L'archeologia del Subcontinente indiano. La pianura gangetica

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia del Subcontinente indiano. La pianura gangetica

Jonathan M. Kenoyer
Federica Barba
Giuseppe De Marco
Massimo Vidale
Giovanni Verardi
Liliana Camarda
Daniela De Simone
Herbert Härtel
Andrea A. Di Castro

La pianura gangetica
periodo preistorico e protostorico

di Jonathan M. Kenoyer

La vasta pianura solcata dai fiumi Gange e Yamuna, ricca di foreste fino al XVII-XVIII secolo, ha costituito il naturale crogiuolo per lo sviluppo di grandi città circondate da una rete di centri minori. Il carattere sostanzialmente omogeneo di essa non consente una divisione in regioni distinte basata su caratteri morfologici; molti studiosi ricorrono dunque a distinzioni di carattere storico-culturale, anch'esse tuttavia relativamente arbitrarie. La valle del corso superiore del Gange-Yamuna include il fertile territorio del Doab, in cui ebbe inizio la seconda grande fase di urbanizzazione del Subcontinente, durante la prima età storica. La media valle del Gange si estende dalla confluenza del Gange con la Yamuna, ad Allahabad (antica Prayaga), fino alla vasta zona deltizia, dove il Gange piega a sud e raccoglie le acque del Brahmaputra e di molti altri fiumi minori. Benché non esista una precisa linea di demarcazione del delta, durante il primo periodo storico questa regione divenne nota come Vanga (od. Bengala) e Anga (od. Bihar).

Datano dal 9000 al 3000 a.C. insediamenti di cacciatori-raccoglitori, costituiti da capanne circolari con focolari associati, che sorgono ai margini dell'alluvio, mentre esternamente a esso si trovano le necropoli relative ai nuclei abitativi. Le sepolture sono relativamente semplici, a inumazione in posizione distesa, ma alcune sono multiple, con combinazioni variabili di individui maschili e femminili. La presenza di focolari in prossimità di molte sepolture suggerisce che questi svolgessero un qualche ruolo nel rituale funerario. Solo poche tombe contengono corredi di accompagno, peraltro assai semplici: ornamenti di osso, punte e in un caso un elemento triangolare di argilla cotta.

L'agricoltura stanziale nella parte centrale della piana gangetica ha inizio con comunità indigene del Mesolitico che, a quanto sembra, erano insediate in grandi villaggi e praticavano essenzialmente la caccia agli animali selvatici e la raccolta di cereali come il riso selvatico. I siti relativi a comunità stanziali di agricoltori e allevatori si concentrano in tre principali aree geografiche: a nord del basso Gange (ad es., Chirand e Senuwar, nell'od. Bihar occidentale); a ovest, lungo la pianura gangetica e sulle colline settentrionali ai piedi della catena dei Kaimur; nelle regioni collinari dell'altopiano del Chota Nagpur (Bihar meridionale e Orissa settentrionale). Testimonianze di coltura del riso e di allevamento del bestiame sono presenti in tutte e tre le aree, tuttavia caccia e pesca sembrano occupare ancora un posto importante nelle strategie di sussistenza.

L'inizio relativamente più tardo (2000-800 a.C.) di insediamenti come Chirand, con ceramica e strumenti di rame, nella regione del basso Gange, indica che agricoltura e pastoralismo stanziali seguono un graduale processo di espansione da ovest verso est. A partire dal 2000 a.C. circa è documentata l'introduzione di raccolti invernali (frumento e orzo) in siti quali Senuwar, Chirand e Taradih e di nuove varietà di raccolti estivi, tra i quali miglio, lenticchie e legumi, che suggerisce un'interazione con le comunità stanziali del Gange-Yamuna superiore e della valle dell'Indo settentrionale. Questa intensificazione della produzione agricola sembra non essersi estesa alle regioni occidentali fino al 1700 a.C., per divenire pratica comune in tutta la regione intorno al 1000 a.C.

Nell'intero areale della valle del Gange-Yamuna i siti riconducibili all'età della Regionalizzazione erano probabilmente organizzati in chiefdoms; i più potenti erano localizzati all'incrocio e lungo le principali vie commerciali che collegavano la pianura gangetica con la regione dei Vindhya e l'altopiano del Deccan. L'organizzazione sociale e politica di questi insediamenti è poco conosciuta, per l'assenza di documenti scritti e la scarsità di sigilli (rinvenuti solo a Hastinapura e a Noh). La presenza di ceramica e di tradizioni artigianali caratteristiche indica l'emergere di culture regionali e rivela una continuità nello sviluppo tra gli insediamenti del Calcolitico e della prima età del Ferro e le più tarde strutture statali e città-stato note dalla tradizione letteraria. Le principali tradizioni ceramiche riferibili a queste comunità organizzate in chiefdoms sono la Ochre Coloured Pottery (OCP, cui sono associati tesori di rame), la Painted Grey Ware (PGW), la Black Slipped Ware (BSW) e, successivamente (800 a.C. ca.), la Northern Black Polished Ware (NBPW). Black-and-Red Ware (BRW), eseguita a mano, è stata rinvenuta in tutta la regione, fino all'altopiano del Deccan. Nessuno dei siti noti è stato scavato in modo estensivo, ma gli strati più antichi generalmente rivelano la presenza di piccole capanne circolari, successivamente strutture di mattoni crudi e, infine, di mattoni cotti.

Bibliografia

G.R. Sharma, From Hunting and Food Gathering to Domestication of Plants and Animals in the Belan and Ganga Valleys, in V.N. Misra - P. Bellwood (edd.), Recent Advances in Indo-Pacific Prehistory, Delhi - Oxford 1985, pp. 369-71; J.D. Clark - G.S. Khanna, The Site of Kunjhun II, Middle Son Valley and its Relevance for the Neolithic of Central India, in J.M. Kenoyer (ed.), Old Problems and New Perspectives in the Archaeology of South Asia, Madison 1989, pp. 29-46; D. Mandal, Neolithic Culture of the Vindhyas. Excavations at Mahagara in the Belan Valley, in V.N. Misra - J.N. Pal (edd.), Indian Prehistory: 1980, Allahabad 1997, pp. 163-74; B.B. Misra, Chalcolithic Cultures of the Vindhyas and the Central Ganga Valley, ibid., pp. 286-92; B.P. Sinha, Review of the Chalcolithic Cultures in the Ganga Valley and the Vindhyas, ibid., pp. 293-97; B.B. Misra, Chalcolithic Culture of the Northern Vindhyas and the Mid-Ganga Valley, in S.C. Bhattacharya et al. (edd.), Peeping through the Past. Prof. G.R. Sharma Memorial Volume, Allahabad 2000, pp. 66-85; V. Tripathi, The Protohistoric Cultures of the Ganga Valley, in K. Paddayya (ed.), Recent Studies in Indian Archaeology, New Delhi 2002, pp. 189-215.

Periodo storico

di Federica Barba

Nel corso della prima metà del I millennio a.C. si verifica una grande espansione insediamentale sia nelle aree già occupate nel II millennio, lungo i fiumi Gange (Rajghat, Prahladpur, Agiabir, Jhusi, Bhagwas e Nah-dih) e Ghaggar (Manhji, Narhan, Kharadih), sia in altre fino ad allora disabitate: verso ovest, risalendo la Ghaggar, troviamo il sito di Shravasti, sull'affluente Rapti, nel quale la prima occupazione è rappresentata da uno strato sottile formato da due livelli di battuto e pochi frammenti di Black-and-Red Ware (BRW); lungo la Yamuna, furono fondati forse verso il 700 a.C. i siti di Kaushambi e Bhita: nel primo sono stati rinvenuti, durante una ricognizione, alcuni frammenti di ceramica paragonabili alla BRW di Prahladpur, nell'altro è stato individuato un deposito di 20 cm contenente BSW; a est, nel Bihar settentrionale, il sito di Ramchaura è caratterizzato da una grande produzione di Black Slipped Ware (BSW), mentre in quello di Vaishali sono stati rinvenuti solo pochi frammenti di BRW. Rappresentativi di questo periodo sono i villaggi di Manjhi e Rajghat: in entrambi, in un deposito di 2 m, sono presenti BSW e BRW, dischi di ceramica e altri oggetti di terracotta, vaghi di osso e faïence e utensili di ferro. L'espansione di questi villaggi si amplia dall'800 a.C. anche verso il Doab, dove troviamo in molti siti frammenti di BSW e BRW.

Il Doab si era venuto popolando nel corso del II millennio a.C. Nella zona nord-occidentale compaiono villaggi tardoharappani (Hulas, Alamgirpur, Bargaon, Lal Qila), che possono essere confrontati, nella cultura materiale, con i siti dello Haryana (Bhagwanpura): a Hulas sono stati rinvenuti bracciali di terracotta e rame, vaghi di agata e corniola, figurine zoomorfe, punteruoli d'osso, frammenti di mattoni cotti. In tutto il Doab, fino ai margini della pianura gangetica centrale, sono presenti siti occupati stagionalmente e caratterizzati da pochi frammenti di Ochre Coloured Pottery (OCP). Essa trae la sua origine dalla tradizione tardoharappana, presentando elementi sia della cultura di Bara, soprattutto nella tipologia, sia della cultura tardo-Siswal, con la decorazione dipinta a bande orizzontali. Tra i siti scavati vi sono Hastinapura sul Gange, Ahichchhatra sulla Ramganga, Atranjikhera e Jakhera sulla Kalinadi, Saipai e Shringaverapuram nelle aree orientali.

In alcuni siti OCP e tardoharappani (Saipai, Bahadrabad, Lal Qila), come anche in insediamenti del periodo della Civiltà dell'Indo (Lothal, Mitathal), sono stati rinvenuti oggetti di rame presenti in tutto il Doab, come depositi o tesori. Essi sono probabilmente opera di gruppi specializzati nella lavorazione del rame, attivi già nel III millennio a.C. nel Rajasthan e che, come gli abitanti dei villaggi, avevano abbandonato le aree ai margini dell'Indo una volta scomparsa la civiltà da cui in parte dipendevano. La cosiddetta "figura antropomorfa", rinvenuta insieme a scuri, spade e arponi in questi tesori, potrebbe aver avuto una funzione premonetale, come i pani a pelle di bue diffusi in Europa nella tarda età del Bronzo.

Dal I millennio a.C. e più probabilmente dall'VIII sec. a.C. (come indicano le date ottenute con il 14C e la cronologia del periodo successivo, che inizia nel 400 a.C.), esistono in tutto il Doab, nelle stesse aree occupate in precedenza dai siti tardoharappani e OCP, villaggi stanziali caratterizzati da una nuova classe ceramica, la Painted Grey Ware (PGW). In molti villaggi, dalle aree orientali (Shringaverapuram, Pariar e Kanauj sul Gange) fino a quelle centrali (Atranjikhera e Jakhera sulla Kalinadi), la PGW rimane una tipologia rara; in altri villaggi, dalle aree centrali del Doab fino al Panjab, la PGW è invece più diffusa degli altri tipi (BSW e BRW), di cui sono presenti solo pochi frammenti. In due siti di nuova fondazione, Kampil e Sankisa, sono stati rinvenuti in superficie numerosi frammenti di PGW.

Lungo la Yamuna, in un'area non occupata in precedenza, appaiono ora numerosi siti (Purana Qila, Mathura, Sonkh, Khalaua e Bateshwar). In alcuni di questi villaggi predomina nei primi strati la BRW, mentre la PGW, con forme particolari e pareti meno sottili, viene probabilmente introdotta verso la metà del I millennio a.C. A Mathura la PGW ha una decorazione dipinta, oltre che in nero, anche in bianco, come la BRW e la BSW. Tutti questi villaggi sono inoltre caratterizzati da capanne (attestate da fosse di palo, piattaforme di terra e resti di argilla intonacata), dischi di terracotta, punteruoli d'osso, ornamenti di terracotta o altri materiali (rame, vetro e corniola), bacchette di rame, grani di terracotta biconici, qualche oggetto di ferro.

La PGW nasce quindi durante la transizione dal periodo tardoharappano all'età del Ferro. Non sembra esserci alcuna apparente continuità in questo sviluppo, perché i siti tardoharappani furono abbandonati e quelli OCP erano estremamente poveri. La nuova occupazione non presenta però caratteri stranieri, come è stato spesso affermato. La PGW, il cui apparire è stato spesso connesso a ipotetiche invasioni da parte di popoli di provenienza centroasiatica parlanti lingue indoeuropee, imita nelle forme e nelle decorazioni dipinte in nero la BRW e la BSW, che nel corso del II millennio a.C. si diffusero nel Doab insieme ad altri elementi, come la coltivazione del riso (attestata ad Atranjikhera e Hastinapura) e probabilmente l'uso dei dischi di terracotta e delle fusaiole biconiche. La PGW sembra quindi un prodotto locale, stimolato dal contatto con i villaggi delle aree centrali del Gange: sono questi centri a influenzare le popolazioni del Doab e non il contrario, come è stato spesso affermato.

Nel 600 a.C. nella pianura gangetica centrale e in alcuni insediamenti di nuova fondazione ai margini orientali del Doab compare una ceramica di nuova produzione e ottima fattura, la Northern Black Polished Ware (NBPW). Essa rappresenta probabilmente uno sviluppo tecnologico delle ceramiche da tavola BSW e BRW: ha infatti le stesse forme, ma è più sottile e resistente ‒ caratteristica dovuta a una più alta temperatura di cottura ‒ e ha una superficie lucida e impermeabile, ottenuta mescolando all'ingobbio una sostanza alcalina come la cenere. La NBPW è talvolta decorata con motivi dipinti o incisi e il suo rivestimento presenta spesso varie sfumature di colore, dall'argento al blu.

L'arco cronologico entro cui questa ceramica è presente, che arriva fino al I sec. a.C., è stato spesso trattato come un'unica fase, con la conseguenza che la datazione di alcuni materiali a essa associati (monete, mattoni cotti, pozzi ad anelli di terracotta e alcuni tipi di ceramica rossa) è stata fatta risalire al VI sec. a.C. Dalla stratigrafia di alcuni siti (Rajghat, Rajgir, Vaishali, Shravasti, Pataliputra), emerge però che questi elementi compaiono solo a partire dal IV sec. a.C., quando la qualità della NBPW inizia a decadere, mentre nei siti della pianura gangetica occidentale (Hastinapura, Ahichchhatra, Mathura, Sonkh) la loro comparsa e quella della NBPW risultano invece contemporanee. Si può quindi suddividere l'epoca della NBPW in due fasi: nella prima, che va dal 600 al 400 a.C., essa è presente solo nel Bihar e nell'Uttar Pradesh orientale, in associazione a una cultura materiale ancora povera (uso di mattoni crudi, ornamenti di terracotta); nella seconda fase, che inizia nel 400 a.C., la NBPW si diffonde anche nelle aree occidentali del Doab, contemporaneamente al sorgere delle prime città e a un grande sviluppo della cultura materiale.

I siti principali della prima fase, molti dei quali fondati già nella prima metà del I millennio a.C., sono Shravasti nell'Uttar Pradesh orientale e Ayodhya sulla Ghaggar (in entrambi sono stati rinvenuti frammenti di PGW); Kaushambi e Bhita sulla Yamuna, in un'area povera dal punto di vista agricolo, ma importante per la vicinanza dei Monti Vindhya, ricchi di minerali e risorse litiche; Rajghat sul Gange, che vede la costruzione di un argine contro le inondazioni e l'inizio della produzione di vaghi di vetro e rame. Nel Bihar settentrionale, a Vaishali, la NBPW compare probabilmente nel V sec. a.C. (anche in questo insediamento sono stati rinvenuti frammenti di PGW); nel VI sec. a.C. Rajgir, nel Bihar meridionale, è il primo villaggio in cui sia presente la NBPW oltre il fiume Son, mentre Pataliputra e Champa vengono fondate probabilmente nel V sec. a.C. In questi due siti si trova una NBPW di qualità inferiore.

Alcuni di questi villaggi potrebbero aver assunto già in questa fase il ruolo di centri dominanti: l'espansione della cultura gangetica verso il Doab e il Deccan, ma anche verso oriente, la presenza di oggetti di lusso come la NBPW o provenienti da altre regioni come i lapislazuli, le crescenti dimensioni dei siti, nel contesto di una cultura materiale che non è cambiata dal periodo precedente, indicano il nascere di un'élite che controlla un vasto territorio e gestisce scambi su lunga distanza. Questo processo di espansione si accresce ulteriormente nel IV e III sec. a.C., sfociando nella formazione del primo impero del Subcontinente a opera della dinastia dei Maurya. Gli editti incisi su colonne o sulla roccia voluti dal re Ashoka, primo esempio di scrittura nella pianura gangetica, rappresentano il tentativo di diffondere una legge universale. Colonne con iscrizioni rivolte alle comunità monastiche sono state rinvenute in alcune aree sacre: nei siti di Sarnath, Kaushambi e Delhi e lungo la via che conduce a Lumbini, luogo di nascita del Buddha (Lauriya-Nandangarh, Lauriya-Araraj, Rampurva). Editti rupestri rivolti alle popolazioni civili sono presenti lungo le vie che portavano verso il Deccan.

Dal 400 a.C. troviamo frammenti di NBPW in tutta la pianura gangetica, ma la qualità è ora scadente: la ceramica di lusso viene sostituita dai recipienti di metallo, divenuti più accessibili. Anche la ceramica rossa viene prodotta su larga scala e presenta ovunque forme caratteristiche, come il vaso piriforme e il piatto carenato. Compaiono inoltre mattoni cotti, pozzi ad anelli di terracotta e canalette di scolo, monete, figurine di terracotta con testa prodotta a stampo, armi e utensili di ferro, tutti elementi che indicano l'esistenza di centri urbani ormai pienamente sviluppati. Molti siti hanno grandi dimensioni e aree destinate a funzioni diverse: dalla cittadella, centro del potere, al luogo di culto, con i primi stūpa, alle zone abitative e artigianali. Nell'unico sito scavato in estensione, Bhita, sono state individuate varie tipologie di abitazioni, dalla villa con corte centrale e numerose stanze nelle aree periferiche del sito, alle case fitte e prive di una pianta regolare concentrate nelle zone centrali.

