L'archeologia del Sud-Est asiatico. Indonesia

Il Mondo dell'Archeologia (2005)

L'archeologia del Sud-Est asiatico. Indonesia

Peter Bellwood
Fiorella Rispoli
Timbul Haryono
Edwards E. McKinnon
Ian C. Glover
Pierre-Yves Manguin
Wilhelm G. Solheim II
Tim Reynolds
David Bulbeck
Sue O'Connor

Indonesia

di Peter Bellwood

L'arco insulare indonesiano, estendendosi lungo la linea dell'equatore per più di 5000 km, include, da ovest verso est, Sumatra, Giava, il Borneo, Sulawesi, le Piccole Isole della Sonda, le Molucche e la metà occidentale della Nuova Guinea. A nord l'Indonesia è affiancata dalla Malaysia a est e dalle Filippine a ovest, a sud dall'Australia.

Questo arcipelago rappresentò la principale rotta seguita dalle pitecantropine che raggiunsero Giava (e forse Flores) circa 1,8 milioni di anni fa, dai primi gruppi che popolarono l'Australia circa 50.000 anni fa e dalle popolazioni austronesiane che colonizzarono l'Oceania intorno a 3500 anni fa. La lunghissima sequenza pre-protostorica è seguita dal periodo degli "Stati indianizzati" nelle isole occidentali (Sumatra e Giava) e dal periodo islamico; questi due periodi hanno contribuito alla formazione dell'attuale mosaico umano comprendente le popolazioni di Giava, gli Acehnesi, i Toraja di Sulawesi, i cacciatori Punan dell'entroterra del Borneo e gli Asmat della Nuova Guinea occidentale. Nel periodo pleistocenico, tra 1,8 milioni e 10.000 anni fa, durante le fasi di massima regressione marina verificatesi con ogni probabilità ogni 120.000 anni (l'ultima regressione risale a circa 22.000 anni fa), le isole occidentali dell'Indonesia (Giava, Bali, Sumatra e il Borneo), propaggini occidentali della piattaforma continentale della Sonda, furono spesso unite (attraverso la Penisola Malese) alla terraferma; l'attuale conformazione geografica dell'Indonesia si definì durante le fasi trasgressive interglaciali. A est del Borneo e di Bali, la grande isola di Sulawesi, l'arcipelago delle Filippine e le Molucche, appartenenti alla provincia biogeografica di Wallacea, rimasero costantemente circondati dal mare. Allo stesso modo le Piccole Isole della Sonda, a est di Bali, furono sempre separate le une dalle altre da stretti bracci di mare, la cui ampiezza era comunque notevolmente inferiore a quella attuale.

I primi gruppi raggiunsero Giava dall'Asia Orientale, via terra, intorno a circa 1,8 milioni di anni fa, ma rimasero piuttosto isolati fino all'arrivo delle popolazioni moderne di sapiens che penetrarono in questa regione intorno a 50.000 anni fa. Alcuni di quei gruppi più antichi proseguirono il viaggio verso est, colonizzando l'isola di Flores circa 800.000 anni fa; nei dati disponibili non vi sono però tracce di queste antiche popolazioni in Australia, in Nuova Guinea e nelle Filippine. Le più antiche testimonianze antropiche in Indonesia orientale, ad esempio nella caverna di Golo (isola di Gebe), nel riparo sotto roccia di Leang Sarru (Isole Talaud) e nella caverna di Lene Hara (Timor Est), risalgono solo a 35.000 anni fa. È possibile infatti che le isole più a nord siano state popolate solo da gruppi moderni (sapiens) intorno a quella data. Durante il periodo olocenico, a partire da 10.000 anni fa, le condizioni climatiche divennero più calde e umide; il manto forestale si estese e il mare si attestò sui livelli attuali intorno a 6000 anni fa. Nonostante una contrazione complessiva della massa terrestre dell'Indonesia in seguito all'innalzamento del livello marino, la lunghezza della linea di costa aumentò considerevolmente poiché le due piattaforme continentali di Sonda a ovest e di Sahul (Australia e Nuova Guinea) a est si frammentarono in una serie di isole, mentre le estese pianure costiere del Nord di Sumatra e di Giava si formarono con ogni probabilità in seguito all'erosione dei suoli, con notevoli vantaggi per l'uomo derivanti da un consistente incremento delle faune marine edibili. Nelle sequenze archeologiche sono infatti presenti i primi chiocciolai e nuovi strumenti litici, mentre faune selvatiche furono trasferite dall'uomo sulle isole più povere di risorse (ad es., Cervidi e Suidi vennero importati nelle Piccole Isole della Sonda e i marsupiali nelle Molucche). Nelle industrie litiche dell'Olocene iniziale e medio si evidenzia la comparsa, intorno a 5500 anni fa, delle punte toaliane e dei coltelli a dorso presenti nel Sud dell'isola di Sulawesi, ad attestare possibili contatti con l'Australia. Un fenomeno di rilievo fu la comparsa dell'agricoltura nelle regioni montuose della Nuova Guinea, il cui sviluppo non è da porre in relazione con la coeva affermazione della cerealicoltura (riso e miglio) in Cina (ca. 7000 anni fa). A lungo termine, gli sviluppi culturali cinesi influenzarono l'Indonesia in maniera assai più marcata di quelli che caratterizzarono la Nuova Guinea, un aspetto questo correlabile con la migrazione nell'arcipelago di comunità agricole austronesiane a partire da 4000 anni fa. Tuttavia lo sviluppo delle pratiche agricole in Nuova Guinea, con la coltivazione orticola di tuberi (igname, colocasia) e di piante arboree (banano, pandano), unitamente al consumo di alimenti secondari come la canna da zucchero, ebbero, pur in assenza di cereali e animali domestici, profonda rilevanza per la preistoria delle isole del Pacifico occidentale.

La diffusione delle comunità austronesiane coincise con la comparsa di complessi culturali di tradizione neolitica, contraddistinti dalla presenza di ceramica e asce di pietra levigata, dall'allevamento di cani e suini e dalla manifattura di ornamenti di pietra e conchiglia. Chicchi di riso sono stati rinvenuti in un numero crescente di siti neolitici nelle regioni occidentali e settentrionali dell'Indonesia; al contrario la coltivazione di questo cereale sembrerebbe essere stata abbandonata negli ambienti umidi equatoriali della foresta pluviale, in particolare nelle zone orientali (Isole Molucche e Nuova Guinea). Gli studi linguistici hanno appurato che le lingue austronesiane si propagarono da Taiwan prima nelle Filippine e quindi in Indonesia. Le ricerche genetiche in corso a Bali indicano una consistente presenza nella popolazione attuale delle linee del DNA austronesiano, ragione per la quale si ipotizza che i primi gruppi di colonizzatori fossero piuttosto numerosi. Tuttavia vi sono prove certe che la mescolanza genetica con le popolazioni preesistenti aumenta progressivamente spostandosi verso est, in direzione della Nuova Guinea: gli Austronesiani non penetrarono mai nell'entroterra di questa isola e dunque gli odierni abitanti delle regioni montuose della Nuova Guinea possiedono caratteri genetici e idiomi esclusivamente papuani.

I primi manufatti metallici comparvero intorno a 2200 anni fa, in una fase caratterizzata dall'inizio dei rapporti commerciali con l'India. I rinvenimenti di oggetti di bronzo e ferro, di ceramica importata dall'India (Rouletted Ware) a Giava e a Bali, di sepolture in giare e di ceramiche finemente decorate rappresentano chiari indicatori di una estesa rete di scambi che collegava l'Indonesia, la Malaysia orientale, le Filippine e la costa orientale dell'India. Scambi e commerci favorirono lo sviluppo demografico e un aumento della complessità delle società indonesiane, cui contribuì una crescita significativa della produttività agricola grazie all'impiego di utensili di ferro. Mentre è possibile ipotizzare influssi indiani in Indonesia occidentale, non si può dire lo stesso per le regioni dell'Indonesia orientale, in cui le locali religioni animiste perdurarono fino all'arrivo degli Europei. Rimane inoltre il fatto inconfutabile che in Indonesia non sono mai state adottate lingue alloctone (arabo o pracrito indiano) e che dal Neolitico la trasmissione di tratti culturali e genetici austronesiani è proseguita fino a oggi.

Bibliografia

H.R. van Heekeren, The Stone Age of Indonesia, The Hague 1972; P. van de Velde (ed.), Prehistoric Indonesia: a Reader, Dordrecht 1984; P. Bellwood, Southeast Asia before History, in N. Tarling (ed.), The Cambridge History of Southeast Asia, I, Cambridge 1992, pp. 55-136; Id., Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972; I. Glover - P. Bellwood (edd.), Southeast Asia. From Prehistory to History, London 2004.

Bali

di Peter Bellwood

Isola situata a est di Giava, nell'arcipelago della Sonda, sull'estremità sud-orientale della piattaforma continentale della Sonda.

A causa delle regressioni marine verificatesi nel corso delle fasi glaciali pleistoceniche, l'emersione della piattaforma della Sonda creò periodicamente un ponte di terra attraverso cui gruppi di Ominini provenienti dalla Malaysia raggiunsero Sumatra, Giava, B. e il Borneo orientale. Nonostante B. e Lombok fossero separate durante il Plio-Pleistocene da uno stretto di mare (Linea di Wallace) ampio almeno 15 km, i primi Ominini furono in grado di superarlo, forse su zattere, già 800.000 anni fa per raggiungere l'isola di Flores (Indonesia orientale). Sinora gli unici utensili di pietra forse databili al Pleistocene provengono dalle vicinanze di Sembiran, nel Nord dell'isola, dove strumenti su ciottolo, spessi raschiatoi e schegge di basalto sono stati ritrovati agli inizi degli anni Sessanta su una cresta vulcanica nell'interno dell'isola. Questa industria trova confronti in quella pacitaniana di Giava, che però è ritenuta un'industria tardopleistocenica e non del Pleistocene medio. Oltre ai ritrovamenti di Sembiran e alle poche asce neolitiche presenti nelle collezioni museali, la preistoria di B. è ancora per molti aspetti sconosciuta, in parte perché quest'isola vulcanica è stata soggetta a un'intensa attività di disboscamento e a fenomeni di erosione dei suoli che hanno verosimilmente sepolto sotto spessi depositi alluvionali gli antichi giacimenti. L'assenza di siti preistorici non inficia la possibilità di ricostruire alcuni aspetti della preistoria. Come il resto dell'Indonesia a ovest di Halmahera e di Timor, B. è oggi abitata da una popolazione di lingua austronesiana; è ragionevole supporre, sulla base delle conoscenze disponibili sulla preistoria austronesiana, che essa sia stata raggiunta tra 5000 e 3000 anni fa da comunità agricole, che probabilmente coltivavano riso, igname, taro, noce di cocco, frutti dell'albero del pane e banane, allevavano cani, maiali e galline e possedevano una cultura materiale di tipo neolitico, comprendente ceramica, asce di pietra levigata, abitazioni sopraelevate sostenute da pali e canoe a bilanciere. A B. non sono state trovate tracce dirette di questi agricoltori austronesiani (contrariamente alle vicine isole di Sulawesi e del Borneo), anche se gli ultimi studi genetici sul cromosoma Y dei lignaggi balinesi, trasmesso per via paterna (vale a dire senza la formazione di nuove combinazioni di geni), indicano che l'impatto genetico degli antichi Austronesiani a B. fu estremamente forte.

I dati aumentano considerevolmente tra 2500 anni fa e il periodo delle prime iscrizioni induiste (in antico giavanese e antico balinese) intorno alla fine del I millennio d.C. Il sito più importante di questa fase protostorica è ancora Sembiran, dove sono state aperte alcune trincee di scavo (1987-89) nella zona dei villaggi di Pacung e Julah. A Sembiran uno strato saturo d'acqua alla profondità di circa 3 m ha restituito migliaia di frammenti di ceramica locale con ingobbio rosso, decorata da incisioni o impressioni di spatola, insieme ad alcuni frammenti di ceramica indiana importata (Rouletted Ware), piuttosto comune nell'India orientale e a Sri Lanka tra il 200 a.C. e il 200 d.C., e a un frammento vascolare con un graffito di tre lettere in caratteri kharoṣṭhī o brāhmī, uno dei più antichi esempi di scrittura del Sud-Est asiatico. La ceramica indiana a Sembiran indica che il sito fu una stazione commerciale dove spezie, riso (coltivato localmente, come attestano fitoliti) e altri prodotti venivano raccolti per essere esportati in altre regioni del Sud-Est asiatico e in India. Oltre alla ceramica sono stati rinvenuti centinaia di perle di vetro, manufatti di ferro e bronzo e un frammento di stampo di pietra vulcanica per imprimere un disegno (file di triangoli) in un modello di cera destinato alla fusione di un tamburo di bronzo con il metodo della cera persa. È questa una prova diretta che tamburi di bronzo venivano fusi a B. 2000 anni fa, in una variante formale indonesiana rispetto all'originario tipo Dong Son, rappresentata dall'imponente tamburo (alt. 2 m) conservato nel tempio di Pejeng. A Gilimanuk, nella zona occidentale di B., sono state messe in luce sepolture (a inumazione e in urna) con corredi di ceramica simile al vasellame locale di Sembiran e databile allo stesso periodo. Nelle sepolture di Gilimanuk i corredi erano composti da asce di bronzo a immanicatura cava, una punta di lancia di ferro, una spada bimetallica (lama di ferro e immanicatura di bronzo), perle d'oro, vetro e corniola e lamine d'oro per la copertura degli occhi del defunto decorate a repoussé. Il deposito di Gilimanuk non ha restituito prodotti d'importazione indiana. Largamente attestati nelle pianure interne della regione meridionale di B. sono i sarcofagi litici con coperchio di tufo vulcanico, forse databili all'inizio o alla metà del I millennio d.C. Le casse e i coperchi di questi sarcofagi solitamente presentano protuberanze sui lati corti, spesso scolpite in forma di testa umana o di tartaruga. Se integri al momento del rinvenimento, tali sarcofagi contengono tracce di deposizioni in posizione flessa o distesa con corredi composti da perle di vetro e corniola, oggetti di ferro e una varietà di asce e ornamenti di bronzo.

