L'archeologia del Subcontinente indiano. Le regioni himalayane

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia del Subcontinente indiano. Le regioni himalayane

Marco Ferrandi
Iken Paap
Pran Gopal Paul
Federica Barba
Giovanni Verardi

Le regioni himalayane

di Marco Ferrandi

Il sistema montuoso himalayano è stato oggetto di indagini archeologiche in maniera piuttosto disomogenea. Accanto a zone dove sono stati individuati, scavati e pubblicati numerosi siti (Kashmir, Nepal) si trovano aree archeologicamente piuttosto opache (come gli odierni Himachal Pradesh e Bhutan). Il quadro complessivo che si ricava dalla letteratura scientifica fin qui disponibile è dunque alquanto frammentario.

Questa vasta area si estende per circa 2500 km fra la pianura indo-gangetica e l'altopiano del Tibet, nascendo a ovest nell'alto Kashmir e giungendo a est fino all'Assam e ai confini con Myanmar. La complessa articolazione di catene montuose minori, valli e ghiacciai può essere suddivisa in due versanti, settentrionale e meridionale. Il primo, che si affaccia sugli altipiani tibetani, presenta un ambiente che va dalle cime a perenne copertura di neve a suoli per lo più aridi e poco fertili, da sempre ostacolo alla formazione di insediamenti stabili di dimensioni consistenti. Il versante meridionale, al contrario, gode dell'apporto di umidità del monsone, al quale deve fertilità dei suoli (quantunque scarsi in superficie coltivabile), presenza di corsi d'acqua perenni, buona piovosità. Tuttavia, le testimonianze pervenuteci dall'epoca preistorica in poi dimostrano che gli insediamenti umani non si sono limitati alle zone più favorevoli del versante meridionale.

Dalla valle di Liddar in Kashmir, vicino a Pahalgam, provengono alcune tra le più antiche testimonianze dell'area. Si tratta di strumenti litici del Paleolitico inferiore (da 500.000 a 50.000 anni B.P.) comprendenti asce a mano, choppers, chopping tools, raschiatoi e cleavers (trancianti). Questi ultimi, assieme alle asce a mano, caratterizzano tali industrie, costituendone la stragrande maggioranza. La tipologia lavorativa e funzionale è largamente paragonabile a quella delle industrie dell'Acheuleano europeo. La prima scoperta in grandi quantità di tale tipo di reperti nelle terrazze del fiume Soan/Sohan ha fatto nascere il nome di Sohan Industry per questo tipo di strumentario. Altre industrie assai simili, comprendenti per lo più choppers e asce a mano/cleavers, sono state trovate anche in alcuni depositi fluvio-glaciali dell'odierno Himachal Pradesh (zone di Banganga, Nalagarh, Markanda). Presumibilmente ancora più antichi (2.000.000 di anni B.P.) sono gli strumenti litici rinvenuti in Jammu e nel Ladakh. Reperti del Paleolitico inferiore si trovano anche nei dintorni di Chandigarh (Himachal Pradesh). È comunque lungo tutta l'estensione del sistema dei Siwalik che si concentra la maggior quantità di testimonianze risalenti al Paleolitico. Va detto però che per queste epoche le datazioni si basano su dati geologici e sedimentari, sui quali si riflette in maniera ancora maggiore la disparità di informazioni disponibili per le diverse aree del sistema himalayano.

Stante l'adozione per lo più condivisa della suddivisione archeologica in Paleolitico inferiore (industrie di tipo acheuleano), Paleolitico medio (industrie levalloisiano-musteriane a scheggia) e Paleolitico superiore (industrie a lama e a scheggia/lama), si può affermare che l'area himalayana è stata abitata in maniera significativa da 2.000.000 di anni fa a circa 20.000 anni B.P. Naturalmente il passaggio da un'industria all'altra non è mai netto, né omogeneo nelle diverse zone dell'area, così come l'utilizzo dapprima della quarzite e materiali simili nel Paleolitico inferiore, poi di varietà di pietra a grana fine nelle due suddivisioni tecnologico-culturali successive. Lo stesso discorso vale per l'ampliamento e la trasformazione della gamma degli strumenti. La tipologia insediativa riflette un'economia di cacciatori-raccoglitori molto mobili: i siti sono sovente costituiti da alcuni strumenti litici, schegge di scarto, rare tracce di focolare e frammenti di ossa animali, localizzati lungo il corso dei fiumi. È probabile che si trattasse in molti casi di bande di non più di una trentina di individui. Altre tipologie d'insediamento sono le aree manifatturiere all'aperto.

Non si dispongono di dati certi e approfonditi sulle industrie microlitiche, a partire dalle quali si parla generalmente di Mesolitico; è molto probabile che ciò sia dovuto alla mancanza di ricerche in questa direzione, piuttosto che a una soluzione di continuità con il successivo Neolitico. Il problema dunque della trasformazione degli ultimi cacciatori-raccoglitori in allevatori e agricoltori nella regione himalayana è ancora tutto da risolvere, sebbene nella valle del Kashmir il sito di Sombur possa rappresentare una fase di questo processo di adattamento.

Le caratteristiche fondamentali della fase neolitica (insediamenti stanziali, domesticazione di animali e coltivazione di cereali e legumi) sono testimoniate soprattutto nel Kashmir (sito di Burzahom, 2400-1500 a.C. ca.), ma anche nelle regioni subhimalayane orientali (Darjeeling). Per quanto riguarda il Kashmir, degli oltre trenta siti individuati solamente due sono stati scavati in maniera sistematica: Burzahom e Gufkral, entrambi a pochi chilometri da Shrinagar. È significativo che gli elementi caratteristici della cultura neolitica dell'Himalaya occidentale appaiano alquanto differenti da quelli del Subcontinente indiano, mentre presentano punti di contatto con il Neolitico della Cina settentrionale, ad esempio, nelle forme degli strumenti di osso, nei coltelli rettangolari di pietra perforati, nei vaghi di giada, negli insediamenti in fosse scavate nel suolo e nella presenza di cani domestici nelle inumazioni. Inoltre, sono assai scarsi i contatti con la contemporanea cultura urbana harappana. Altri siti neolitici sono stati scoperti in Jammu (Gaudatapan) e in Himachal Pradesh (Ror sulla Banganga, Dehra e Nadaun sulla Beas). Di questi il più ricco è Ror; in tutti i casi si tratta di ritrovamenti di strumentario litico, senza associazioni certe con ceramica o altro tipo di reperti.

Per quanto riguarda la zona himalayana e subhimalayana orientale, strumenti litici di matrice neolitica sono stati trovati in Arunachal Pradesh lungo il Lohit, il Siang e il Kameng; altri ritrovamenti, di minore entità, provengono dal Mizoram, dal Nagaland e dal Manipur. Sebbene la mancanza di datazioni assolute pregiudichi l'indicazione di una cronologia per queste zone, si evidenzia comunque un'entità culturale piuttosto omogenea ‒ almeno per quanto riguarda la tecnologia litica ‒ che sembra aver avuto contatti non occasionali con il Sud-Est asiatico e con la Cina meridionale, fungendo in qualche modo da tramite fra queste ultime zone e l'Asia meridionale.