Altri centri urbani nel Bihar meridionale sono Rajgir e Champa; nel Bihar settentrionale il sito di maggiore importanza è Vaishali. Nell'Uttar Pradesh, Rajghat si estende, dal III sec. a.C., anche oltre l'affluente Barna. A pochi chilometri dalla città è situato uno dei centri maggiori del buddhismo, Sarnath, luogo della prima predicazione del Buddha. Kaushambi, sulla Yamuna, è un sito di grandi dimensioni, formato da vari mounds. Nell'Uttar Pradesh settentrionale le città principali sono ancora Ayodhya e Shravasti. Kampil e Ahichchhatra dominavano l'area tra la Ramganga e la Kalinadi, corrispondente allo Stato del Panchala; il sito di Kampil non è stato scavato, mentre ad Ahichchhatra è attestato l'uso dei mattoni cotti. In questa regione è presente un altro centro urbano, Atranjikhera, caratterizzato in questa fase da una maggiore attività costruttiva e dal diffondersi di utensili di ferro. A sud-ovest Mathura, sulla Yamuna, conta numerosi insediamenti religiosi e un artigianato fiorente, che produce localmente la NBPW e importa materie prime dal Rajasthan (rame e pietre semipreziose), dal Bihar (argento) e dal Bengala (conchiglie). Nel Bengala occidentale e nel Bangladesh le città principali sono Tamluk, sul mare, Mangalkot, formata da vari mounds, e Mahastangarh, di 180 ha circa.

In numerosi insediamenti (Mathura, Hastinapura, Kaushambi, Pataliputra, Champa, Rajgir Nuova, Rajghat) gli scavi hanno evidenziato la presenza di uno strato di cenere, indicatore di incendi e distruzioni, alla fine del periodo Maurya. Nel II e nel I sec. a.C., in assenza di un forte potere centrale, molte città conquistano l'indipendenza: la dinastia Shunga, che subentra ai Maurya, controlla probabilmente solo una parte di quello che era stato il loro impero. Nello stesso tempo si sviluppano le tendenze delineatesi a partire dal IV sec. a.C.: la NBPW scompare quasi del tutto; aumenta la diffusione di monete e sigilli e migliora la qualità delle figurine di terracotta, ora prodotte interamente a stampo.

L'autonomia raggiunta in questo periodo da molti centri urbani è testimoniata da emissioni monetarie indipendenti e da opere di fortificazione. Nel II sec. a.C., forse anche sotto la minaccia di incursioni da parte degli Indo-Greci, oltre a Pataliputra si muniscono di impianti di difesa le principali città della pianura gangetica superiore: Kaushambi, Mathura, Shravasti e forse Ayodhya. Mathura controllava le aree nord-occidentali del Doab: le monete emesse da questa città sono state rinvenute ad Hastinapura e Purana Qila. L'influenza di Kaushambi si estendeva probabilmente verso il Deccan. Ayodhya dominava un'area che comprende anche Shravasti.

Nel I sec. a.C., con il decadere del potere della dinastia Shunga, si fortificano anche molte città del Bihar: Rajgir Nuova, Vaishali, Champa, Katragarh, Balirajgarh, Bangarh, Chandraketugarh e, nell'Uttar Pradesh orientale, Manjhi. I siti di maggiore importanza sono Vaishali e Champa, la sola cittadella a essere fortificata, e Rajgir Nuova, di circa 50 ha. Nei pressi di questo sito sorge un altro insediamento, detto Rajgir Vecchia, protetto da due anelli di mura: quello esterno (di 50 km) di pietra, quello interno (8 km) di pietra e terra. Nessuna delle due fortificazioni è stata scavata. Gli altri insediamenti sono siti di piccole dimensioni, formati da un unico mound racchiuso da una fortificazione di mattoni o di terra dal perimetro regolare. Infine, a Rajghat sono stati trovati fra gli ornamenti vaghi di corallo, lapislazuli e cristallo, che testimoniano l'importanza e la ricchezza della città; ad Atranjikhera è stato rinvenuto un tempio a pianta rettangolare (4,4 × 3,9 metri) associato a ceramica nera lucida, monete e figurine di terracotta.

In età Kushana la cultura urbana raggiunge il massimo splendore. L'impero Kushana, le cui capitali sono Peshawar (Puruṣapura) e Mathura, si estende dall'Asia Centrale alla pianura gangetica e comprende probabilmente anche il Bihar. I sovrani di questa dinastia non impongono una legge o una cultura straniere, garantendo probabilmente una maggiore libertà: le monete di questo periodo accolgono iconografie di origine greca, mesopotamica, iranica e indiana. Lo sviluppo dell'architettura è dimostrato dai numerosi ritrovamenti di edifici di mattoni cotti. In alcune città (Shravasti, Tilaurakot, e forse Kaushambi, Mathura e Bhita) è in questo periodo che i terrapieni vengono rivestiti di mura di mattoni. Nelle regioni nord-occidentali si fortificano, nel I sec. d.C., Ahichchhatra e Kampil, che dominavano il Panchala, e forse Sugh, che controllava l'attraversamento della Yamuna, sulla via per il Panjab. L'ampliarsi dei commerci è testimoniato dal forte incremento del numero di monete, tra cui compaiono quelle coniate, e dei sigilli: quasi 400 ne sono stati rinvenuti a Rajghat, assieme a monete delle città di Ayodhya e di Kaushambi. A Mathura, un frammento di anfora romana e figurine fittili a doppio stampo indicano l'esistenza di relazioni commerciali con Roma, rese possibili dall'ampiezza dell'impero Kushana.

Lo sviluppo dell'arte è documentato dai templi e dalle sculture rinvenute nei siti di Mathura, Sonkh, Sanghol e Shravasti; a Pataliputra, un oggetto di particolare manifattura è un amuleto d'oro che prende a modello una moneta del re Huvishka. Nella coroplastica troviamo figurine modellate a mano di fattura accurata, mentre diminuiscono quelle prodotte a stampo. La ceramica, di buona qualità, è interamente rossa, ha forme caratteristiche (dalla ciotola alla bottiglia dal collo lungo e stretto, al vaso con beccuccio) e presenta decorazioni a stampo (triratna, ruota, sole, stella, sigma). Con la fine dell'impero Kushana molte città, da Mathura a Shravasti fino a Pataliputra, decadono o vengono abbandonate.

Bibliografia

Oltre alle notizie in IndAR, si vedano: A. Ghosh, Fifty Years of the Archaeological Survey of India, in AncInd, 9 (1953), pp. 29-52; D.P. Agrawal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973; V. Tripathi, The Painted Grey Ware: an Iron Age Culture of Northern India, Delhi 1976; D.K. Chakrabarti - F.R. Allchin, A Source Book of Indian Archaeology, I, Delhi 1977; V.D. Misra, Some Aspects of Indian Archaeology, Allahabad 1977; B.P. Sinha, Archaeology and Art in India, Delhi 1979; S.P. Gupta, The Roots of Indian Art, Delhi 1980; B.P. Sinha, Harappan Fallout in the Mid-Gangetic Valley, in G.L. Possehl (ed.), Harappan Civilization, Warminster 1982, pp. 135-39; J. Cribb, Dating India's Earliest Coins, in SAA 1983, pp. 535-54; T.N. Roy, The Ganges Civilization. A Critical Archaeological Study of the Painted Grey Ware and Northern Black Polished Ware Periods of the Ganga Plains of India, New Delhi 1983; D.K. Chakrabarti, A History of Indian Archaeology from the Beginning to 1947, New Delhi 1988; G. Erdosy, Urbanisation in Early Historic India, Oxford 1988; B.P. Singh, The Chalcolitic Culture of Southern Bihar as Revealed by the Exploration in District Rohtas, in Purātattva, 20 (1989-90), pp. 83-92; R. Allchin (ed.), The Archaeology of Early Historic South Asia. The Emergence of Cities and States, Cambridge 1995; D.K. Chakrabarti et al., From Purnea to Champaram. The Distribution of Archaeological Sites in the North Bihar Plains, in SouthAsSt, 12 (1996), pp. 148-58; D.K. Chakrabarti et al., Notes on the Archaeology of the Sarayupar Plain, Eastern Uttar Pradesh, ibid., 13 (1997), pp. 281-95; D.K. Chakrabarti, The Archaeology of Ancient Indian Cities, Delhi 1998; Id., India. An Archaeological History, Oxford 1999; G.G. Filippi - B. Marcolongo (edd.), Kampilya. Quest for a Mahabharata City, Venezia 1999; T. Takahashi et al., The Ancient City of Sravasti. Its Significance on the Urbanisation of North India, in Purātattva, 30 (1999-2000), pp. 74-92; D.K. Chakrabarti et al., Lower Doab and Oudh. Sites between Pratagarh and Sitapur, in SouthAsSt, 16 (2000), pp. 109-17; D.K. Chakrabarti et al., Oudh, Rohilkhand and Tarai. Sites between Kanauj and Kashipur, ibid., 17 (2001), pp. 151-60; G. Verardi, Excavations at Gotihawa and a Territorial Survey in Kapilavastu District of Nepal, Lumbini 2002.

Antichak

di Giuseppe De Marco

Villaggio nel distretto di Bhagalpur (Bihar, India), identificato con Vikramashila, una delle "università" (mahāvihāra) di epoca Pala (VIII-XII sec. d.C.) fondata, secondo lo storico tibetano Taranatha (XVII sec.), dal sovrano Dharmapala, agli inizi del IX secolo.

Scavi sistematici, condotti dal Dipartimento di Archeologia e Storia Antica dell'Università di Patna dal 1960 al 1969, poi dall'Archaeological Survey of India dal 1971 al 1982, hanno portato alla luce un'estesa area sacra buddhista (ca. 330 m2), che comprendeva uno stūpa principale al centro di un'ampia corte limitata da una fila di celle monastiche.

Lo stūpa (base 25 m ca.; alt. 15 m ca.) è costruito sui resti di una struttura di pietra più antica, individuata in parte nell'angolo ovest; la sua pianta stellare (o cruciforme) con scala su tutti e quattro i lati, del modello noto come avatāra-stūpa ("stūpa della discesa"), ha le sue più evidenti somiglianze con gli stūpa di Paharpur e Mainamati (Bangladesh), di Bhamala a Taxila (Pakistan), del Kashmir e delle regioni dello Himalaya occidentale, come pure con quelli tardi di Tapa Sardar (Ghazni, Afghanistan) e Ajina Tepa (Tajikistan). Lo stūpa presenta due corridoi per la pradakṣinā (circumambulazione rituale), di cui uno al piano di campagna, l'altro, circa 6 m più in alto, accessibile mediante gradinate; è costruito completamente con mattoni cotti, su una fondazione (alt. 6,35 m) anch'essa di mattoni, con tecnica "a sacco", che consisteva nell'erigere due muri paralleli, riempiendo lo spazio vuoto intermedio con frammenti di mattoni e altro materiale sino a un primo livello, ripetendo lo stesso procedimento sino ad arrivare al tamburo del monumento. Come a Paharpur, le pareti erano decorate da placche figurate di terracotta, mentre ai quattro punti cardinali erano nicchie con un portico a pilastri antistante, ospitanti grandi immagini del Buddha o di altre divinità buddhiste.

Il monastero vero e proprio, costituito da 208 celle, era delimitato da un muro fornito di poderose porte. Le celle, in molti casi costruite su altri ambienti (probabilmente di uguale destinazione), erano precedute da un portico (maṇḍapa); in origine quasi certamente voltate, avevano una porta mediamente larga 1,35 m, pavimento composto da uno strato di mattoni frantumati e pressati (surkhi) legati con limo e muri rivestiti da almeno tre strati di intonaco. Sporgenti dal perimetro esterno delle celle, a intervalli regolari di circa 22-23 m, erano ampie strutture (quattro per ogni lato), circolari e rettangolari, forse comunicanti con le celle mediante stretti passaggi e, come queste, fornite di un bancone-letto. Basi di pietra poste a intervalli regolari lungo i muri delle celle indicano l'esistenza di un sistema di copertura su pilastri. Il sistema principale di scarico idrico, formato da lastre di pietra, si trovava nell'angolo nord-ovest.

Gli ingressi al complesso, a nord e a ovest, erano rappresentati da un camminamento pavimentato con mattoni. Quello principale, a nord, largo 14,3 m, era fornito di doppie gradinate di pietra e mattoni di forme e dimensioni irregolari ed era collegato allo stūpa principale. Di fronte a esso è un gran numero di stūpa minori allineati (103, ma con almeno altri 20 ricostruibili graficamente), costruiti in massima parte con mattoni riutilizzati e quasi certamente intonacati. Di particolare interesse è una struttura (41,5 × 18,65 m ca.) a sud-ovest del monastero e collegata a questo da uno stretto passaggio. Pavimentata con mattoni cotti, essa comprende quattro piccole celle di forme e dimensioni varie che racchiudono, due per ciascun lato, un quinto ambiente di forma rettangolare. L'insieme, per alcune particolarità costruttive, è stato identificato come una biblioteca. Ai lati dello stretto passaggio menzionato sono altri stūpa minori (più di 50, di altezza variabile tra 30 cm e 1,6 m), tra loro allineati; costruiti con pietra e mattoni, essi poggiano su pavimenti intonacati. A 40 m circa a nord dell'ingresso principale si sono rinvenuti i resti del muro di cinta del monastero e strutture appartenenti a tre diverse fasi e, circa 500 m a nord-ovest, un muro di difesa (lungh. 21 m ca.; largh. 4,5 m; alt. 3,6 m) con bastioni sporgenti (diam. 6,5-7,5 m; alt. mass. conservata 5,8 m), costruito con mattoni di spoglio; esso è stato attribuito al XIV secolo, periodo cui si fa risalire la distruzione del monastero, testimoniata da resti di pilastri abbattuti e divelti dalle basi e ampi strati di cenere all'interno di diversi ambienti.

Il materiale rinvenuto comprende un cospicuo numero di fittili (figurine, placche votive con rappresentazioni di divinità buddhiste e brahmaniche o dei cosiddetti "mille stūpa", con iscrizioni in caratteri proto-devanāgarī del X-XI sec.) e alcune sculture di pietra e di bronzo; infine, la ceramica, tipica dell'epoca Pala, è rossa, grigia o nera, talvolta levigata e decorata.

Bibliografia

Notizie degli scavi in IndAR, dal 1960-61 al 1968-69; dal 1971-72 al 1981-82.

In generale:

R.C. Prasad Singh, Antichak, the Seat of Vikramaśīla University, in JBiharOrissaResSoc, 46 (1960), pp. 135-38; Bhagwant Sahai, Terracotta Plaques from Antichak, ibid., 57 (1971), pp. 57-66; F.M. Asher, The Art of Eastern India, 300-800, Minneapolis 1980; R.C. Prasad, Archaeology of Champā and Vikramaśīlā, Delhi 1987.

Atranjikhera

di Massimo Vidale

Complesso archeologico nel distretto di Etah, Stato dell'Uttar Pradesh (India), costituito da una collina artificiale sulla riva destra del fiume Kali Nadi, affluente del Gange.

Il sito è stato scavato dal 1962 ai primi anni Settanta del Novecento da R.C. Gaur. La sequenza stratigrafica, per la parte protostorica, è stata suddivisa in quattro periodi successivi. Il più antico, periodo I (prima metà del II millennio a.C.), viene associato con la ceramica cosiddetta OCP (Ochre Coloured Pottery), sulla cui consistenza tipologica, in verità, si è diffuso recentemente un certo scetticismo. Gli strati più antichi con ceramiche di questo tipo, molto disturbati, sembrano includere i resti di un abitato con edifici costruiti in materiale vegetale rivestito d'intonaco e forse in mattoni. Venivano allevati i bovini e si coltivavano orzo e riso; il rame era fuso in loco. Negli strati del periodo II (1450-1200 a.C. ca.) la ceramica distintiva è la BRW (Black- and-Red Ware), classe tuttavia ancora mal definita dal punto di vista tipologico. L'abitato si componeva di edifici di mattoni, provvisti di focolari. Sono stati identificati resti di orzo e di riso. Bovini, caprovini, tartarughe, pesci e forse bufali e cervi facevano parte della dieta animale. Per quel che concerne la produzione artigianale si segnalano ornamenti di agata.

Il periodo III (dalla fine del II millennio al 600 a.C. ca.) viene associato alla PGW (Painted Gray Ware), un prodotto di lusso utilizzato da una parte ristretta della società, presente in percentuale molto bassa, e ad altre classi ceramiche, in primo luogo alla ceramica rossa domestica. Le abitazioni sono rappresentate da capanne con strutture portanti in pali o bambù e pareti in materiale leggero rivestito d'intonaco. L'espansione dell'abitato viene messa in relazione allo sviluppo dell'economia agricola, ora integrata dall'introduzione del grano, da un uso intensificato del riso e da pratiche di irrigazione. Tra gli animali domestici sono attestati bovini, caprovini, maiali e cavalli; tra la fauna selvatica, venivano consumati pesci, molluschi, tartarughe fluviali, varani, folaghe, cervi. Un accresciuto benessere è anche dimostrato dall'importazione di metalli, di pietre semipreziose e di conchiglie marine. L'uso del ferro è documentato da strumenti, armi e oggetti di uso domestico; sono anche presenti tracce di attività metallurgiche locali. Compaiono ornamenti di vetro ed è attestata la presenza di artigiani del legno.

Il periodo IV (600-50 a.C. ca.) è caratterizzato da una nuova classe di ceramica di lusso, la NBPW (Northern Black Polished Ware) dalla lucente e regolare ingubbiatura scura o nera. L'insediamento registra una nuova fase di espansione; alle capanne del periodo III si sostituiscono gradualmente edifici rettangolari di mattoni crudi e cotti; l'abitato viene protetto da mura con torri circolari e presenta almeno un tempio absidato. La cultura materiale sembra indicare uno sviluppo dei settori artigianali: ad esempio, l'uso del ferro diviene regola anche negli strumenti agricoli e si diffonde l'utilizzo del vetro per gli ornamenti personali; viene anche introdotto un sistema di monetazione. Si tratta di indizi che si è soliti associare alla nascita delle città e allo sviluppo di formazioni statali unitarie, nel caso specifico alla maturazione e al collasso del potere dei Maurya e degli Shunga. Negli strati del periodo V (50 a.C. - 350 d.C.) sono state rinvenute monete di rame del re Kushana Vasudeva. La sequenza stratigrafica di A. include inoltre depositi successivi di età storica e medievale (periodi VI e VII: 350 d.C. ca. - 1650 d.C.), che non vengono discussi a fondo nei rapporti di scavo.

Bibliografia

B.P. Sinaha (ed.), Potteries in Ancient India, Patna 1969; D.P. Agrawal, The Copper-Bronze Age in India, New Delhi 1971; B. Allchin - R. Allchin, The Rise of Civilization in India and Pakistan, Cambridge 1982; R.C. Gaur, Excavations at Atranjikhera, New Delhi 1983; T.N. Roy, The Ganges Civilization, New Delhi 1983; A.K. Mishra, The Indian Black Wares, First Millennium B.C., Delhi 1989.