Quando gli influssi indiani cominciarono a manifestarsi in modo chiaro a B., forse intorno al IX sec. d.C., gli Austronesiani dell'isola commerciavano con altre aree del Sud-Est asiatico e con l'India già da un millennio. La ricchezza dei materiali tardopreistorici suggerisce che l'élite balinese controllasse l'acquisizione e la produzione di simboli di status e fu probabilmente da questa élite che emersero, con titoli indianizzati, i re della prima età storica balinese. Ma le ricerche genetiche forniscono ulteriori dati: come gli antichi Austronesiani di 2000 anni prima, gli Indiani giunti a B., almeno gli individui di sesso maschile, lasciarono chiare tracce nel genotipo degli odierni maschi balinesi.

Bibliografia

R.P. Soejono, The Significance of Excavations at Gilimanuk (Bali), in R.B. Smith - W. Watson (edd.), Early South East Asia. Essays in Archaeology, History and Historical Geography, Oxford - New York 1979, pp. 185-98; I.W. Ardika - P. Bellwood, Sembiran. The Beginnings of Indian Contact with Bali, in Antiquity, 65 (1991), pp. 221-32; A. Hobart et al., The Peoples of Bali, London 1996.

Baturong, massiccio di

di Fiorella Rispoli

Massiccio calcareo della regione di Sabah (Borneo malese), in cui è stato rinvenuto un complesso di siti e ripari in grotta databili tra la fine del Pleistocene e l'inizio dell'Olocene.

Nel 1980 P. Bellwood iniziò le ricerche nell'area orientale di Sabah, dove vennero individuati numerosi siti in grotta, ripari e siti all'aperto inquadrabili nella cultura hoabinhiana. Il Massiccio di B. è circondato da una vasta area con uno spesso strato di detriti lacustri che evidenziano la presenza di un antico lago (Tingkayu) la cui data di formazione è indicata al 14C a 28.300±750 anni fa. L'evidenza di sedimenti lacustri molto erosi sembrerebbe documentare un lento prosciugamento del lago intorno a 18.000 anni fa. I siti a cielo aperto sono tutti posizionati sulla riva del paleolago e possono considerarsi contemporanei alla fase di massima espansione del lago, tra 28.000 e 18.000 anni fa. Il complesso di grotte e ripari si trova oggi in prossimità della costa ma, considerando la regressione marina del tardo Pleistocene, si può ritenere che all'epoca di occupazione i siti distassero dal mare circa 100-150 km. Nel riparo sotto roccia di Hagop Bilo, il sito più indagato, la sequenza si articola in fasi alterne di occupazione e abbandono tra 15.000 e 10.000 anni fa. Intorno al 10.000 a.C. Hagop Bilo venne abbandonato, come molti altri ripari e grotte del Massiccio di B.; probabilmente tra 12.000 e 10.000 anni fa gli abitanti si spostarono verso il Massiccio di Madai, allora più vicino alla linea di costa e quindi più adatto allo sfruttamento delle risorse marine. Sul Massiccio di Madai la sequenza culturale continua ininterrotta fino al 7000 a.C., fornendo importanti dati sullo strumentario litico e sullo sfruttamento delle risorse faunistiche dei vicini mangroveti e corsi d'acqua. Successivamente le grotte e i ripari nel Massiccio di Madai furono abbandonati per circa 4000 anni, per essere rioccupati in età neolitica; il Massiccio di B. rimase invece abbandonato fino alla prima età dei Metalli (prima metà I millennio d.C.), quando una nuova presenza umana è attestata da un particolare tipo di ceramica, caratterizzata da uno spesso ingobbio rosso lustrato che trova precisi confronti con la ceramica di Leang Buidane (Talaud) e di Kalanay (Masbate, Filippine), comprendente ciotole carenate, piatti su alto piede e bottiglie con intricati disegni geometrici incisi.

Bibliografia

W.G. Solheim II, Pottery and the Malayo-Polynesians, in CurrAnthr, 5 (1964), pp. 360-84, 400-403; Id., Two Pottery Traditions of Late Prehistoric Times in Southeast Asia, in F.S. Drake (ed.), Symposium on Historical, Archaeological and Linguistic Studies on Southern China, Southeast Asia and Hong Kong Region, Hong Kong 1967, pp. 15-22; T. Harrison - B. Harrison, The Prehistory of Sabah, Kota Kinabalu 1971; P. Bellwood, Archaeological Research in the Madai-Baturong Region, Sabah, in BIndoPacPrehistAss, 5 (1984), pp. 38-54; Id., Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, New York 1985, pp. 265-66, 268.

Borneo

di Peter Bellwood

Isola (725.500 km2) posta a cavallo dell'equatore, al centro del Sud-Est asiatico.

Durante il Pleistocene, nelle fasi di regressione marina, la piattaforma della Sonda si estendeva come un ponte di terra dalla Malaysia alle coste orientali del B. e di Bali; la prima presenza di Homo erectus nel B. si collocherebbe in una di queste fasi, probabilmente circa 2 milioni di anni fa. Le evidenze archeologiche del B. risalgono a non più di 45.000 anni fa e provengono dai depositi delle Grotte di Niah (Sarawak, Borneo malese); questa è a oggi l'unica datazione radiocarbonica accettata, ottenuta su un cranio di sapiens con tratti australoidi rinvenuto nei depositi profondi della caverna durante gli scavi del 1958. I livelli tardopleistocenici hanno restituito un'industria su scheggia e strumenti su ciottolo, insieme a strumenti d'osso e a ossa animali (maiali, porcospini e scimmie) e scheletri umani, rinvenuti in posizione seduta o flessa. Recenti ricerche nel complesso delle Grotte di Niah confermano un'occupazione intensiva del sito alla fine del Pleistocene, circa 12.000 anni fa, divenuta sporadica fino all'Olocene medio. Scavi recenti in altri siti hanno collocato i ritrovamenti di Niah in una prospettiva più ampia. La grotta di Kimanis (Kalimantan orientale) fu abitata contemporaneamente a quelle di Niah da gruppi simili di cacciatori-raccoglitori. Ricerche nella penisola di Mangkalihat hanno portato alla scoperta di oltre 500 impressioni lasciate da mani cosparse di ocra rossa sulle pareti di molte grotte, che in base all'analisi delle tracce di fissione dell'uranio sembrerebbero risalire alla fine del Pleistocene. Nella valle di Tingkayu (Sabah orientale) alcuni strumenti bifacciali di selce di ottima fattura sono stati rinvenuti sulle rive di un antico lago prosciugato; essi si possono datare intorno ai 20.000 anni fa, ma nessuno strumento simile è stato a oggi rinvenuto nel Borneo. Nelle vicinanze di Tingkayu, le caverne nei massicci di Baturong e Madai hanno restituito strumenti di selce più grossolani (non bifacciali) databili tra 18.000 e 8000 anni fa. Lo strumentario è simile a quello rinvenuto nelle Grotte di Niah e caratteristico di buona parte del Sud-Est asiatico insulare fino al Neolitico.

Circa 4000 anni fa, quando le comunità di agricoltori di lingua austronesiana penetrarono nell'isola provenienti dalle Filippine e dall'isola di Sulawesi, ebbero inizio rilevanti mutamenti. La preistoria austronesiana del B. è meglio conosciuta rispetto alle fasi più antiche, soprattutto perché i dati della linguistica comparativa integrano quelli archeologici. Gli odierni abitanti del B. parlano lingue della famiglia austronesiana, diffusasi da un originario nucleo nell'isola di Taiwan (fasi più antiche della preistoria austronesiana sono ravvisabili nel Sud della Cina) a partire da circa 5000 anni fa, includendo poi tutte le isole del Sud-Est asiatico. Gli Austronesiani introdussero una cultura materiale neolitica caratterizzata da asce di pietra levigata, ceramica, utensili di conchiglia e ornamenti; evidenze etnografiche e linguistiche sembrerebbero attestare che essi praticavano il tatuaggio, usavano arco e frecce, navigavano in canoe, probabilmente con bilancieri e vele, e possedevano cani domestici, maiali e polli e colture quali riso, tuberi (igname e taro), banana e noce di cocco.

Ritrovamenti neolitici databili tra 4000 e 2000 anni fa provengono da Madai e Bukit Tengkorak (Sabah) e dalle Grotte di Niah, Gua Sireh e Lubang Angin (Sarawak). Nei siti di Niah e a Lubang Angin le grotte erano utilizzate solo per la sepoltura dei defunti e la popolazione viveva generalmente al loro esterno, forse in insediamenti formati da longhouses, sebbene non siano state rinvenute evidenze dirette di queste strutture. A Lubang Angin i defunti erano avvolti in sudari di corteccia conciata e deposti in semplici fosse scavate nel pavimento della caverna, mentre nelle Grotte di Niah sono attestate, insieme a poche sepolture secondarie in grandi giare, numerose inumazioni in posizione distesa in sarcofagi di strisce di bambù cucite insieme. Associati alle sepolture come corredo funerario sono presenti vasi fittili con motivi incisi e riempiti di pigmento rosso o nero, la Ceramica a Tre Colori (Three-Colour Ware), e vasi a doppio versatoio; figurano inoltre asce di pietra, perline e braccialetti di conchiglia e ornamenti di osso. Le analisi effettuate sui resti ossei umani rinvenuti nella grotta di Lubang Angin sembrerebbero indicare che l'economia era basata sulla raccolta più che sulla coltivazione. A Gua Sireh (Sarawak occidentale), al contrario, la presenza di chicchi di riso nell'impasto ceramico e di fitoliti nei depositi attesta che l'uso di questo cereale risalirebbe a circa 4000 anni fa. Nella ceramica rinvenuta nella grotta di Kimanis e di Bukit Tengkorak (ca. 3500 anni fa) è invece presente pula di riso utilizzata come sgrassante, mentre a Madai i fitoliti rinvenuti nei sedimenti della grotta attestano la presenza di questo cereale intorno a 2000 anni fa. Tali dati costituiscono un'importante testimonianza dell'esistenza, tra 4000 e 2000 anni fa, di un'economia agricola. Nel riparo sotto roccia di Bukit Tengkorak, recenti scavi hanno portato alla luce ceramica a ingobbio rosso databile a circa 3000 anni fa, che trova precisi confronti con quella rinvenuta in numerosi siti nelle Filippine e nell'Indonesia orientale e, dato molto rilevante, con la ceramica Lapita prodotta dai primi colonizzatori austronesiani della Melanesia e della Polinesia occidentale. Questa ceramica è presente a Bukit Tengkorak associata a perline e bracciali di conchiglia, a un'industria di punte di trapano prodotte su lame prismatiche d'agata per la perforazione degli elementi di collana di conchiglia e a piccole schegge di ossidiana provenienti dal giacimento di Talasea, nel cuore della zona Lapita della Nuova Britannia, circa 3000 km a est. Gli abitanti di Bukit Tengkorak si cibavano essenzialmente di pesce ed erano una popolazione marittima molto mobile, con ogni probabilità legata ai primi colonizzatori austronesiani del Pacifico, dai quali discesero popolazioni moderne quali i Micronesiani, i Polinesiani e i Figini.

La metallurgia del bronzo e del ferro apparve a partire da 2000 anni fa, sebbene siano stati rinvenuti solo pochi esemplari di grandi tamburi di bronzo, con ogni probabilità fusi in Vietnam ed esportati in Indonesia meridionale intorno a 2000 anni fa. Siti come le grotte di Madai (Sabah) e Gua Sireh (Sarawak) attestano l'uso di semplici strumenti e armi di ferro e bronzo fusi localmente, insieme a collane di vetro e corniola. Le grotte di Madai, Baturong e Tapadong hanno restituito anche una grande quantità di ceramica fine del I millennio d.C., generalmente associata a sepolture in giare collocate sui pavimenti delle grotte: una tradizione comune ai vicini abitanti delle Filippine. Circa 2000 anni fa un altro importante mutamento iniziò a manifestarsi nelle regioni costiere del B.: il commercio con l'India. Sebbene siano presenti iscrizioni in sanscrito riferibili al re Mulawarman (Samarinda, Kalimantan orientale), datate al 400 d.C. circa, l'influenza indiana nel B. fu piuttosto effimera se comparata con quella nelle isole di Giava o Bali. Durante l'inizio e la metà del II millennio d.C. il B. entrò nel circuito commerciale che legava il Sud-Est asiatico insulare a quello continentale (Thailandia e Vietnam) e alla Cina. Il commercio di ceramiche invetriate e porcellane, principalmente concentrato negli insediamenti costieri di Kota Batu (Brunei) e intorno alla foce del fiume Santubong (Sarawak), fu con ogni probabilità determinato dall'espansione dei Malesi nel B. costiero, provenienti da Sumatra, forse già dalla fine del I millennio d.C.