Mentre a ovest nasce e fiorisce la cultura harappana (2600-1900 a.C. ca.), l'area himalayana, a quanto è dato conoscere, sviluppa nelle sue diverse zone altrettanti differenti esiti del Neolitico. Si è già visto come i siti di Burzahom e Gufkral siano esemplari in questo senso. La sequenza di quest'ultimo vede un passaggio dal Neolitico preceramico, con insediamenti in fosse sotto il livello del suolo (3000-2450 a.C. ca.), domesticazione di capre e pecore e presenza di orzo, grano e lenticchie, a una fase che registra la sparizione dei tipici insediamenti, la comparsa della ceramica (a mano) e la domesticazione dei bovini (2500-2150 a.C. ca.). Da qui, si sviluppa ulteriormente la tecnologia ceramica, si amplia il ventaglio degli animali domestici e in generale si assiste a una sempre più netta articolazione degli insediamenti e dell'economia, senza tuttavia avvicinarsi agli esiti raggiunti più a occidente, lungo il corso dell'Indo. A Burzahom due vasi rossi fatti al tornio sono di chiara provenienza harappana; uno di essi è decorato con il motivo della "divinità cornuta" dell'Harappano antico di Kot Diji e Kalibangan. Se in Jammu il sito di Manda presenta testimonianze inequivocabili di una profonda influenza della cultura harappana, dobbiamo però constatare che si tratta di un caso più unico che raro nella regione dell'Himalaya. Il problema delle interazioni fra la cultura urbana dell'Indo e il Neolitico himalayano resta quindi insoluto. D'altronde, rimangono manifesti i contatti con il Neolitico della Cina settentrionale, segnalati in precedenza.

Nel Ladakh, i pochi dati raccolti (siti di Kiari, Giak) suggeriscono una situazione non dissimile da quella appena descritta, con interazioni da una parte con il Jammu e il Kashmir, dall'altra con il versante opposto verso la Cina. È ancora nel Kashmir e nel Ladakh che si trovano le più consistenti testimonianze del megalitismo, il quale si esplicita nell'unica forma dei gruppi di menhir, disposti a semicerchio. Non sono associati a sepolture, per cui la loro natura funzionale e simbolica va ricercata in altri ambiti. Notevoli invece le sepolture multiple frazionate in tombe a cista o a camera sotterranea, che si ritrovano nell'Himalaya più interno come la valle di Leh, esempio di come non si possa parlare di "un" megalitismo himalayano. Le tombe contengono vasi con ossa (esclusi i crani, posti su scaffali lignei), in alcuni casi armi di bronzo (le cui forme si ritrovano ancora oggi in armi rituali) e altri oggetti dello stesso materiale (piccoli contenitori, pendenti, braccialetti). Non ci sono datazioni affidabili per questa facies culturale postneolitica, che probabilmente si protrae ancora per diversi secoli dopo l'inizio dell'era volgare. La zona più orientale (Arunachal Pradesh, Nagaland, Manipur, Mizoram) è assai ricca di strutture megalitiche: menhir, cromlech e ciste a dolmen costellano il paesaggio subhimalayano dalla preistoria fino all'epoca contemporanea.

Il quadro archeologico della regione subisce una trasformazione con gli inizi dell'età storica. Approssimativamente si può datare l'inizio di questo cambiamento alla metà del I sec. a.C. A questa data possiamo ascrivere le prime manifestazioni di un processo che porterà a un cambiamento socioculturale di vasta portata nell'intera Asia meridionale. La capillarità dell'uso della tecnologia del ferro, l'introduzione della moneta, un sistema di scrittura largamente condiviso (brāhmī), il consolidamento delle maggiori vie di comunicazione nella rete delle "vie della seta", la nascita e la diffusione del buddhismo (e del jainismo) e soprattutto la (ri)nascita di un modello insediativo di tipo urbano sono tutti fattori che contribuiscono a creare un orizzonte culturale complessivo piuttosto diverso rispetto ai secoli (e ai millenni) precedenti. Le profonde differenze politiche, economiche, sociali, che in precedenza determinavano molte distinte regioni culturali, ora si stemperano in una uniformità di fondo che coinvolge anche le isolate valli himalayane.

È in questo momento che si afferma prepotentemente la funzione di cerniera dell'area himalayana fra sfere culturali contigue. Attraverso i suoi numerosi passi si spostano uomini, merci e idee, dall'India settentrionale alla Cina, al Tibet e all'Asia Centrale, dall'Afghanistan alla valle dell'Indo, del Gange e ancora più a oriente, senza dimenticare i contatti con il mondo mediterraneo. Kashmir, Ladakh, Gilgit diventano zone di passaggio fondamentali e le testimonianze archeologiche riflettono tutto ciò. La ceramica distintiva di questo periodo è la Northern Black Polished Ware (NBPW). Il buddhismo è sicuramente uno degli elementi chiave in questo processo. Dal Bihar/Uttar Pradesh orientale esso si diffonde rapidamente a nord e penetra in maniera profonda nelle valli intramontane, attraverso le quali raggiungerà poi le aree limitrofe, come Cina e Tibet, determinando buona parte della storia e della cultura successive dell'Himalaya centrale e orientale, soprattutto a partire dal III sec. a.C. con il regno di Ashoka Maurya (274-232 a.C.) e la sua dedizione agli insegnamenti del Buddha.

Agli inizi dell'epoca storica il centro politico e culturale più influente si colloca nella pianura gangetica e nel Panjab, con la sua sempre più sviluppata urbanizzazione: è da qui che si irradieranno le influenze più importanti per la zona himalayana. Fino a ora, tuttavia, le ricerche archeologiche su questo periodo nella regione himalayana sono state alquanto scarse, con l'eccezione del Nepal. In alcune zone ritrovamenti archeologici ascrivibili con certezza a questo periodo sono del tutto assenti (ad es., nella parte più orientale) o comunque assai limitate, come nel Kashmir. Si segnala a tal proposito il sito di Semthan, dove l'utilizzo della NBPW è attestato fino al 200 d.C. circa, epoca in cui questa tecnologia ceramica è già stata abbandonata da tempo al di fuori dell'arco himalayano.

Con i Kushana (I-III sec. d.C., e particolarmente con Kanishka, 78?-142? d.C.), che esercitano un dominio diretto sulla regione himalayana, soprattutto nella zona occidentale (Kashmir), le vie di comunicazione attraverso l'Himalaya, ampliate e controllate politicamente, diventano le arterie fondamentali attraverso le quali il buddhismo si diffonde in tutta l'Asia Centrale. Fioriscono infatti sotto i Kushana i monumenti (stūpa), i monasteri (saṃghārāma) e i centri di matrice buddhista, come anche i documenti epigrafici collegati, parallelamente al grande movimento dei monaci. Tuttavia, le monete di questo periodo non riportano solamente immagini del Buddha, ma anche di divinità iraniche, greche e induiste. Il convivere a livello religioso e iconografico di elementi buddhisti, induisti, cinesi e centroasiatici (ovviamente in modi e quantità variabili, con una netta predominanza dei primi due) rimane una caratteristica tipica della regione himalayana, nonostante il turbolento avvicendarsi di influenze politiche e culturali nelle regioni adiacenti (soprattutto in quelle indiane). Sarà in queste zone (Ladakh, Nepal, Bhutan, Sikkim) che il buddhismo, oramai declinante in India, si trapianterà, affermandosi in maniera talmente radicata da continuare la propria influenza in arte, cultura e società fino ai giorni nostri.