Ayodhya

di Giovanni Verardi

Città dell'Uttar Pradesh (India) sul fiume Ghaggar/Saray, situata a poco più di 100 km a est di Lucknow, identificata come la capitale del mitico regno di Rama, eroe del poema epico Rāmāyaṇa e prototipo della sovranità brahmanica, ma nota dai testi buddhisti come il più importante dei janapada del Koshala insieme con Shravasti.

Le prime indagini antiquarie si devono ad A. Cunningham, l'unico studioso che abbia mostrato interesse per gli affioramenti, probabilmente buddhisti, che si trovano a sud dell'abitato, e ad A. Führer; il primo scavo stratigrafico, eseguito nel 1969-70, si deve ad A.K. Narain. Solo nel 1975 ebbe inizio un'indagine più approfondita, condotta all'interno del progetto Archaeology of Rāmāyaṇa Sites, propugnato da B.B. Lal e teso a dimostrare la storicità dell'epica indiana. La sequenza osservata attesta l'occupazione del sito dal periodo della comparsa della Northern Black Polished Ware (NBPW), datata a non prima del VII sec. a.C., fino al II-III sec. d.C., dimostrandosi simile a quella di molti altri siti gangetici. Ad A. e negli altri siti legati al Rāmāyaṇa, come Shringaverapuram, non vi sono tracce di un deposito archeologico più antico, anche se informazioni più precise a questo proposito si potranno avere solo da un rapporto di scavo particolareggiato.

Ad A. sorgeva una moschea, costruita nel 1528 dall'imperatore Moghul Babur, che fu demolita nel 1992 dai fondamentalisti Hindu perché sarebbe stata costruita su un distrutto tempio vishnuita che ricordava il luogo di nascita di Rama. Gli scavi condotti in quello stesso anno in prossimità della moschea distrutta rivelarono l'esistenza di strutture di mattoni interpretate come basi di pilastri di pietra appartenenti al tempio di Rama, ma meglio identificabili ‒ le presunte basi non sono allineate ‒ come resti di muri appartenenti a diverse epoche. Il deposito archeologico del XIII-XV secolo dà inoltre materiale islamico, cosa che porta a escludere l'esistenza di un tempio Hindu precedente la moschea. Non vi sono nemmeno elementi sufficienti per sostenere che i frammenti scultorei venuti alla luce provengano da un tempio e che, come è stato affermato, siano stati volontariamente gettati in fosse.

Nuovi scavi, su vasta scala, dei cui risultati è stato fatto circolare un sommario, sono stati eseguiti nel 2003 dall'Archaeological Survey of India su mandato della High Court di Allahabad. Il rapporto dell'Archaeological Survey non fa chiarezza sulla disputa e si presta a critiche molto severe. Non solo non risponde al quesito se sotto la distrutta moschea vi fosse effettivamente un tempio, ma contiene errori di fatto. Nessun elemento strutturale è emerso nei livelli del I millennio a.C. che, nella periodizzazione proposta, formano il I periodo. Si sostiene che non esistono assemblaggi anteriori alla comparsa della NBPW, ma il periodo è fatto iniziare intorno al 1300 a.C. e la comparsa della NBPW è fissata intorno al 1000, una data improponibile per questa classe ceramica: è probabile che la NBPW non sia stata distinta dalle ceramiche a ingubbiatura nera che compaiono normalmente negli assemblaggi del Calcolitico gangetico. I periodi seguenti, definiti, secondo una tradizione ormai non più accettabile, su base dinastica (Shunga, Kushana, Gupta), non chiariscono la natura del luogo e, per quanto riguarda la questione delle strutture precedenti la moschea Moghul, la "struttura massiccia" che è stata individuata non ha le caratteristiche di un tempio e presenta seri problemi interpretativi e stratigrafici. Sotto la moschea di Babur si potrebbero trovare, insomma, resti di edifici islamici più antichi, costruiti a loro volta in un'area che non era mai stata destinata a uso sacro. Anche la presenza di numerosi resti animali, rinvenuti nell'intero deposito, mal si accorda con l'esistenza di un tempio.

Bibliografia

Notizie sugli scavi:

A.E. Cunningham, Four Reports Made during the Years 1862-63-64-65, Simla 1871, I, pp. 317-27; IndAR, 1969-70, pp. 40-41; 1976-77, pp. 52-53; 1979-80, pp. 76-77.

In generale:

A. Führer, The Monumental Antiquities and Inscriptions in the North-Western Provinces and Oudh, Allahabad 1891, pp. 295-300; H. Bakker, Ayodhyā, Groningen 1986, pp. 1-66; B.B. Lal, s.v. Ayodhya, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, II, pp. 31-32; Y.D. Sharma et al., Ramjanma Bhumi, Ayodhya. New Archaeological Discoveries, New Delhi 1992; D. Mandal, Ayodhya. Archaeology after Demolition. A Critique of the "New" and "Fresh" Discoveries, New Delhi 2003; Summary of the Report Submitted by the ASI on Ayodhya Excavations, www.hvk.org/articles/0803/231.htm, 2003.

Benares

di Giovanni Verardi

Ubicata nello Stato dell'Uttar Pradesh (India), la città di B. (Vārāṇasī) sorge su un basso sperone di kaṅkar che la protegge dalle piene del Gange e del suo affluente Barna; il punto più alto è a nord-est, a Rajghat.

B. è uno dei più antichi insediamenti della valle del Gange: fu dapprima capitale del mahā-janapada (territorio protostatale) di Kashi, poi, agli inizi del VI sec. a.C., venne inglobata nel Koshala e, al tempo della supremazia del Magadha (V-III sec. a.C.), divenne parte del territorio metropolitano dello Stato Maurya, gravitante sulla media piana gangetica. A breve distanza dalla città, a Sarnath, venne eretta da Ashoka, nel III sec. a.C., la più celebre delle sue colonne. B. e il suo territorio condivisero in seguito le sorti di altri centri della macroregione, quelle di capitale amministrativa delle compagini statali o quasi statali che, dagli Shaka (nome indiano dei Saka; metà del I sec. a.C. ca. - 30 d.C. ca.) in poi, vi si susseguirono. Evidenze della presenza Shaka vi sono venute alla luce di recente.

In epoca Gupta (V-VI sec. d.C.) vanno segnalate numerose iscrizioni e la produzione scultorea del centro satellite buddhistico di Sarnath. Il crollo della civiltà gangetica urbana iniziatosi in quel periodo non coinvolse che in parte B., poiché essa costituiva il principale centro di pellegrinaggio dell'intero Subcontinente indiano. Nel Medioevo la città divenne una delle "capitali" (in realtà città regie) della dinastia Gahadavala (XII sec. d.C.), dissoltasi in breve tempo sotto i colpi dell'avanzata musulmana. Il sito di Rajghat, posto alla confluenza del Barna con il Gange, è stato identificato con la B. antica. I primi scavi vi furono condotti da K. Deva nel 1940 a seguito di scoperte di materiali archeologici avvenute in occasione dei lavori alla stazione ferroviaria di Kashi, ma di essi venne data solo breve notizia.

I reperti datavano dall'epoca Maurya ai Gahadavala e vennero riferiti, insieme coi resti strutturali, a cinque periodi, di cui quelli Gupta e post-Gupta scarsamente documentati perché i relativi depositi erano fortemente sconvolti. La maggior sorpresa dello scavo furono i sigilli, parte dei quali recanti immagini di divinità greche (Nike, Apollo, Pallade, Poseidone, ecc.). Studiati da V.S. Agrawala, la loro presenza fu spiegata alla luce delle incursioni del re indo-greco Demetrio (200 a.C. ca.). La natura di questi oggetti (i sigilli sono in relazione a documenti strettamente connessi al luogo di rinvenimento) e il fatto che siano stati trovati così addentro nella regione gangetica suggeriscono però, come già altri indicatori quali l'iscrizione di Reh, una valutazione più attenta della presenza indo-greca nell'India settentrionale. In altri sigilli recanti leggende in caratteri Gupta è citato il nome della città, Vārāṇasī.

Gli scavi regolari a Rajghat ebbero inizio nell'inverno 1957-58 e si protrassero per una decina d'anni sotto la direzione di A.K. Narain, interessando i tre mounds che formano il sito. Lo scavo, come gran parte di quelli condotti nella regione, mirò essenzialmente a ottenere una sequenza culturale e a fondare una cronologia. Una sequenza continua fu effettivamente osservata nel Mound 1, il cui deposito si è formato nel corso di due millenni (VIII sec. a.C. - XVII sec. d.C.). Vi furono distinti sei periodi culturali. Le pubblicazioni degli scavi e dei materiali hanno fatto di Rajghat uno dei pochi siti gangetici che si possano definire effettivamente noti e i cui dati, nonostante la scarsa elaborazione di cui sono stati oggetto, siano almeno in parte utilizzabili. Il modo in cui lo scavo venne condotto (indagine in verticale e minor interesse per quella in orizzontale) non rese peraltro completa giustizia alle potenzialità del sito. A ciò pose in parte rimedio un nuovo, breve scavo condotto da B.P. Singh nel 1977-78.

I gruppi umani che s'insediarono a B. intorno all'800 a.C. vivevano d'agricoltura e usavano utensili di ferro, d'osso e di terracotta. All'interno di quest'ultima produzione si notano dischetti, parte dei quali perforati al centro, e piccole sfere che continueranno, con piccole variazioni tipologiche, a essere prodotti per secoli; benché documentati in tutti i siti gangetici, la loro funzione non è stata ancora chiarita. La ceramica dell'epoca è nera ingobbiata, nera e rossa e rossa con o senza ingobbio. Tra il VI e il V sec. a.C. comparve la Northern Black Polished Ware (NBPW), associata alla costruzione di piattaforme lignee poste a sigillare i livelli precedenti e di una massiccia struttura di argilla. Queste strutture, scoperte verso il limite meridionale del sito, cioè verso il Gange, sono state interpretate come difese dalle alluvioni, ma altre interpretazioni sono possibili, considerando che il sito, allora come oggi, era fuori dei possibili livelli di piena.

Per quanto riguarda in particolare l'enorme struttura di argilla (alt. 10 m, lungh. 20 m), è possibile che si tratti di una parte delle mura che circondavano l'insediamento al modo ben documentato in molti altri siti gangetici, specie le capitali di janapada (ad es., Ujjain). La funzione di simili mura non sembra essere stata difensiva, o unicamente difensiva: motivi politico-insediamentali e simbolici hanno probabilmente rivestito una parte importante in un modello di urbanizzazione (primaria, secondo molti studiosi), quale è quello antico-gangetico, ancora mal noto. Un canale che univa Gange e Barna isolava completamente la città anche a nord-ovest. La superficie racchiusa dalle mura e dal canale si aggirava intorno ai 40 ha. Associati a questa fase del deposito sono figurine animali di terracotta lavorate a mano (soprattutto elefanti e tori), da riferire a un contesto rituale, piccoli coni di terracotta d'incerta funzione e dischi di terracotta decorati con motivi simbolici dal significato solo di rado chiarito.

In epoca Maurya la qualità della NBPW si fece più scadente: comparvero forme di una grezza ceramica grigia, alcune delle quali sono identificabili su base funzionale, benché a tutt'oggi manchi, a Rajghat come altrove, uno studio al tempo stesso analitico e storico del corpus ceramico della regione. Accanto alle figurine animali, che si continuarono a produrre, comparvero quelle antropomorfe, ottenute in parte a stampo. B. entrò in un periodo di vera e propria urbanizzazione nel II sec. a.C., al pari di tutti gli altri siti gangetici. Si diffuse l'uso del mattone cotto e comparvero tipiche infrastrutture urbane dell'epoca, quali, ad esempio, i ring-wells, profondi pozzi a ghiera dalle funzioni non ancora completamente spiegate.

Il periodo più intensamente urbanizzato fu quello dal I al III sec. d.C.: le abitazioni, costruite fianco a fianco, talora parallelamente alle canalette pubbliche di drenaggio, possedevano anche stanze di 4 × 4 m e piante regolari; al loro esterno si osservano piccole piattaforme fatte, come ancora oggi, per prendervi il bagno. Si nota anche un gruppo di camere sotterranee con pareti rastremate e rivestite di mattoni, talora assai vaste (la n. 43 misura 13,5 × 2,8 m), che Singh ha interpretato come kaṣṭhāgāra (depositi di granaglie) sulla base di evidenze etnografiche e testuali. Non esiste tuttavia nessuna prova archeologica per affermarlo, poiché il deposito interno a queste strutture è stato asportato senza compiervi analisi; si attendono i risultati di altri scavi per avere dati più sicuri. La ceramica della fase urbanizzata di B. è quella rossa tipica di tutta l'India settentrionale del periodo, ingubbiata e decorata (rosette, circoletti, alberi stilizzati, simboli quali il triratna e lo śrīvatsa). Tra la produzione iconografica si notano immagini di divinità femminili non identificate e di Naigamesha.

Fra il 300 e il 700 d.C. circa, si verifica il passaggio dalla città "mercantile" e "borghese" al modello della città-monastero o città-tempio, a B. mal controllabile a causa della intensa urbanizzazione della città moderna. La produzione su vasta scala di figurine animali di terracotta, ora ottenute interamente in stampo, suggerisce, a Rajghat, la grande diffusione in città di sacrifici cruenti, probabilmente controllati da ambienti shivaiti. La documentazione archeologica per il periodo tra il 700 e il 1200 d.C. è scarsa (anche a causa di estese zone di disturbo), ma il periodo più tardo di occupazione di Rajghat è noto dalla particolare ceramica color rosso cupo decorata con motivi ondulati, a zig-zag e a griglia, incisi, stampati e a rilievo. Gli strati più alti del deposito hanno dato anche ceramica invetriata chiaramente derivata da fabbriche islamiche. Le fonti letterarie danno notizia di varie località a vocazione economica specializzata poste attorno all'antica B., ma nessuno di questi villaggi suburbani (dvāragāma) è stato sinora individuato. In un raggio compreso tra i 12 e i 22 km dai mounds di Rajghat sono stati comunque identificati diversi insediamenti minori, i cui indicatori di superficie mostrano uno stretto legame con la Rajghat dei periodi più intensamente urbanizzati. Nessuna vera indagine vi è stata sinora condotta (gli unici tentativi di porre le basi di un'archeologia insediamentale sono stati fatti, nella piana gangetica, nelle aree di Kanpur e di Allahabad) e l'unico sito davvero noto, ma affatto particolare, delle vicinanze di B. rimane a tutt'oggi Sarnath.

Bibliografia

E. Greaves, Kashi, Allahabad 1909; A.S. Altekar, History of Banaras, Varanasi 1937; K. Deva, Excavations at Rajghat near Benares, in Annual Bibliography of Indian History & Indology, 3 (1940), pp. 41-51; A.K. Narain et al., Excavations at Rajghat, I-V, Varanasi 1976-78; T.N. Roy, The Ganges Civilization, New Delhi 1983; V.S. Agrawala, Varanasi Seals and Sealings, Vanarasi 1984; B.P. Singh, Life in Ancient Varanasi. An Account Based on Archaeological Evidence, Delhi 1985; G. Erdösy, Early Historic Cities of Northern India, in SouthAsSt, 3 (1987), pp. 1-23; Id., Urbanisation in Early Historic India, Oxford 1988.

Bhita

di Federica Barba

Sito dell'Uttar Pradesh, sulla riva meridionale del fiume Yamuna, a circa 20 km da Allahabad, formato da due mounds, detti Garhi e Garha, di 5 ha il primo e di 14 ha il secondo.

Il sito fu scoperto casualmente, durante la ricerca di materiali per la costruzione di una massicciata ferroviaria. A. Cunningham vi eseguì il primo scavo nel 1871, aprendo una sezione nella parte esterna del bastione, nella quale rinvenne, per la prima volta, frammenti di Northern Black Polished Ware (NBPW). Successivamente, fu J. Marshall (1909-11), Direttore Generale dell'Archaeological Survey of India dal 1901, a scavare a Bh., come ripiego rispetto al più promettente sito di Vidisha, per il quale l'autorità locale di Gwalior aveva negato il permesso. Scopo principale di Marshall fu, in questo come in altri siti, quello di mettere in luce l'architettura delle città dell'India antica, obiettivo non più perseguito con questa ampiezza negli scavi delle città della valle del Gange. Marshall individuò varie tipologie di abitazioni. Lungo la strada principale, presso la porta sud-orientale, sorgono gli edifici più grandi, con ambienti disposti attorno a una corte centrale, dotati di pozzi e canalette di scolo e separati l'uno dall'altro da vicoli; al centro del sito le abitazioni sono più fitte, piccole e prive di una pianta regolare. Per quanto riguarda i materiali, dai periodi Maurya e Shunga provengono frammenti di NBPW, un numero esiguo di monete e sigilli e figurine di terracotta prodotte a stampo. In periodo Kushana il sito conosce un notevole sviluppo, attestato dall'aumentare del numero di monete e sigilli. A questa fase risalgono numerose figurine di terracotta di vario tipo, principalmente immagini femminili e maschili, templi in miniatura e teste dai tratti stranieri. Infine, in alcuni saggi in profondità, condotti per raggiungere il suolo naturale e i livelli precedenti il periodo Maurya, furono rinvenuti strati di terra mista a ceramica, privi di mattoni, con alcuni frammenti di NBPW e figurine di terracotta lavorate a mano.

Negli anni Novanta del Novecento il sito è stato nuovamente indagato dalla Soprintendenza Archeologica di Lucknow. In uno dei due mounds (Garhi) è venuto alla luce un primo periodo, formato da un deposito di 20 cm, contenente Black Slipped Ware (BSW). Il periodo successivo è rappresentato da un deposito di 1,75 m, consistente di tre fasi strutturali e caratterizzato da NBPW, un vaso piriforme, vasi in miniatura, alcune monete di rame, mattoni cotti e una canaletta di scolo. Il primo periodo è stato datato all'VIII sec. a.C. e quello della NBPW al VII-II sec. a.C., seguendo la cronologia proposta per Ayodhya, che anticipa di un secolo quella generalmente accettata: gli elementi presentati a sostegno di questa ipotesi (presenza di ceramica grigia dipinta, alta qualità della NBPW) non appaiono però sufficienti a giustificare una nuova datazione. Lo scavo permette comunque di far risalire la fondazione di Bh. al periodo immediatamente precedente l'introduzione della NBPW. Come per Kaushambi, la nascita e lo sviluppo del sito sono da collegarsi alla sua vicinanza ai Monti Vindhya, quindi alle risorse minerarie e lapidee, e all'espansione verso il Doab e il Deccan dei villaggi dell'area centrale della pianura gangetica.

