KRITIOS e NESIOTES

Enciclopedia dell' Arte Antica (1961)

KRITIOS e NESIOTES (Κριτίος nelle iscrizioni; Κριτίας in Pausania e Luciano; Critias in Plinio; Νησιώτης in Plutarco, Moralia, 802 A e Luciano; Νεσιότες nelle iscrizioni)

W. Fuchs

Artisti greci di cui Plinio (Nat. hist., xxxiv, 49) pone la fioritura dell'arte nell'83a Olimpiade (448-444 a. C.); essi vengono citati accanto ad Alkamenes (v.) e Hegias (v.) come emuli di Fidia. Questa data è inesatta e può tutt'al più indicare la fine dell'attività dei due artisti, in quanto Hegias è stato probabilmente uno dei maestri di Fidia. Luciano (Rhet. praecept., 9) chiama K. e N. rappresentanti della παλαιᾶς ἐργασίας, per la quale le opere sono ἀπεσϕιγμένα (stringate, parche) νευρώδη καὶ σκληρα (nerborute e asciutte; oppure dure, rispetto all'esecuzione) καὶ ἀκριβῶς ἀποτεταμένα ταῖς γραμμαῖς (e decise nelle linee, cioè prive di trapassi). Essendosi conservate sull'acropoli di Atene per lo meno sei basi garantite dalle iscrizioni, appare chiaro che K. e N. siano stati i principali tra i primi maestri della scultura attica di Stile Severo.

Particolarmente importante tra le basi è quella Raubitschek n. 120, con la consacrazione dell'oplitodromo Epicharinos; in base ai caratteri epigrafici e al fatto che Pausania (i, 23, 9) vide ancora la statua, la si può situare dopo il 480 a. C., anno della presa dell'Acropoli da parte dei Persiani. Sulla base doveva essere rappresentato un corridore armato, quale appare su monete di Cizico e su una lékythos a figure nere nel British Museum (B 628), del medesimo tipo della statuetta eginetica in bronzo di Tubinga un poco più antica. Un'altra opera importante, firmata da K. e N., era sostenuta dalla base Raubitschek n. 121 e consacrata da Ekphantos e Hegelochos ad Atena Parthènos: dalle impronte rimaste si deduce che la figura doveva essere in posa vivamente mossa, con il piede sinistro in avanti: si trattava probabilmente di un guerriero, o di Ares o di Atena Pròmachos; la probabile datazione posteriore al 480 a. C. pare confermata dai caratteri dell'iscrizione. Una terza base, consacrata da un Aristokles (?) alla Πότνια Atena, sosteneva probabilmente una statua equestre o un cavallo con conducente (Raubitschek n. 123). Inoltre una base rotonda sorreggeva il dono votivo di Aristeas (?) e Opsios, insieme al primo dono del demo attico di Oa. Le impronte dei sostegni fanno supporre che la base sostenesse una statua in atteggiamento composto, con i piedi molto ravvicinati; forse una statua di Atena (Raubitschek n. 160). Tutte le basi citate, e le altre due (Raubitschek n. 122 e n. 161), reggevano statue bronzee.

In bronzo era anche l'opera più celebre di K. e N., i Tirannicidi Armodio e Aristogitone (v.) posti nell'anno 477-76 nell'agorà di Atene, in sostituzione del gruppo di Antenor (v.), asportato in Susa da Serse (Marmor Parium, i epoca, 54, c. 70 ss.). Ripristinando questo gruppo, il popolo attico si dichiarava nuovamente solidale con l'atto compiuto nell'anno 514 a. C., allorché Armodio e Aristogitone uccisero, durante le Panatenaiche, Ipparco, fratello del tiranno Ippia. Il movente personale della gelosia, vero o inventato, assume valore secondario. Il monumento diventa per eccellenza il monumento della libertà democratica ateniese.