Bibliografia

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Karakoram

di Marco Ferrandi

Il sistema montuoso del K., che si estende dalla regione del Baltistan a quella di Gilgit, comprende molte tra le più alte e aspre cime del mondo, i ghiacciai più imponenti dopo quelli subpolari e oltre 100 picchi che superano i 7000 m s.l.m. La sua complessa orografia ha sempre reso gli insediamenti umani molto sparsi e relativamente modesti e le estreme condizioni ambientali (aridità e scarsa fertilità dei suoli, temperature che variano dall'infuocato al gelido, precipitazioni esigue soprattutto nel versante settentrionale) rendono impossibile la pratica di agricoltura o allevamento e di conseguenza la nascita di comunità di una certa dimensione con economie che vadano oltre la sussistenza.

Una situazione ambientale così sfavorevole all'insediamento perenne non ha però limitato il passaggio e lo scambio di genti, merci e idee tanto fra est e ovest quanto fra nord e sud. Invece che fungere da barriera fra le regioni dell'alta valle dell'Indo e dello Shyok e le zone del versante opposto (Cina, Tibet), il K., in virtù dei suoi passi montani, ha costituito un confine naturale permeabile attraverso il quale da secoli si sono stretti e mantenuti i contatti fra l'Asia meridionale e l'Asia Centrale, fra il Tibet e l'Hindukush. La gestione di tali spazi di frontiera e di vie di scambio così isolate e difficili ha rappresentato per gli abitanti della regione una fonte di potere e, molto probabilmente, anche di reddito; ad esempio, il vendere o scambiare cibo con i viaggiatori nelle aride e spoglie zone del K. era certamente un'allettante possibilità per le genti locali di integrare la propria economia di sussistenza con beni esotici o difficili da ottenere in quelle aree.

Le ricerche archeologiche moderne hanno smentito le teorie secondo cui la diffusione del buddhismo dall'India alla Cina sia avvenuta aggirando il K. tramite il raggiungimento dapprima dell'Oxus (Amu Darya) e quindi imboccando il Wakhan verso est. È invece dimostrato che, partendo da Taxila, una frequentata via carovaniera si snodava risalendo la valle dell'Indo verso lo Swat, piegando a est (Chilas), raggiungendo Gilgit, Hunza e infine, attraversando il K., arrivava in Cina tramite il Khunjerab Pass. È all'incirca questo il percorso della moderna Karakoram Highway, lungo la quale dalla fine degli anni Settanta del XX secolo archeologi tedeschi e pakistani hanno rilevato migliaia di incisioni rupestri (petroglifi).

Le incisioni su roccia, ottenute tramite percussione/abrasione della superficie con oggetti a punta di pietra e, successivamente, di metallo, sono sicuramente la fonte archeologica più ricca e significativa riscontrabile nella regione del K. Databili (anche se esclusivamente in base a criteri stilistici e iconografici, data l'impossibilità fino a oggi di ottenere permessi di scavo in queste zone) da epoca preistorica fino ai giorni nostri, esse costituiscono una sorta di stratigrafia del passaggio e della presenza umana in questa regione. In associazione a esse sono molto numerose anche le iscrizioni di epoca storica, in una serie di alfabeti che sottolineano la diversità dei contributi culturali portati in queste aree remote.

Secondo K. Jettmar, lo studioso occidentale che più si è occupato dell'archeologia di queste zone, è possibile ascrivere i petroglifi a diverse fasi culturali e cronologiche; la sua analisi rimane a tutt'oggi la più autorevole sull'argomento. Le testimonianze di epoca prebuddhista sono divise in due periodi. Il primo, dal V al II millennio a.C., comprende i petroglifi caratterizzati da una spessa patina naturale, effettuati con strumenti litici e non associati a iscrizioni. I soggetti sono figurine umane stilizzate e animali, a volte in scene di caccia dove l'animale è molto più grande dell'uomo. Si riscontrano anche "maschere" (mascoid), raffigurazioni di volti umani suddivisi in "quadranti" tramite delle linee, spesso con aggiunta di corna e/o capelli. Si tratta di un elemento tipico della cultura di Okunev della Siberia meridionale, datata al III millennio a.C. e riferita a popolazioni di allevatori nomadi che devono essersi spinte a sud fino a penetrare nel K. Il secondo periodo (I millennio a.C.) comprende invece le immagini ascrivibili per stile e per soggetti alla regione iranica occidentale e all'inizio dell'epoca achemenide, o anche poco prima. Elementi distintivi di questo stile sono, ad esempio, quadrupedi in posizione "prostrata" con una zampa anteriore piegata, decorazioni del corpo tramite suddivisioni in spazi vuoti, figure umane dalla posa e dal vestiario tipici. Sempre di questo secondo gruppo fanno anche parte i petroglifi che seguono, con varianti di mutevole natura, lo stile animalistico delle popolazioni scitiche, delle quali si attesta la presenza in questa regione a partire dal II sec. a.C.

La diffusione del buddhismo nei primi secoli dell'epoca storica a opera dell'impero Kushana (I-III sec. d.C.) ha lasciato tracce sulle rocce soprattutto della valle di Gilgit e di Hunza. Le iscrizioni in kharoṣṭhī attestano la presenza di viaggiatori che lasciavano alla pietra il proprio nome e la data nell'era di Kanishka. Non erano tuttavia solamente i visitatori a tracciare i petroglifi; le popolazioni locali contribuivano abbondantemente, talvolta su ordinazione dei viaggiatori stessi.

Con il V sec. d.C. la regione entra a far parte della rete delle "vie della seta" ed è ormai coinvolta in un traffico di genti sicuramente notevole. Alla scrittura kharoṣṭhī si affiancano le prime iscrizioni in brāhmī, che poi la sostituiranno del tutto. Le rappresentazioni di stūpa, di scene e di altri simboli buddhisti sono numerosissime e spesso si articolano in complessi dove all'iconografia prettamente buddhista sono associati simboli e figure classificabili come "apporti kafiri" (ovvero appartenenti alla tradizione locale non buddhista; ad es., la raffigurazione di esseri sovrumani), che danno luogo a commistioni simbolico-figurative affatto particolari. Particolarmente interessanti sono le forme acquistate dalle immagini degli stūpa: dalla forma "classica" di epoca Kushana a forme simili a torri fortificate, fino ad arrivare all'aggiunta di membra umane a costituire una composita figura antropomorfa. La varietà degli stili è amplissima, così come la quantità di immagini rilevate. Non si fatica a ipotizzare artigiani incisori più o meno professionisti, i quali mettevano la propria abilità artistica e il repertorio iconografico a disposizione di committenti variamente facoltosi, che desideravano acquistare merito con opere di questo genere.

Le invasioni subite nell'VIII secolo da parte di Cinesi e Tibetani arricchiscono il repertorio dei petroglifi, se non di temi almeno di varianti delle loro forme. La produzione delle immagini e delle iscrizioni su roccia però comincia a declinare in quantità e con la diffusione dell'Islam i petroglifi, divenuti testimonianze di un passato idolatrico da dimenticare, cesseranno di essere tracciati. Tuttavia è significativo constatare come anche al giorno d'oggi permangano elementi di religiosità preislamica e prebuddhista. Non solo infatti si riscontrano petroglifi che copiano, si ispirano o rinnovano quelli delle epoche passate, ma si segnalano anche espressioni monumentali, ancora oggetto di venerazione, sotto forma di santuari costituiti da pietre impilate, tra le quali talvolta sono inseriti ramoscelli di ginepro.

