KOMOS

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

Vedi KOMOS dell'anno: 1961 - 1961

KOMOS (κῶμος)

S. de Marinis

La parola k., di non chiara etimologia, sembra essere comprensiva nel mondo greco di diversi significati, che sono stati oggetto di molteplici discussioni da parte degli studiosi. Ma qui sarà preso in esame solo quello che assume nelle rappresentazioni figurate, nelle quali si designano fondamentalmente kòmoi tutte quelle scene che si potrebbero definire genericamente orgiastiche, dove compare un gruppo o un corteo di bevitori, cioè komastài (termine tradotto dal Beazley come revellers), che danzano, cantano, bevono, si ubriacano, ecc.

Il motivo si trova assai di frequente in tutta la ceramica greca, fino dal Corinzio Arcaico (manca al Protocorinzio e al Corinzio di Transizione). È merito del Greifenhagen l'aver raccolto e catalogato le figurazioni di k. del VI sec., fino al 530 circa, tracciando un quadro minuzioso degli sviluppi topografici e cronologici dello schema. A Corinto la scena (presente soprattutto su vasi di piccole dimensioni come arỳballoi e skỳphoi e solo tardi su anfore e crateri) è limitata a poche figure, per lo più disposte in una fila senza legami, meno spesso raggruppate o contrapposte a due a due, che danzano con movimenti piuttosto uniformi, tenendo in mano kàntharoi o corni potorî. Talvolta la presenza di un cratere (poggiato a terra o trasportato da una parte all'altra da un komastès) rende la composizione più unitaria e centralizzata. Tipico dei comasti corinzî è un corto chitone la cui foggia particolare, sembra con imbottiture unitamente alla conformazione speciale del corpo (donde il nome di Dickbauchtänzer e padded dancers), ha fatto supporre per queste figure una natura non umana, o un travestimento apposito, in connessione con una qualche cerimonia religiosa; ipotesi che, probabilmente, deve essere esclusa.

Donne comaste appaiono solo nel Tardo Corinzio: interessante è l'anfora del British Museum P. 36, dove le figure di donne nude danzanti, sovradipinte in bianco, formano un cerchio attorno agli uomini.

Le rappresentazioni di k. sulla ceramica calcidese, beota e laconica derivano chiaramente dalla tipologia corinzia. Anche in Attica il k. (come d'altronde tanti altri motivi) fa il suo ingresso (con i pittori del Gruppo dei Komastai) sotto un fortissimo influsso corinzio, che va però a poco a poco diminuendo: dalle figure ancora steatopigiche del Pittore KX, si passa, già negli altri pittori del Gruppo dei Komasti, a figure di corporatura più normale, non più caratterizzate dal corto chitone, ma nude, come saranno poi quasi senza eccezione tutti i komastài attici delle figure nere; i movimenti di danza divengono più ricchi, più complessi, più sfrenati; sempre più si tende a legare le figure fra loro raggruppandole e contrapponendole. Ma la scena è ancora molto riassunta: scarsi sono gli attributi e solo raramente compaiono flautisti.

Anche sulle anfore tirreniche (due terzi delle quali presentano scene di k.) il motivo non mostra forti variazioni. Le donne vi sono frequentemente rappresentate, ora vestite di chitone o peplo, ora completamente nude, secondo la tipologia più diffusa dal tempo di Kleitias in poi.

Intorno alla metà del secolo si è raggiunta una piena autonomia, soprattutto sul piano stilistico. La composizione è però sempre assai semplice. Indicativo può essere il k. della coppa di Ergotimos: una donna nuda, volta verso sinistra, suona il flauto fra due uomini che, con lunghi corni potori in mano, danzano agitandosi violentemente.

Fra il 550 e il 540 si nota una certa diminuzione di importanza del k., che perde talvolta il suo significato: nelle coppe dei Piccoli Maestri non è rara la presenza di komastài singoli, accostati a scene o elementi estranei.