Nel 1859 per primo K. Friederichs ha riconosciuto in due statue in marmo del Museo Nazionale di Napoli copie delle statue in bronzo dei tirannicidi. Egli giunse a questa conclusione basandosi sulla tradizione scritta e sull'affinità riscontrato tra il gruppo, il rilievo su un trono marmoreo della Collezione Elgin a Broomhall e alcune monete attiche. Il Friederichs non stabilì però con quale dei due gruppi si dovevano identificare le statue di Napoli, quello di Antenor cioè o quello di Kritios e Nesiotes. Attualmente una preponderante maggioranza di studiosi ha riconosciuto, per i caratteri stilistici e per l'importanza della modellazione del gruppo napoletano e delle varie sue repliche, una riproduzione dei Tirannicidi di Kritios e Nesiotes. Nel gruppo di Napoli però la testa di Aristogitone appariva chiaramente di età diversa. Il Treu per primo ha intuito, pur non pubblicando la sua ipotesi, che il tipo di testa virile barbuta di un'erma di Madrid - il cosiddetto Pherekydes era da riconoscersi come la testa di Aristogitone. Questa ipotesi è stata pienamente confermata dal ritrovamento di una replica acefala dell'Aristogitone, scoperta negli scavi del 1938-1939 sulle pendici del Campidoglio, presso la chiesa di S. Omobono, sulla quale si adatta perfettamente una replica della testa dell'Aristogitone, allora esistente nei magazzini dei Musei Vaticani. Entrambe le figure sono rappresentate mentre avanzano eccitate (Aristogitone, il più anziano, è riconoscibile dalla barba e dalla struttura più massiccia del corpo); entrambi sono raffigurati nudi, come era consuetudine riprodurre gli eroi, e così vengono avulsi dal momento storico. Mancando la persona di Ipparco, il gruppo rappresenta non tanto l'azione in se stessa, quanto la decisione ad agire, al modo stesso che le figure non vanno intese come ritratti, non andando nella caratterizzazione oltre alla tipicità dell'uomo maturo barbuto (Aristogitone) e del giovane imberbe (Armodio).

Aristogitone avanza a passi possenti, il braccio sinistro proiettato energicamente in avanti, mentre brandisce con la mano la guaina della spada; la clamide, che non avvolge nessuna parte del corpo, è buttata sul braccio, sottolineando, come motivo eminentemente artistico, la violenza dello slancio. La mano destra abbassata tiene la spada pronta a colpire, la gamba destra con il tallone sollevato è molto arretrata: simile a un lottatore pronto a scattare, il barbuto tirannicida, con lo sforzo della pianta e delle dita del piede, sembra volersi sollevare da terra. Armodio si slancia in atteggiamento parallelo, il braccio sollevato sul capo pronto a vibrare il colpo. In contrasto con il barbuto Aristogitone, il cui viso appare sotto il cappuccio dei capelli aderenti disposti come piccole penne, il viso di Armodio ha tratti giovanili e capelli ricciuti a chiocciola. Nella formazione del viso di entrambi sono evidenti asimmetrie, che tuttavia non possono venir usate come argomento per stabilire un punto di vista preordinato del gruppo. È ancor oggi problematica la disposizione delle due figure; secondo la tradizione scritta esse si trovavano nell'Agorà ateniese, presso il tempio di Ares o tra questo e l'Odeon, cioè nel centro della piazza: la via seguita dal corteo delle Panatenaiche vi passava accanto. Le statue di Antenor, restituite ad Atene sotto i Diadochi, vennero poste accanto a quelle di Kritios e Nesiotes. Ma come erano disposte rispettivamente le figure sulla bassa base marmorea, di cui è stato trovato un avanzo dell'iscrizione con la poesia votiva di Simonide? Su questo problema sono in contrasto la tradizione plastica della disposizione dei piani, che nella rappresentazione dei gruppi vuole, per chiarezza, situare le figure a quinta, con altri argomenti estetici e riflessioni di principio. Osserviamo soltanto che, in ogni caso, il problema non va giudicato secondo la misura moderna del punto di esposizione. Entrambi gli eroi partecipano ugualmente all'azione, entrambi hanno lo stesso valore: ciò può essere espresso solo conferendo loro eguale statura, sicché sembrano lanciarsi come una pariglia di cavalli. Se le figure fossero poste una dietro l'altra, o accanto, rivolte una verso l'altra quasi a formare una prua di nave, perderebbero la loro equivalenza. L'unica soluzione sembra quindi che, dorso contro dorso, gli eroi si lancino avanti sulla stessa linea. L'iscrizione, secondo l'uso, doveva di certo trovarsi sul lato frontale della base: la veduta principale quindi sarà stata molto probabilmente la frontale. Ma il monumento era visibile da tutte le parti e rimane nella sua espressione plastica l'equivalente di ciò che il tirannicidio rappresentò per la grandezza di Atene.

La più importante tra le repliche in marmo del gruppo è il torso di Aristogitone, nel Braccio Nuovo del museo del Palazzo dei Conservatori, unito con la testa proveniente dai Magazzini Vaticani. Probabile datazione della copia è il I sec. a. C., giustificata dalla forma del sostegno in forma di tronco di albero e dalle iscrizioni repubblicane venute contemporaneamente in luce. Il movimento è tutto d'un getto; è riconoscibile la modellazione precisa, ma non esagerata, dei particolari, descritta da Luciano. La replica dell'Aristogitone al museo di Napoli, invece, accentua più decisamente i particolari anatomici dei muscoli e delle coste; per la forma dell'albero di sostegno e del profilo del plinto quest'opera appartiene alla tarda età adrianea, anche se non è garantito il presunto luogo di ritrovamento, la Villa Adriana di Tivoli.