Nella cosiddetta "cittadella" (Garha), la prima occupazione risale al VI sec. a.C., seguita dalla fase Shunga e da un deposito di 3 m databile a epoca Kushana. La fortificazione che racchiude la cittadella, di cui non abbiamo una stratigrafia, è formata da un bastione di terra sul quale fu costruito un muro di mattoni, tipologia che corrisponde a quella di altri siti dell'Uttar Pradesh orientale, come Shravasti e la vicina Kaushambi. La fortificazione potrebbe risalire sia alla fase Shunga sia a quella Kushana.

Bibliografia

J.D. Beglar - A.C.L. Carlleyle, Report for the Year 1871-72, Calcutta 1873; J. Marshall, Archaeological Explorations in India, 1909-10, in JRAS, 1 (1911), pp. 127-58; G.R. Sharma, The Excavations at Kauśambī, 1957-59. The Defences and the śyenaciti of the Puruṣamedha, Allahabad 1960; K.K. Sinha, Excavations at śrāvastī, Varanasi 1967; S.K. Mukhopadhyay, Terracottas from Bhīṭā, in ArtAs, 34 (1972), pp. 71-94; J.P. Vogel, Excavations at Bhīṭā, in ASIAR, 1909-10, Delhi 1990 (rist.), pp. 40-45; J. Marshall, Excavations at Bhīṭā, ibid., 1911-12, Delhi 1990 (rist.), pp. 29-94.

Hastinapura

di Liliana Camarda

Sito dell'Uttar Pradesh (distretto di Meerut, India); attualmente a pochi chilometri dal fiume Gange, è situato sulla riva destra di un suo antico letto. Gli scavi condotti negli anni 1950-52 hanno permesso di individuare cinque periodi di occupazione.

Le datazioni stabilite a H. per i periodi più antichi si basavano su quella tradizionalmente accettata per la Northern Black Polished Ware (NBPW), che a H. caratterizza il periodo III. Per quanto riguarda la durata dei periodi I e II, essa fu stabilita sulla base della potenza del deposito, mentre gli intervalli tra i periodi I e II e tra i periodi II e III furono stimati in uno e due secoli rispettivamente. Tuttavia fu chiaro fin dagli scavi effettuati a Shravasti alla fine degli anni Cinquanta che queste datazioni non potevano essere considerate corrette; sebbene vi siano ancora studiosi che tendono ad accettarle, la maggior parte di loro (ad es., T.N. Roy e G. Erdosy) non ha dubbi nell'abbassare le datazioni e nel rigettare l'ipotesi di intervalli di tempo tanto lunghi tra un periodo e l'altro.

I pochi frammenti ceramici provenienti dagli strati relativi al periodo I (prima dell'800 a.C.) sono rappresentati unicamente da Ochre Coloured Pottery (OCP) molto dilavata; non compaiono altre evidenze indicanti la presenza di un abitato. Il sito fu abbandonato e occupato nuovamente nel periodo II (800-400 a.C.). L'industria ceramica tipica di questo periodo è la Painted Grey Ware (PGW), dipinta di nero con linee verticali, oblique e incrociate, punti, tratti, spirali, cerchi o semicerchi concentrici e svastiche. Sono inoltre presenti Black Slipped Ware (BSW), Black-and-Red Ware (BRW) e ceramica rossa. Le abitazioni presentavano muri di argilla o di mattoni crudi; i frammenti di intonaco con impressioni di canne suggeriscono la presenza di muri di canniccio, intonacati con fango mescolato a pula di riso. Il rame è il principale metallo utilizzato per punte di frecce, tagliaunghie, applicatori per antimonio; verso la fine del periodo compaiono masselli di minerale di ferro e scorie. Tra gli oggetti più significativi ci sono figurine animali di terracotta, dischi ceramici, grani di collana di pietre semipreziose e stili di osso.

Una grande inondazione distrusse gran parte dell'insediamento, che fu abbandonato temporaneamente e nuovamente occupato nel periodo III (400 a.C. - inizi dell'era volgare). La ceramica di lusso di questa fase è la NBPW; sono presenti anche una ceramica grigia piuttosto grezza, una ceramica rossa a impasto medio e BSW. Le abitazioni erano costruite con mattoni crudi o cotti. Mattoni trapezoidali erano usati in strutture circolari quali granai e vere di pozzi ad anelli di terracotta; il drenaggio delle acque era garantito da pozzi costituiti da giare prive di base poste le une sulle altre all'interno di profonde fosse circolari, oltre che da drenaggi di mattoni cotti. L'uso del ferro è ormai comune, pur continuando a comparire oggetti di rame. Monete punzonate ‒ di argento e di rame ‒ e una moneta priva di leggenda ‒ di rame ‒ testimoniano lo sviluppo economico e commerciale del periodo, ma soprattutto costituiscono, insieme alla NBPW, elementi importanti per la datazione. Le figurine animali di terracotta presentano decorazioni impresse di cakra (ruota), foglie e cerchi; quelle antropomorfe sono a volte realizzate a stampo. Tra gli oggetti compaiono un sigillo, fusaiole e pesi per reti da pesca di terracotta, grani di collana, braccialetti e anelli di pietre semipreziose e vetro, pedine, bracciali e stili d'osso. Questo periodo termina in seguito a un vasto incendio che distrugge l'abitato.

Dopo un lasso di tempo di circa un secolo, il sito fu nuovamente occupato nel periodo IV (I-III sec. d.C.). L'industria ceramica è rappresentata unicamente da ceramica rossa che mostra a volte decorazioni incise e stampate. I mattoni cotti continuano a essere utilizzati per costruire case e compare un solitario pozzo ad anelli. Sono numerosi gli oggetti di rame e di ferro. Tra gli oggetti di pietra vi sono macine a rotazione e monili quali anelli, grani di collana e talismani in pietre semipreziose. L'inizio del periodo è datato dalle monete dei governatori di Mathura e da terrecotte tipiche dell'epoca Shunga, mentre le fasi intermedie e tarde hanno restituito monete Yaudheya (inizi dell'era volgare) e monete che imitano quelle del re Kushana Vasudeva (II-III sec. d.C.). Contribuiscono a datare il periodo due vasi e un sigillo di terracotta iscritti. L'abbandono del sito alla fine del III sec. d.C. è stabilito sulla base della potenza del deposito.

Il periodo V (XI-XV sec. d.C.) ebbe inizio dopo una lunga interruzione. Le abitazioni erano in gran parte costruite con frammenti di mattoni provenienti dalla spoliazione delle strutture più antiche. La ceramica è rossa, a volte decorata con incisioni o dipinta, oppure invetriata, con disegni geometrici o floreali. La datazione del periodo è possibile sulla base di reperti numismatici.

Bibliografia

B.B. Lal, Excavation at Hastināpura and Other Explorations in the Upper Gangā and Sutlej Basins 1950-52: New Light on the Dark Age between the End of the Harappā Culture and the Early Historical Period, in AncInd, 10-11 (1954-55), pp. 4-151; B.B. Lal, s.v. Hastināpura, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, II, pp. 164-66; F.R. Allchin et al., The Archaeology of Early Historic South Asia. The Emergence of Cities and States, Cambridge 1995, passim.

Kaushambi

di Federica Barba

Sito dell'Uttar Pradesh orientale (India), sul fiume Yamuna, formato da numerosi mounds disseminati su un'altura di circa 250 ha che in parte digrada dolcemente nella pianura circostante, in parte si innalza creando dei contrafforti.

Nell'area troviamo oggi un piccolo villaggio, Kosam, sulla sponda del fiume. Nonostante il suolo arido, la posizione del sito era favorevole in antichità per la vicinanza dei Monti Vindhya, ricchi di minerali e pietre, e della congiunzione dei fiumi Gange e Yamuna, nei pressi della quale sorgono altri due siti: Prayaga, che giace sotto la moderna Allahabad, e Jhusi, che è stato recentemente oggetto di scavo. Il sito destò l'attenzione degli archeologi già nell'Ottocento, quando A. Cunningham l'identificò con la città delle fonti letterarie, grazie al ritrovamento di un sigillo del 1565 d.C. che nomina "Kosambipura". Dal 1949 al 1967 furono scavate varie zone (monastero, abitazioni, una parte del bastione, una struttura detta Stone Palace) con l'obiettivo principale di individuare le prime fasi di occupazione. A questo scopo fu privilegiato lo scavo di saggi in profondità. La periodizzazione e le cronologie proposte non appaiono però convincenti.

Nell'area abitativa (1949-50), il periodo della Northern Black Polished Ware (NBPW) è preceduto da uno spesso strato di terra privo di reperti, al di sotto del quale furono rinvenuti dei frammenti di ceramica, riferiti al primo periodo di occupazione. È stato però osservato che lo strato di terra potrebbe essere nient'altro che il suolo naturale; inoltre, pochi resti ceramici non sembrano sufficienti a rappresentare un intero periodo. Anche la cronologia della fortificazione è stata più volte criticata. Il sito è circondato da un terrapieno del perimetro di oltre 5 km, che in alcuni tratti sfrutta le irregolarità del terreno. Il cosiddetto rempart, scavato nel 1957-59 e datato al 1025 a.C., più che un bastione di terra è una parte scoscesa dell'altura su cui sorge il sito e che, rivestita di mattoni cotti, fu inglobata nel sistema difensivo. La prima unità stratigrafica non è quindi il rempart ma il suo rivestimento. Poiché l'uso dei mattoni cotti si diffonde nel periodo Maurya, questo rivestimento e probabilmente la fortificazione stessa devono risalire a una fase posteriore al IV sec. a.C. e più precisamente, forse, al periodo in cui K. si rende indipendente dal potere accentratore di Pataliputra. Per quanto riguarda lo Stone Palace (1960-64), è stato osservato che gli strati contenenti la NBPW non sono da ritenersi contemporanei all'edificio, in quanto tagliati dalle fondamenta di questo, che risalirebbe addirittura a epoca medievale. Non vi è dunque prova archeologica che K. sia stata fondata intorno al 1000 a.C. o anche prima. Per quanto riguarda l'esistenza di una fase precedente il periodo della NBPW, negli anni Ottanta del XX secolo, durante una ricognizione di superficie sull'intero sito, furono rinvenuti alcuni tipi di ceramica confrontabili con il primo periodo di Prahladpur, datato nel rapporto di scavo al VII sec. a.C. La fondazione di K. potrebbe quindi risalire a questo periodo.

Come dimostrano la qualità e le tipologie rinvenute, K. fu probabilmente, insieme ad Ayodhya, Shravasti e Rajghat, uno dei primi siti a produrre la NBPW, la cui comparsa si fa generalmente risalire al VI sec. a.C. Nel periodo Maurya K. diventa un importante centro religioso: a questa fase appartengono il monastero e la colonna di Ashoka, forse posta alla congiunzione di due strade, nella cui iscrizione viene fatta menzione della presenza di monaci buddhisti e delle funzioni amministrative del sito. Dal II sec. a.C., la città conquista l'indipendenza, come è attestato dall'emissione di monete locali, quelle dei re Mitra. A partire da questo periodo la fortificazione viene più volte distrutta e ricostruita, fino all'abbandono intorno al VI sec. d.C. Nel VII sec. d.C. Xuan Zang, visitando K., descrive monasteri in rovina. Il sito fu poi rioccupato in epoca medievale.

Bibliografia

Oltre alle notizie in IndAR dal 1953 al 1963, si vedano: A. Cunningham, Four Reports Made During the Years 1862-63-64-65, Report of 1862-63, II, Simla 1871, pp. 301-12; S.C. Kala, Terracotta Figurines from Kauśāmbī, Allahabad 1950; G.R. Sharma, The Excavations at Kauśāmbī, 1957-59. The Defences and the śyenaciti of the Puruṣamedha, Allahabad 1960; K.K. Sinha, Excavations at śrāvastī, Varanasi 1967; G.R. Sharma, The Excavations at Kauśāmbī 1949-50, Delhi 1969; K.K. Sinha, Stratigraphy and Chronology of Early Kauśāmbī. A Reappraisal, in D.P. Agrawal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973, pp. 231-38; A.K. Narain - T.N. Roy, Excavations at Rajghat, Varanasi 1976-78; B.B. Lal, Are the Defences of Kauśāmbī Really as Old as 1025 B.C.?, in Purātattva, 11 (1982), pp. 89-94; Id., When Did Udayana Rule? In the Sixth Century B.C. or the Sixteen Century A.D.? An Assessment of the Dating of the Palace-Complex at Kauśāmbī, ibid., 15 (1984-85), pp. 80-85; Y. Aboshi et al., Excavations at Sahēṭh Mahēṭh 1986-1996, in EastWest, 49 (1999), pp. 119-73.

Kushinagara

di Giovanni Verardi

Luogo dove avvenne il parinirvāṇa, o finale estinzione del Buddha Shakyamuni, identificato con il gruppo di rovine situate presso Kasia nell'Uttar Pradesh orientale (India).

Come per molti altri siti legati alla vita del Buddha, l'identificazione fu proposta nell'Ottocento da A. Cunningham ed è stata in seguito accettata da tutti, nonostante il parere avverso di V. Smith e il fatto che i dati sui quali si fonda non si accordino in punti assai importanti con le scarse fonti scritte di cui disponiamo. Le notizie principali su K. si devono a Xuan Zang (prima metà del VII sec. d.C.), che descrive una località in quasi completo abbandono dove tuttavia si ergevano ancora due colonne iscritte di Ashoka (III sec. a.C.): la prima, accanto allo stūpa del nirvāṇa fatto costruire dallo stesso Ashoka; la seconda dinanzi al luogo dove erano state distribuite, a cremazione avvenuta, le reliquie del Beato. Nel sito non v'è traccia delle colonne, né vi è alcuna struttura che sia databile con sicurezza a epoche precedenti a quella Kushana (I-II sec. d.C.). L'identificazione del sito con la K. dei testi buddhisti poggia quasi soltanto sulla presenza di un'immagine di arenaria del Buddha in parinirvāṇa lunga 6 m di cui fu committente, alla fine del V sec. d.C., l'abate Haribala, e che si crede sia quella vista da Xuan Zang. Essa si trova in un edificio (nirvāṇa-caitya) riedificato dal primo responsabile degli scavi ‒ A.C.L. Carlleyle ‒ nel 1876 e poi nuovamente rifatto nel 1956 con poco rispetto, in entrambi i casi, dei dati archeologici.

Il tempio del nirvāṇa fa parte del gruppo principale di monumenti. Accanto vi sorge lo stūpa principale dell'area sacra, o meglio il suo nucleo cilindrico di mattoni cotti del diametro di circa 20 m, costruito da Haribala inglobando uno stūpa più antico databile al I sec. d.C. I due monumenti sorgono su una comune piattaforma alta circa 2,7 m, attorno alla quale si dispongono almeno otto monasteri rispondenti all'usuale modello (una corte quadrangolare con le celle lungo i lati), stūpa minori e altre strutture non identificate, tutte di mattoni cotti. Sono costruzioni che risalgono all'epoca tardo- e post-Gupta (V-VI sec. d.C.), così come la maggior parte dei rinvenimenti (oggetti votivi di terracotta, monete, ecc.); l'esistenza di monasteri sul luogo risale tuttavia al periodo Kushana, quando alcune strutture erano allineate in maniera diversa. Dopo il 900 d.C. il sito fu completamente abbandonato.

Circa 1,5 km a est del gruppo principale di monumenti si trova lo stūpa di Ramabhar, identificato con quello costruito nel luogo dove il Buddha fu cremato. Si tratterebbe dunque dello "stūpa della cremazione", del makuṭa-bhandana-caitya dei testi. Esso posa su un plinto circolare, articolato in almeno due terrazze, di 47 m di diametro, con un tamburo del diametro di circa 34 m. H. Sastri, che condusse gli scavi a K. negli anni 1910-12, ne esaminò l'interno, dove rinvenne numerosi frammenti di sculture e mattoni decorati, presumibilmente appartenenti allo stūpa precedente. Tutt'attorno alla struttura vennero alla luce centinaia di placchette votive con il "credo" buddhista, risalenti all'ultimo periodo di vita del sito.

Bibliografia

A.C.L. Carlleyle, Report of Tours in Gorakhpur, Saran and Ghazipur in 1877-78-79 and 80, Calcutta 1885, pp. 16-29; J.Ph. Vogel, Note on Excavations at Kasia, in ASIAR, 1904-1905, pp. 43-58; Id., Excavations at Kasia, ibid., 1905-6, pp. 61-85; F.E. Pargiter, The Kasia Copper-Plate, ibid., 1910-11, pp. 73-77; H. Sastri, Excavations at Kasia, ibid., pp. 63-72, 1911-12, pp. 134-140; D.R. Patil, Kusinagara, Calcutta 1957; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 69-71; A. Ghosh, s.v. Kuśīnagara, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, II, p. 247.

Lal qila

di Daniela De Simone

Sito ubicato sulla riva sinistra del fiume Kali, nel distretto di Bulandshahr, Uttar Pradesh (India), scavato tra il 1969 e il 1971 da R.C. Gaur per conto del Dipartimento di Storia dell'Aligarh Muslim University.

L.Q. è stato uno dei primi siti dell'età del Bronzo indiana (piuttosto scarsi nella valle del Gange) ad aver restituito evidenti tracce di un abitato. Nonostante lo spessore del deposito archeologico sia piuttosto esiguo (tra 1 e 1,5 m), è stato possibile individuare tre differenti fasi abitative, distinguibili in base a diversi livelli pavimentali. La fase I, immediatamente al di sopra del suolo vergine, è rappresentata da un piano di terra battuta, con tracce di bruciato che indicherebbero la presenza di un focolare. Alla fase II appartengono due diversi strati pavimentali, piuttosto ben conservati, costituiti da una miscela di argilla e detriti ceramici. Pavimenti di fattura simile, ma più vasti, caratterizzano la fase III. Le buche di palo associate ai pavimenti suggeriscono la presenza di capanne a pianta quadrata o circolare con tetti di paglia e muri di incannucciata ricoperti di fango, come testimonia il ritrovamento di frammenti di intonaco recanti impressioni di bambù e canniccio. Mattoni crudi sono presenti nella fase II, mentre per la fase III è attestato anche l'uso di mattoni cotti.