Bibliografia

K. Jettmar, Non-Buddhist Traditions in the Petroglyphs of the Indus Valley, in SAA 1983, II, pp. 751-77; Id., Zwischen Gandhara und den Seidenstrassen. Felsbilder am Karakorum Highway, Mainz a.Rh. 1985; Id., Between Gandhara and the Silk Roads. Rock Carvings along the Karakorum Highway. Discoveries by German-Pakistani Expeditions 1979-1984, Mainz a.Rh. 1987; K. Jettmar (ed.), Antiquities of Northern Pakistan, I-V, Mainz a.Rh. 1989-2004; D.K. Chakrabarti, India. An Archaeological History, Oxford 1999, passim; K. Jettmar, Beyond the Gorges of the Indus. Archaeology before Excavation, Oxford 2002.

Mustang

di Iken Paap

L'Himalaya costituisce una barriera fisica, ma non culturale, tra l'Asia Centrale e orientale a nord e l'India a sud; sparse tracce archeologiche indicano infatti scambi culturali fin dalla preistoria. Tuttavia, assai poco si conosceva del contesto archeologico himalayano prima del 1991, quando il Nepal-German Project on High Mountain Archaeology ha intrapreso scavi regolari nella zona himalayana del Nepal (siti nelle valli del Kali Gandaki e del Muktinath nel Lower Mustang District).

Prima della chiusura del confine tibetano, la valle del Kali Gandaki con i suoi tributari costituiva un importante collegamento tra le aree a nord e a sud della catena himalayana. Le evidenze archeologiche dimostrano che questa regione è stata in passato (e fino a tempi recenti) densamente popolata, un dato sorprendente in relazione alle limitate capacità ecologiche attuali. Restano ancora incerti tuttavia la data di inizio e il contesto culturale di tali insediamenti. I reperti più antichi provengono da due cimiteri in grotta nel sito di Chokhopani (valle del Kali Gandaki) e dalle grotte di Mebrak (valle del Muktinath), che datazioni radiometriche collocano tra il 1200 e il 450 a.C.; essi comprendono ceramica grigia lavorata a mano, con ampi manici aperti e decorazione incisa o impressa a corda. Sporadici resti ceramici dello stesso orizzonte cronologico sono stati rinvenuti anche a nord di Lo, nell'Upper Mustang.

Intorno al 450 a.C. si manifesta un chiaro influsso culturale centroasiatico. Da questo periodo al 1400 d.C. circa data il monticolo di Khyinga-Khalun, un deposito archeologico di circa 8 m di spessore, che fornisce una sequenza stratigrafica di riferimento per la valle del Muktinath. Il periodo di occupazione più antico (Khyinga I) è caratterizzato da una costruzione di pietra grezza, con alti muri dotati di feritoie, interpretata come residenza palaziale o castello. L'influsso centroasiatico è ben evidenziato dai reperti provenienti da una sepoltura collettiva databile all'inizio del periodo; particolarmente esplicita in tal senso è una placca di bronzo a forma di cavallo, in uno stile astratto che ricorda gli oggetti dell'Ordos nella Mongolia interna. Caratteri analoghi a quelli di Khyinga I sono documentati nella sepoltura collettiva di Mebrak 63, da cui provengono i corpi mummificati di almeno 30 individui, oltre a ceramica, sarcofagi di legno, cesti, tessuti e indumenti di cuoio. La ceramica più tipica di questo periodo comprende vasellame grigio con fondo arrotondato e decorazioni incise e dipinte, giare globulari marroni con impressioni a corda o a paddle-and-anvil nella parte inferiore.

Dopo un intervallo di almeno centocinquanta anni nella sequenza stratigrafica, ha inizio il periodo Khyinga II, in cui l'edilizia monumentale è di nuovo presente con una fondazione a griglia, forse pertinente alla sala delle assemblee di un monastero buddhista o a un tempio. Caratteri analoghi nell'architettura e nella cultura materiale sono documentati nel piccolo sito di Bumche-Khang presso Jomosom, nella valle del Kali Gandaki. La ceramica di questo periodo consiste in raffinate giare rosse, parzialmente lavorate al tornio, polite o con ingubbiatura rossa, associate a vasi di fattura locale, lavorati a mano e decorati a spatola, a percussione, a stampo e con impressioni a corda. Un assemblaggio analogo è stato rinvenuto anche in tombe collettive in grotte erose nel fianco meridionale della valle di Chokhopani e in due piccoli insediamenti vicini. Un influsso culturale da sud (Nepal e India settentrionale) è testimoniato, oltre che dalla ceramica, da monete nepalesi di periodo Lichchhavi nel coevo insediamento a Khyinga.

Dopo un altro intervallo corrispondente all'VIII secolo, all'inizio del IX secolo ha inizio l'occupazione medievale dell'area. Durante il periodo Khyinga III sulle rovine spianate dell'insediamento più antico sorge un villaggio rurale fortificato, con strutture in muratura di pietra grezza e pisé. La cultura materiale mostra tratti di matrice tibetana, con una scarsa quantità di prodotti di importazione e un generale impoverimento del repertorio. La densità della popolazione nella valle del Muktinath sembra raggiungere il suo picco proprio in questo periodo, come dimostrano la quantità di insediamenti in aree terrazzate, quali Phudzeling e Mebrak, e i numerosi complessi di grotte su più livelli nella valle del Muktinath. Oggetti riconducibili al buddhismo, quali ts'a-ts'a (placchette votive), pugnali rituali di legno (purbha), figurine di argilla e frammenti di manoscritti, abbondano in tutti i siti conosciuti di questo periodo. L'assemblaggio ceramico consiste soprattutto di vasellame per uso domestico, in cui predominano giare globulari, talvolta con impressioni a corda, e recipienti da derrata con stretto collo. Alcune forme e decorazioni sembrano imitare prodotti meridionali, mentre semplici graffiti su alcune giare riproducono simboli tibetani. Il ritrovamento di diversi forni ceramici nella regione del Jomosom indica per questo periodo una produzione locale. L'occupazione del sito di Khyinga e della maggior parte delle grotte nella valle del Muktinath termina all'inizio del XV secolo, probabilmente a causa di smottamenti e desertificazione, benché in alcune grotte le tracce di occupazione continuino senza interruzioni anche nella seconda metà del XV secolo.

Attorno al 1450 d.C., sotto il regno di A mda-pal, ha inizio la prima occupazione di Garab-Dzong, nella valle di Kali Gandaki. Datazioni dendrocronologiche e radiometriche dimostrano che la fortificazione principale di Garab-Dzong fu edificata nella seconda metà del XVI secolo. Secondo le fonti storiche, l'insediamento fortificato di Garab-Dzong era al centro di un piccolo regno tardomedievale, detto Sum o Sumbo, ovvero "i tre villaggi" in un'area nota più tardi come Pacgaon in lingua nepalese. Nello stesso periodo i figli del governatore A mda-pal avrebbero fondato i più importanti siti fortificati della valle del Muktinath (Kagbeni, Dzong e Dzarkot); tale notizia, riportata dalla tradizione locale, sembra trovare conferma negli scavi di Dzarkot.

La decadenza di Garab-Dzong è attribuibile alla conquista dell'odierno Nepal occidentale da parte dei re Gorkha (seconda metà del XVI sec.), che smantellarono le vecchie fortificazioni. I reperti di questo periodo mostrano una continuità senza scosse con i periodi precedenti.

Bibliografia

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Kashmir

di Pran Gopal Paul

Situato nella parte più occidentale della catena dell'Himalaya, il K. è vicinissimo al Gandhara, storico passaggio in India, ma è anche collegato all'Asia Centrale dai passi del Karakoram e del Pamir. Pertanto, pur essendo intrinsecamente indiano, il K. presenta nell'arte, nell'archeologia e nella storia tratti che lo distinguono da molte altre entità geopolitiche del Subcontinente. La conformazione fisica della regione ne ha anche segnato i confini tradizionali, che corrispondono sostanzialmente alla valle del Jhelum.