Bibliografia

Chen Te-Kun, Archaeology in Sarawak, Cambridge 1969; T. Harrisson, The Prehistory of Borneo, in AsPersp, 13 (1970), pp. 17-46; Z. Majid, The West Mouth. Niah in the Prehistory of Southeast Asia, in Sarawak Museum Journal, 31 (1982), pp. 1-200; P. Bellwood, Archaeological Research in Southeastern Sabah, Kota Kinabalu 1988; P. Bellwood - P. Koon, Lapita Colonists Leave Boats Unburned!, in Antiquity, 240 (1989), pp. 613-22; P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972; Earl of Cranbrook, Northern Borneo Environments of the Past 40,000 Years: Archaeozoological Evidence, in Sarawak Museum Journal, 55 (2000), pp. 61-110; G. Barker et al., Prehistoric Foragers and Farmers in South-east Asia. Renewed Investigations at Niah Cave, Sarawak, in ProcPrehistSoc, 68 (2002), pp. 147-64.

Borobudur

di Timbul Haryono

Santuario buddhista (stūpa), probabilmente il più famoso monumento di Giava, situato nella pianura di Kedu, nella regione centrale dell'isola.

L'area dove esso sorge è particolarmente suggestiva, circondata da catene montuose e da vulcani: a nord-est e a nord-ovest Merapi, Merbabu, Sumbing e Sundoro, a sud i Monti Menoreh. Costruito sulla sommità di una collina, il B. si distingue dagli altri templi indonesiani poiché è privo di cella e di copertura e fu forse progettato come piramide a gradoni piuttosto che come stūpa. Il B. è il prodotto di un'arte buddhista legata a modelli culturali nativi, in cui gli elementi locali rivestono un ruolo centrale; per la sua costruzione vennero impiegati almeno 55.000 m3 di pietra; si contano 1460 rilievi con scene figurate che coprono circa 2500 m2, mentre 504 sono le statue raffiguranti il Buddha a grandezza naturale disposte nelle nicchie delle balaustre e negli stūpa traforati. Nel 1814 sir Thomas Stamford Raffles (vice-governatore di Giava dal 1811 al 1816) ebbe le prime notizie di imponenti resti di un monumento noto agli indigeni con il nome di Borro-Boedoor; egli incaricò H.C. Cornelius, ingegnere militare, di studiare le rovine, che vennero parzialmente riportate alla luce. Nel 1835 la maggior parte del tempio era visibile e tra il 1849 e il 1853 F.C. Wilsen e G. Schonberg Müller vi effettuarono estese ricognizioni. Fu solo tra il 1907 e il 1911 che Th. van Erp effettuò il primo vero restauro, ripulendo la piattaforma e il cortile che circondava la via processionale (pradakṣiṇā), mentre un secondo e definitivo restauro fu condotto (1974-83) dal governo indonesiano sotto l'egida dell'UNESCO.

Il tempio consiste in una piramide tronca a gradoni, costituita da cinque piani o terrazze quadrate circondate da balaustre; queste sono separate dalla parete principale formando gallerie. Il culmine architettonico dell'edificio è rappresentato da tre terrazze circolari; su di esse sono gli stūpa a campana, disposti in circoli di 32, 24 e 16 elementi ciascuno; una quarta base circolare sostiene uno stūpa più grande, che costituisce la corona del monumento. È ignoto il motivo per cui il basamento ‒ sul quale sono scolpiti 160 rilievi con scene che illustrano il Karmavibbhaṅgga ("Legge del Karma") ‒ venne poi interrato, ma con ogni probabilità ciò avvenne per evitare il crollo dell'edificio. L'ipotesi che il tempio possa datarsi intorno all'800 d.C. venne suggerita da J.G. de Casparis sulla base dell'idea che il nome di B. potesse derivare dal santuario Bhumisambhara, edificato nel luogo d'origine della dinastia Sailendra, la cui fondazione è attestata da un'iscrizione dell'842 d.C., ove si legge kamulan i bhūmisambhara. Il nome completo del monumento doveva essere Bhumisambharabhudhara, la "Montagna dell'accumulazione della virtù nei (dieci) stadi di un Bodhisattva". Così sambhara-bhūdhara corrisponderebbe a bara-buḍur. Se l'interpretazione di de Casparis è corretta, nell'842 d.C. il santuario era dunque già stato costruito. È inoltre interessante notare che sulla fondazione originale, coperta da più di 11.600 m3 di pietre che formano un'ampia via processionale, erano scolpite numerose brevi iscrizioni databili in base a criteri paleografici all'800 d.C., che costituirebbero quindi una conferma della cronologia ipotizzata.

Bibliografia

J.G. de Casparis, Prasasti Indonesia I: Inscripties uit de Cailendra-tijd, Bandung 1950; W.F. Stutterheim, Chandi Borobudur Name, Form and Meaning, The Hague 1956; A.J. Bernet Kempers, Borobudur. A Mistery in Stone, Ann Arbor 1974; J. Miksic, Borobudur. Golden Tales of the Buddhas, Jakarta 1990; R. Soekmono - J.G. de Casparis - J. Dumarçay, Borobudur: Prayer in Stone, London 1990; M.J. Klokke, Indonesian Art, in Art of Southeast Asia, New York 1998, pp. 333-69; P. Grasbky, The Lost Temple of Java, London 1999; M.J. Klokke, The Mysteries of Borobudur, Singapore 1999.

Buni, complesso culturale di

di Edwards E. McKinnon

Complesso culturale della Sonda nord-occidentale (Giava occidentale), caratterizzato da resti di siti abitativi collegati a rinvenimenti di tombe neolitiche e della prima età dei Metalli, di strumenti di metallo e grani di pietra e vetro importati.

Molti insediamenti sembrano essere sorti su bassi isolotti, probabilmente in ambiente palustre di estuario. Inizialmente furono individuati tre gruppi di siti, il primo dei quali, vicino a B., a sud del fiume Citarum, diede nome al complesso. Il secondo gruppo è localizzato intorno a Kobakkendal, il terzo a Cibango, vicino alla foce del Cilamaya. I tre gruppi avrebbero avuto origine nel Neolitico, con una continuità d'occupazione fino alla prima età dei Metalli. Più recentemente un quarto importante gruppo di insediamenti, localizzato a Batujaya, nel basso bacino del Citarum, ha fornito evidenze culturali simili, insieme a dati che testimoniano la presenza di influssi megalitici e di un'antica influenza Hindu. Lo strumento litico dominante associato al Complesso di B. è un'ascia rettangolare (beliung), di cui esistono tre varianti. Sono stati rinvenuti anche asce e bracciali di pietre semipreziose (calcedonio e diaspro) che venivano prodotti nelle aree interne di Giava. Numerosi sono i reperti ceramici recuperati nel corso di lavori agricoli, mentre scarso è il materiale proveniente da scavi scientifici. A Cibuaya sono presenti tracce di un edificio, con ogni probabilità religioso, di cui restano solo le fondazioni di mattoni, molto disturbate, con tracce di stucco, e dove sono state rinvenute due piccole immagini di Vishnu in pietra nera scistosa e il frammento di una terza. Su una fondazione rettangolare di mattoni è stato inoltre rinvenuto un liṅgam. Tali ritrovamenti suggerirebbero legami con la cultura Dvaravati della Penisola Thailandese.

Il Complesso di B. è di grande importanza in quanto nella sua area, per la prima volta in Indonesia, sono emersi dati relativi a contatti commerciali con l'India, che consistono nella presenza di ceramica importata del tipo Rouletted Ware simile a quella dell'India orientale (rinvenuta ad Arikamedu) e dello Sri Lanka, datata tra il II sec. a.C. e la fine del I sec. d.C. Una conferma proviene da recenti dati raccolti in scavi scientifici condotti a Sembiran (costa settentrionale di Bali), dove è attestata ceramica indiana importata dello stesso tipo rinvenuto a B. La bassa costa della Sonda nord-orientale è ricca di estuari e strategicamente situata lungo l'antica Via delle Spezie che dalle Isole Molucche riforniva Bali, Giava e Sumatra. I contatti con il Sud-Est asiatico continentale e la Cina da un lato e Sri Lanka, l'India, il Medio Oriente e il Mediterraneo dall'altro si inserirono probabilmente in una rete di rapporti già esistenti fra Giava, le Isole delle Spezie (Molucche), Sumatra e la regione del Kalimantan (che fornivano oro), stimolando lo sviluppo della regione come nodo centrale di scambio.

La ceramica locale, incisa con impressioni a spatola, è caratterizzata da grossolani recipienti da cottura marrone o grigio, coperchi, piatti o coppe poco profonde e da poche bottiglie ad alto collo, a impasto più fine. Coppe su piedistallo compaiono soprattutto nelle aree di Benkasi e Rengasdengklok, dove la ceramica sembrerebbe anche di migliore fattura. La maggior parte di questa produzione è databile alla prima età dei Metalli, ma scarse sono le analisi e le datazioni scientifiche. Frammenti di ceramica Rouletted Ware sono stati identificati anche a Desa Sumberiaya, nel sottodistretto di Batujaya, in un contesto associato a strutture megalitiche e strutture, non ancora datate, di mattoni, alcune con influenze buddhiste. Nei siti con Rouletted Ware dell'India meridionale e dello Sri Lanka è stata rinvenuta anche ceramica d'uso decorata con motivi impressi a spatola intagliata, che ricordano quelli del vasellame locale sia di B. sia di Gilimanuk a Bali. Oltre a vasi di terracotta, nei siti del Complesso di B. sono stati rinvenuti numerosi pesi da rete di ceramica (una parte dei quali decorata con motivi a lisca di pesce e a rete) e resti di fauna marina, conchiglie e ossa animali. Dal Complesso di B. sono noti anche tre tipi di asce di bronzo, classificati a seconda della forma, del profilo dei margini e del tipo di immanicatura; inoltre, frammenti di matrici bivalvi di ceramica (per la fusione di asce) sono stati rinvenuti a Batujaya. Sebbene i dati siano scarsi, le scoperte preliminari a Batujaya suggeriscono che alla fase neolitica di B. seguì direttamente la fase protostorica antica con metallo a Batujaya e Cibuaya. Lo sviluppo della ricerca in questa regione, e in particolare nell'area di Batujaya, potrà contribuire a colmare le lacune riguardanti la preistoria di Giava e gli influssi indiani che determinarono lo sviluppo dei regni centro-giavanesi e giavanesi orientali.

Bibliografia

I.M. Sutayasa, Notes of the Buni Pottery Complex, Northwest Java, in Mankind, 8 (1972), pp. 182-84; Id., The Study of Prehistoric Pottery in Indonesia, in Nusantara, 4 (1973), pp. 67-82; M.J. Walker - S. Santoso, Romano-Indian Rouletted Pottery in Indonesia, in AsPersp, 20, 2 (1977), pp. 228-35; I.W. Ardika - P. Bellwood, Sembiran: the Beginnings of Indian Contact with Bali, in Antiquity, 65 (1991), pp. 221-32; P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972.

Cabenge

di Ian C. Glover

Regione situata nella porzione sud-occidentale dell'isola di Sulawesi.

Nel 1947 H.R. van Heekeren vi rinvenne, sulle rive del Walanae, strumenti litici su scheggia associati a fauna fossile composta da tartarughe giganti, elefanti nani (Archidiskodon) e un maiale selvatico autoctono (Celebochoeros); egli ritenne che la fauna e gli utensili litici fossero contemporanei e dimostrassero la presenza di Homo erectus, insieme a Mammiferi arcaici di provenienza asiatica, durante il Pleistocene medio. Tale affermazione aveva un certo peso per l'archeologia del Pleistocene, poiché la regione di C. è situata nella porzione orientale della Linea di Wallace, che rappresenta il confine biogeografico tra i Mammiferi placentali asiatici e i Marsupiali dell'Australasia. Ricerche successive condotte da G.J. Bartstra e S. Sartono hanno rilevato che i reperti faunistici erano stati trasportati dall'acqua da più antichi depositi, probabilmente databili al Miocene, e non erano contemporanei agli utensili litici rinvenuti negli strati di ghiaia del Pleistocene superiore. La maggior parte degli utensili è tanto levigata da far ritenere che non tutti siano stati modificati dall'uomo, tuttavia nella zona di C. è possibile individuare tre diversi gruppi di industria litica. Il gruppo più antico, verosimilmente contemporaneo ai giacimenti di ghiaia di 75 m e 50 m, è databile tra 60.000 e 45.000 anni fa e fornisce le prove dell'espansione di Homo sapiens in Melanesia e Australia; il secondo gruppo trova confronti con gli utensili del tardo Pleistocene superiore rinvenuti nella grotta 2 di Leang Burung, risalenti a circa 30.000-20.000 anni fa, mentre l'ultimo, rinvenuto vicino al fiume Walanae, appartiene alla diffusa industria postpleistocenica toaliana della regione sud-occidentale dell'isola di Sulawesi.