Ma verso il 530 si verifica una trasformazione fondamentale: nella ceramica a figure rosse e nella tarda a figure nere non solo il quadro acquista una complessità e una ricchezza di particolari mai vista, ma si specifica, e in certo qual modo si cambia, il momento rappresentato, quale ci era apparso nella ceramica a figure nere: le scene indicano con molta chiarezza la fase finale di un simposio o la sua degenerazione orgiastica. L'azione talvolta sembra svolgersi ancora in un ambiente chiuso, messo in rllievo ora da cesti o altri oggetti appesi al muro, ora da un cratere poggiato a terra, attorno al quale si accentra la danza dei bevitori ubriachi (cfr. per esempio una kotỳle di Epiktetos); in questi casi lo schema si può considerare come un semplice ampliamento di quello già abbastanza frequente in epoca precedente. Più spesso i simposiasti sono usciti di casa e procedono in corteo per la strada (brevi notazioni paesistiche, alberelli, per esempio, definiscono talvolta l'ambiente). Si tratta cioè più esattamente di ritorno dal simposio. Tale significato, che può essere applicato in casi singoli anche a k. dei più antichi vasi a figure nere (v. per esempio uno skỳphos del Museo Nazionale di Atene con dieci figure che avanzano in corteo, una suonando la lyra, le altre sorreggendo vasi di tutte le forme), è il più frequente in questo periodo dello stile severo a figure rosse. Interessante è una coppa di Orvieto, attribuita al Pittore di Brygos, dove è rappresentato proprio il momento della partenza per il k., quando i convitati escono dalla sala a colonne, allontanandosi a passo di danza dalle tavole ormai vuote. Le scene presentano una sostanziale uniformità di elementi compositivi; le varianti nello schema e nella disposizione delle figure, così come la maggiore o minore complessità d'insieme e la ricchezza di particolari, dipendono per lo più dalla forma e dalle dimensioni del vaso su cui il motivo è raffigurato: alla superficie esterna delle coppe si adatta bene una lunga teoria di personaggi; allo spazio metopale delle anfore e dei crateri una scena più raggruppata e unitaria; nell'interno delle coppe ci si limita necessariamente ad un komastès singolo o, al massimo, ad un gruppo di due figure. M k. partecipano per lo più giovani, ma non mancano uomini maturi (barbati); indossano un corto mantello che copre solo le spalle, oppure, più spesso, sono completamente nudi; alcuni portano alti calzari, e, raramente, anche un copricapo (v. per esempio la kỳlix del Louvre G 4 bis). In mano hanno lunghi bastoni; pure in mano, o infilati nei bastoni stessi, tengono dei cestini di forma semicircolare, quelli che vediamo nelle scene di simposio appesi al muro e che servivano, probabilmente, a contenere i cibi che ognuno dei convitati usava portare con sé. Sorreggono o trascinano nelle posizioni più svariate vasi di ogni tipo, grandi e piccoli, forse per riportarli a casa vuoti, oppure per continuare a bere durante il cammino: spesso infatti le coppe, dal modo in cui sono sostenute si devono supporre piene. Alcuni suonano il flauto o la cetra, mentre gli altri avanzano a passo di danza oppure camminano a grandi passi, gesticolando ampiamente. Al k. non mancano le etère (ora avvolte in un mantello, ora seminude), la cui presenza aveva già rallegrato il simposio. Lo stato di ubriachezza è molto spesso evidente: è facile spiegare in questo senso le zuffe che finivano a bastonate, rappresentate, per esempio, su una coppa attribuita ad Euphronios. Più chiaramente ubriachi sono i komastài che vomitano per il troppo vino bevuto (sorretti da una etèra, o da un piccolo servo), oppure quelli che camminano ondeggiando, quasi non riescano a reggersi in piedi, con la testa curva, appoggiandosi pesantemente al bastone. Altri, invece, cercano di dar prova di essere in sé, tenendo i diversi recipienti in posizioni difficili o facendo addirittura con essi giochi di equilibrio: kotỳlai e coppe sono sorrette in bilico su una coscia, su un ginocchio, su un braccio, mentre la figura compie complessi movimenti. In questo motivo si sbizzarrisce la fantasia dei pittori per conferire maggior spirito e vivacità all'insieme. I Greci non si facevano scrupolo di rappresentare qualsiasi azione o gesto o atteggiamento della vita umana per quanto sconveniente o osceno. Le scene francamente licenziose, che non mancano neppure nei simposî, divengono logicamente assai frequenti nelle figurazioni di k., dove lo stato di ubriachezza e la sfrenatezza in ogni senso devono essere i motivi dominanti.

Un problema separato costituiscono quelle rappresentazioni piuttosto simili a k. nello schema e nei singoli elementi compositivi, ma i cui partecipanti sono satiri, menadi e lo stesso Dioniso. Definite generalmente come "scene dionisiache" o "satiri e menadi danzanti", sono talvolta considerate k., per esempio dal Greffenhagen, il quale ne traccia lo sviluppo evolutivo come di un tipo particolare di k., distinto, ma non diverso da quello corrispondente e contemporaneo di esseri umani. In realtà, quando in un medesimo quadro compaiono satiri accanto agli uomini, la scena non cambia significato; ancora k. possono essere chiamate quelle lunghe teorie di satiri e menadi (non particolarmente caratterizzate come tali) danzanti attorno ad un cratere con corni potorî ed altri attributi simili, frequentemente rappresentati per esempio da Nikosthenes. Ma quando, più spesso, il centro della composizione è costituito dalla figura di Dioniso, stante o seduto, con kòntharos e pampini di vite in mano, la scena assume un significato diverso, di quadro mitico, pur con un valore prevalentemente decorativo; e i satiri e le menadi danzanti intorno, anche se i loro movimenti e i loro attributi denunciano evidenti rapporti con i tipi del k., non possono essere defluiti komastài, ma piuttosto figure della cerchia dionisiaca. Alla discussione sono però quasi sempre estranee le scene sulla ceramica a figure rosse, dove si tratta di veri e proprî thìasoi bacchici (menadi in preda all'estasi dionisiaca che agitano il tirso, ecc.).

Le rappresentazioni di k. mancano al mondo etrusco e romano, dove non sembra esistesse neppure nella realtà una usanza simile a quella del greco kòmos.

Monumenti considerati. - Anfora tardo-corinzia, British Museum B 36: A. Greifenhagen, Att. schwarzfig. Gatt., cit., tav. iv. Coppa di Ergotimos: J. C. Hoppin, Black-fig., p. 82. Kotỳle di Epiktetos: G. V.A., Oxford, i, tav. xli, 9. Skỳphos del Museo Nazionale di Atene: A. Greifenhagen, op. cit., tav. iii, 2. Coppa di Orvieto, attribuita al Pittore di Brygos: P. Hartwig, Meisterschalen, Stoccarda - Berlino 1893, tav. xxxvi. Kỳlix del Louvre, G 4 bis: J. C. Hoppin, Red-fig., ii, 116, 4. Coppa attribuita a Euphronios: P. Hartvig, op. cit., tav. xlix.

Bibl.: Lamer, in Pauly-Wissowa, XI, 1922, col. 1286 ss., s. v.; A., Greifenhagen, Eine attische schwarzfigürige Vasengattung und die Darstellung des Komos in VI. Jahrhundert, Königsberg 1929; H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, pp. 194-201; J. D. Beazley, Development, p. 19 ss.

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