Sebbene il ritmo dei cicli glaciali quaternari sia ben documentato in diverse zone, non ci sono ancora testimonianze incontrovertibili di strumenti paleolitici o di tracce di insediamenti umani. La piccola quantità di schegge e nuclei di tipo levalloisiano fin qui nota non sembra essere anteriore infatti al tardo Paleolitico o protoneolitico. I ritrovamenti più significativi per quanto concerne la preistoria del K. provengono dal sito di Burzahom, circa 24 km a nord-est di Shrinagar. Già da tempo noto come sito megalitico per la presenza di un emiciclo di menhir, Burzahom ha rivelato, nel corso di scavi condotti a partire dal 1960, quattro periodi di occupazione, i primi due dei quali appartenenti al Neolitico. Oltre alle asce di pietra levigata, pestelli e scalpelli, i ritrovamenti annoverano anche strumenti di osso, tra cui punteruoli, punte di freccia e arpioni.

L'assemblaggio ceramico del periodo I consiste di ciotole e vasi di ceramica grezza di colore rosso cupo, fatta a mano e con impressioni di stuoia, cui si aggiungono, nel periodo II, piatti, vasi globulari e giare di ceramica medio-fine, nera lucidata. Furono rinvenuti anche focolari di pietra contenenti cenere e carboni, mentre sono assenti semi di qualunque tipo. Di grande interesse è il ritrovamento di abitazioni in fossa. Di pianta ovale o circolare, con una profondità che varia da 1 a 5 m, le fosse si restringono verso l'alto. La presenza di canne carbonizzate e di buche per palo suggerisce l'esistenza di coperture al di sopra degli ambienti, alcuni dei quali erano forniti di gradini di accesso ed erano comunicanti tramite corridoi. Nella seconda fase, all'interno dell'area abitata sono testimoniate otto sepolture primarie e secondarie, fra cui quattro scheletri in posizione fetale, cosparsi di ocra rossa.

Il periodo III è caratterizzato dalla presenza di megaliti, all'incirca dodici, alcuni dei quali ancora in posizione, altri inclinati o riversi a terra. Si registrano in questo periodo alcune innovazioni, come i muri di pietrisco innalzati intorno ad alcune abitazioni in fossa e la ceramica lavorata al tornio. L'ultimo periodo, il IV, risale ai primi secoli dell'era volgare. Una fonte preziosa di informazioni per il K. di età storica è rappresentata dalla Rājataraṅginī ("Fiume dei Re"), cronaca in sanscrito della metà del XII secolo, che evidenzia una relazione con alcune note dinastie indiane (Maurya, Kushana, Huna e altre). Vi è, tuttavia, una discrepanza tra fonti letterarie e reperti archeologici. Il più antico documento archeologico, una figura graffita su di un masso, accompagnata da una iscrizione in kharoṣṭhī del re Kushana Wima Kadphises (I sec. a.C.), è stato rinvenuto a Khalatse, oltre il confine orientale della valle, così come oltre la valle si situano i numerosi graffiti e iscrizioni rupestri di prima età storica, rinvenuti fra Chilas e Hunza, lungo una antica via di comunicazione con la Cina (l'od. Karakoram Highway).

Per il resto, le testimonianze artistiche sin qui note relative al periodo precedente il VI sec. d.C. sono tutte in qualche modo riferibili al Gandhara, o perché importate o perché fortemente influenzate da questa regione. È soltanto in opere come la statuetta di Vishnu del VI secolo che si può, per la prima volta, individuare la cristallizzazione di uno stile artistico propriamente kashmiro. Un gruppo di grandi immagini shivaite da Gupkar, ora nello Sri Pratap Singh Museum di Shrinagar, esemplifica un ulteriore sviluppo della scultura che, già notevole nel corso del VII secolo, prosegue durante le dinastie Karkota e Uptala (VIII-X sec.) con produzioni di grande inventiva ed eleganza. Questa fase "classica", di breve durata, è seguita da una graduale perdita di plasticità a partire dall'XI secolo, come testimoniano, ad esempio, le sculture del XII secolo da Verinag, ora nel museo di Shrinagar.

La stessa osservazione vale anche per i più famosi bronzi del K. Da un modesto inizio, documentato da piccoli esemplari del VI secolo, la scultura in metallo raggiunge livelli elevatissimi con la grande immagine di Vishnu di Devsar (IX sec.), anch'essa conservata nel museo di Shrinagar. Nel famoso bronzo "della regina Didda" (989 d.C.), il naturalismo del periodo precedente è già sostituito da una certa rigidità e astrazione. Questa tendenza raggiunge il suo apice nell'XI-XII secolo, con la produzione di figure rigide e inarticolate, generalmente attribuite all'Himalaya occidentale piuttosto che al K. propriamente detto. I bronzi kashmiri sono spesso elegantemente intarsiati in rame e argento; nulla invece ci è pervenuto delle sculture di oro e argento, di cui si trova spesso menzione nella Rājataraṅginī.

Meno diffusa, ma ugualmente importante, è l'arte della terracotta; un esempio famoso in tal senso è rappresentato dal sito di Harwan (V sec. d.C.), che deve proprio alle sue mattonelle figurate di terracotta una posizione di rilievo nella mappa archeologica del K. Sono modellate in parte a mano e in parte a stampo le sculture di argilla del secolo successivo, riportate alla luce, prevalentemente in forma di frammenti, da scavi piuttosto approssimativi nel sito buddhista di Ushkar, presso Baramula. Chiara derivazione di modelli tardogandharici, individuabili nella scultura in stucco dei siti buddhisti di Taxila (Jaulian, Mohra Moradu), esse se ne distaccano tuttavia per una maggiore vivacità e carica espressiva, superiore anche a quella della quasi coeva produzione di Akhnur, nelle vicinanze di Jammu. Di notevole pregio è la scultura buddhista in avorio, in cui la profondità dei volumi e la ricchezza dei dettagli, anche molto complessi e spesso evidenziati dal colore, si avvicinano ai virtuosismi dell'oreficeria. Le illustrazioni policrome sulle copertine di legno di manoscritti del VII sec. d.C., rinvenuti all'interno di stūpa buddhisti a Naupur, presso Gilgit, e i più tardi dipinti murali nel monastero di Alchi, nel Ladakh, danno un'idea di quella che doveva essere la tradizione pittorica del K. di epoca medievale, di cui non ci sono pervenute testimonianze dirette.

Nulla resta dei più antichi monumenti religiosi del K., probabilmente costruiti con materiali deperibili; il più antico tra quelli conservatisi è senza dubbio il tempio in pietra di Loduv, risalente al VI sec. d.C. Di dimensioni ridotte (meno di 8 m2), semplice nello schema e privo di decorazioni, con un'entrata semicircolare sormontata da un frontone triangolare, questo modesto edificio costituisce il nucleo originario del tipico tempio kashmiro, il cui pieno sviluppo si osserva nel Tempio del Sole a Martand, fatto erigere dal più grande sovrano della dinastia Karkota, Lalitaditya Muktapida (725-756 d.C.). Elementi caratteristici di questi templi, circondati da imponenti peristili, sono il tetto a piramide doppia che si imposta su un soffitto "a lanterna", l'arco trilobato inscritto in un timpano a triangolo acuto, le colonne e i pilastri in stile pseudodorico o pseudocorinzio. I grandi templi buddhisti dell'VIII secolo, tra cui famoso è quello di Parihasapura, sono oggi privi delle coperture originarie. I due templi di Shiva e Vishnu ad Avantipur, edificati al tempo di Avantivarman (856-883 d.C.), rappresentano una versione più elaborata e raffinata del santuario di Martand. I templi dei secoli successivi di Narastan, Wangath, Buniar, Pandrethan e Payar perpetuano la stessa tradizione, riducendosi però progressivamente nella scala, fino ad approdare alle moderne architetture in miniatura, come quella di Patan.