L'unica classe ceramica presente è l'Ochre Coloured Pottery (OCP), che costituisce un importante indicatore cronologico riferibile all'età del Bronzo; le analisi di alcuni frammenti con il metodo della termoluminescenza ne hanno fornito la conferma, con datazioni tra il 2030 a.C. e il 1730 a.C., che rientrano in quelle accettate per l'età del Bronzo indiana. Lo scavo del sito ha inoltre fatto luce sulle tecniche di lavorazione e sulla variabilità della OCP, presente in diverse tonalità che sfumano dall'ocra al marrone. La varietà delle forme e dei tipi è piuttosto ampia, essendo quasi esclusivamente ceramica di uso comune. Caratteristiche dell'OCP sono le decorazioni dipinte (raramente anche incise) sull'orlo, il collo e la spalla del vaso, ma che a volte giungono fin sotto la pancia, generalmente consistenti in disegni geometrici o motivi floreali; un solo esemplare mostra un bue indiano con lunghe corna e zampe muscolose.

Numerosi altri oggetti di terracotta sono venuti alla luce: braccialetti, sfere, grani di collana di corniola e steatite, un pendente d'agata, dischetti ceramici (pottery discs) e due figurine fittili femminili, una delle quali presenta due fori sulle spalle, probabilmente praticati per appendere l'immagine. Abbondanti sono anche le punte di freccia e le punte di osso. Importante è anche il ritrovamento di cinque oggetti di bronzo: un pendente, un grano di collana, una punta di freccia, il frammento di una lama e un oggetto non identificato. Numerose ossa animali combuste all'interno di focolari, alcune delle quali con evidenti segni di macellazione, indicano che gli abitanti del sito non solo consumavano carne, ma allevavano anche bestiame. È inoltre certo che essi praticavano intensamente l'agricoltura, come dimostrano i numerosi semi ritrovati.

Bibliografia

R.C. Gaur, Lal Qila Excavation and the OCP Problem, in D.P. Agarwal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973; Id., s.v. Lal Qila, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, II, pp. 251-53; Id., Excavation at Lal Qila, Delhi 1995.

Lauriya-nandangarh

di Giovanni Verardi

Località del Bihar situata lungo l'uttarapatha, la Via del Nord che portava dalle città del Magadha al Nord-Ovest del Subcontinente costeggiando le pendici himalayane.

Come in altri siti lungo questo itinerario, vi sorge una colonna, fatta innalzare dall'imperatore Ashoka intorno al 250 a.C., l'unica intatta insieme con quella di Vaishali. Alta circa 12 m, essa poggia in fondazione su una base di pietra; il fusto di arenaria polita è rastremato, con un diametro di oltre 1 m alla base e di 0,9 m alla sommità, e termina con un capitello formato da un elemento lotiforme, un abaco su cui corre una fila di oche selvatiche e l'emblema in forma di leone in posa araldica, simbolo di regalità ma anche del Buddha, il "Leone degli Shakya". Sul fusto sono riportati i primi sei editti su colonna di Ashoka.

Il monumento si trova in prossimità di una serie di tumuli disposti su tre file, la prima con andamento est-ovest, le altre, sulla sinistra, con andamento nord-sud. T. Bloch, che nel 1905 ne aprì quattro, li interpretò come tombe reali di epoca pre-Maurya attestanti rituali vedici. Benché questa teoria goda ancora di un certo credito, già negli anni Trenta del XX secolo N.G. Majumdar, riprendendo lo scavo, mostrò che si trattava di stūpa buddhisti. Lo stūpa A, nella prima fila, ha pianta circolare con pradakṣināpatha pavimentato e conservava all'interno un recipiente contenente ossa umane (l'uso di inumare le spoglie dei monaci negli stūpa era corrente presso le comunità buddhiste antiche). La sua data, come quella degli altri stūpa, non è certa, ma risale probabilmente al III sec. a.C., almeno nella sua forma originaria, e rimase in vita fin verso il VII sec. d.C., come mostrano le placchette votive di terracotta venute alla luce all'intorno. I tumuli M e N (terza fila), di mattoni crudi, in cui Bloch rinvenne altri resti ossei, conservavano all'interno un asse ligneo: nel tumulo N ne rimaneva la parte inferiore, del diametro di 1,3 m circa. Si tratta dello yūpa su cui era innestato un secondo palo ligneo (yaṣṭi), rappresentante l'indrakīla o asse cosmico intorno al quale questo e altri stūpa sarebbero stati costruiti.

A sud del villaggio di L. si trova il colossale stūpa di Nandangarh, scavato negli stessi anni. Si tratta di una struttura a terrazze di circa 400 m di diametro. La base e le due prime terrazze sono cruciformi e presentano in ciascun quadrante 13 aggetti triangolari e 14 rientranze, mentre le due terrazze superiori sono circolari. All'interno del monumento, il cui aṇḍa è perduto, si trova un piccolo stūpa; anch'esso a base poligonale e conservante tamburo, aṇḍa e harmikā, sembra essere il modello dello stūpa maggiore. In un piccolo reliquiario erano frammenti di un manoscritto databile al IV sec. d.C. In una fase imprecisabile le tre terrazze inferiori dello stūpa furono circondate da mura circolari, rimosse da Majumdar. I materiali utilizzati per costruire lo stūpa ‒ uno dei più grandi di tutta l'Asia, avvicinabile a quelli di Antichak, Paharpur e ai grandi monumenti del Sud-Est asiatico ‒ provengono dalla spoliazione di una parte dell'insediamento antico, databile tra il periodo Maurya (IV-III sec. a.C.) e quello Kushana (I-III sec. d.C.), ai limiti del cui perimetro (di 1,6 km) lo stūpa sorge; la rimozione dei materiali causò la formazione della grande "vasca" situata a sud del monumento. Tra i manufatti rinvenuti all'interno di quest'ultimo si segnalano monete punzonate e di rame, sigilli e oggetti di ferro. Si ricordano anche una statuetta femminile acefala e una testa di bambino, lavorate a tutto tondo e avvicinabili alla produzione Maurya di Pataliputra oltre ad alcune placche di epoca Shunga (II - inizi del I sec. a.C.).

Bibliografia

A.C.L. Carlleyle, Report of Tours in Gorakhpur, Saran, and Ghazipur in 1877-78-79 and 80, Calcutta 1885, pp. 36-47; T. Bloch, Excavations at Lauriya, in ASIAR, 1906-1907, pp. 119-726; M.H. Kuraishi, List of Ancient Monuments Protected under Act VII of 1904 in the Province of Bihar and Orissa, Calcutta 1931, pp. 9-16; N.G. Majumdar, Explorations at Lauriya-Nandangarh, in ASIAR, 1935-36, pp. 47-50, 55-66; J.E. van Lohuizen-de Leeuw, South-East Asian Architecture and the Stupa of Nandangarh, in ArtAs, 19 (1956), pp. 279-90; D.R. Patil, The Antiquarian Remains in Bihar, Patna 1963, pp. 234-44; J. Irwin, Aśokan Pillars: a Reassessment of the Evidence, in BurlMag, 114 (1973), pp. 706-20; 116 (1974), pp. 712-27; 117 (1975), pp. 631-43; 118 (1976), pp. 734-53; S.H. Mukhopadhyay, Terracotta from Lauriya-Nandangarh in the Indian Museum, Calcutta, in Lalit Kalā, 18 (1977), pp. 31-35; A. Ghosh, s.v. Lauriya-Nandangarh, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, Leiden 1990, II, pp. 254-55.

Mathura

di Herbert Härtel

Situata sulla Yamuna, al centro di vie commerciali, M. fu dal II-I sec. a.C. la città più importante dell'India del Nord, fulcro di movimenti religiosi e di grandi innovazioni artistiche.

L'interesse per M. si accese con la scoperta casuale, nel 1836, di una scultura identificata come Sileno. Le prime ricerche, prive di metodo e sistematicità, fornirono una gran messe di oggetti d'arte e di cultura materiale, ma poche informazioni sulla storia archeologica del sito. Una prima sequenza culturale si ottenne solo nel 1954-55 con gli scavi di M. Venkataramayya e B. Saran, dell'Archaeological Survey of India, nel sito di Katra.

I più antichi insediamenti della città e del suo territorio risalgono al periodo della Black-and-Red Ware e della Painted Grey Ware nell'VIII sec. a.C. La Northern Black Polished Ware è documentata dal 600 al II-I sec. a.C. circa. Alla fine del II sec. a.C. la regione di M. divenne uno degli stati autonomi dell'India settentrionale, governato dalla dinastia Mitra. Fu poi inglobata nel regno Saka-partico dell'India del Nord-Ovest, divenendo in seguito la capitale dei Kushana. Tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C. fu un centro particolarmente vitale del buddhismo, del jainismo e delle varie sette dell'induismo e vi furono creati i prototipi delle immagini divine che diventeranno i modelli di riferimento per le future iconografie.

Inizialmente, M. è nota per la produzione fittile. Le prime immagini di dea madre (IV sec. a.C.), dal viso a forma di muso animale, occhi di disegno arbitrario e bocca mal definita, sono modellate a mano in terracotta grigia, spesso dipinta di nero. Il tipo Maurya (III sec. a.C.) è contraddistinto da viso sottile, bocca piccola e capigliatura molto aderente alla testa, divisa da scriminatura. Le figurine fittili della fase culturale Shunga sono invece caratterizzate da una testa ottenuta a stampo, mentre il corpo è modellato a mano. Nel II sec. a.C. compaiono le prime placche di terracotta ottenute interamente a stampo. Le sculture di M. sono ben riconoscibili perché, fino all'Alto Medioevo, realizzate quasi esclusivamente con un'arenaria rossastra con macchioline chiare e venature grigio-giallastre proveniente dalle cave di Sikri. Le sculture più antiche risalgono alla fine del II sec. a.C.: si tratta di figure a tutto tondo di yakṣa (divinità encorie) e nāga (esseri semidivini legati al mondo sotterraneo e delle acque). Il loro aspetto statuario servì da modello a molte iconografie divine quando cadde il divieto anti-iconico della religione brahmanica, avversa alle immagini.

A causa delle ripetute distruzioni subite dalla città e dall'area circostante, non disponiamo di una sufficiente documentazione sugli edifici di culto più antichi. Alcuni rilievi rappresentano templi a torre o innalzati intorno a un albero sacro; un rilievo mostra un edificio absidato, forse il tipo di tempio più diffuso nell'India antica e l'unica forma di edificio cultuale archeologicamente accertata nell'area di M. Gli scavi di Sonkh hanno infatti riportato alla luce le fondazioni di due templi simili, databili tra il 100 a.C. e il 100 d.C. circa.

L'arte di M. raggiunse l'apice all'epoca delle dinastie Mitra, Kshatrapa e Kushana, tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C. Le sue caratteristiche sono uno stile rustico, espresso dai corpi forti ed esuberanti e dai caratteri fortemente accentuati dei volti, e i larghi e pesanti monili delle figure. Nelle opere del successivo periodo Gupta (V-VI sec. d.C.) si abbandonano le pose statuarie e il carattere severo dell'arte antica e le figure umane sono rappresentate in età giovanile, in movimento o in azione. Ornamenti e motivi vegetali sono resi nei minimi particolari. Uno dei massimi risultati artistici dell'arte di M. è costituito dalle sensuali yakṣī rappresentate sui pilastri delle balaustre (vedikā), di solito costruite intorno agli stūpa buddhisti e Jaina, più raramente intorno ad aree sacre ed edifici di culto induista. Le più antiche sculture di M. su balaustra risalgono al I sec. a.C., ma la maggior parte di esse è databile a epoca Kushana (I-III sec. d.C.).

La prima rappresentazione del Buddha in sembianze umane fu un avvenimento di grande portata. I primi rilievi di M. raffiguranti il Buddha seduto attribuiscono a questo (definito bodhisattva nelle iscrizioni) i caratteri del Macrantropo (mahāpuruṣa), che riunisce i requisiti profetizzati sia per un sovrano universale (cakravartin) sia per un Buddha. Esse potrebbero rappresentare Shakyamuni prima dell'Illuminazione o, forse più verosimilmente, i Bodhisattva del buddhismo Mahāyāna, che del resto sembra aver esercitato il suo influsso sull'arte di M. molto prima di quanto si pensasse: nel 1975 fu rinvenuta la base di una figura stante, che un'iscrizione dell'anno 26 dell'era di Kanishka identifica come il Buddha Amitabha.

Figure e rilievi riconducibili alla religione Jaina (i 24 Tīrthaṁkara, ovvero Mahavira, detto il Jina o "il vittorioso", riformatore religioso contemporaneo del Buddha, e i suoi 23 predecessori) sono attestati a M. in una quantità di poco inferiore a quelli buddhisti. A tal riguardo, la più rilevante scoperta è costituita dal monastero di Kankali Tila. Le più antiche raffigurazioni del Jina (inizi del I sec. d.C.) ricorrono su placchette cultuali di forma quadrata (āyāgapaṭa), che mostrano il Jina seduto, nudo come nelle successive raffigurazioni stanti, che si manterranno identiche nel corso dei secoli, con il loro portamento eretto e le braccia strettamente aderenti ai lati del corpo.

Tra la fine del I sec. a.C. e la fine del II sec. d.C. a M. furono creati anche i prototipi di numerose divinità induiste, alcune delle quali anteriori alla rappresentazione antropomorfa del Buddha e del Jina (Balarama, Vasudeva-Krishna, Shiva, Durga, Skanda), e le prime figure a più braccia e a molte teste, tratto destinato a rimanere tra i più distintivi dell'arte religiosa indiana. Un gruppo importante di sculture monumentali ritrae i sovrani Kushana, due delle quali identificate da iscrizioni come Kanishka I e Vima Takto, che uniscono alla forte caratterizzazione centroasiatica elementi derivati dalla tradizione indiana. Esse furono rinvenute a Mat, nei dintorni di M., in un edificio di cui si conservano solo le fondazioni; ne nacque l'ipotesi di un tempio destinato a un culto dinastico, contraddetta però dalla posizione di Mat, alquanto decentrata rispetto alla città, dalla sua contemporanea utilizzazione come luogo di culto induista e dalla varietà delle sculture.

Bibliografia

Rapporti di scavo sono pubblicati in ASIAR, quasi ininterrottamente tra il 1903 e il 1934 e in IndAR, 1954-55 e ininterrottamente dal 1966 al 1977; una sintesi delle ricerche precedenti è in J.Ph. Vogel, Archaeological Museum at Mathura, Allahabad 1910. Tra i contributi degli ultimi decenni si vedano: J.E. van Louhizen-de Leeuw, New Evidence with Regard to the Origin of the Buddha Image, in SAA 1979, pp. 376-400; H. Härtel, The Concept of the Kapardin Buddha Type of Mathura, in SAA 1983, II, pp. 653-78; G. Verardi, The Kuṣāṇa Emperors as Cakravartins. Dynastic Art and Cults in India and Central Asia: History of a Theory, Clarifications and Refutations, in EastWest, 33 (1983), pp. 225-94; R.C. Sharma, Buddhist Art of Mathura, Delhi 1984; S.J. Czuma - R. Morris, Kushan Sculpture: Images from Early India, Cleveland 1985; S.P. Gupta (ed.), Kushana Sculptures form Sanghol, New Delhi 1985; G. von Mittenvallner, Kuṣāṇa Coins and Kuṣāṇa Sculptures from Mathurā, Mathura 1986; H. Mode, Mathura Metropole altindischer Steinskulptur, Leipzig 1986; H. Härtel, Excavation at Sonkh. 2500 Years of a Town in Mathura District, Berlin 1993; R.C. Sharma, The Splendor of Mathura Art and Museum, New Delhi 1994.

Nalanda

di Giovanni Verardi

Città monastica buddhista presso Bihar Sharif e a pochi chilometri dall'antica Rajgir, nello Stato del Bihar (India).

Il sito fu notato nella prima metà dell'Ottocento e identificato da A. Cunningham con N., descritta dal pellegrino cinese Xuan Zang, che nella prima metà del VII sec. d.C. vi trascorse un lungo periodo di studio. Nel 1871 il Sub-divisional Magistrate A.M. Broadley condusse uno scavo, affrettato e su larga scala, nell'area del Monastero 1, notando la presenza di immagini buddhiste e induiste. Scavi regolari cominciarono nell'inverno 1915-16 per opera dell'Archaeological Survey of India, protraendosi per i successivi vent'anni. N. non è interamente indagata e sono molti i punti che restano da chiarire. Gli scavi non hanno mai trovato sistemazione documentaria, né sono mai stati criticamente rivisti; inoltre manca un inventario completo dei ritrovamenti. Le evidenze più antiche, molto scarse, risalgono all'epoca di Kumaragupta I (413-455) e di altri sovrani tardo-Gupta. Fu solo con la committenza imperiale di Harshavardhana (606-647) che il luogo prosperò. Non è chiara la natura della committenza nei secoli che seguirono. Ai sovrani Pala è attribuita l'esecuzione di numerose opere, ma i grandi monasteri che furono fondati nelle vicinanze, in particolare Odantapuri (Bihar Sharif) e Vikramashila dovettero sottrarre prestigio a N., che nel VII-VIII secolo era stata il maggior centro del sapere dell'intero mondo buddhista. Fino al XIII secolo, comunque, N. elaborò ed esportò i modelli del buddhismo Mahāyāna e Vajrayāna.

L'impianto di epoca Pala comprende i grandi monasteri 1, 4 e 6-11, disposti lungo un asse nord-sud. Di fronte a essi, divisi da una larga via lunga circa 500 m e con lo stesso allineamento, sorgono, ben distanziati tra loro, i templi 12, 13 e 14. Il Tempio 3, il maggiore di N., e i monasteri 1A e 1B si trovano all'estremità meridionale del sito e rispondono a un impianto diverso, che tiene conto delle strutture erette in precedenza. Gli edifici sono costruiti quasi interamente con mattoni cotti. Il Tempio 3 è il risultato di diverse ricostruzioni, che ampliarono via via le strutture più antiche, di cui non sappiamo quasi nulla. Gli accumuli delle fasi precedenti, mai rimossi, causarono l'inusuale crescita in altezza della struttura. Durante la quinta ricostruzione, la cella fu sistemata su un'alta piattaforma alla quale conduceva una lunga scalinata. In questa fase, datata al VI secolo, quattro stūpa si ergevano ai quattro angoli del santuario centrale, che doveva essere coronato da un'alta torre come il tempio della Mahabodhi a Bodhgaya. Gli ampliamenti inglobarono, oltre agli accumuli delle fasi precedenti, anche stūpa piccoli e santuari minori. Degli altri templi, di proporzioni gigantesche, il n. 12 si distingue per la presenza di quattro tempietti minori in corrispondenza degli angoli. I monasteri di N. rispondono tutti all'usuale pianta a corte centrale. Avevano almeno un piano superiore, come mostra la presenza di rampe di scale. Nel Monastero 1 sono state riconosciute nove fasi costruttive, alcune delle quali furono rifacimenti completi ‒ in particolare quello seguito a un devastante incendio occorso nel IX secolo. Gli edifici di N. erano intonacati e la decorazione scultorea a vista era di stucco. Non mancano immagini di pietra (di solito di piccole dimensioni), ma buona parte della produzione iconografica è formata da sculture di metallo, ritrovate in grande quantità soprattutto tra le rovine del Tempio 3.