Poiché entrambe le statue coincidono, pur con queste piccole differenze di esecuzione, in tutti i particolari, debbono tutte e due risalire allo stesso originale, ripetuto dai copisti secondo il gusto della propria epoca. Le differenze tra la riproduzione del Discobolo Lancellotti e di Castel Porziano sono assai maggiori, senza che per questo gli archeologi abbiano mai supposto di farli risalire a originali di due diversi maestri, come invece è successo per la replica di Napoli attribuita ad un originale di Antenor e quella di Roma ad uno di Kritios.

Anche la replica della testa dell'Aristogitone nel Nuovo Museo dei Conservatori rappresenta semplicemente una variante del copista e non, come è stato detto, una copia dell'opera di Antenor, tanto più che nel confronto delle due repliche non si può prescindere dalla cosiddetta "erma di Pherekydes" a Madrid. Le differenze nella riproduzione dell'originale sono differenze di gusto dei copisti, legati alle diverse epoche di appartenenza. Tra le altre repliche dell'Aristogitone va ricordato il torso nel Giardino di Boboli, a Firenze; tra quelle di Armodio la statua di tarda età adrianea a Napoli, un frammento a Francoforte sul Meno e le teste a New York, Metropolitan Museum, e a Roma, Museo Nazionale Romano.

Oltre ai Tirannicidi, con i quali K. e N. crearono il capolavoro dell'inizio dello Stile Severo, vien messa in rapporto con la loro arte una statua in marmo di giovinetto, ritrovata sull'Acropoli ateniese nella cosiddetta colmata persiana (v.) ora al Museo dell'Acropoli (n. 698). Il motivo dell'adolescente in piedi (v. greca, arte) sull'esiguo piano di posa, di tipo ancora arcaico, corrisponde alla base circolare con la dedica di Aristeas (?) e Opsios (v. sopra). Tuttavia, avanzando leggermente la gamba destra e scaricandola quindi del peso del corpo, l'artista ha spezzato definitivamente l'arcaico schema del koùros (v.). La testa non è più rappresentata frontalmente, ma è leggermente rivolta dalla parte della gamba flessa, lo sguardo è posato nell'oggetto, andato perduto insieme con la mano tesa, e che forse era una coppa votiva; i capelli sono arrotolati intorno ad un cerchio, rendendo libera la posizione del capo. Anche la modellazione del viso - mento energico, espressione vivace - si stacca dai moduli arcaici. Gli occhi, in pietre colorate, per influsso della tecnica del bronzo, erano inseriti nelle orbite vuote. Fu il Furtwängler a riconnettere stilisticamente l'adolescente con Armodio, sebbene la muscolatura dell'adolescente sia modellata in modo più delicato e il libero gioco organico del corpo superi quello della statua certo più tarda dell'Armodio: ciò infatti non comporta una datazione posteriore della statua dell'Efebo che proprio per la sua qualità di dono votivo, privato, può essere più sciolta e più progredita rispetto a un monumento di carattere ufficiale, quale quello dei Tirannicidi. L'ottima qualità del marmo usato è anch'essa un argomento decisivo per ricollegarla a uno dei principali maestri dello Stile Severo attico. Nessuna delle altre opere in marmo conservatesi, che si sono volute mettere in relazione con l'arte di K. e N., resiste ad un esame approfondito.

Altre opere appartenenti alla cerchia più ampia di K. e N. sono state studiate da B. Schweitzer. Tra queste è da ricordare la statua d'adolescente, di stile più evoluto rispetto all'Efebo dell'Acropoli, tramandataci attraverso una copia in Boston. Forse si può ricollegare all'arte di K. e N. anche un torso bronzeo del Museo Archeologico di Firenze; ipoteticamente anche un torso del Giardino di Boboli a Firenze, insieme con una replica di Roma dello stesso originale. Una testa del Nuovo Museo dei Conservatori mostra una variante più tarda dello stile dell'Armodio; a questa va forse avvicinato un frammento di testa, già a Strasburgo. Lo stile di K. e N. si potrebbe anche seguire nelle più antiche metope meridionali del Partenone.