A eccezione del lungo praśasti a Martand, poche sono le iscrizioni, apposte su piccole lastre di pietra o su sculture di bronzo; a differenza del Chamba, sono assenti iscrizioni su lastre di rame. Analoghe lacune riguardano la numismatica; tra le monete fin qui venute alla luce, poche e di fattura piuttosto grezza, mancano le emissioni dei grandi monarchi kashmiri, quali Lalitaditya o Avantivarman. Un quadro più completo e attendibile dell'arte e dell'archeologia di questa regione, tuttavia, emergerà soltanto quando a esplorazioni ben pianificate seguiranno scavi sistematici in alcuni siti ancora inviolati, di cui ancora abbonda il territorio kashmiro.

Bibliografia

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Upper doab e uttarakand

di Federica Barba

Regione che comprende le aree himalayane di Gharwal e Kumaon, attraversate rispettivamente dai fiumi Alaknanda e Ramganga (Uttarakand), e la zona nord-occidentale della valle del Gange percorsa dai fiumi Gange, Yamuna e Ramganga (Upper Doab). Posta tra il Panjab, la valle del Gange, il Tibet e il Rajasthan, la regione si caratterizza come luogo d'intersezione fra diverse realtà geoculturali; essa è tuttavia isolata per la scarsità delle risorse offerte dalle aree montane e per l'aridità delle pianure.

I ritrovamenti più antichi consistono in strumenti paleolitici di quarzo e diaspro lungo l'Alaknanda. Nella regione di Kumaon (distretti di Almora e Chamoli) sono stati individuati insediamenti in grotta e pitture rupestri, la cui datazione resta però incerta; ipoteticamente sono state attribuite a un periodo che va dal Paleolitico al Neolitico. Durante il II millennio a.C. l'Upper Doab fu colonizzato da popolazioni provenienti dall'area dell'Indo: nelle zone a ridosso della Yamuna si trovano villaggi tardoharappani (Hulas, Alamgirpur); verso est sono presenti invece siti temporanei (Hastinapura, Ahichchhatra). È con l'età del Ferro, nel I millennio a.C., che si insediano numerosi villaggi stabili in tutto l'Upper Doab (Hulas, Alamgirpur, Allahpur, Hastinapura e Ahichchhatra), ma anche sull'Alaknanda (Thapli), caratterizzati da una cultura uniforme il cui principale elemento di distinzione è la Painted Grey Ware (PGW). Intorno al 400 a.C. questa ceramica da tavola fu sostituita dalla Northern Black Polished Ware (NBPW), proveniente dalle aree centro-orientali della valle del Gange, la cui diffusione, insieme agli editti di Ashoka, testimonia l'espansionismo dell'impero Maurya.

Editti su roccia sono stati rinvenuti a Kalsi, nel distretto di Dehra Dun, località che forse segnava i limiti della conquista Maurya, e a Bahapur, nei pressi di Delhi, sulla strada per Mathura. Editti su colonna erano presenti a Topra (distretto di Ambala in Haryana) e a Mirath. Nell'Upper Doab i siti principali sono Purana Qila (o Indraprastha) a Delhi, Ahichchhatra e Hastinapura, caratterizzati da strutture di vario tipo, sia di mattoni cotti che di mattoni crudi e terra, con pavimenti di terra pressata. Sono inoltre stati rinvenuti pozzi ad anelli di terracotta e canalette di scolo. A questa fase risalgono le prime monete di rame punzonate e prive di leggenda e i sigilli; si trovano inoltre utensili di rame (bacchette) e di ferro (punte di freccia, ceselli, lame), vaghi di terracotta e corniola, figure di terracotta ben modellate.

Dal I sec. a.C., con la fine del dominio del Magadha, l'Upper Doab è controllato da dinastie locali o delle aree centrali del Doab: ad Ahichchhatra sono state rinvenute monete dei sovrani del Panchala, regione di cui il sito era la capitale settentrionale, mentre a Hastinapura e Purana Qila sono presenti quelle emesse dalla città di Mathura. L'Uttarakand sembra ricevere in misura minore gli influssi provenienti dalla pianura. Sono stati scoperti tre insediamenti risalenti a questa fase. Ranihat (fasi I e IIA), sull'Alaknanda, è caratterizzato da una ceramica rossa e nera polita e da una ceramica grigia. Le forme sono quelle tipiche del III-I sec. a.C.: dal piatto carenato al vaso piriforme. Nell'area di Kumaon fu A. Cunningham nel 1871 a scoprire i siti di Kashipur e Moradhwaj. Da entrambi provengono alcuni frammenti di NBPW. Moradhwaj è stato scavato nel 1979; vi sono state rinvenute ceramiche rosse e grigie e mattoni cotti. Il sito è circondato da un bastione di terra, che è stato datato al V sec. a.C. in base alla presenza della NBPW. Questa cronologia appare però poco plausibile, poiché tale ceramica si diffonde nell'Upper Doab dopo il IV sec. a.C. e nell'Uttarakand probabilmente solo nei secoli successivi.

Per quanto riguarda la cosiddetta "epoca Shunga", Cunningham rinvenne monete della dinastia dei Kuninda insieme a monete del re indo-greco Apollodoro (150 a.C.) nei pressi di Jwalamukhi. È stato ipotizzato che la dinastia dei Kuninda provenisse dall'area di Sugh, sito dell'Haryana dal quale si controllava l'attraversamento della Yamuna e quindi la via che collegava il Panjab alla valle del Gange. Nell'Uttarakand sono state inoltre rinvenute, fin dal 1858, tombe di pietra. Negli ultimi anni del Novecento sono stati indagati i complessi di Jainal-Naula e Ladyura (nel distretto di Almora): essi sono caratterizzati da fosse scavate nella roccia, con lastre di pietra che formano la cista e copertura costituita da pali di legno o muri di pietra. Nei pressi di alcune ciste sono state rinvenute delle urne contenenti resti scarnificati. Il corredo funerario comprende ceramiche rosse e grigie nelle forme del piatto carenato, di ciotole di vario tipo (emisferica, ma anche con piedistallo e base piatta) e del calice; in alcune tombe sono presenti anche oggetti di ferro frammentari. La cronologia di questi monumenti, diffusi in tutta l'India, è un problema ancora irrisolto. Per i complessi di Jainal-Naula e Ladyura sono state proposte datazioni diverse: il primo è stato collocato nel periodo della PGW, l'altro nel II-I sec. a.C. Sembra tuttavia più probabile una data posteriore (III-I sec. a.C.).