Resta inspiegabile, con i criteri interpretativi correnti, la presenza del Tempio 2, che sorge a est della fila dei monasteri: non è a essi allineato (anzi volta loro le spalle e ha l'ingresso dalla parte opposta) ed era dedicato al culto Hindu, probabilmente a Shiva. Le sculture di pietra che decorano il plinto (la parte del tempio superstite), stilisticamente attribuibili al VII secolo, furono probabilmente recuperate e risistemate quando l'edificio fu ricostruito nel IX secolo. Alcune immagini Hindu provengono anche dalla fase "di Devapala" (sovrano Pala, buddhista, che regnò dall'810 all'850 ca.) del Monastero 1, segnata dall'incendio di cui si è detto. La presenza di immagini di pietra di divinità Hindu è stata osservata anche negli immediati dintorni del sito archeologico. La distruzione di N. è tradizionalmente imputata a Bakhtiar Khalji, che invase il Bihar nel 1197, ma le cronache musulmane del tempo non fanno menzione del luogo; è possibile che a soffrire dell'invasione sia stata piuttosto la vicina città monastica di Odantapuri (Bihar Sharif). La N. buddhista era forse già semiabbandonata da tempo a causa della crescente e ostile presenza brahmanica. Un'immagine frammentaria di Aparajita, rinvenuta nel Tempio 3 e databile al VII-VIII secolo, indica che fu forse proprio a N. che nacquero, e per tempo, le iconografie buddhiste in cui la contrapposizione al brahmanesimo appare del tutto esplicita.

Bibliografia

Notizie sugli scavi: ASI, 1 (1862), pp. 28-36; ASIAR (Eastern Circle), dal 1915-16 al 1920-21; ASIAR, 1916-21, pp. 26-27; 1921-22, pp. 19-22; 1922-23, pp. 104-107, 150; 1923-24, pp. 70-74; 1924-25, pp. 82-86, 135-36; 1925-26, pp. 26-29, 100-107, 158-59; 1926-27, pp. 25-29, 127-35, 218-19; 1927-28, pp. 97-101, 159-61; 1928-29, pp. 85-87, 144-45; 1929-30, pp. 135-37, 201-202.

In generale:

A.M. Broadley, Ruins of the Nālandā Monasteries at Burgaon, Calcutta 1872; M.M.Ḫ. Ḳuraishī, List of Ancient Monuments Protected under Act VII of 1904 in the Province of Bihar and Orissa, Calcutta 1931, pp. 67-96; A. Ghosh, Nālandā, Delhi 1939; H. Sastri, Nālandā and its Epigraphic Material, Delhi 1942; K. Deva - V.S. Agrawala, The Stone Temple at Nālandā, in Journal of the Uttar Pradesh Historical Society, 23 (1950), pp. 198-212; D.R. Patil, The Antiquarian Remains in Bihar, Patna 1963, pp. 300-35; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 85-89; C.S. Upasak, Nalanda: Past and Present, Nalanda 1977; D. Paul, The Art of Nālandā, Enschede 1987; B.N. Mishra, Nālandā, I-III, Delhi 1998.

Pataliputra

di Giovanni Verardi

Nome antico della città di Patna, nell'India nord-orientale. Verso la metà del V sec. a.C. divenne la capitale del Magadha e tale rimase in epoca Maurya (fine del IV - inizi del II sec. a.C.), e saltuariamente anche più tardi.

La maggior parte dei siti indagati si trova nella parte sud della città moderna, dove sembra che in antico scorresse un ramo del fiume Son, che si immetteva nel Gange a est dell'attuale confluenza, limitando la città a ovest. Una parte del deposito antico è stata osservata lungo il fiume, che lambisce la città a nord. La P. antica avrebbe dunque avuto una forma pressappoco rettangolare come la moderna Patna. La ricerca archeologica ebbe inizio nel 1892 per iniziativa di L.A. Waddell e fu resa difficile dalla profondità in cui si trova il deposito antico, a molti metri sotto spessi sedimenti alluvionali, oltre che dai limiti imposti dalla presenza della città moderna, che non consente interventi in areale su scala significativa. Gli scavi si protrassero fino al 1899 e ripresero tra il 1912 e il 1915 per opera di D.B. Spooner. Questi, in località Kumrahar, portò alla luce un'aula pilastrata identificata come il palazzo Maurya. Scavi regolari furono nuovamente intrapresi tra il 1951 e il 1955 a Kumrahar, e nell'inverno 1955-56 nella città vecchia di Patna.

Le mura urbane, osservate in diversi punti (specialmente a Bulandibagh), consistono in due pareti parallele, distanti 3,7 m l'una dall'altra, formate da pali lignei a sezione rettangolare (55 × 38 cm), alti 2,7 m e fondati a una profondità di 1,5 m su uno strato di pietrame. All'altezza dello spiccato, lo spazio interno era pavimentato con lunghe tavole. All'esterno, le mura erano rafforzate da altre tavole. Sembra che lo scavo sia sempre stato condotto "in negativo", considerando cioè il riempimento tra le due pareti e il piano ligneo di fondo non come materiale strutturale, a esse coevo e pertinente, ma come materiale di colmata più tardo. Senza escludere che in alcuni casi le pareti lignee delimitassero passaggi interni, esse vanno forse considerate come l'armatura di mura di argilla. Queste erano attraversate, ad angolo retto, da canaletti di drenaggio. Il rinvenimento di vari elementi lignei (un palo a sezione ottagonale, pesanti travi, ecc.) ha fatto pensare all'esistenza di un toraṇa (portale con travi ricurve); una struttura lignea in località Rampu fu interpretata come la fondazione di una torre. Meritano una segnalazione le terrecotte di ambiente curtense venute alla luce presso i tratti di mura a Bulandibagh; attribuite per lo più al III sec. a.C., non mancano gli autori che tendono ad abbassarne la data fino al I sec. a.C. Si segnalano anche un gruppo di 400 monete punzonate e una ruota di carro di legno perfettamente conservata.

Il padiglione Maurya a Kumrahar (39 × 32 m) aveva 80 colonne rastremate in arenaria polita (cui si aggiungevano le quattro del portico d'ingresso), alte in origine circa 10 m e poste su otto file alla distanza di 4,5 m. Alla sommità avevano un incasso per l'alloggiamento dei capitelli, probabilmente lignei come la copertura. Le colonne poggiavano su altrettante strutture di legno alte 1,36 m, fondate a loro volta su uno spesso strato d'argilla. A sud della struttura Spooner portò alla luce sette grandi piattaforme lignee (9 × 1,6 × 1,4 m ca.). L'ipotesi che si tratti del palazzo reale Maurya va abbandonata perché l'edificio non ha spazi per le udienze, perché non vi si affianca alcun altro ambiente palatino, perché è troppo decentrato e, infine, perché non vi è traccia di deposito pre-Maurya. Il padiglione fu distrutto intorno alla metà del II sec. a.C. da un incendio (da taluni messo in relazione con le incursioni degli Indo-greci), cui va imputata la formazione di un uniforme strato di cenere e materiale combusto, spesso 30 cm, che al momento dello scavo ricopriva l'intera area sotto i livelli Gupta (IV-V sec. d.C.). In vari punti della città sono stati rinvenuti altri frammenti di colonne di arenaria polita, ma non sappiamo se fossero parte di strutture complesse o monumenti isolati. Nel VII sec. d.C. era ancora visibile una colonna eretta da Ashoka che ricordava la donazione del suo regno alla comunità buddhista.

Come molti altri insediamenti della valle del Gange, P. si sviluppò tra il V sec. a.C. e il periodo post-Kushana, conoscendo poi un progressivo declino. A Lohanipur furono rinvenute monete punzonate e vaghi di terracotta; a Yamuna Dih (Bankipore) strutture di mattoni cotti associate a ceramica e a oggetti d'uso domestico. In località Gosain Khanda furono rinvenuti, nel 1935, frammenti di Northern Black Polished Ware (NBPW); nello stesso anno i lavori in una vasta area lungo il Gange rivelarono materiali pertinenti a un abitato: NBPW e ceramiche associate, vaghi di terracotta, vetro e pietre semipreziose, piccoli dischi di pietra, frammenti vitrei con caratteri brāhmī del III-I sec. a.C. Fra i ritrovamenti d'interesse storico-artistico, vi sono le immagini di yakṣa, la cosiddetta yakṣī da Didarganj, località della città vecchia, e il torso virile nudo da Lohanpur. La sola sequenza con valore orientativo è data dai saggi di B.P. Sinha del 1955-56, condotti in quattro distinte parti della città vecchia. Nel primo periodo individuato, tra il 600 e il 150 a.C., i livelli più antichi sono caratterizzati dalla NBPW, associata a ceramica grigia, nera e rossa e, verso la fine del periodo, rossa, e a figurine di terracotta antropomorfe, lavorate a mano con cerchietti impressi. Il frammento di pietra di un toro accovacciato e le monete punzonate di argento e rame sono databili all'epoca Maurya. A Begum-ki-Haveli fu parzialmente scavato un ambiente pavimentato associato a pozzi costruiti con elementi modulari di ceramica (i cd. ringwells). L'area fu distrutta da un vastissimo incendio. Il periodo successivo è caratterizzato dalla sola ceramica rossa, associata ad abitazioni di mattoni cotti, cronologicamente assegnabili a otto fasi costruttive. Tra i materiali più antichi si segnalano figurine di terracotta del demone Naigamesha e un amuleto di oro esemplato su una moneta del sovrano Kushana Huvishka (II sec. d.C.).

Nei testi buddhisti P. è ricordata come la sede del terzo concilio. Ashoka vi avrebbe fondato monasteri e importanti stūpa, in particolare quello con le reliquie del Tathāgata. A Kumrahar, L.A. Waddell e P.C. Mukherji osservarono strutture appartenenti a un monastero ed elementi di balaustra di stūpa e Spooner, prima di raggiungere i livelli Maurya, portò alla luce numerose strutture di mattoni (che non descrisse) in associazione con materiali d'appartenenza buddhista: sigilli iscritti d'epoca Kushana e Gupta, una placca di terracotta rappresentante il tempio di Bodhgaya e una statua di Bodhisattva di arenaria di Mathura. Gli scavi di A.S. Altekar e V. Mishra hanno mostrato che, dopo la distruzione del padiglione Maurya, il sito, dal I sec. a.C. al VI sec. d.C., fu un importante insediamento monastico. Un solo insediamento, di età Kushana, risponde all'usuale modello a corte centrale. Un secondo monastero, coevo, consiste di 14 celle poste su un unico asse, precedute da ambienti più grandi, cui si accedeva da un portico. Anche l'Ārogya-vihāra, un monastero-ospedale di età Gupta, mostra alcune particolarità, tra cui la diversa dimensione delle celle. Era decorato da nicchie con immagini del Buddha in terracotta, coppie amorose, esseri celesti, ecc. Si segnala anche la presenza di un caityagṛha (edificio absidato destinato al culto dello stūpa) di epoca Kushana. A 1 km circa a sud-est di Kumrahar si trovano le "cinque colline", oggi quasi interamente spianate. Gli scavi intrapresi non hanno verificato l'ipotesi che si trattasse di stūpa, nemmeno nel caso di quello che si era ipotizzato potesse contenere le reliquie del Buddha.

Stando al pellegrino cinese Faxian, intorno al 410 d.C. P. era una città ancora grande e fiorente, anche se probabilmente esautorata dal grande numero di monasteri. Xuan Zang, che visitò P. due secoli più tardi, descrisse una città in completa rovina, con poche migliaia di abitanti. Sulla base di fonti Jaina la fine di P. è stata attribuita a una catastrofica alluvione del Son avvenuta intorno al 575 d.C., ma è lecito pensare che al suo declino non sia estranea l'eradicazione del buddhismo per opera del potere brahmanico. Come altri insediamenti indiani antichi, P. fu abbandonata fino alla nuova urbanizzazione in epoca tardomusulmana e moderna.

Bibliografia

P.C. Mukherji, Report on the Excavations on the Ancient Site of Pataliputra (Patna-Bankipur), Calcutta 1898; Id., Reports Made during the Progress of Excavations at Patna, in The Indian Antiquity, 31 (1902), pp. 437-41, 495-500; 32 (1903), pp. 76-80; L.A. Waddell, Report on the Excavations at Pāṭaliputra (Patna the Palibothra of the Greeks), Calcutta 1903; D.B. Spooner, Mr Ratan Tata's Excavations at Pāṭaliputra, in ASIAR, 1912-13, pp. 53-86; J.A. Page, Bulandi Bagh, Near Patna, ibid., 1926-27, pp. 735-40; M.M.ḫ. ḳuraishi, List of Ancient Monuments Protected under Act VII of 1904 in the Province of Bihar and Orissa, Calcutta 1931, pp. 93-111; A.S. Altekar - V. Mishra, Report on Kumrahar Excavations 1951-1955, Patna 1959; D.R. Patil, The Antiquarian Remains in Bihar, Patna 1963, pp. 377-408; B.P. Sinha - L.A. Narain, Pataliputra Excavations 1955-56, Patna 1970; S.P. Gupta, The Roots of Indian Art, New Delhi 1980, pp. 227-46; C.P. Sinha, Patna Museum. An Introduction, in P.J. Ojha (ed.), Bihar, Past and Present. 13th Annual Congress of Epigraphical Society of India, Patna 1987, pp. 250-69; B.P. Sinha, Archaeology in Bihar, Patna 1988, pp. 39-43, 70-75, 98-107; A. Ghosh - V. Mishra - B.P. Sinha, s.v. Pāṭaliputra, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 334-36.

Piprahwa

di Daniela De Simone

Il sito si trova nel distretto di Basti (Uttar Pradesh), nella regione del Tarai indiano, al confine con il Nepal.

Nel 1897 W.C. Peppé notò la presenza di un grande mound vicino al villaggio di P., a ovest di Lumbini, dove da poco era stata ritrovata una colonna di Ashoka la cui iscrizione pāli in caratteri brāhmī indicava che quello era il luogo in cui era nato il Buddha Shakyamuni. Egli portò alla luce uno stūpa di mattoni alto 6,5 m e del diametro di circa 35 m. L'anno seguente scavò una trincea più grande al centro del monumento, rinvenendo un'urna di steatite, con all'interno grani di collana, monili d'oro e oggetti di cristallo, e un sarcofago di arenaria (1,35 × 0,85 × 0,68 m) contenente cinque urne (quattro di steatite e una di cristallo), dentro le quali c'erano frammenti ossei e numerosi oggetti preziosi: figurine d'oro e argento, fili di perle, vaghi di collana di topazio, ametista, corniola, granata, corallo e cristallo. Si è pensato che lo stūpa fosse molto antico, forse uno di quelli costruiti dagli Shakya dopo la distribuzione delle spoglie mortali dell'Illuminato. A sostenere questa idea concorrono i diari di viaggio del pellegrino cinese Faxian, che visitò l'India tra il 399 e il 414 d.C., il quale scrisse che Kapilavastu si trovava a 50 li in direzione ovest da Lumbini. Ai quattro punti cardinali rispetto allo stūpa, Peppé notò altre costruzioni successivamente identificate come vihāra (monasteri).

Nel 1971 K.M. Srivastava riprese le ricerche, integrando lo scavo del centro sacro di P. con quello dell'abitato di Ganwaria, 1 km a sud-ovest di esso. Sotto i livelli dove Peppé aveva trovato i cinque reliquiari, l'archeologo indiano scoprì due piccole camere di mattoni, in ognuna delle quali trovò un'urna contenente ossa carbonizzate. Nel 1973 durante lo scavo del vihāra orientale (Devaputra vihāra) furono ritrovati 46 sigilli di terracotta con iscrizioni in caratteri brāhmī: "il Devaputra vihāra della comunità dei monaci di Kapilavastu", "la comunità dei monaci della grande Kapilavastu" e altre con i nomi di alcuni monaci. Questa scoperta portò gli archeologi indiani a considerare definitivamente P. e Ganwaria le sedi dell'antica Kapilavastu: la prima ne avrebbe costituito il centro religioso, la seconda l'abitato.

A Ganwaria sono attestati quattro periodi di occupazione. L'abitato inizia con il periodo I (VIII-VI sec. a.C.) nel quale, a parte pochi frammenti ceramici, soprattutto di Grey Ware (GW), ben poco è venuto alla luce. Il periodo II (VI-II sec. a.C.) è caratterizzato dalla comparsa della Northern Black Polished Ware (NBPW), importante indicatore cronologico anche per la datazione della fase iniziale dello stūpa poiché negli strati in cui Srivastava trovò le due urne c'erano frammenti di questa ceramica. Nel periodo III (II sec. a.C. - I sec. d.C.) la NBPW scompare totalmente e il complesso ceramico si presenta unicamente costituito da Red Ware (RW). Al periodo IV (I-IV d.C.) appartengono 2 tesoretti contenenti 64 monete punzonate d'argento e 37 monete di rame. Lo stūpa fu costruito in tre fasi, distinte in base ai livelli di ritrovamento delle urne, il cui inizio corrisponde al periodo II di Ganwaria. è stato inoltre dimostrato che il centro religioso di P. visse tra il VI sec. a.C. e il III sec. d.C.; il sito fu poi distrutto da un incendio e in seguito abbandonato.

Bibliografia

J. Legge, A Record of Buddhistic Kingdoms, Being an Account by the Chinese Monk Fa-Hien of his Travels in India and Ceylon (A.D. 399-414) in Search of the Buddhist Books of Discipline, Oxford 1886; W.C. Peppé, The Piprāhvā Stūpa, Containing Relics of Buddha, in JRAS, 1898, pp. 573-78; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1972; Id., Excavations at Tilaura-kot and Kodan and Explorations in the Nepalese Tarai, Kathamandu 1972; K.M. Srivastava, s.v. Ganwaria, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, p. 143; Id., s.v. Piprahwa, ibid., pp. 345-46; Id., Excavations at Piprahwa and Ganwaria, New Delhi 1996.

Prayaga (allahabad)

di Giovanni Verardi

Una delle maggiori città dell'India settentrionale, a breve distanza dal punto in cui la Yamuna confluisce nel Gange. Nello stesso punto confluisce, secondo il mito, anche la sotterranea Sarasvati, formando il trivenī saṅgham, o "unione della triplice freccia". Il luogo, ritenuto il più sacro dell'intera India e tīrtha (meta di pellegrinaggio) per eccellenza, è un "ombelico del mondo", il luogo cioè ove cielo e terra per la prima volta si separarono. Il suo nome antico, Prayāga, significa "luogo del sacrificio".