Bibliografia

H.R. van Heekeren, Early Man and Fossil Vertebrates on the Island of Celebes, in Nature, 163, 4143 (1949), p. 492; D.A. Hooijer, The Pleistocene Vertebrate Fauna of Celebes, in AsPersp, 2, 2 (1958), pp. 71-76; G.J. Bartstra, Note on New Data Concerning the Fossil Vertebrates and Stone Tools in the Walanae Valley in South Sulawesi, in ModQuatResSouthAs, 4 (1978), pp. 71-72; R.P. Soejono, New Data on the Palaeolithic Industry in Indonesia, in 1er Congrès International de Paléontologie Humaine (Nice, 16-21 Octobre 1982), Nice 1982, pp. 78-92; G.J. Bartstra et al., Notes on Fossil Vertebrate and Stone Tools from Sulawesi, Indonesia, in Palaeohistoria, 33-34 (1991-92), pp. 1-18.

Celebes

v. Sulawesi

Giava

di Peter Bellwood

Isola che si estende per circa 1000 km tra 6° e 9° Lat. S; ha clima tropicale con una stagione asciutta la cui durata aumenta spostandosi verso est. La dorsale dell'isola è formata da una catena di vulcani attivi che danno origine a suoli estremamente fertili grazie ai quali G. possiede oggi una densità di popolazione tra le più alte del mondo.

Periodo pleistocenico

G. possiede il repertorio più ricco di resti di Homo erectus dell'Asia Sud-Orientale, dalla dispersione iniziale dall'Africa fino al termine del Pleistocene, meno di 50.000 anni fa, quando gruppi di sapiens sarebbero subentrati ai discendenti delle originarie pitecantropine vissute in uno stato di parziale isolamento. La documentazione disponibile include fossili umani, strumenti litici e le ossa di paleofaune presumibilmente cacciate da questi gruppi. La maggior parte dei fossili di erectus, circa 80 frammenti craniali e craniali/mandibolari, proviene dai depositi del Pleistocene inferiore e medio esposti nell'anticlinale di Sangiran, nel bacino superiore del fiume Solo (G. centrale). Altri importanti fossili sono stati scoperti a Trinil e a Perning, vicino Mojokerto, rispettivamente al centro e a est di G.; alcuni frammenti di cranio attribuiti a forme tarde di Homo erectus, datati alla fine del Pleistocene medio e al Pleistocene superiore, provengono da Ngandong, Sambungmacan e Ngawi nella valle del fiume Solo. Sangiran consiste in una formazione anticlinale di depositi plio-pleistocenici esposta dall'attività vulcanica e successivamente tagliata ed erosa dal fiume Cemoro, affluente del Solo. L'area ha la forma di un cratere (8 × 4 km ca.), alla base del quale vi sono sedimenti pliocenici d'estuario cui si sovrappongono formazioni terrestri pleistoceniche quali quelle di Sangiran e Bapang. La Formazione di Sangiran (spess. 160 m ca.) è formata principalmente da argille nere lacustri alternate a fasi trasgressive marine d'estuario. I livelli superiori contengono i più antichi fossili di Homo rinvenuti a Sangiran. Alla Formazione di Sangiran si sovrappongono i depositi alluvionali di Bapang, con un conglomerato calcareo e un letto ricco di frammenti ossei noto con il nome di Grenzbank; i depositi di Bapang (spess. 60 m) hanno restituito la maggior parte dei fossili di Sangiran. Le ipotesi correnti, basate su datazioni all'argon radioattivo dei tufi vulcanici, collocano i fossili più antichi (ad es., l'Uomo di Giava) tra 1,8 e 1 milioni di anni; tra questi vi sono la maggioranza dei resti di Sangiran e quelli provenienti da Trinil e da Mojokerto. Le serie di Ngandong, Ngawi e Sambungmacan (ad es., l'Uomo di Solo) sono più recenti, ma le datazioni sono tuttora oggetto di contestazioni.

La serie giavanese di erectus attesta un processo evolutivo durato più di 1 milione di anni. All'apice della scala evolutiva si pone Sangiran 4, rappresentato dalla parte posteriore della calotta cranica e dalla porzione inferiore della mascella di un individuo con una capacità cranica di circa 900 cm3 e una dentatura di ragguardevoli dimensioni, in particolar modo per quanto riguarda i canini. Nel complesso i resti fossili presentano capacità craniche relativamente ridotte e caratteri scheletrici molto arcaici. I fossili della Formazione di Bapang documentano una popolazione meno robusta rispetto agli esemplari più antichi di Sangiran, nonostante si rilevi ancora un alto grado di dimorfismo sessuale. La capacità cranica media aumentò molto lentamente durante il percorso evolutivo di Homo erectus; ugualmente, minime sono state le variazioni nella morfologia complessiva fino alla comparsa nel tardo Pleistocene di Homo sapiens caratterizzato da un'alta volta cranica. Considerati insieme, gli esemplari rinvenuti nelle formazioni di Sangiran e Bapang hanno fronti meno aggettanti dei corrispettivi africani e la loro capacità cranica oscilla tra 813 e 1059 cm3. I rinvenimenti più recenti di Homo erectus della valle del Solo, 11 crani (tutti privi della regione facciale) e 2 tibie da Ngandong cui si collegano i reperti craniali isolati di Sambungmacan e di Ngawi, hanno una capacità cranica media di 1150 cm3. La datazione dei reperti della valle del Solo comporta notevoli difficoltà: i crani di Ngandong, rinvenuti mescolati a ossa di animali in un deposito originariamente costituito da un banco di sabbie, potrebbero provenire da un deposito più antico e sarebbero stati trasportati, forse dall'azione del fiume, in una formazione più recente contenente le ossa animali. In base alle datazioni mediante le tracce di fissione dell'uranio e per risonanza di spin elettronico, alcuni resti faunistici risalirebbero a non oltre 50.000 anni fa, forse addirittura a 38.000 anni fa. Sarebbe quindi lecito aspettarsi età molto più antiche per i crani, il cui livello di fossilizzazione parrebbe effettivamente superiore a quello rilevato sulle ossa animali. La datazione dei rinvenimenti del fiume Solo è di cruciale importanza in quanto, se i crani fossero molto più recenti di 100.000 anni fa, l'arcaicità dei loro caratteri porterebbe a concludere che essi possano essere rappresentativi di una linea laterale estinta dell'evoluzione umana. Qualora fosse attribuita loro un'età di 300.000 anni, come indicato dalle datazioni precedenti, si potrebbe sostenere l'ipotesi di un processo evolutivo in loco che avrebbe dato origine a Homo sapiens (sebbene alla luce dei più recenti dati genetici tale ipotesi sia altamente improbabile).

Rispetto ad altre regioni, a G. si dispone di minori dati sui tratti culturali di Homo erectus; tuttavia è stata recentemente rinvenuta un'industria litica caratterizzata da strumenti di andesite su schegge e su ciottoli piuttosto grossolani (percussori e sferoidi del tipo bola) negli antichi depositi di Bapang a Ngebung, nei livelli immediatamente superiori al Grenzbank, la cui età potrebbe risalire fino a 1 milione di anni fa. Industrie litiche molto più recenti sarebbero state scoperte a Sambungmacan e negli strati basali della caverna di Song Terus, vicino a Punung, associati in questo caso a ossa animali datate mediante le tracce di fissione dell'uranio a quasi 200.000 anni fa. Nessuno di questi antichi repertori mostra la minima variazione stilistica: in gran parte dei casi essi costituiscono probabilmente il prodotto di scheggiature grossolane tramite percussori e della frantumazione di nuclei allo scopo di ottenere spigoli taglienti. Un complesso litico ascrivibile forse ai gruppi più recenti di Homo erectus è il Pacitaniano, rinvenuto nel letto del fiume Baksoko, nei pressi di Pacitan (G. centro-meridionale). L'industria comprende soprattutto strumenti su ciottolo (choppers/chopping-tools), la maggioranza dei quali è stata rinvenuta in giacitura secondaria negli alvei degli odierni fiumi, dove essi potrebbero essersi smussati e mescolati con manufatti più recenti. I materiali utilizzati per gli strumenti del Pacitaniano sono tufo silicizzato, calcare silicizzato e legno fossile; i manufatti mostrano considerevoli affinità con le accette a mano bifacciali dell'Acheuleano africano e dell'Asia occidentale. Il terrazzo di Ngandong ha restituito anche piccoli raschiatoi di pietra, schegge di calcedonio, ossa e corni lavorati, questi ultimi con ogni probabilità provenienti da depositi di superficie. In conclusione, estremamente scarse sono le informazioni sullo strumentario litico attribuito a Homo erectus di G.

Per quanto riguarda l'economia di sussistenza dei gruppi pleistocenici, i dati pollinici indicano predominanza di una copertura forestale aperta, in particolar modo durante le fasi glaciali più secche. Tale vegetazione avrebbe sostentato una biomassa di grandi Mammiferi, di molto superiore a quella che era in grado di accogliere una foresta pluviale, in cui gran parte degli animali tendono a essere arboricoli. Non sorprende quindi che le ossa delle faune rinvenute nei depositi di tipo Sangiran e Bapang, a Sangiran e a Trinil appartengano principalmente a esemplari di grande taglia come stegodonti, elefanti, Bovidi, Cervidi, Suidi, ippopotami, tigri, pantere e orsi. È presumibile che grandi Mammiferi placentali siano penetrati a più riprese nell'isola attraverso i ponti di terra che collegavano le placche emerse della piattaforma continentale della Sonda all'Asia continentale. I dati archeologici sul Pleistocene di G. attestano dunque un lunghissimo periodo di presenza di Homo erectus, i cui tratti suggeriscono un alto livello di endemicità, processi evolutivi estremamente lenti e una condizione di relativo isolamento fino al sopraggiungere di gruppi anatomicamente moderni (Homo sapiens), forse intorno a 50.000 anni fa. G. non ha restituito fossili in grado di datare il popolamento dell'isola a opera dei gruppi di sapiens, ma sulla base dei rinvenimenti in Australia e nei depositi delle Grotte di Niah (Borneo) tale evento risalirebbe a 50.000 anni fa o poco prima.

Bibliografia

G. Curtis et al., Java Man, London 2001; R. Larick et al., Early Pleistocene 40Ar/39Ar ages for Bapang Formation Hominins, in ProcAmNatAcSc, 98 (2001), pp. 4866-871; T. Simanjuntak et al. (edd.), Sangiran. Man, Culture and Environment in Prehistoric Times, Jakarta 2001; F. Semah A.-M. Semah - T. Simanjuntak, More than a Million Years of Human Occupation in Insular Southeast Asia, in J. Mercader (ed.), Under the Canopy, New Brunswick 2003, pp. 161-90.

Periodo postpleistocenico

di Peter Bellwood

Sulla base dei resti scheletrici, alcuni dei quali provengono da siti in grotta del tardo Pleistocene e dell'Olocene iniziale (pre-Austronesiani) nel centro di G., i primi uomini anatomicamente moderni appartenevano ai gruppi da cui discesero gli attuali aborigeni dell'Australia e i Melanesiani; essi si insediarono nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico occidentale a partire da circa 40.000 anni fa e i loro resti sono stati recuperati in grotte delle Filippine (Tabon), del Borneo (Niah) e in particolare in Australia. Gli strumentari litici sono generalmente costituiti da strumenti su ciottolo e piccole schegge, talvolta ritoccate, come attestano rinvenimenti nelle grotte del centro di G. quali Song Keplek, Gua Braholo e Gua Lawa. A partire da circa 6000 anni fa comparvero a G. nuovi tipi di strumenti quali piccole punte e lame a dorso di ossidiana rinvenuti in siti nei dintorni di Bandung, ma non si è ancora in grado di stabilire se la loro presenza sia riferibile all'arrivo di nuovi gruppi. Tale industria "microlitica" di età olocenica presenta affinità con la coeva industria toaliana del Sud di Sulawesi; analogamente, strumenti affini compaiono in Australia nel corso dell'Olocene.