Nel I-III sec. d.C. continua lo sviluppo urbano iniziato in epoca Maurya. Gli insediamenti dell'Upper Doab sono caratterizzati da edifici prevalentemente di mattoni, da ceramica rossa decorata con motivi a stampo e dipinti, da frammenti di ferro e oggetti di rame (bacchette e ornamenti), figure di terracotta lavorate sia a mano sia a stampo e vaghi di terracotta e pietre semipreziose. Ahichchhatra fu fortificata con un bastione di terra e un muro di mattoni; nel sito sono state ritrovate monete appartenenti alla dinastia del Panchala e ai re Kushana. A Kashipur (regione di Kumaon) sono state ritrovate monete d'oro di epoca Kushana e resti di una struttura, identificata ipoteticamente con un tempio, dotata di modanature decorate. Moradhwaj ha in questa fase il suo maggiore sviluppo; il bastione di terra rinforzato con un muro di mattoni cotti fu probabilmente costruito in questo periodo. Al centro del sito è stata individuata una struttura rettangolare di mattoni cotti con sentiero processionale. Sono state rinvenute numerose figure di terracotta (figure umane e animali, Bodhisattva, un'immagine di Krishna), due sculture di arenaria raffiguranti il Buddha, vaghi e bracciali di rame e utensili di ferro. Sull'Alaknanda, il sito di Ranihat (fase IIB) fu abbandonato, mentre venne fondato quello di Virabhadra (distretto di Dehra Dun), da cui provengono ceramica, mattoni e monete del periodo Kushana. A Rishikesh una struttura di mattoni, contenente ceramica rossa di periodo Kushana, è stata interpretata come monastero buddhista. Allo stesso periodo appartiene la fortificazione di mattoni del sito.

Dal III sec. d.C., con la fine dell'impero Kushana, i centri urbani decadono. Hastinapura fu abbandonata; ad Ahichchhatra si trovano monete di Achyu, identificato con Achyuta, sconfitto da Samudragupta nel IV sec. d.C. A Purana Qila le strutture del periodo Gupta sono costruite con i mattoni di epoche precedenti: all'interno di una di esse sono state rinvenute monete e sigilli, figure di terracotta e un mukhaliṅga di arenaria. Nei distretti di Dehra Dun e di Garhwal i dati archeologici sono limitati al ritrovamento di monete e iscrizioni che attestano la presenza di varie dinastie; da diverse località provengono tesori di monete della dinastia Yaudheya (III sec. d.C.) e iscrizioni su piatti di rame (donazioni ai templi da parte dei re locali), mentre nel sito di Jagatgram (distretto di Dehra Dun) sono stati scoperti mattoni con iscrizioni datate al III sec. d.C., che ricordano la celebrazione del quarto āśvamedha da parte del re Shilavarman.

Xuan Zang visitò l'Uttarakand nel 634 d.C. e segnalò la presenza di monasteri buddhisti, dei quali però non sembra essere rimasto alcun dato archeologico. Sono stati invece scavati alcuni templi induisti: a Virabhadra è stato scoperto un santuario shivaita, datato dal IV all'VIII sec. d.C. e caratterizzato da un liṅgam su base quadrata; da un tempio di Ahichchhatra provengono immagini di terracotta di divinità brahmaniche (VII sec. d.C.). Questi monumenti avranno particolare diffusione a partire dal IX sec. d.C., soprattutto nell'Uttarakand, fino a diventare la caratteristica principale della regione.

Bibliografia

Notizie sugli scavi:

IndAR, 1953-54, pp. 10-11; 1963-64, p. 45; 1969-70, pp. 4-5; 1970-71, pp. 8-11; 1973-74, pp. 28-30; 1974-75, pp. 41-42; 1991-92, pp. 98-102; 1992-93, pp. 89-91; 1993-94, pp. 103-104.

In generale:

A. Ghosh - K.C. Panigrahi, The Potteries of Ahicchatra, in AncInd, 1 (1946), pp. 37-59; B.B. Lal, Excavation at Hastinapura and Other Exploration in the Upper Ganga and Sutlej Basins 1950-52. New Light on the Dark Age between the End of the Harappa Culture and the Early Historical Period, ibid., 10-11 (1954-55), pp. 5-51; K.P. Nautiyal, The Archaeology of Kumaon (Including Dehradun). A Comprehensive Account of the Cultural Heritage of Modern Garhwal and Kumaon Divisions, Varanasi 1969; K.N. Dikshit, The Allahpur Evidence and the Painted Grey Ware Chronology, in D.P. Agrawal - A. Ghosh (edd.), Radiocarbon and Indian Archaeology, Bombay 1973, pp. 148-53; N.C. Ghosh - R.P. Sharma, A Note on the Excavation at Virbhadra, in Purātattva, 8 (1975-76), pp. 180-81; G. Stacul, Early Iron Age in the Northwest of Subcontinent, in D.P. Agrawal - D.K. Chakrabarti (edd.), Essays in Indian Protohistory, Delhi 1979, pp. 341-45; K.N. Dikshit, The Excavations at Hulas, in Man and Environment, 5 (1981), pp. 70-76; K.P. Nautiyal - B.M. Khanduri, New Cultural Dimension in the Central Himalayan Region of Uttarakhand. An Archaeological Assessment, in AnnOrNap, 46 (1986), pp. 77-100; K.P. Nautiyal et al., Painted Grey Ware Culture in Garhwal, Himalaya. New Evidence and Interpretation, in Purātattva, 17 (1986-87), pp. 10-13; D.M. Srinivasan (ed.), Mathura. The Cultural Heritage, New Delhi 1989.

Nepal

di Giovanni Verardi

Quando il regno del N. si aprì verso l'esterno nel 1950, si avvertì la necessità di promuovere la ricerca archeologica, con l'obiettivo di giungere a una migliore conoscenza della storia antica della valle di Kathmandu (il "Nepal" in senso stretto) e di indagare i siti buddhisti del Tarai, la fascia pianeggiante che confina con l'India. I distretti del Tarai centrale erano stati esplorati sin dalla fine del XIX secolo dopo la scoperta di una colonna dell'imperatore indiano Ashoka recante un'iscrizione che identificava nel villaggio di Rummindei il luogo di nascita del Buddha Shakyamuni, Lumbini. Ashoka aveva visitato il luogo nel 20° anno di regno, intorno al 250 a.C. Un'altra colonna, da lui eretta in ricordo del Buddha del passato Kanakamuni, giaceva in due grandi frammenti a Nigali Sagar, a meno di 20 km a ovest di Lumbini, e la parte inferiore di una terza colonna, probabilmente in onore del Buddha Krakuchchhanda, sorgeva infine nel villaggio di Gotihawa. A Lumbini un tempio protomedievale dedicato a Mayadevi, la madre di Shakyamuni, numerosi stūpa e i resti di un monastero sorgono accanto alla colonna. Scavi poco controllati, condotti a più riprese sin dalla fine del XIX secolo, hanno compromesso il sito più che chiarirne la natura e la sequenza. Le ultime indagini, condotte tra il 1998 e il 2002 sotto il tempio di Mayadevi, hanno esposto una struttura in mattoni cotti, di non chiara interpretazione, che sarebbe stata costruita proprio sul luogo ove nacque il Buddha.