Nel punto esatto della confluenza, ora occupato dal forte costruitovi dall'imperatore Akbar nel XVI secolo, sorge una colonna di Ashoka (III sec. a.C.), alta 11 m, su cui sono riportati i primi sei editti dell'imperatore Maurya. Al di sotto corre la lunga, celebre praśasti o eulogia dell'imperatore Samudragupta (ca. 345-380 d.C.), una delle fonti più importanti per la storia dell'India tardoantica. Sulla riva opposta del Gange, di fronte al forte, in località Jhusi, si estende su una superficie di circa 6 km il deposito archeologico di un grande insediamento, identificato da alcuni con la Pratisthāna della letteratura epica. Il sito non è stato scavato in maniera estensiva, ma sappiamo che la sequenza vi ha inizio a partire almeno dalla comparsa della Northern Black Polished Ware (NBPW) intorno al 600 a.C. Dal 1942 il museo di Allahabad vi ha sistematicamente raccolto i materiali di superficie, che coprono un arco cronologico che va dall'epoca Maurya (IV-II sec. a.C.) al Medioevo. Si segnalano sculture, un buon numero di terrecotte, specie di epoca Shunga (II sec. a.C.), sigilli, monete (tra cui le 30 in argento di Kumaragupta II) e 2 placche frammentarie di avorio e di osso databili al I sec. d.C. Benché Jhusi sia uno dei siti più estesi della piana gangetica, la sua posizione non sembra coincidere con quella della P. descritta da Xuan Zang agli inizi del VII secolo. La città, che aveva a quei tempi una circonferenza di 20 li (5 km?), sembra doversi localizzare sull'altra riva del Gange, in un'area prossima al forte e nelle vicinanze della grande distesa sabbiosa dove convergono i pellegrini. Siti risalenti al primo periodo storico, con evidenze di insediamenti urbani, sono stati localizzati anche nell'area dell'attuale Allahabad (Draupadi-ghat, Govindapur, Bharadvajashrama, ecc.).

Bibliografia

Notizie sugli scavi in IndAR, 1960-61, p. 33.

In generale:

G.R. Sharma et al., Allahabad through the Ages, Allahabad 1965; J. Irwin, The Prayāga Bull-Pillar. Another Pre-Aśokan Monument, in SAA 1979, pp. 313-40; S.C. Kala, Terracottas in the Allahabad Museum, New Delhi 1980; J. Irwin, The Ancient Pillar-Cult at Prayāga (Allahabad. Its Pre-Aśokan Origins), in JRAS, 1983, pp. 253-80.

Rajgir

di Giovanni Verardi

Ubicato a sud-est di Patna (Bihar, India), il sito di R. è identificato con la prima capitale dell'antico Magadha. Sui crinali delle cinque alture che delimitano una piccola valle corrono, per una lunghezza di circa 40 km, le mura esterne di tipo megalitico, alte fino a 3,5 m e larghe più di 4 m. A distanze irregolari si osservano bastioni rettangolari e, sul lato interno, rampe di accesso. La cronologia di queste mura è quanto mai incerta e, benché siano attribuite al VI-V sec. a.C., va probabilmente abbassata.

R. Vecchia è anch'essa circondata da mura, delimitanti un'area a forma di pentagono irregolare, lunghe circa 7 km e alte fino a 9 m. Al loro interno si trovano alcune strutture in pietra di difficili interpretazione e datazione. All'estremità nord, un saggio condotto nel 1950 mise in luce scarse tracce di occupazione precedenti l'introduzione della Northern Black Polished Ware (NBPW), comparsa nel VI-V sec. a.C. e attestata fino alla metà del I sec. a.C. L'ultimo periodo di occupazione fu datato al I sec. d.C. Fuori le mura di R. Vecchia, ai piedi del Vaibhara Giri (una delle cinque alture che racchiudono la valle), si trovano le due grotte di Son Bhandar. Nella grotta orientale si osservano i resti di un portico e di scale che portavano al secondo piano. La grotta occidentale è formata da un unico ambiente voltato (10,3 × 5,2 m) che conserva, a tratti, superfici polite. È stato suggerito che questa grotta possa essere l'anello di congiunzione tra grotte naturali e architettura rupestre. Due grotte naturali si trovano in località Gṛdhrakūṭa ("Picco dell'Avvoltoio") su cui il Buddha soggiornò e pronunciò famosi discorsi. L'identificazione del sito non è sicura, ma vi si trovano molti materiali buddhisti, specie di epoca tardoantica e medievale.

Dalla valle si esce verso nord attraverso un passaggio tra le alture di Vaibhara e di Vipula. Sorge qui la R. Nuova. L'abitato, anch'esso a forma di pentagono irregolare, era circondato per una lunghezza di 5 km da mura d'argilla compattata, quasi interamente scomparse. La cittadella, quadrangolare, ha mura di tipo megalitico ben conservate, spesse 4,4-5,5 m e alte 3,35 m. Gli scavi condotti agli inizi del 1900 nella cittadella portarono alla luce resti di numerose strutture (abitazioni, una delle quali con granaio, muri, piattaforme in mattoni), non ben datate. Il periodo è caratterizzato, oltre che dalla NBPW, da un gruppo di monete punzonate, comparse in India intorno al 400 a.C.

Uno dei monumenti più importanti di R. è il Maniyar Math, un tempio di forma cilindrica unico nel suo genere, che in origine aveva quattro aggetti ai punti cardinali. Col primo rifacimento fu costruita una fodera con nicchie contenenti immagini di gesso. Il santuario era forse circondato da un sentiero processionale, delimitato da un muro. Furono rinvenute molte grandi giare destinate al culto dei nāga, talune con lungo collo e numerosi beccucci, alcuni dei quali a forma di spire di serpente. A ovest del santuario fu portata alla luce una lastra scolpita su entrambi i lati rappresentante il nāga Mani e la sorella Sumagadhi. La lastra proviene dalla regione di Mathura, dove il culto dei nāga aveva assunto espressione iconica dal I sec. a.C. Le immagini di gesso nelle nicchie del santuario, databili al V sec. d.C. e associate a immagini Hindu, appartengono anch'esse a questo culto. A occidente della R. Nuova si trovano i resti di uno stūpa la cui fondazione è attribuita tradizionalmente ad Ashoka ma che, a giudicare dal tipo dei laterizi, appare non anteriore al II sec. a.C. Xuan Zang attesta comunque l'esistenza, in antico, di una colonna di Ashoka sormontata da capitello con elefante.

Bibliografia

J. Marshall, Rājagṛha and its Remains, in ASIAR, 1905-1906, pp. 86-106; V.H. Jackson, Notes on Old Rājagṛha, ibid., 1913-14, pp. 265-71; D.N. Sen, Rajgir and its Neighbourhood, Patna 1924; M.M.ḫ. ḳuraishi, List of Ancient Monuments Protected under Act VII of 1904 in the Province of Bihar and Orissa, Calcutta 1931, pp. 112-36; B.C. Law, Rājagṛha in Ancient Literature, Delhi 1938; M.M.ḫ. ḳuraishi - A. Ghosh, Rajgir, Delhi 1939; A. Ghosh, Rajgir 1950, in AncInd, 7 (1951), pp. 66-78; D.K. Chakrabarti, Rājagṛha: An Early Historic Site in East India, in World Art, 7 (1975-76), pp. 261-68; S.P. Gupta, The Roots of Indian Art, New Delhi 1980, pp. 198-202, 320; A. Ghosh, s.v. Rajgir, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 362-65.

Sarnath

di Giovanni Verardi

Località presso Benares (India) dove il Buddha tenne la prima predicazione.

Il monumento più antico di S. è la colonna frammentaria eretta dall'imperatore Ashoka nel III sec. a.C. Alta in origine 15,3 m, era sormontata da un capitello formato da un elemento lotiforme a cui si sovrappone un abaco circolare con elefante, toro, cavallo e leone, intervallati da cakra ("ruote"). Sull'abaco vi sono quattro leoni addorsati (il leone, che guarda nelle quattro direzioni dello spazio, è simbolo del Buddha e del sovrano), sopra i quali restano i pochi frammenti di un grande cakra. Di epoca Maurya era anche il Dharmarājikā stūpa, lo stūpa di fondazione regia, ampliato in epoca Kushana (I-III sec. d.C.) e poi nel V-VI secolo. Si è supposto che la balaustra monolitica di pietra polita rinvenuta agli inizi del 1900 ne costituisse la harmikā, ma potrebbe trattarsi della recinzione di un oggetto sacro (ad es., un albero). È stata attribuita a epoca Maurya anche la cappella absidata accanto alla colonna di Ashoka, lunga 25 m e larga 11,5 m, sulle cui rovine fu in seguito costruito un monastero. Solitamente assegnati alla produzione Shunga (II sec. a.C.) ma meglio databili all'epoca Shaka (I sec. a.C.), sono gli elementi di balaustra scolpiti con simboli di buon auspicio, stūpa, colonne del dharma, ecc., dono di monaci o laici. Furono rinvenuti tra la colonna di Ashoka e il principale luogo di culto di S., eretto sulla mūlagandhakutī (il luogo dove risiedette il Buddha), identificato con la struttura situata a circa 10 m a est della colonna. Essa era prossima al luogo in cui il Buddha usava passeggiare; nei primi decenni del II sec. d.C., il monaco Bala vi eresse una grande immagine dell'Illuminato scolpita a Mathura.

Le strutture identificabili come Kushana sono scarse, a causa dei continui rifacimenti. Il monastero II, a nord dei monumenti già ricordati, risale probabilmente al I-II sec. d.C. Sul fusto della colonna di Ashoka si trova un'iscrizione di Ashvaghosha, feudatario Kushana di Kaushambi e Benares. Fra il 300 e il 450 d.C., S. non godette più della committenza imperiale. Il punto di svolta avvenne con la crisi del potere Gupta alla metà del V secolo, epoca cui probabilmente risale l'edificio che ricorda la mūlagandhakutī. Di pianta quadrata, con una scalinata a est e cappelle rettangolari sugli altri lati, è costruito con mattoni e conci di reimpiego ed è intonacato. Stando alla testimonianza di Xuan Zang (prima metà del VII sec.), era alto 61 m e aveva all'interno un'immagine del Tathāgata rappresentato nel gesto di mettere in moto la Ruota della Legge. Anche la più nota produzione scultorea di S. ha inizio intorno al 450-460 d.C., dopo la crisi della dinastia Gupta.

Attività monumentale e produzione iconografica furono vivaci al tempo di Harsavardhana, un sovrano di simpatie buddhiste della prima metà del VII secolo. A questo periodo risale il celebre Dhāmek (= dharmacakra) stūpa, a lungo attribuito all'epoca Gupta. Oggi è alto 33,5 m e conserva un tamburo in pietra alto 11,2 m decorato con otto grandi aggetti ad arco acuto, al centro dei quali si aprono altrettante nicchie. Conserva, in parte, l'originaria decorazione a fasce di rosette, girali, disegni geometrici, ecc., che richiamano analoghe decorazioni su templi altomedievali. La vita del santuario continuò fino al XII secolo. Le fasi tarde del sito hanno rivelato anche l'esistenza di numerose immagini brahmaniche, di cui non è chiaro il contesto stratigrafico e la relazione con i monumenti buddhisti. È possibile che prima della sua definitiva distruzione il sito fosse stato trasformato in un'area sacra brahmanica.

Bibliografia

A. Cunningham, Abstract Report of Operations of the Archaeological Surveyor to the Government of India during the Season of 1861-62, in JASB, 32 Suppl. I (1863) pp. XCIV-CXIX; F.O. Oertel, Excavations at Sārnāth, in ASIAR, 1904-1905, pp. 59-104; J.H. Marshall - S. Konow, Sārnāth, ibid., 1906-1907, pp. 68-107; J. Marshall, Excavations at Sārnāth, ibid., 1907-1908, pp. 43-80; D.R. Sahni, Catalogue of the Museum of Archaeology at Sārnāth, Calcutta 1914; H. Hargreaves, Excavations at Sārnāth, in ASIAR, 1914-15, pp. 97-137; D.R. Sahni, Guide to the Buddhist Ruins at Sarnath, Calcutta 1933; B. Majumdar, A Guide to Sārnāth, Delhi 1937; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1977, pp. 66-69; J.G. Williams, The Art of Gupta India. Empire and Province, Princeton 1982, pp. 75-82 e passim; A. Ghosh, s.v. Sarnath, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Leiden 1990, pp. 397-98.

Shravasti

di Daniela De Simone

Il sito di Sh., luogo famoso nella storia del buddhismo, si trova vicino a Lucknow, nell'Uttar Pradesh. Secondo la tradizione il Buddha Shakyamuni vi compì un grande, doppio miracolo: dalle sue spalle uscirono lingue di fuoco, dai suoi piedi scorse acqua e la sua immagine si moltiplicò.

Il sito è costituito da due centri distinti: Maheth, che si trova 500 m a nord-est ed è la città fortificata di Sh., e Saheth, che corrisponde al Jetavana, il parco donato al Buddha su cui sorse un celebre monastero. I due centri sono separati da una striscia di terra, probabilmente l'antico letto del fiume Aciravati (ora chiamato Rapati), che scorre a circa 1,5 km a nord.

La scoperta di Sh. si deve ad A. Cunningham che nel 1863 identificò Saheth con il Jetavana e Maheth con l'antica Sh. grazie ai diari di viaggio dei pellegrini cinesi Faxian e Xuan Zang, i quali visitarono l'India rispettivamente nel V e nel VII sec. d.C. Nessuno dei numerosi scavi (di Cunningham nel 1876, di W. Hoey nel 1884, di J.Ph. Vogel nel 1908), tranne quello di J.H. Marshall nel 1910, fu condotto seguendo il metodo stratigrafico, pertanto non si ottenne né una sequenza cronologica né il rapporto temporale fra i due siti. Nel 1959 K.K. Sinha riprese gli scavi a Maheth per conto dell'Archaeological Survey of India. I risultati furono nel complesso soddisfacenti ma, ancora una volta, non fu stabilita una sequenza cronologica attendibile. Tra il 1986 e il 1996 Y. Aboshi, K. Sonoda, F. Yoneda e A. Uesugi, per conto della Kansai University, ripresero nuovamente gli scavi, fornendo sequenze cronologiche e rapporti stratigrafici attendibili prima del sito di Jetavana e poi di Maheth, dove gli scavi sono attualmente ancora in corso.

All'epoca del Buddha Shakyamuni, intorno al VI-V sec. a.C., Sh. era una della capitali del Koshala. Maheth è infatti cinta da imponenti mura che corrono intorno alla città per più di 5 km, racchiudendo uno spazio di 160 ha. Sono stati distinti cinque differenti periodi di occupazione in base alla ceramica e ad altri oggetti di uso quotidiano. Nel periodo I (prima metà del I millennio a.C.) la maggioranza dei frammenti ceramici appartiene alla Black-and-Red Ware (BRW) e alla Black Slipped Ware (BSW), importanti indicatori di questa fase iniziale. Sono stati ritrovati anche molti altri oggetti di terracotta: pedine da gioco o contatori, dischetti ceramici (pottery discs), dischetti di terracotta (terracotta discs) e vaghi di collana, soprattutto a forma di ghaṭa (vaso). Nel periodo II è rilevante la presenza di Northern Black Polished Ware (NBPW), ma anche di BSW e BRW. Gli oggetti di uso comune rimangono pressappoco simili a quelli del periodo precedente, a parte il ritrovamento di alcune figurine zoomorfe. Durante il periodo III (III-I sec. a.C.) a Maheth domina ancora la NBPW, ma di qualità meno raffinata. Oltre ai soliti oggetti di uso quotidiano troviamo figurine di terracotta, sia umane sia animali; le figurine umane rappresentano generalmente divinità femminili, mentre quelle animali ritraggono elefanti. Sono presenti anche vaghi di collana di agata e corniola. Il complesso ceramico del periodo IV (epoca Kushana, I-III sec. d.C.) è costituito esclusivamente da Red Ware (RW), nelle forme proprie dell'epoca. Sono numerose le figurine umane di terracotta. Infine, anche nel periodo V (epoca post-Gupta, posteriore al V sec. d.C.) l'unica classe ceramica presente è la RW. Sono numerose le statuette animali di terracotta, stilisticamente molto differenti dalle precedenti, che rappresentano soprattutto cavalli con decorazioni incise e applicate.

A Maheth gli scavi si sono concentrati in tre zone (A, B e C), nelle quali sono venute alla luce numerose strutture. L'area A si trova nella zona nord ed è stata scelta per la presenza di numerosi mounds. Nei primi due periodi di occupazione troviamo alcune fosse, spesso colmate con frammenti ceramici e ossa animali; queste ultime generalmente mostrano segni di macellazione. Nel periodo III si nota un radicale cambiamento funzionale: il sito è convertito in area artigianale e vi è documentata la lavorazione del ferro, del vetro e delle pietre semipreziose, come dimostra il ritrovamento di scorie di ferro, braccialetti di vetro e vaghi di collana. Nel periodo IV sono state trovate alcune strutture in mattoni, la più grande delle quali (25 × 13,5 m) è a pianta rettangolare e comprende otto stanze, che misurano mediamente 10 × 2 m. Nel periodo V si osserva il rifacimento di alcune strutture tramite il riutilizzo di mattoni appartenenti alla fase precedente. L'area B è la zona a ridosso delle mura, a est dell'area A. Sono state individuate cinque fasi costruttive nella cinta muraria, le prime quattro appartenenti al periodo III e l'ultima al IV. La prima fase non è altro che lo scavo delle fondazioni; dalla seconda alla quarta si notano progressivi allargamenti e nella quinta le mura sono rivestite di mattoni cotti. Gli scavi nell'area C sono serviti per comprendere meglio le ultime fasi di vita della città, collocabili in epoca post-Gupta; l'area comprende un pozzo in mattoni, a est e ovest del quale si trovano due grandi mounds. Attorno al pozzo ci sono edifici religiosi a esso connessi, edificati in tre fasi successive: nella prima il pozzo, cui si accede per mezzo di gradini, è costruito con mattoni riutilizzati; in quella successiva questi sono abbandonati e al pozzo viene aggiunto un anello superiore in mattoni. Nelle sue vicinanze si nota una grande quantità di frammenti ceramici. La terza fase si distingue per un ulteriore accumulo di ceramica, probabilmente dovuto a una pratica religiosa. A ovest del pozzo è venuto alla luce un complesso templare, anch'esso di epoca post-Gupta.