Le radici biologiche e culturali dell'odierna popolazione di G. sono da rintracciare in una fase, il cui inizio si data tra 4000-3000 anni fa, segnata dall'arrivo da nord di comunità di agricoltori. I Giavanesi odierni conservano tracce genetiche degli antichi gruppi di cacciatori-raccoglitori, anche se sono maggiori le affinità biologiche con altre popolazioni moderne del Sud-Est asiatico, tra cui Malesi e Filippini; inoltre i Giavanesi parlano lingue della famiglia austronesiana (tra cui sundanese, giavanese e madurese), la più diffusa nel mondo prima dell'epoca coloniale, la cui predominanza nel Sud-Est asiatico insulare e in gran parte del Pacifico è da collegare con l'espansione in queste regioni, in fasi neolitiche, di comunità agricole che adottarono questa lingua. I primi Austronesiani stabilitisi a G. trovarono un ambiente favorevole alla coltivazione, soprattutto del riso; non si dispone ancora di una dettagliata sequenza neolitica, in parte a causa del considerevole spessore dei depositi alluvionali che hanno seppellito i siti di pianura, specialmente nel Nord. Le sequenze archeologiche divengono più chiare da circa 2000 anni fa con l'introduzione delle tecniche di fusione del bronzo e del ferro, in concomitanza forse con l'introduzione degli imponenti tamburi di bronzo di origine vietnamita (Dong Son). Tali tamburi, la cui superficie era decorata da complesse riproduzioni di imbarcazioni, abitazioni sopraelevate, animali, uccelli e guerrieri, attestano l'esistenza nel Sud-Est asiatico di una rete di contatti e commerci che in breve tempo avrebbe attirato l'attenzione della civiltà indiana a ovest e di quella cinese a nord-est. Complessi funerari di rilievo dell'età iniziale dei Metalli, rappresentati spesso da sepolture in grandi giare fittili o da inumazioni distese, sono stati riportati alla luce ad Anyar (G. occidentale) e Plawangan (G. centro-settentrionale). A Kradenanrejo (G. centro-settentrionale) due tamburi sovrapposti e collocati all'interno di una fossa contenevano una sepoltura secondaria accompagnata da perle di vetro, corniola e oro, una collana di oro, vasi e ornamenti di bronzo, utensili di ferro e ceramica. Il tamburo superiore apparteneva al tipo Dong Son, quello inferiore (oggi andato perso) al tipo Pejeng prodotto a G. e a Bali nel I millennio d.C.

Ceramica indiana del I-II sec. d.C., in particolare Rouletted Ware del tipo rinvenuto ad Arikamedu (India), è stata recuperata in altri siti della porzione nord-occidentale di G. (Complesso di Buni) e del Nord di Bali (Sembiran), attestando una rete commerciale ormai consolidata con l'India. Nei secoli successivi i contatti commerciali avrebbero dato luogo a un fenomeno di localizzazione di alcuni tratti della cultura indiana, riconoscibili anche nella costruzione, dopo il 700 d.C., di monumenti come i templi dell'altopiano di Dieng, il Borobudur e i templi di Prambanan; i caratteri della civiltà indiana e della successiva cultura islamica non sarebbero tuttavia riusciti a penetrare profondamente nel substrato austronesiano su cui tuttora si fonda la società indonesiana.

Bibliografia

P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972 ; J. Miksic, The Classical Cultures of Indonesia, in I. Glover - P. Bellwood (edd.), Southeast Asia. From Prehistory to History, Oxford 2004, pp. 234-56.

Età storica

di Pierre-Yves Manguin

Durante il breve periodo di dominazione britannica in Indonesia, sir Thomas Stamford Raffles e J. Crawfurd si erano già interessati ai monumenti religiosi del periodo "classico" o "indo-giavanese" (o "indianizzato"), di cui proposero le prime interpretazioni; ebbero così esordio gli studi di archeologia storica (orientati essenzialmente allo studio dei monumenti, dei rilievi ornamentali, della statuaria e delle iscrizioni) a tutt'oggi prevalenti nelle ricerche sull'area. Il periodo protostorico, di cui non sono noti monumenti religiosi, è stato per tale ragione sostanzialmente ignorato dalle ricerche, sebbene proprio al II-III sec. a.C. si datino siti e porti connessi con il commercio marittimo trans-asiatico recentemente identificati nel Sud-Est asiatico continentale. Tali siti sono il prodotto di società complesse, organizzate in chiefdoms o forse già in protostati, la cui genesi fu favorita dalla crescita del commercio marittimo tra il Mar Cinese Meridionale e l'Oceano Indiano. Alcune entità protostatali costiere (come, ad es., il Complesso di Buni o il sito di Sembiran a Bali) sembrano avere sfruttato e controllato la Via delle Spezie (Molucche); il commercio era prevalentemente orientato verso il Vietnam settentrionale e l'India, come attestano i numerosi manufatti di bronzo della cultura vietnamita Dong Son e le ceramiche indiane d'importazione.

Fu dunque solo dopo molti secoli di espansione commerciale e contatti con il Subcontinente indiano che iniziarono a comparire nel Sud-Est asiatico insulare siti in cui sono attestati per la prima volta tratti culturali importati dall'India (scrittura, architettura, religione e forme di organizzazione sociopolitica). Un gruppo di iscrizioni in sanscrito è stato scoperto all'inizio del Novecento nei pressi di Bogor, nella baia di Giacarta (Jakarta); esse sono paleograficamente ascrivibili al V sec. d.C. e menzionano uno Stato, Tarumanagara, e il suo sovrano Purnavarman. Prospezioni più recenti hanno mostrato che nei dintorni di Giacarta sono presenti molti siti "indianizzati" (tra cui soprattutto Cibuaya e Batujaya), con costruzioni di mattoni; benché essi non siano stati scavati, alcuni potrebbero essere datati al V-VII sec. d.C. Concentrazioni di ceramiche cinesi importate del IX-XV secolo indicano un'occupazione ininterrotta di questa pianura costiera, probabilmente sotto l'egida del regno indianizzato di Pajajaran, noto da fonti letterarie. L'unico sito sistematicamente scavato di questo periodo è il complesso palaziale di Banten Girang, a ovest di Giacarta. Circa 12 km verso l'interno sono state individuate vestigia di un sito urbanizzato databile tra il X e il XVI sec. d.C., capitale politica di uno Stato il cui porto doveva sorgere nella baia di Banten. Dal Complesso di Buni (fine I millennio a.C. - inizi I millennio d.C.) fino agli ultimi siti indianizzati del XVI secolo, l'Occidente giavanese presenta dunque oltre 15 secoli di storia ininterrotta, sebbene non ancora approfonditamente analizzata in ragione della rarità e della dispersione degli scavi.

Le porzioni centrale e orientale della pianura costiera hanno conosciuto un numero ancor minore di ricerche: alcune concentrazioni di ceramiche cinesi rinvenute nel corso di prospezioni di superficie lasciano ipotizzare la presenza di centri urbani o portuali, la cui esistenza è peraltro attestata dalle fonti cinesi. Più avanzato è lo studio dei siti con architettura religiosa: lo Stato di Mataram (VII-X sec. d.C.) ha lasciato nella pianura di G. centrale un numero considerevole di templi e iscrizioni. Gli apporti indiani, per quanto numerosi, appaiono tuttavia di tipo sostanzialmente formale; le tecniche di costruzione sono prevalentemente locali. I più antichi monumenti religiosi di pietra di G. centrale sono situati sull'altopiano di Dieng e a Gedong Songo e databili alla fine del VII sec. d.C.: si tratta di edifici di piccole dimensioni, consacrati al culto Hindu, a pianta quadrata e con una cella preceduta da un portico. Dalla prima metà dell'VIII sec. d.C. le strutture edificate dalla dinastia buddhista Sailendra (come il Candi Cangal) attestano grande perizia tecnica nella costruzione in pietra: il più importante monumento costruito in questo stile, il Candi Sewu, è stato oggetto recentemente di un restauro (anastilosi) a opera di archeologi indonesiani. Il grande monumento conosciuto come Borobudur, costruito dai Sailendra, occupa un posto centrale tra gli antichi monumenti giavanesi non solo per la sua importanza culturale, ma anche perché vi è stata effettuata una parte considerevole degli studi, concentrati soprattutto sul suo significato attraverso l'analisi dei rilievi e il raffronto tra questi e i testi buddhisti, ma anche sull'interpretazione della sua struttura, quella di un gigantesco stūpa che non possiede eguali neppure in India. Un progetto architettonico del tutto diverso è quello del gruppo di monumenti conosciuto come Candi Prambanan, costruito durante il regno della dinastia Hindu dei Sanjaya e dedicato al culto della triade Hindu Shiva, Brahma e Vishnu. La torre centrale, la più alta, è consacrata a Shiva, principale divinità dei culti praticati a G. Questo importante complesso è solo uno dei numerosi templi shivaiti costruiti dai Sanjaya, i quali documentano una progressiva riconquista dell'isola di G. da parte dell'induismo, pur perdurando la costruzione di templi buddhisti nel loro territorio (il Candi Plaosan risale all'830-840). Tra le più importanti ricerche condotte da archeologi indonesiani occorre segnalare lo scavo del Candi Sambisari, tempio shivaita (inizi IX sec. d.C.) completamente ricoperto dalle ceneri di una eruzione vulcanica: la sua pianta, costituita da un santuario principale di fronte al quale sorgono tre templi secondari più piccoli compresi entro una stessa cinta, è con qualche variante, tra le più diffuse a G. centrale.

Alla fine del X sec. d.C. il centro del potere politico giavanese venne trasferito nella parte orientale dell'isola, in rapporto più stretto con i siti del commercio marittimo dell'estuario del Brantas. I regni di Kediri e Singasari continuarono a innalzare numerosi templi induisti, ma le iscrizioni iniziarono a dare sempre maggiore spazio alle attività mercantili: purtroppo a oggi le città e i porti di questo periodo non sono stati scavati. Al momento della riunificazione operata dallo Stato di Majapahit (XIV-XVI sec. d.C.), la capitale venne stabilita a Trowulan, la sola città giavanese di quest'epoca a essere stata oggetto di ricerche intensive. Numerosi scavi di siti monumentali e, più recentemente, prospezioni sistematiche hanno messo in evidenza un complesso urbano di grande estensione, con un'appropriazione dello spazio che va di pari passo con l'apparire di un tipo di Stato più centralizzato: templi, bacini e complessi palaziali si organizzano secondo una pianta geometrica e sono circondati da siti abitativi e campi per la coltivazione del riso.

Bibliografia

N.J. Krom, Hindoe-Javaansche Geschiedenis, s'-Gravenhage 1931; J.G. de Casparis, Prasasti Indonesia, I. Inscripties van de Cailendra-tijd, Bandung 1950; J. Dumarçay, Histoire architecturale du Borobudur, Paris 1977; M.J. Walker - S. Santoso, Romano-Indian Rouletted Pottery in Indonesia, in Mankind, 11 (1977), pp. 39-45; R. Soekmono, The Archaeology of Central Java before 800 A.D., in R.B. Smith - W. Watson (edd.), Early South East Asia. Essays in Archaeology, History and Historical Geography, Oxford - New York 1979, pp. 457-72; J. Dumarçay, Candi Sewu et l'architecture bouddhique du centre de Java, Paris, 1981; H. Kulke, The Early and the Imperial Kingdom in Southeast Asian History, in D.G. Marr - A.C. Milner (edd.), Southeast Asia in the 9th to 14th Centuries, Singapore 1986, pp. 1-22; J. Dumarçay et al., Histoire de l'architecture à Java, Paris 1993; C. Guillot - Lukman Nurhakim - Sonny Wibisono, Banten avant l'Islam. Étude archéologique de Banten Girang (Java-Indonésie), 932?-1526, Paris 1994.

Gua sireh

di Peter Bellwood

Sito in grotta ubicato circa 55 km a sud-est di Kuching, nel Sarawak occidentale (Borneo malese).

La grotta si apre a circa 60 m di altezza su un lato piuttosto scosceso del massiccio carsico di Gunung Nambi, fiancheggiato da terreni pianeggianti alluvionali utilizzati oggi per la coltivazione del riso. La grotta ha un'importanza particolare proprio per i rinvenimenti di resti di riso datati al III millennio a.C., i più antichi messi in luce nella zona equatoriale del Sud-Est asiatico. I primi scavi vi furono effettuati nel 1959 da T. Harrison e W.G. Solheim II; successive indagini furono intraprese da Z. Majid nel 1977 e nel 1989 da I. Datan e P. Bellwood. Durante gli scavi del 1989 furono indagate due aree localizzate all'imboccatura e all'interno della grotta, dove i depositi raggiungono una profondità di 1,5 m sullo strato roccioso. Furono inoltre rese note otto datazioni radiocarboniche e la sequenza culturale, che si estende per un periodo di oltre 20.000 anni, venne suddivisa in tre fasi. Durante la fase 1, iniziata almeno 20.000 anni fa (nel periodo tardoglaciale, epoca in cui G.S. si trovava a circa 500 km di distanza dalla costa), la grotta venne frequentata sporadicamente da gruppi che raccoglievano molluschi d'acqua dolce, cacciavano animali di piccola taglia e utilizzavano strumenti di pietra scheggiata non particolarmente elaborati. Importanti mutamenti avvennero nella fase 2 (ca. 4500 anni fa): gli strumenti scheggiati scomparvero, forse sostituiti da manufatti levigati che però non sono stati rinvenuti, e apparve una ceramica con impressioni di spatola e impasti contenenti chicchi di riso, uno dei quali è stato datato per spettrometria con acceleratore di massa a circa 4300 anni fa. Si tratta di un'altra importante scoperta, avvalorata dalle date al 14C ottenute dallo stesso strato e, più recentemente, dai numerosi rinvenimenti di pula di riso in depositi coevi. Gli strati superiori (fase 3) sono caratterizzati dalla presenza di perle di vetro e frammenti di manufatti di bronzo e ferro, databili agli ultimi 2000 anni. Da tali strati provengono frammenti di ceramiche con impressioni a spatola che riproducono articolate sintassi decorative a motivi curvilinei e geometrici, di un tipo noto per essere stato esportato in molte aree dai Malesi e da altri mercanti tra la fine del I millennio e gli inizi del II millennio d.C. (ceramica Tanjung Kubor). Anche negli impasti di alcune di queste ceramiche più tarde si trova pula di riso. Le pareti interne della grotta, infine, presentano interessanti figure disegnate con il carbone, a tutt'oggi non datate. Le pitture murali (alt. 10-150 cm) rappresentano figure umane di grandi dimensioni con attributi zoomorfi e gruppi di figure più piccole nell'atto di cacciare, pescare e danzare; effigi antropomorfe simili sono state scoperte nelle grotte di Kelantan (Penisola Malese).