Il sito di Gotihawa, molto disturbato, è stato scavato tra il 1994 e il 2003. Comprende uno stūpa di mattoni cotti che sorge accanto alla colonna di Ashoka, anch'esso risalente al 250 a.C. circa, e un insediamento del Calcolitico tardo e dell'età del Ferro, documentato da semplici capanne costruite con pali di legno e intonacate. Ancora nel V-IV sec. a.C., benché l'agricoltura fosse ormai la principale fonte di sostentamento, la caccia ricopriva un ruolo rilevante ed era ancora praticata la macellazione della vacca. La colonna di Ashoka, simile a quelle del presunto palazzo Maurya a Pataliputra, poggia su una lastra di arenaria con un cerchio inciso al centro e un graffito che rappresenta, in forma stilizzata, l'antico simbolo indiano della "falce lunare sui colli". Le relazioni stratigrafiche tra stūpa e colonna sono perdute a causa del profondo scasso praticato nel 1959 per conferire una sistemazione monumentale alla colonna, ma le analisi alla termoluminescenza confermano che lo stūpa fu costruito all'epoca di Ashoka. La tecnica costruttiva è primitiva: la parte più interna del monumento è realizzata con mattoni appartenenti a classi differenti (trapezoidali, triangolari, quadrati), disposti a caso. Il santuario fu abbandonato all'incirca nel III sec. d.C. Lo scavo del sito di Pipri, a breve distanza, integra le informazioni ottenute a Gotihawa. L'insediamento, che si formò nel II sec. a.C., presenta aspetti di particolare interesse e materiali che attestano l'emergere dello shivaismo.

Il Tarai centrale ha attirato l'attenzione degli archeologi e degli storici anche a causa della proposta identificazione di Tilaurakot, un grande sito fortificato sul fiume Banganga, con Kapilavastu, la città capitale degli Shakya dove il Buddha visse fino a trent'anni. L'identificazione si fonda su un passo del pellegrino cinese Xuan Zang, che visitò la regione nella prima metà del VII sec. d.C.

Dagli anni 1960 in poi sono stati compiuti numerosi tentativi per trovare riscontri oggettivi. La sequenza archeologica corrisponde probabilmente a quella osservata a Gotihawa-Pipri, anche se la fase più antica non è documentata. Le evidenze strutturali includono, oltre alle mura, due porte urbane, le fondazioni di alcuni grandi edifici e due piccoli stūpa fuori città. Tra gli oggetti rinvenuti si segnalano monete punzonate, tipiche del IV-II sec. a.C., placche di terracotta databili al periodo dal II sec. a.C. al II sec. d.C., monete Kushana, ecc. Una lunga disputa divide ancora i sostenitori dell'identificazione di Kapilavastu con Tilaurakot da coloro che ne sostengono l'identificazione con Piprahwa-Ganwaria, un sito a soli 20 km di distanza, ma dall'altra parte del confine, in India. È impossibile, sulla base delle evidenze note, esprimersi a favore dell'una o dell'altra ipotesi. Un altro tentativo di identificazione riguarda il villaggio di Deoriya nel distretto di Navalparasi, dove è in corso lo scavo di un grande stūpa. Si tratterebbe di Ramagrama, che secondo le fonti letterarie si trovava nel territorio dei Koliya, la tribù della madre del Buddha, Mayadevi.

La lunga fascia pianeggiante del Tarai nepalese, con i suoi insediamenti antichi e medievali e le pendici meridionali dei monti Siwalik, caratterizzati da siti preistorici, costituisce un ambito storico-territoriale di estremo interesse, i cui rapporti interni potrebbero essere chiariti da una ricerca archeologica consapevole e mirata. Tra i monumenti medievali indagati si ricordano i templi Hindu di Kodan e Paishya e, tra gli insediamenti, la città fortificata di Simraongarh, uno dei siti più vasti del Subcontinente indiano, la cui storia è strettamente connessa con quella di Kathmandu, fatto che solleva una complessa questione ideologica.

Nella valle di Kathmandu la ricerca antichistica ebbe inizio nel 1956 con la raccolta delle iscrizioni della dinastia Lichchhavi, note dal V sec. d.C. in poi. Le testimonianze epigrafiche documentano l'esistenza, nella parte nord-est dell'attuale Kathmandu, del Mānagṛha, la residenza del re Lichchhavi Manadeva (464-505), e del Kailāsakūṭabhāvana, residenza di Amshuvarman, che regnò autonomamente tra il 605 e il 621. L'identificazione di questi edifici, di grande rilevanza storico-ideologica, diventò ben presto uno degli scopi principali della ricerca. I primi scavi nella valle furono condotti nel 1965 a Harigaon, un villaggio che in antico era parte di Vishalnagar, la città dagli incerti confini che si trovava a est dell'area dove sarebbe sorta la Kathmandu medievale. Gli scavi, affidati a S.B. Deo, furono condotti nell'area prospiciente il tempio di Maneshvara, dove emersero alcune strutture, gravemente spoliate, di mattoni cotti.

Il crescente numero di iscrizioni Lichchhavi e un'abbondante letteratura secondaria riguardante il "periodo Lichchhavi" (V-IX sec. d.C.) spinsero a continuare la ricerca e nel 1984 ebbero inizio altri scavi a Harigaon. Il sito prescelto era adiacente al tempio di Satya Narayana, noto per un'iscrizione e per le numerose immagini antiche. Lo scavo, che rivelò una sequenza ininterrotta dal I sec. a.C. al XVI sec. d.C., portò alla luce parte di un sito urbano pluristratificato, caratterizzato da gravi spoliazioni e frequenti interfacce, dove si conservano le fondazioni degli edifici. Nell'orizzonte che precede l'insediamento vero e proprio, fu scoperto un frammento di arenaria importato da Mathura, che suggerisce la presenza nella valle di clan kṣatriya affiliati alla religione Bhāgavata. La scoperta, nel 2002, di un mattone con la scritta Cāruvati thūpa e con la Ruota della Legge proveniente da uno stūpa che sorge a breve distanza da Harigaon, costruito secondo la tradizione dalla figlia di Ashoka, dissolve ogni dubbio sull'antichità e l'importanza della prima Kathmandu e sul fatto che essa faccia parte dell'orizzonte culturale antico-gangetico.

L'area sacra più antica di Harigaon, Satya Narayana, di cui è incerta la natura del culto, è documentata da una riserva d'acqua di epoca Kushana (II-III sec. d.C.). Nel VII secolo è certa l'esistenza di uno stūpa buddhista, di cui rimangono le fondazioni a forma di griglia con nove fosse. Un'iscrizione buddhista del 749 d.C. indica che il santuario era ancora funzionante in quell'epoca; fu distrutto poco tempo dopo, probabilmente intorno all'800. Alcuni mattoni dello stūpa furono usati per fondare il pilastro con Garuda eretto di fronte al tempio di Vishnu, costruito sulle rovine del santuario buddhista. L'iscrizione che vi è incisa contiene un'invettiva contro i buddhisti. Il tempio vishnuita perse importanza dopo un grave terremoto nel XIV o XV secolo. Molte delle strutture crollate non furono rimosse e in una parte dell'antica area templare sorsero misere abitazioni di fuoricasta. È certo che Harigaon, con Maligaon e Tangal e con l'area del tempio shivaita di Pashupatinath (uno dei più antichi e famosi dell'Asia meridionale), costituiscono l'area d'elezione per nuovi scavi. A Maligaon, nel 1992, venne casualmente alla luce l'imponente statua di un sovrano sino allora ignoto, Jayavarman, datata da un'iscrizione all'anno 207, probabilmente dell'era Shaka, sorprendente perché non esistono altre statue regali di tale antichità, a eccezione di quelle dei re Kushana a Mathura.

L'archeologia di un Paese come il N., che comprende aree montane dalle condizioni di vita estreme, ha un grandissimo potenziale. Molte regioni rimangono inesplorate, ma tra il 1990 e il 1995 anche il Mustang, una regione abitata da Tibetani a nord dell'Annapurna, attraversata dalla Gandaki (un fiume che mette in comunicazione diretta le pianure dell'India settentrionale con il Tibet), è stato esplorato, con interessanti risultati.

Bibliografia

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