Il Jetavana ("il bosco di Jeta"), situato di là dell'antico fiume Aciravati, è un luogo leggendario nella storia del buddhismo. Fu donato al Buddha dal mercante Anathapindika, che lo pagò a peso d'oro. Il mound misura 450 m in direzione nord-sud, 500 m est-ovest ed è alto circa 5 m. La fondazione del complesso monastico si colloca nel II sec. a.C. e si sviluppa in quattro differenti periodi. La suddivisione cronologica si basa sulla comparazione dei manufatti (soprattutto ceramici) con quelli appartenenti ad altri siti della valle del Gange. Nel periodo I (I sec. a.C.) i frammenti ceramici sono in maggior parte di RW, secondo le tipologie proprie dell'epoca; troviamo però anche della BSW. Il periodo II (I-III sec. d.C.) è caratterizzato unicamente da vasi di RW di forme e tipologie tipicamente Kushana, i quali spesso presentano sulla spalla decorazioni a stampo di triratna. Durante il periodo III (IV-VI sec. d.C.) le forme e i tipi ceramici non cambiano molto, ma le decorazioni sono dipinte, soprattutto con motivi floreali e linee oblique. La ceramica del periodo IV (dal VII sec. d.C.) resta tipologicamente invariata, ma si fa più grezza.

Sono state scavate numerose trincee in varie zone del sito di Saheth; le più importanti sono le aree A, B, G. Nel corso degli scavi nell'area A è venuta alla luce una grande vasca con pareti di mattoni che presenta tre fasi costruttive. Nella prima (periodo I-II) la forma è rettangolare (27,3 × 24,7 m) e la pressione del suolo ha fatto sì che le pareti cedessero. Nella fase successiva (periodo II) le pareti vengono ricostruite e si aggiungono due rampe sulle pareti nord e sud e una sulle pareti est e ovest. Nell'angolo sud-est si trova una canaletta per raccogliere l'acqua dall'esterno; sul lato occidentale c'è invece una canaletta di scolo. Nella terza fase (periodo III) la vasca viene ricostruita con mattoni di reimpiego. Adiacente all'area B è stato ritrovato un monastero caratterizzato da quattro fasi costruttive, le prime due non ancora ben chiarite a causa della rimozione in antico di parte del deposito. Nella terza fase si nota la suddivisione dello spazio in numerose piccole stanze. Successivamente viene costruito un nuovo vihāra, con 28 celle per i monaci (2,6 × 2,6 m) disposte intorno a un cortile. Lo scavo ha portato alla luce uno spesso strato di carbone esteso su tutta l'area, prova del fatto che il monastero fu parzialmente abbandonato a causa di un incendio, sebbene fino al XII secolo parte di esso venisse ugualmente utilizzata (probabilmente con funzione diversa). Nell'area G infine è stata scoperta una zona di culto pavimentata, con quattro piccoli stūpa, intorno alla quale si trovano le cellette dei monaci. Il pavimento è di epoca Gupta, quando il sito è in netto declino, ma gli stūpa sono sicuramente più antichi. Anche qui, sotto la pavimentazione appare uno spesso strato di carbone. La scoperta di un piccolo tempio, di epoca medievale, indica che l'area continuò a essere adibita al culto anche dopo l'obliterazione dello stūpa.

Bibliografia

A. Cunningham, Four Reports Made during the Years 1862-63-64-65, Simla 1871; Id., Report of Tours in the Gangetic Provinces from Badaon to Bihar, 1875-76 and 1877-78, Calcutta 1880; J.Ph. Vogel, Excavations at Sahēṭh Mahēṭh, in ASIAR, 1907-1908, pp. 81-131; J.H. Marshall, Excavations at Sahēṭh-Mahēṭh, ibid., 1910-11, pp. 1-24; K.K. Sinha, Excavations at Śrāvastī - 1959, Varanasi 1967; Indo Kyowakoku U.P.-shu Baraichi-ken shozai Gion shôja. Saheto iseki hakkutsu chôsa hôkokusho. Excavation at Jetavana (Saheth). A Buddhist Site in Uttar Pradesh (1986-89), Suita-shi 1997; Y. Aboshi et al., Excavations at Saheth Maheth 1986-1996, in EastWest, 49 (1999), pp. 119-73; T. Takashi et al., The Ancient City of Sravasti: its Significance in the Urbanization of North India, in Purātattva, 30 (2000), pp. 74-92.

Shringaverapuram

di Giovanni Verardi

Sito monumentale posto lungo la riva destra del Gange, 36 km a nord-ovest di Allahabad, facente parte, insieme ad altri quattro siti della regione (Ayodhya e Nandigrama a nord, Bharadvaja Ashrama presso Allahabad e Chitrakuta a sud ovest), dei luoghi chiamati a dimostrare la storicità di uno dei grandi poemi epico-religiosi indiani, il Rāmāyaṇa.

Dagli scavi condotti negli anni 1970 e 1980, in areale o attraverso sondaggi sistematici, si è stabilito che solo con la comparsa della Northern Black Polished Ware (NBPW) nel VII sec. a.C. (data sostenuta da B.B. Lal, responsabile del Progetto Ramayana) essi furono contemporaneamente in vita. Orizzonti culturali più antichi sono stati identificati soltanto a Sh., il cui nome deriva da quello dell'asceta Rishyashringa, che secondo la tradizione aveva qui il suo eremo. Il primo orizzonte, risalente alla fine del II millennio, è caratterizzato da frammenti di incannucciata provenienti da abitazioni e da un'industria ceramica rossa documentata da forme quali ciotole, larghi bacini e giare: una variante della Ochre Coloured Pottery, diffusa più a occidente. Una breve cesura separa questo dal successivo orizzonte, individuato grazie alla presenza di ceramica a ingobbio nero, rossa e nera e grigia brunita. Il terzo periodo, caratterizzato dalla NBPW, va dal VII secolo al 200 a.C. circa, e il quarto, di cui è tipica la ceramica rossa, si distingue per la costruzione di una colossale riserva idrica, la maggiore che ci sia nota nell'India antica.

Si tratta di una struttura lunga complessivamente quasi 250 m, un tempo più distante dal fiume di quanto oggi non sia, e alimentata dalle sue acque attraverso un nullah che ne riceveva il flusso nei periodi di piena, scaricandolo in un canale di alimentazione che s'immetteva a sua volta in una camera di deposizione dei limi. Uno stretto canale di comunicazione, posto a una quota più alta della camera di deposizione, consentiva l'immissione delle acque nella prima vasca (A), rettangolare, di circa 30 × 10 m, che all'interno aveva almeno due pareti di contenimento in mattoni cotti. Il fondo, in leggera pendenza, consentiva ai limi residui di depositarsi prima del passaggio delle acque nella grande vasca centrale (B), lunga circa 120 m, che accoglieva acque perfettamente pulite. Una serie di scale ricavate nelle pareti di contenimento permetteva l'accesso all'acqua, e pozzi scavati sul fondo consentivano l'approvvigionamento idrico anche dalla falda. La terza e ultima vasca (C), collegata alla precedente da un lungo canale, era di forma circolare, e sembra abbia avuto una funzione rituale. Tra i materiali di colmata sono stati rinvenuti numerosi frammenti di figurine fittili rappresentanti divinità quali Kubera, Shiva, Parvati, i nāga, ecc.

La riserva idrica di Sh. fu costruita nella seconda metà del I sec. a.C. e rimase in funzione fin verso la fine del I sec. d.C., quando fu messa fuori uso da un'inondazione. Si è ipotizzato che la sua costruzione si debba al re Dhanadeva del Koshala, ma non mancano le difficoltà per sostenere questa tesi. L'opera va vista sullo sfondo del rapido mutamento culturale e materiale indotto dagli avvenimenti che portarono prima alla dominazione Shaka e poi a quella Kushana. Nel II sec. d.C., in luogo della riserva idrica originaria ne venne utilizzata una con pareti in argilla, alimentata dalle sole acque piovane. Lo scavo ha messo in luce anche un complesso abitativo del III sec. d.C.

Bibliografia

B.B. Lal, The Two Indian Epics vis-à-vis Archaeology, in Antiquity, 45 (1981), pp. 27-34; B.B. Lal - K.K. Sharma, The Date of King Dhanadeva of Kośala: a Re-Examination of the Palaeographic and Historical Evidence, in Purātattva, 29 (1988-89), pp. 38-42; B.B. Lal, Excavations at Sringaverapura (1977-86), New Delhi 1993.

Sonkh

di Andrea A. Di Castro

Sito dell'Uttar Pradesh (India), nei pressi di Mathura, scavato tra il 1966 e il 1974.

Accanto a rinvenimenti di Painted Grey Ware (caratteristica della prima metà del I millennio a.C.), Black-and-Red Ware, ceramica a ingobbio nero e ceramica comune rossa, le scarse evidenze del primo periodo (VIII-V sec. a.C.) consistono in un focolare, buche di palo e impressioni di graticcio pertinenti a strutture di argilla. Al periodo II (V-III sec. a.C.) sono attribuibili strutture in argilla pressata; una delle più antiche, a pianta circolare (diam. 3,75 m), aveva in origine una copertura di legno e canne. Verso la fine del periodo compaiono strutture in mattoni crudi. Il periodo è caratterizzato, oltre che dalla Northern Black Polished Ware e dalle ceramiche associate, da monete punzonate d'argento e di rame, matrici per gioielli, grani di collana di pietre dure e vetro, numerose figurine di terracotta grigia dipinta di nero e oggetti d'uso quotidiano (macine di pietra, chiodi e aste di ferro, punte di osso, rotelle, dischi e grattatoi di terracotta, ecc.). Verso la fase finale del periodo sono attestate alcune placchette figurate a stampo di terracotta rossa.

Nel periodo III (II-I sec. a.C.) si registra un forte sviluppo urbanistico e sono testimoniate per la prima volta strutture di mattoni cotti. Le abitazioni sono formate da due o tre vani disposti intorno a un cortile interno, coperti da tetti di tegole a spioventi, talvolta con un pozzo ad anelli modulari. Tra gli oggetti rinvenuti sono da menzionare le monete punzonate e della locale dinastia Mitra, placchette fittili figurate di tradizione Shunga (divinità femminili, mithuna), bacini rituali di terracotta tondi e quadrangolari con lucerne e immagini applicate, modellini di carro, sonagli, pendenti e amuleti sempre di terracotta. Da segnalare gli attrezzi di leghe ferrose (punte di lancia, falci, scalpelli, ganci, anelli).

Poco distante dal nucleo urbano, verso nord, fu individuato un tempio a pianta absidata circondato da pilastri (Tempio 2), la cui prima fase strutturale (I sec. a.C.) è attribuibile al periodo III dell'abitato di S. Lo scavo dell'area ha restituito diversi frammenti scultorei di notevole interesse pertinenti alla seconda fase strutturale di epoca Kushana, tra cui un architrave raffigurante una scena con un nāgarāja in trono affiancato dalla consorte e altri elementi di un portale monumentale che si trovava sul lato meridionale del santuario. Al periodo IV (I-III sec. d.C.) è stato attribuito un altro tempio, il cosiddetto Tempio 1, anch'esso a pianta absidata e destinato al culto dei nāga. Le abitazioni presentano per lo più le stesse caratteristiche di quelle del precedente periodo, con gli ambienti sistemati intorno a un cortile centrale. Tra i materiali si segnalano monete Kushana, una cretula con iscrizione in caratteri brāhmī, figurine di bronzo (Skanda, coppia divina) e di terracotta (placche con Kubera e Durga Mahiṣāsuramardinī). Dal periodo V (dal IV sec. d.C. fino all'epoca Gupta e oltre) la sequenza stratigrafica è fortemente disturbata e si osservano diverse distruzioni. Caratteristiche di questo periodo sono la ceramica con decorazioni impresse o a rilievo e la coroplastica. Dopo un abbandono durato diversi secoli, il sito mostra un'attiva ripresa della frequentazione in epoca tardomedievale.

Bibliografia

Notizie degli scavi in IndAR, 1966-67, pp. 40-43; 1968-69, p. 40; 1969-70, pp. 42-43; 1970-71, pp. 39-40; 1971-72, pp. 47-48; 1972-73, pp. 33-35.

In generale:

H. Härtel, The Apsidal Temple No. 2 at Sonkh, in J.E. van Lohuizen-de Leeuw - J.M.M. Ubaghs (edd.), SAA 1973; P.L. Gupta, Copper Punch-marked Coins from Sonkh, in JNSI, 37 (1975), pp. 1-12; A. Achilles-Brettschneider, Die "Besonderen Scherben" von Sonkh. Die dekorierte Keramik der Ausgrabung von Sonkh, Distrikt Mathura, Nordindien. Eine Untersuchung der Dekorationstechniken und Ornamente, (PhD Diss.) Berlin 1980; H. Härtel, Excavations at Sonkh. 2500 Years of a Town in Mathura District, Berlin 1993.

Vaishali

di Federica Barba

Antica città nota dalle fonti letterarie, identificata da A. Cunningham nel 1862 con un sito nei pressi del villaggio di Basarh sul fiume Gandak, lungo le vie che portano verso il Doab e il Nepal.

Il sito è formato da vari mounds sparsi in un'area di circa 200 ha, tra cui la cosiddetta "cittadella" o Rāja Viśāla kā Gaṛh ("palazzo del re Vishala"), di 12 ha. L'identificazione fu più tardi confermata (da T. Bloch nel 1903 e da D.B. Spooner nel 1913) grazie al ritrovamento di sigilli di periodo Gupta che recavano il nome di V. Lo scavo del sito fu ripreso negli anni Cinquanta del XX secolo, allo scopo di stabilirne la cronologia: due trincee all'interno della cittadella e due nella fortificazione furono scavate nel 1951, in altre aree nel 1958. In quelle di Chakramdas e Virpur si è voluto individuare un primo periodo di occupazione, che avrebbe preceduto quello della Northern Black Polished Ware (NBPW), caratterizzato a Virpur da Grey Ware e Black Ware (GW, BW) e a Chakramdas dalla Black-and-Red Ware (BRW). I pochi frammenti riportati possono essere confrontati con la ceramica di Prahladpur degli strati superiori del periodo IB datati al 600-500 a.C. Il sito potrebbe essere stato quindi occupato intorno al VI sec. a.C. La presenza di popolazioni in quest'area risale al I millennio a.C., come attesta la recente scoperta, nel distretto di Vaishali, di un insediamento, Ramchaura, che presenta una fase calcolitica caratterizzata dalla Black Slipped Ware (BSW). Questa ceramica, comparsa nell'area del Gange tra Varanasi e Patna (Rajghat, Chirand) intorno alla metà del II millennio a.C., si diffonde dal I millennio a.C. in altre aree, tra le quali possiamo ora includere anche il Bihar settentrionale.

La minore qualità e varietà di forme di NBPW rispetto ai centri di maggiore diffusione (Rajghat, Kaushambi) fa ritenere che essa sia stata introdotta a V. intorno al V sec. a.C. In questa fase, il sito si estendeva su una vasta area, compresa la cittadella. La presenza di alcuni frammenti di una ceramica che imita la Painted Grey Ware (PGW) indica l'esistenza di un contatto con i siti del Doab e quindi l'importanza della posizione geografica di V. in relazione al transito verso le regioni occidentali. In epoca Maurya si diffonde l'uso di monete e sigilli e V. diventa anche un importante centro religioso: il cosiddetto "stūpa dei Licchavi", edificato al di sopra di uno strato contenente NBPW, potrebbe risalire a questa fase. Lo stūpa, inizialmente di terra, fu rivestito di mattoni in epoca Shunga; al suo interno fu rinvenuto un reliquario contenente cenere, una conchiglia, due vaghi di vetro, una foglia di oro e una moneta punzonata di rame. Un altro stūpa è associato a una colonna senza iscrizioni coronata da un capitello zoomorfo con figura di leone, risalente forse ad Ashoka. È in questo periodo che vengono fondati o si sviluppano i principali insediamenti del Bihar settentrionale: oltre a V., Ramchaura, Balirajgarh e, probabilmente, Lauriya-Nandangarh, dove sorge una delle colonne di Ashoka, Sikligarh, Naulagarh, Kopagarh e Katragarh, nei quali è stata trovata NBPW in superficie. Le età Shunga e Kushana sono caratterizzate da un miglioramento della cultura materiale: sono presenti strutture di mattoni cotti, pozzi, figurine di terracotta a stampo, ornamenti d'oro. In periodo Shunga fu eretta la fortificazione di terra, rinforzata con mattoni in tarda epoca Kushana. La costruzione del sistema difensivo, come per molti altri siti del Bihar (Pataliputra, Rajgir e Champa a sud del Gange, Balirajgarh, Sikligarh, Naulagarh e Katragarh a nord) è probabilmente connessa al periodo di disgregazione che segue la fine dell'impero Maurya. Come molte altre città, V. fu abbandonata in età Gupta.

Bibliografia

A. Cunningham, Four Reports Made During the Years 1862-63-64-65, Report of 1861-62, I, Simla 1871; T. Bloch, Excavations at Basarh, in ASIAR, 1903-1904, pp. 81-122; D.B. Spooner, Excavations at Basarh, ibid., 1913-14, pp. 98-185; IndAR, 1957-58, pp. 10-11; 1958-59, p. 12; A.S. Altekar - V. Misra, Kumrahar Excavations, 1951-55, Patna 1959; K. Deva - V. Misra, Vaiśālī Excavations 1950, Vaiśālī 1961; A.K. Narain - T.N. Roy Excavations at Prahladpur, Varanasi 1967; G.R. Sharma, Excavations at Kauśāmbī 1949-50, Delhi 1969; B.P. Sinha - S.R. Roy, Vaiśālī Excavations 1958-62, Patna 1969; B.P. Sinha - L.A. Narain, Pāṭaliputra Excavations 1955-56, Patna 1970; V.S. Verma, Excavations at Chirand, in Purātattva, 4 (1970), pp. 19-23; A.K. Narain - T.N. Roy, Excavations at Rajghat, Varanasi 1976-78; B.P. Sinha, Excavations at Champa, in B.P. Sinha (ed.), Archaeology and Art in India, Delhi 1979, pp. 87-106; D.K. Chakrabarti et al., Preliminary Observations on the Distribution of Archaeological Sites in the South Bihar Plains, in SouthAsSt, 11 (1995), pp. 129-47; M.M. Singh, Remains of Stupas in the District of Vaisali, in P. Mishra (ed.), Researches in Indian Archaeology, Art, Architecture, Culture and Religion, Delhi 1995; D.K. Chakrabarti et al., From Purnea to Champaram. The Distribution of Archaeological Sites in the North Bihar Plains, in SouthAsSt, 12 (1996), pp. 147-55.

CATEGORIE