Pausania (vi, 3, 5) parla di un'estesa scuola di K. e N.; Plinio (Nat. hist., xxxiv, 85) ricorda, quali scolari di Kritios, Diodoros e Skymnos.

Con tutta probabilità, come risulta dalle affinità stilistiche anche tra le iscrizioni conservatesi, maestro di K. e N. fu Antenor, supposizione che sembra confermata dal fatto che essi rifecero, nello stile proprio, i Tirannicidi asportati dai Persiani.

L'influenza esercitata dall'arte di K. e N. supera di gran lunga la cerchia dell'ambiente attico. In Sicilia si riallaccia a K. e N. il maestro delle metope dell'Heraion di Selinunte, che scolpì la figura di Eracle nella metopa con la lotta fra Eracle e la regina delle Amazzoni prendendo a prestito la figura di Armodio, mentre la figura di Atteone, in altra metopa, ricorda nella chioma l'Efebo dell'Acropoli. Anche il bronzo, ora a Castelvetrano, raffigurante forse il dio del fiume locale, quanto l'Efebo offerente di Agrigento, assai superiore per valore artistico, sembrano trasformazioni locali della statua marmorea dell'Efebo di Kritios.

Monumenti considerati. - Monete di Cizico, lèkythos attica a figure nere e bronzetto di Tubinga: Fr. Hauser, in Jahrbuch, ii, 1887, p. 95 ss. Per la collocazione dei Tirannicidi nell'Agorà: R. E. Wycherley, Literary and Epigraphical Testimonia (The Athenian Agorà, iii), Princeton 1957, p. 63 ss. Per la ricomposizione del gruppo: G. Q. Giglioli, in Arch. Class., 1, 1949, p. 69 ss.; B. B. Shefton, Some Iconographic Remarks on the Tyrannicides, in Am. Journ. Arch., lxiv, 1960, p. 173 ss. Testa del Museo dei Conservatori, attribuita ad Antenor: E. Langlotz, in Ath. Mitt., lxxi, 1956, p. 149 ss. Efebo dell'Acropoli, n. 689: H. Payne, Archaic Marble Sculpture from the Acropolis2, Londra 1950, p. 44 ss., tav. 109-112. Torso di fanciullo a Boston: L. D. Caskey, Cat. of Greek a. Roman Sculpture in the Museum of Fine Arts, Cambridge Mass. 1925, n. 14; B. Schweitzer, in Röm. Mitt., xliv, 1929, p. 17, tav. 5. Torso in bronzo a Firenze: L. A. Milani, Il R. Museo Archeologico di Firenze, ii, Firenze 1912, p. 174, tav. 144; B. Schweitzer, art. cit., p. 19, n. 1. Torso a Firenze, Giardino di Boboli, e replica a Roma, Museo Nuovo dei Conservatori: D. Mustilli, Il Museo Mussolini, Roma 1938, p. 118, n. 6, tav. 76, p. 288; F. Willemsen, in Jahrbuch, lxxi, 1956, p. 29 ss. (che identifica con Atteone, databile al 460-450 a. C.). Frammento originale di testa già a Strasburgo, Seminario Archeologico: A. Michaelis, Strassburger Antiken, Strasburgo 1901, p. 10, figg. 3-4. Metope dell'Heraion a Selinunte: A. Furtwängler, Meisterwerke, p. 76, n. 2. Statua bronzea a Castelvetrano: P. Marconi, L'efebo di Castelvetrano (Ist. Arch. St. Arte, Opere d'Arte, i), Roma 1929; G. Lippold, in Handbuch, iii, 1, Monaco 1950, p. 128, tav. 36, 4. Statua marmorea ad Agrigento: G. Lippold, op. cit., p. 127, n. 16; G. M. A. Richter, Kouroi2, Londra 1960; p. 145, n. 182.

Bibl.: H. Brunn, Geschichte d. gr. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 73 ss.; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 443, p. 452 ss.; 457 ss.; B. Schwetzer, in Röm. Mitt., XLIV, 1929, p. 17 ss.; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXI, p. 545, s. v. Kritios; A. Raubitschek, Dedications from the Athenian Acropolis, Cambridge Mass. 1949, n. 120-123 e 160-161, e p. 513 ss., con recensione di E. Homann-Wedeking, in Gnomon, XXVII, 1955, p. 27 ss.; G. Lippold, in Handbuch, III, i, Monaco 1950, p. 106 ss.; S. Brunssäker, The Tyrant-Slayers of K. and N., Lund 1955, con recensioni: G. Hafner, in Gnomon, 1957, p. 459 ss.; G. Becatti, in Arch. Class., IX, 1957, p. 97 ss.