Bibliografia

I. Datan, Archaeological Excavations at Gua Sireh (Serian) and Lubang Angin (Gunung Mulu National Park), Sarawak, Malaysia, Kuching 1993.

Hagop bilo

di Peter Bellwood

Riparo sotto roccia localizzato nel territorio orientale di Sabah (Borneo malese), in cui sono state rinvenute evidenze datate dalla fine del Pleistocene all'età dei Metalli.

H.B. si apre nel Massiccio di Baturong, intorno al quale si sono depositati sedimenti umidi provenienti dal letto di un paleolago, formatosi intorno a 28.000 anni fa, sull'antico corso del Tingkayu. Il prosciugamento del lago, terminato 18.000 anni fa, ha esposto depositi che oggi sono drenati dal fiume Binuang. Durante il periodo in cui il Lago Tingkayu era colmo d'acqua, il Massiccio di Baturong formava un'isola carsica scoscesa e i ripari che si aprivano lungo la base meridionale erano inondati dall'acqua. Ai sedimenti basali umidi e culturalmente sterili di H.B. si sovrappongono nell'alluvium depositi antropici caratterizzati da chiocciolai datati tra 18.000 e 12.000 anni fa. In realtà queste datazioni, ottenute da gusci di molluschi d'acqua dolce, potrebbero essere eccessivamente antiche a causa della contaminazione del calcare; è comunque certo che il riparo fu frequentato con continuità alla fine del Pleistocene, così come è stato rilevato nelle Grotte di Niah (Sarawak) e in quella di Kimanis (Kalimantan). Il chiocciolaio di H.B. è costituito principalmente da gusci di tre specie di Gasteropodi lacustri, mentre tra le faune cacciate compaiono suini selvatici, cervi sambar, varietà di tragulo, istrici, scimmie, ratti, serpenti, tartarughe, varani e uccelli. Lo strumentario di questo periodo è rappresentato da un'industria di selce su ciottolo e scheggia piuttosto comune nell'area indo-malese, comprendente nuclei con piattaforma di percussione singola e multipla, schegge con tracce d'uso e utensili tipo raschiatoi-grattatoi. Il sito ha restituito anche una grande spatola di osso e frammenti di ocra rossa con tracce di abrasione. H.B. fu abbandonato nell'Olocene iniziale e occupato nuovamente durante l'età dei Metalli, in fasi posteriori a circa 2000 anni fa. La ceramica di questo periodo ricorda quella rinvenuta a Madai: fiasche di fattura raffinata, con alto collo e ingobbio rosso, simili ai coevi esemplari di insediamenti indonesiani. Ciò lascerebbe presumere l'esistenza di una rete particolarmente estesa di contatti tra le isole del Sud-Est asiatico nei secoli iniziali del commercio delle spezie.

Bibliografia

P. Bellwood, Archaeological Research in Southeastern Sabah, Kota Kinabalu 1988.

Halmahera

di Peter Bellwood

Isola vulcanica delle Molucche settentrionali che, con le sue più piccole isole-satellite, occupa un'importante posizione di ponte terrestre tra le isole orientali del Sud-Est asiatico (Sulawesi, Filippine) e l'Oceania (Nuova Guinea). È probabile quindi che i più antichi movimenti di popolazioni provenienti dal Sud-Est asiatico e dirette in Oceania abbiano attraversato proprio questa regione.

H. non fu mai collegata ad altre terre emerse e i primi coloni ‒ provenienti forse dalla Nuova Guinea o da Sulawesi, passando per Sula e Obi ‒ poterono raggiungerla solo via mare, su zattere o canoe. L'isola ha clima equatoriale ed è coperta da una fitta foresta pluviale; per questo motivo quasi tutti gli insediamenti si trovano lungo la costa. Fauna e flora sono comparabili con quelle della Nuova Guinea (Irian Jaya), mentre tra i Mammiferi autoctoni dell'isola vanno citati pipistrelli, Roditori e piccoli Marsupiali arboricoli o terrestri. H. e le isole circostanti (Morotai, Gebe, Kayoa) sono state oggetto di ricerche (1991-96) da parte di studiosi australiani e indonesiani, che hanno cercato di colmare alcune lacune, quali la datazione e l'origine dell'occupazione iniziale pleistocenica e dei più antichi complessi ceramici (successivi a 4000 anni fa) e la natura dei rapporti fra le due popolazioni che oggi occupano la regione: Austronesiani affini ai gruppi indonesiani e filippini al Sud, popoli che parlano lingue Papua provenienti da Irian Jaya al Nord. Le due popolazioni non presentano apprezzabili differenze fisiche ma sono nettamente distinte da un punto di vista linguistico, nonostante la notevole quantità di influssi reciproci.

L'occupazione pleistocenica (oltre 30.000 anni fa) è documentata nella grotta di Golo (isola di Gebe), in cui sono stati rinvenuti semplici strumenti litici scheggiati e conchiglie marine carbonizzate. Intorno a 12.000 anni fa iniziarono a essere realizzate asce di conchiglia (Tridacna o Hippopus) tipologicamente molto simili a quelle rinvenute nelle Isole dell'Ammiragliato a nord di Papua Nuova Guinea. La prima presenza umana sull'isola di Morotai sembrerebbe invece datarsi intorno a 14.000 anni fa, documentata dalle evidenze rinvenute presso il riparo roccioso di Daeo 2 (lamine di pietra, ocra, punte d'osso, malacofauna, ossa di pesci e roditori). Anche se la regione fu raggiunta dai primi gruppi prima di 30.000 anni fa, non si è ancora in grado di sostenere che a quell'epoca tutte le isole fossero davvero colonizzate. Circa 3500 anni fa un nuovo complesso comparve presso il riparo roccioso di Uattamdi (isola di Kayoa, zona sud-orientale della regione); esso costituirebbe una prova certa dell'arrivo di popolazioni di lingua austronesiana dalle Filippine e da Sulawesi con la loro peculiare cultura materiale: vasellame a ingobbio rosso (Red-Slipped Ware) del tipo diffuso a quell'epoca nell'Indonesia orientale, nelle Filippine e in Oceania occidentale (cultura Lapita), asce e scalpelli di pietra levigata, perle e bracciali di conchiglia, maiali e cani domestici (prima del tutto assenti nella regione). A oggi la caratteristica Red-Slipped Ware è stata rinvenuta solo a Kayoa; in altre parti della regione la fase preceramica si sarebbe invece protratta fino a circa 2000 anni fa. Intorno a quella data, nei contesti fino ad allora aceramici delle regioni di lingua Papua della parte nord di H., a Morotai, Gebe e nel resto dell'isola maggiore, fece la sua comparsa vasellame inciso del tipo riferibile alla prima età dei Metalli dell'Indonesia. Nello stesso periodo molti gruppi di lingua Papua, la cui economia era stata caratterizzata dalla raccolta del grano selvatico, adottarono l'agricoltura irrigua; sulla base delle evidenze costituite dai prestiti linguistici, è probabile che essi abbiano instaurato contatti regolari con commercianti di lingua austronesiana in cerca di chiodi di garofano e altre spezie da rivendere presso i centri commerciali di Giava e Bali da cui, poi, queste merci procedevano alla volta dell'Occidente. In un periodo successivo a 2000 anni fa, nella regione di H. giunsero anche bronzo e ferro, perle di vetro e più tardi monete cinesi forse databili alla dinastia Song (960-1279 d.C.).

Quando i Portoghesi giunsero nelle Molucche, agli inizi del XVI secolo, la regione era controllata da due sultanati musulmani con sede nelle vicine isole vulcaniche di Ternate e Tidore, a occidente di H. I raja di questi sultanati erano impegnati in un'aspra competizione per il controllo delle regioni circostanti: a occidente fino a Sulawesi, a oriente fino a Irian Jaya. Non sono state condotte ricerche sistematiche in grado di chiarire le origini di questi regni; nella regione sono presenti anche molte roccaforti portoghesi, spagnole e olandesi parzialmente conservate, che meriterebbero approfondite indagini.

Bibliografia

P. Bellwood, The Archaeology of Papuan and Austronesian Prehistory in the Northern Moluccas, Indonesia, in R. Blench - M. Spriggs (edd.), Archaeology and Language, II, London 1998, pp. 128-40; P. Bellwood et al., 35,000 Years of Prehistory in the Northern, in G.J. Bartstra (ed.), Bird's Head Approaches, Rotterdam 1998, pp. 233-75; T. Flannery et al., Mammals from Holocene Archaeological Deposits on Gebe and Morotai Islands, Northern Moluccas, Indonesia, in Australian Mammalogy, 20, 3 (1998), pp. 391-400.

Kota batu

di Peter Bellwood

Sito ("Forte di pietra") ubicato nel Brunei Darussalam (Borneo nord-occidentale), lungo una ripida scarpata che fiancheggia il fiume Brunei, circa 8 km a monte rispetto al suo sbocco nella baia di Brunei.

K.B. ha restituito molte ceramiche cinesi dell'epoca delle dinastie Song e Ming, insieme a vasellame Sawankhalok della Thailandia, che hanno consentito di datarne l'occupazione tra il 1000 e il 1600 d.C. Si ritiene che il sito sia stato la sede del palazzo del sultano e del kampong air (villaggio fluviale con case di legno su palafitte) adiacente che venne visitato nel 1521 da Antonio Pigafetta, dopo la morte di Ferdinando Magellano nelle Filippine. Secondo il racconto di Pigafetta, i visitatori spagnoli vennero condotti al palazzo e accolti in una sala d'ingresso adorna di tendaggi di seta e confinante con un'altra sala dove erano schierati 300 soldati a guardia del sultano; quest'ultimo sedeva, isolato, in una terza sala con la sua famiglia. Il palazzo descritto da Pigafetta non è stato però ancora identificato. Nel XVI secolo il Brunei era un piccolo Stato governato da una élite di lingua malese e religione islamica, il cui potere derivava dal commercio e dalla riscossione di tributi corrisposti dalle popolazioni costiere e fluviali del Borneo settentrionale e delle Filippine meridionali. Il potere dello Stato iniziò a collassare dopo la fine del XVI secolo, a causa dei conflitti sorti con le potenze europee installate nella regione, soprattutto gli Spagnoli nelle Filippine e, nel corso del XIX secolo, gli Inglesi nella confinante regione del Sarawak. È probabile che intorno al X-XIII secolo esistesse un regno pre-musulmano, ubicato forse nella baia del Brunei: infatti nel 1225 il funzionario portuale Chau Ju-kua, inviato nel Borneo dalla dinastia cinese Song, descrive una città cinta da mura, P'o-ni, con 10.000 abitanti e retta da un re riccamente vestito e adorno di monili d'oro, che possedeva un esercito di 500 uomini e una flotta di 100 navi. Alcuni studiosi tendono a identificare P'o-ni con il Brunei, ma senza l'ausilio di scavi sistematici è difficile confermare con certezza questa ipotesi. K.B. non è stato oggetto di scavi estensivi, ma vi sono stati identificati pochi resti di strutture architettoniche e una strada lastricata che connette la costa a una piccola isola ubicata a largo nelle piane paludose. Gli scavi (1953) condotti da T. Harrison hanno portato alla luce resti di fondamenta di pietra e centinaia di manufatti, tra cui monete islamiche e cinesi, perle di vetro e braccialetti, oggetti metallici, ceramica d'importazione, terraglie locali e molti oggetti di legno, fornendo dati di eccezionale importanza per la storia dei commerci nel Sud-Est asiatico fra il 1000 e il 1600 d.C.

Bibliografia

J.C. van Leur, Indonesian Trade and Society, Essay in Asian Social and Economic History, The Hague 1955; K.G. Tregonning, Under Chartered Company Rule, North Borneo 1881-1946, Singapore 1958; M.A.P. Meilink-Roelofsz, Asian Trade and European Influence in the Indonesian Archipelago between 1500 and about 1630, The Hague 1962.

Kota kapur

di Wilhelm G. Solheim II

Sito pre-Shrivijaya ubicato a Bangka, un'isola di fronte alla costa orientale di Sumatra.

