini and the development of the early concertato finale, in Journal of the Royal Music Association, CXVI (1991), 1, pp. 236-266; A. Bonazzi, Il carteggio inedito di J.S. M. della Biblioteca civica «A. Mai» di Bergamo. Corrispondenza con Marco Bonesi, in Bergomum, 1992, n. 2, pp. 3-155; Aspetti dell’opera italiana fra Sette e Ottocento. M. e Zingarelli, a cura di G. Salvetti, Lucca 1993; E. Comuzio, Le composizioni bergamasche di G.S. M., in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, 1994-95, vol. 57, pp. 419-443; J.S. Allit, Giovanni Simone M.: Vita musica e pensiero, Villa di Serio 1995; Beiträge des I. Internationalen J.S. M. - Symposions… 1992, a cura di K. Batz, Ingolstadt 1995; L. Ferrajoli, Un didatta moderno: Giovanni Simone M., in Atti dell’Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, 1995-96, vol. 59, pp. 313-318; M. Bellini, L’oratorio «Il sagrifizio di Jefte» di J.S. Mayr. Studio storico-analitico ed edizione critica, tesi di laurea, Univ. di Pavia, a.a. 1995-96; L. Inzaghi, M. secondo l’«Allgemeine musikalische Zeitung», in Nuova Riv. musicale italiana, XXX (1996), pp. 180-192; R.T. Shaheen, Neoclassical influences in the two versions of Giovanni Simone M.’s «Lodoiska», I-II, diss., University of California, Los Angeles 1996; Giovanni Simone M.: l’opera teatrale e la musica sacra. Atti del Convegno internazionale… 1995, a cura di F. Bellotto, Bergamo 1997; Werk und Leben J.S. Mayrs im Spiegel der Zeit, in Beiträge des Internationalen musikwissenschaftlichen J.S. M. -Symposions in Ingolstadt1995, a cura di F. Hauk - I. Winkler, München-Salzburg 1998; J.S. M. und Venedig, ibid.1998, a cura di F. Hauk - I. Winkler, ibid. 1999; I Convegno internazionale mayriano Città di Bergamo. Atti del Convegno… 1993, Bergamo 2000; A. Morgenstern, Brevi notizie della vita e delle opere di G. Haydn (1809) von J.S. M., in S. M. Mitteilungen, I, Salzburg 2000, pp. 24-49; M. Eynard, Giovanni Simone M. socio e presidente dell’Ateneo, in L’Ateneo dall’età napoleonica all’Unità d’Italia. Documenti e storia della cultura a Bergamo, a cura di L. Pagani, Bergamo 2001, pp. 105-132; P. Russo, «Medea in Corinto» di F. Romani e J.S. M., tesi di dottorato, Università di Bologna, sede di Ferrara, 2001; U. Schaumberg, Die opere serie Giovanni Simone Mayrs, I-II, Salzburg 2001; Attorno al palcoscenico. La musica a Trieste fra Sette e Ottocento e l’inaugurazione del teatro Novo (1801), a cura di M. Girardi - P. Da Col, Sala Bolognese 2001, ad ind.; L. Bianchini - A. Trombetta, Goethe, Mozart e M. fratelli illuminati, Milano 2001; I. Winkler, Giovanni Simone M. in Venedig, Salzburg 2003; P. Russo, «Medea in Corinto» di F. Romani. Storia fonti e tradizioni, Firenze 2004; M. a S. Maria Maggiore. 1802-2002. Atti del Convegno di studi per il bicentenario della nomina di Giovanni Simone M. a maestro della cappella in Bergamo… 2002, a cura di L. Aragona - F. Bellotto - M. Eynard, Bergamo 2004; J.S. M. und Wien, in Beiträge des Internationalen musikwissenschaftlichen J.S. M. - Symposions in Ingolstadt… 2001, a cura di F. Hauk - I. Winkler, München-Salzburg 2005; A. Morgenstern, Die Oratorien von J.S. M. (1763-1845). Studien zu Biographie, Quellen und Rezeption, München-Salzburg 2006; M. Eynard - F. Hauk - I. Winkler, Begegnung mit J.S. M. - Incontro con Giovanni Simone M. - Encountering J.S. M., Ingolstadt-Bergamo 2006; Diz. encicl. universale della musica e dei musicisti. Le biografie, IV, pp. 737-740; The New Grove Dictionary of opera, III, pp. 283-286; The New Grove Dictionary of music and musicians, XVI, pp. 178-183; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004) coll. 1400-1409.

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