Segnalato per la prima volta nel 1892, durante le prime indagini vi furono rinvenute due iscrizioni datate al 686 d.C. e una piccola immagine di Vishnu. Agli inizi degli anni Novanta del XX secolo il Museo Archeologico Nazionale dell'Indonesia e l'École Française d'Extrème-Orient diedero inizio a un progetto di ricerca congiunto sulle problematiche legate al periodo di Shrivijaya e nel 1994 furono organizzati due progetti di scavo sull'isola di Bangka. Qui venne scoperto un piccolo tempio in pietra (5,6 m2) e furono rinvenute due immagini di Vishnu, una delle quali molto simile a quella recuperata a Takuapa (Thailandia peninsulare). Nei pressi dell'antica linea costiera vennero localizzati due antichi insediamenti parzialmente circondati da un muro di terra (motta). Le indagini preliminari dimostrarono che il sito presso cui sorgeva il tempio e uno dei due insediamenti erano contemporanei e risalivano a un periodo antecedente di almeno un secolo la fondazione di Shrivijaya nella zona interna di Sumatra. Con il procedere delle analisi e sulla base di datazioni al 14C i siti sono stati datati alla fine del VI secolo: il tempio sarebbe dunque il più antico a oggi scoperto nel Sud-Est asiatico insulare e l'iscrizione di K.K. attesterebbe la presa di possesso del sito da parte di una nuova entità politica pre-Shrivijaya a Palembang. I depositi originari che forse costituivano le fondamenta del tempio vennero distrutti quando al centro del sito fu scavata una grande fossa, probabilmente verso la fine del XII o gli inizi del XIII secolo. Nella fossa venne effettuato un insolito rinvenimento: alla profondità di 2,5 m furono recuperate 60 ciotole Song accatastate in gruppi di 12, poggianti su altrettante cataste di padelle cinesi di ferro a base arrotondata; non vennero rinvenute ossa che avrebbero consentito di associare i reperti a un sito funerario.

Nell'isola in cui è ubicato il sito sono presenti estesi depositi di stagno e resti di antiche miniere da cui veniva estratto questo metallo. La terza campagna di scavi (1996), i cui risultati non sono stati pubblicati, ha preso in esame il rapporto esistente fra i siti scoperti e lo sfruttamento minerario dello stagno.

Bibliografia

P.-Y. Manguin, Palembang and Sriwijaya. An Early Malay Harbour-City Rediscovered, in Journal of the Malaysian Branch of the Royal Asiatic Society, 66, 1 (1993), pp. 23-46; L.P. Koestoro - M.P. Soeroso - P.-Y. Manguin, An Ancient Site Reascertained. The 1994 Campaigns at Kota Kapur (Bangka, South Sumatra), in P.-Y. Manguin (ed.), SAA 1994, pp. 61-81; N. Dalsheimeir - P.-Y. Manguin, Visnus mitres et réseaux marchands en Asie du Sud-Est: nouvelles données archeologiques sur le 1er millénaire ap. J.C., in BEFEO, 85 (1998), pp. 87-123.

Leang buidane

v. Talaud, Isole

LEANG BURUNG, Grotte di

v. Sulawesi

Madai, massiccio di

di Peter Bellwood

Massiccio carsico situato nell'Est di Sabah (Borneo malese) in cui si aprono grotte con tracce di frequentazione umana datate a partire dall'Olocene iniziale.

Le indagini condotte nella regione (1980-87) hanno individuato una serie di grotte con livelli antropizzati risalenti forse fino a 18.000 anni fa. Le due grotte più importanti si trovano nei massicci carsici di M. e di Baturong attraversati da un reticolo di gallerie che, nei casi in cui trovano uno sbocco in superficie, offrono buone condizioni di abitabilità. La maggiore delle grotte di M. è Agop Atas, sopra la quale si apre una caverna più piccola, Agop Sarapad; entrambe furono occupate intensivamente da gruppi di cacciatori durante l'Olocene iniziale (10.000-7000 anni fa). Ad Agop Atas i livelli culturali dell'Olocene iniziale si trovano in un deposito di guano molto acido che ha permesso la conservazione solo di strumenti litici e carboni, mentre i resti faunistici sono andati distrutti. Migliori condizioni di conservazione caratterizzano Agop Sarapad, dove un chiocciolaio di notevoli dimensioni accumulato contro la parete della grotta ha creato un ambiente alcalino in grado di preservare in discreto stato i resti faunistici. Nelle due grotte non sono stati rinvenuti altri materiali organici a causa dell'alto tasso di umidità. Nei livelli antropizzati di Agop Sarapad è stata recuperata un'industria litica simile a quella di Hagop Bilo, con migliaia di strumenti di selce ottenuti da ciottoli raccolti nei corsi d'acqua vicini. Predominanti sono gli strumenti su ciottolo, grandi utensili a ritocco erto, nuclei con piattaforma di percussione multipla o singola (o a "zoccolo di cavallo") e schegge con tracce d'uso, molte delle quali con bordi lustrati. Sono state ritrovate grandi incudini o macine con tracce d'uso, alcune ricoperte con ocra rossa. Comuni sono anche i percussori, utilizzati sia per il trattamento di alimenti sia per la lavorazione degli strumenti litici e dell'ocra sulle incudini. I resti alimentari includono numerose conchiglie appartenenti a molluschi degli ambienti estuarini di mangrovie; lo spettro delle faune cacciate comprende anche animali di grande taglia (oranghi, bovini e rinoceronti). Resti ossei di rinoceronte e tigre di Giava sono stati identificati ad Agop Sarapad e costituiscono le uniche testimonianze certe della presenza di questi animali in contesti preistorici del Borneo. A partire da 7000 anni fa le due grotte vennero abbandonate per circa 4000 anni. L'occupazione successiva è caratterizzata dalla comparsa di tratti culturali del tutto nuovi. Ad Agop Atas è stato rinvenuto un sottile strato di età neolitica contenente vasellame a ingobbio rosso datato intorno all'800 a.C., cui si sovrappongono livelli dell'età iniziale dei Metalli datati al 14C tra gli inizi e la metà del I millennio d.C. In quell'epoca il piano di calpestio della grotta era pavimentato con piattaforme di travi di legno di cui si conservano ancora numerosi buchi di alloggiamento; sono stati inoltre identificati fitoliti di riso. Il repertorio vascolare mostra sostanziali affinità, in quanto a forme, orli, decorazioni incise, impresse con spatole o con cordicelle e ingobbiatura rossa brunita, con le ceramiche dei coevi insediamenti del Sud delle Filippine e delle Isole Talaud. Tra gli altri oggetti presenti ad Agop Atas vi sono frammenti di rame o bronzo, una punta di lancia con codolo, un piccolo coltello di ferro e alcune perle di corniola.

Bibliografia

P. Bellwood, Archaeological Research in Southeastern Sabah, Kota Kinabalu 1988.

MELOLO, Campo di urne di

v. Sumba

MOLUCCHE, Arcipelago delle

v. Halmahera

Niah, grotte di

di Tim Reynolds

Complesso di grotte calcaree ubicate nel Massiccio di Niah-Subis, localizzato a circa 24 km dalla costa settentrionale del Sarawak (Borneo malese, 3° 49' 0'' Lat. N, 113° 46' 4'' Long. E).

Il sito è localizzato all'interno di un Parco Nazionale nei pressi dell'insediamento di Batu Niah. Il pavimento della grotta principale (Great Cave) ha un'estensione di 10 ha e il tetto alto 75 m. Vi è una sola entrata principale (West Mouth), sul lato ovest, mentre una serie di ingressi più piccoli si trova sui lati orientale e meridionale. Le grotte vennero indagate per la prima volta intorno al 1880 da A.R. Wallace; non vi furono comunque rinvenuti materiali antichi e fu solo nel 1954 che vennero avviate indagini sotto la direzione di T. Harrisson, che condusse campagne di ricerca tra il 1954 e il 1962, proseguendole fino al 1967. Scavi estensivi vennero realizzati nella West Mouth e in altri ingressi più piccoli (Lobang Tulang, Lobang Angus e Gan Kira), oltre che in un'altra grotta nella vicina rupe calcarea. Nella West Mouth fu rinvenuto un cranio umano (noto come Hell) datato al 14C a 40.000 anni fa. Nei livelli superiori Harrisson identificò una successione di materiali datati fino all'epoca odierna. Si ritenne che il sito documentasse un'occupazione ininterrotta, con una cultura di caccia-raccolta che aveva elaborato uno strumentario litico gradualmente più complesso. Nei livelli superiori a queste evidenze venne identificata una necropoli neolitica con varie centinaia di sepolture appartenenti a tipologie diverse (inumazioni, sepolture in giara, cremazioni); gli altri ingressi presentavano materiali simili, ma sequenze meno complesse e risalenti generalmente a epoche più tarde. Le ricerche non furono interamente pubblicate e un recente progetto ha riesaminato alcuni di quei ritrovamenti. È stato confermato che l'antichità del cranio di Hell rimonta a circa 40.000 anni fa; le ossa animali associate e lo strumentario litico attestano inoltre che il sito non fu occupato intensivamente e continuativamente, ma ebbe frequentazioni sporadiche di piccoli gruppi umani che vi praticavano attività di caccia e raccolta, ma risiedevano per la maggior parte del tempo in altri luoghi. Una frequentazione intensiva della grotta per scopi funerari ebbe inizio solo nel Neolitico.

Bibliografia

T. Harrisson, The Great Cave of Niah. A Preliminary Report on Bornean Prehistory, in Man, 57 (1957), pp. 161-66; Id., The Prehistory of Borneo, in AsPersp, 13 (1970), pp. 17-45; G. Barker et al., Prehistoric Foragers and Farmers in Southeast Asia. Renewed Investigations at Niah Cave, Sarawak, in ProcPrehistSoc, 68 (2002), pp. 147-64.

Prambanan

di Pierre-Yves Manguin

Complesso di templi ubicato nel villaggio eponimo, nella fertile pianura di Giava centrale, circa 20 km a est di Yogyakarta.

Il complesso di templi di pietra è stato restaurato a partire dal 1918 e soltanto i piccoli santuari annessi sono ancora da ricostruire. Consacrato nell'856 d.C., è il più imponente dei santuari edificati durante lo Stato di Mataram a partire dall'anno 830, sotto la dinastia giavanese Hindu dei Sanjaya; esso è organizzato su tre livelli, delimitati da altrettanti muri di cinta. Il livello intermedio raggruppa 224 piccoli santuari, i cui ingressi sono orientati in direzione dei punti cardinali; solo i santuari ubicati negli angoli hanno due porte. Al centro del livello superiore sono ubicati tre templi dedicati rispettivamente a Brahma, Vishnu e Shiva (il più grande è alto 40 m); dinanzi a essi ve ne sono altri tre più piccoli, che probabilmente ospitavano le statue dei tre veicoli appartenenti alle divinità principali del Pantheon brahmanico: Garuda, Hamsa e Nandin (l'unico conservatosi). A nord e a sud del gruppo principale furono edificati due santuari annessi che ripropongono su scala ridotta le caratteristiche architettoniche dei santuari principali. Su questa terrazza centrale sono ubicati i nove piccoli edifici che ospitano le pietre con cui sono contrassegnati gli allineamenti del complesso dei templi. Il complesso di questi santuari, simmetricamente organizzati, doveva verosimilmente costituire una rappresentazione del regno, sotto forma di maṇḍala. Il santuario principale ha pianta cruciforme e ospita nella camera principale aperta a est una statua di Shiva, alta 3 m, probabilmente scolpita nelle sembianze del sovrano giavanese; vi sono altre tre sale che ospitano le statue di Durga, Agastya e Ganesha, affacciandosi rispettivamente verso nord, sud e ovest. Imponenti kālamakara, circondati da rilievi che rappresentano diverse divinità, inquadrano le quattro porte d'entrata. Gli altri santuari hanno anch'essi pianta cruciforme, ma un'unica sala.

Bibliografia

A.J. Bernet Kempers, Ancient Indonesian Art, Amsterdam 1959; J. Dumarçay, The Temples of Java, Singapore 1986; J. Dumarçay et al., Histoire de l'architecture de Java, Paris 1993.

Shrivijaya (srivijaya)

di Pierre-Yves Manguin

Sulle coste di Giava e di Sumatra si svilupparono tra il IV e il VII sec. d.C. numerosi piccoli Stati portuali, favoriti da un contesto economico favorevole agli scambi marittimi. I mercanti giavanesi e malesi, eredi di una già lunga tradizione marittima, partecipavano attivamente a questi commerci, imponendo sui mercati del Vecchio Mondo i prodotti tipici dell'ecosistema tropicale e i minerali di cui quelle terre erano particolarmente ricche: oro, stagno, spezie, legno pregiato e canfora.

Nella zona meridionale di Sumatra sono state rinvenute evidenze di numerose entità politiche costiere, che attestano già dal IV secolo contatti commerciali con il "regno di Funan" e l'India, prima ancora dell'adozione di religioni indiane; nella vicina isola di Bangka, il sito fortificato di Kota Kapur (fine VI sec.) ha confermato la presenza di un piccolo santuario vishnuista. Dopo il 670 il potere nella regione dello stretto di Malacca era concentrato nelle mani di un solo Stato, definito da fonti cinesi Shilifoshih (trascrizione dal sanscrito di Śrīvijaya) e descritto come uno dei principali protagonisti delle reti commerciali e mercantili dell'Asia orientale; esso svolse inoltre un ruolo importante nella diffusione del buddhismo. I religiosi cinesi, in viaggio verso l'India, si fermavano per molti anni nella capitale dello Stato per impararvi il sanscrito necessario per la lettura delle scritture sacre.

La maggior parte delle iscrizioni di Sh., redatte intorno al 680, come pure quasi tutti i rinvenimenti di statuaria buddhista e brahmanica, provengono dalla città di Palembang, ubicata nel punto centrale del grande bacino del fiume Musi, nella zona meridionale di Sumatra; questi rinvenimenti avevano portato a ipotizzare che proprio in quest'area andasse ricercata l'origine dello Stato di Sh. e della sua capitale. Tuttavia anche in altri siti di Sumatra e della Penisola Malese e in Thailandia sono state rinvenute rare iscrizioni, monumenti e statuaria collegabili a Sh. Fu solo negli anni Ottanta e Novanta del Novecento che ricerche approfondite avrebbero confermato il ruolo centrale di Palembang. Le recenti scoperte lungo il fiume di insediamenti su palafitte di legno, di siti per la produzione di perle e di siti commerciali e religiosi attestano la presenza a Palembang di un centro di attività produttiva e commerciale la cui densità si può spiegare soltanto con la presenza di una grande città mercantile, sede di un solido potere politico ed economico. Dall'inizio del IX secolo i siti si moltiplicarono nell'area di Palembang, nel Sud di Sumatra e nella Penisola Malese, attestando un notevole aumento del volume degli scambi marittimi: in tutti sono state infatti rinvenute quantità impressionanti di ceramica locale e di ceramiche cinesi importate. Approfittando dell'espansione degli scambi in Asia, Sh. raggiunse il culmine della sua prosperità; il suo sovrano, che aveva il titolo di mahārāja, era riconosciuto da Baghdad alla Cina come uno dei maggiori poteri economici della regione ed esercitava la sua sfera d'influenza economica e politica sino alla Penisola Malese, alla zona occidentale di Giava e a una parte di Borneo, controllando un'area cruciale per gli scambi commerciali.

Il buddhismo è documentato a Sh. insieme al culto shivaita, attestato da recenti scavi che hanno portato alla luce, a monte di Palembang, un complesso di una dozzina di santuari la cui prima fase architettonica risale al X sec. d.C. Gli scavi hanno individuato numerosi altri santuari ubicati lungo gli affluenti del Musi, sempre a monte di Palembang; essi attestano che Sh. esercitava il controllo sul bacino fluviale del Musi, produttore delle resine e dell'oro molto ricercati a occidente (India) come a oriente (Cina). Questa prosperità attrasse l'avidità dei principali partners economici: nell'XI secolo le flotte dei Chola dell'India meridionale organizzarono incursioni nello stretto di Malacca, mentre la Cina, unificata sotto la dinastia Song, costruì le prime flotte mercantili e si lanciò alla conquista delle reti commerciali del Mar Cinese Meridionale. In questa stessa epoca sono attestati conflitti anche con Giava, certamente connessi con il controllo della rotta delle spezie dalle Molucche; i colpi inflitti da questo concorrente sono testimoniati nei siti di Palembang da un drastico calo del volume degli scambi durante l'XI secolo. Verso la fine di questo secolo la capitale di Sh. fu trasferita a Jambi, punto nodale sul bacino fluviale del Batang Hari, ubicato più a nord. La comparsa di un nuovo centro di potere, noto sotto il nome di Malayu, è attestata nell'architettura del XII e XIII secolo, fortemente influenzata dai regni di Giava orientale. Il vastissimo complesso di templi di Muara Jambi attesta il mantenimento di un buon livello di attività economiche fino al XIII secolo; fu durante tale secolo che alcuni Stati della Penisola Malese, tradizionalmente nella sfera d'influenza di Sh., conquistarono una relativa autonomia. A Sumatra il centro politico si spostò gradualmente nel XIV secolo verso l'area di Minangkabau, senza che a oggi si possa spiegare la causa di questo processo; il nome di Sh. scomparve dalle fonti storiche, anche se la sua eredità sarebbe stata rivendicata nel XV secolo dai sovrani della città mercantile di Malacca.

Bibliografia

G. Coedès - L.-Ch. Damais, Sriwijaya. History, Religion and Language of an Early Malay Polity, Kuala Lumpur 1992; H. Kulke, Kadatuan Srivijaya'. Empire or Kraton of Srivijaya? A Reassessment of the Epigraphical Evidence, in BEFEO, 80 (1993), pp. 159-81; P.-Y. Manguin, Palembang and Sriwijaya. An Early Malay Harbour-City Rediscovered, in Journal of the Malaysian Branch of the Royal Asiatic Society, 66, 1 (1993), pp. 23-46.

Sulawesi (celebes)

di David Bulbeck

Isola, una delle quattro Grandi Isole della Sonda, ubicata tra il Borneo a ovest e le Molucche a est.

Caratteristica per la sua forma con un corpo centrale dal quale si dipartono quattro penisole ‒ due a sud, una a est, e l'altra a nord ‒, grazie alla sua lunga linea costiera, alle abbondanti risorse marine e alla fiorente tradizione marittima, S. è stata e continua a essere un crocevia e un importante centro regionale dell'Indonesia. Durante l'era terziaria la parte occidentale dell'isola era unita al Borneo, in seguito subì movimenti di deriva verso est. Quando nel corso del Pleistocene i mari si ritirarono, l'uomo fu in grado di giungere via terra fino al Borneo orientale, ma non poté attraversare lo stretto che separava quest'isola da S. fin quando non si sviluppò la tecnologia della navigazione. Gli archeologi avevano inizialmente ipotizzato che gli utensili litici su scheggia riportati alla luce presso Cabenge, a sud-ovest, fossero contemporanei ai fossili di Mammiferi del Pleistocene inferiore rinvenuti nello stesso sistema di terrazzamenti; recenti ricerche hanno invece negato la presenza di una possibile relazione stratigrafica e individuato tre fasi successive, caratterizzate da tre differenti tipologie di industria litica databili tra 60.000 e 7000 anni fa. Il principale gruppo di ripari in grotta, situato nella zona di Leang-Leang, ha rivelato un'ininterrotta continuità culturale protrattasi per 30.000 anni nelle grotte di Leang Burung. I depositi di Leang Burung sono caratterizzati da un'industria litica su scheggia ricavata da nuclei di pietra silicea e da evidenze di caccia e raccolta di molluschi e vegetali. Intorno a 8000 anni fa comparve una nuova industria caratterizzata da piccoli utensili standardizzati ‒ lame ricurve e punte d'osso ‒ cui si aggiunsero poco più tardi utensili dalla punta seghettata. Coevi reperti rinvenuti in Australia mostrano numerose analogie con l'industria di Leang Burung, ma ogni ipotesi di contatti culturali diretti tra S. e l'Australia rimane controversa.

La maggior parte degli archeologi che lavorano nelle isole tra Sumatra, Taiwan e le Piccole Isole della Sonda ritiene che la ceramica costituisca una prova inconfutabile della presenza di popolazioni parlanti lingue austronesiane. La presenza di ceramica databile a 4000 anni fa nei siti di Leang-Leang e Leang Tuwo Mane'e, nelle Isole Talaud a nord di S., implica l'arrivo in quel periodo di popolazioni austronesiane. A Galumpang, un tumulo dove verosimilmente erano stati sepolti resti umani, è stata rinvenuta una gran quantità di ceramica dalla tipologia complessa, insieme a utensili di pietra levigata che costituiscono alcuni dei migliori esemplari di manufatti del Neolitico antico. Non si possiedono datazioni scientifiche per Galumpang, ma la ceramica presenta strette analogie tipologiche con quella presente nei siti del Borneo orientale datati a circa 3000 anni fa. I metalli (rame/bronzo e ferro) furono introdotti circa 2000 anni fa. Tra i corredi portati alla luce a Ulu Leang 2, Leang Codong e Leang Buidane figurano piccoli oggetti in bronzo e in ferro, oltre a grani di corniola e agata importati dall'India o dalla Penisola Malese nel corso dei primi secoli d.C. Il bronzo era riservato alla fabbricazione di oggetti cerimoniali e ornamentali, mentre il ferro veniva utilizzato per la fabbricazione di armi, utensili di uso domestico e strumenti agricoli, anche se l'industria litica perdurò, come dimostrano le numerose punte litiche e raschiatoi datati al 1000 d.C. circa rinvenuti a Batu Ejaya.

Alcuni straordinari rinvenimenti dimostrano che durante il I millennio d.C. e fino agli inizi del II millennio d.C. S. contribuì significativamente allo sviluppo del commercio marittimo su lunga distanza. Il tamburo di bronzo rinvenuto a Selayar è uno dei più grandi e spettacolari tra i tamburi Dong Son prodotti in Vietnam nel corso dei primi secoli d.C. Alcuni tamburi simili sono stati rinvenuti a Giava, nelle Piccole Isole della Sonda, fino alla costa occidentale della Nuova Guinea. La distribuzione di questo manufatto potrebbe far ipotizzare l'esistenza di una rete commerciale i cui principali partecipanti possedevano tamburi Dong Son utilizzati come insegne di rango. Analogamente, una magnifica fiasca di bronzo proveniente da Makassar è stilisticamente affine al massiccio tamburo di bronzo di Pejeng conservato a Bali. Più a nord, nei dintorni di Galumpang, fu rinvenuta una statua di bronzo rappresentante il Buddha proveniente dall'India meridionale, con ogni probabilità via Borneo. Nonostante la presenza di questa immagine, le credenze religiose indigene antecedenti l'indianizzazione dell'Indonesia, basate prevalentemente sul culto degli antenati, raggiunsero il culmine con l'istituzione di regni locali e la costruzione di monumenti destinati alla commemorazione degli antenati dei sovrani. L'esempio più antico di tali monumenti è costituito dai 14 megaliti situati a Bada', nella parte centrale di S., risalenti al I millennio d.C. e dai caratteristici sarcofagi di mattoni rinvenuti nei pressi di Sawangan, nel Nord di S., risalenti all'inizio del II millennio d.C. È da notare inoltre che da un punto di vista architettonico tali sarcofagi possono essere confrontati con le tombe islamiche rinvenute a Ninamu, all'estremità opposta di S.

Una enorme quantità di ceramica proveniente dalla Cina e dal Sud-Est asiatico continentale è stata rinvenuta nella parte sud-occidentale dell'isola, in necropoli datate tra la fine del periodo preislamico e gli inizi di quello islamico. Nella penisola le fertili pianure e le scoscese colline terrazzate coltivate a riso avevano permesso, intorno al XVII secolo, un incremento demografico calcolabile intorno a un milione di persone, di cui circa 100.000 a Makassar, uno dei più grandi centri commerciali del periodo. Al momento della conquista olandese, nel 1667, la città era difesa da quattro fortini costruiti di mattoni, i cui muri cingevano un'area di 1,5 km2.

Bibliografia

D.J. Mulvaney - R.P. Soejono, The Australian-Indonesian Archaeological Expedition to Sulawesi, in AsPersp, 13 (1970), pp. 163-77; Iid., Archaeology in Sulawesi, Indonesia, in Antiquity, 45 (1971), pp. 26-33; I.C. Glover, Leang Burung 2: an Upper Palaeolithic Rock Shelter in South Sulawesi, Indonesia, in ModQuatResSouthAs, 6 (1981), pp. 1-38; V.C. Macknight, Changing Perspectives in Island Southeast Asia, in D.G. Marr - A.C. Milner (edd.), Southeast Asia in the 9th to 14th Centuries, Singapore 1986, pp. 215-27; F.D. Bulbeck, Survey of Open Archaeological Sites in South Sulawesi 1986-1987, in BIndoPacPrehistAss, 7 (1986-87), pp. 36-50; T.A. Volkman - I. Caldwell (edd.), Sulawesi the Celebes, Berkeley 1990.

Sumatra

di Peter Bellwood

La maggiore e la più occidentale delle isole che compongono l'arco insulare indonesiano.

Come Giava, S. fu unita al continente asiatico durante le regressioni marine pleistoceniche di età glaciale. Nell'isola non sono presenti depositi alcalini vulcanici e alluvionali che, come ad esempio nel centro di Giava, hanno preservato numerosi resti umani; assai scarsi sono quindi i dati sul ruolo svolto da S. nei processi di evoluzione umana. È presumibile tuttavia che i primi gruppi che raggiunsero Giava abbiano attraversato o transitato nei pressi dell'isola di S. La sequenza archeologica ebbe inizio alla fine del Pleistocene, circa 10.000 anni fa, con i gruppi che occupavano la grotta di Tiangko Panjang, nei pressi di Kerinci, e utilizzavano strumenti di ossidiana. All'Olocene iniziale (10.000-5000 anni fa) sono datati vasti chiocciolai di molluschi di estuario sulla costa nord-orientale; gli strumentari litici in essi rinvenuti sono ascrivibili all'industria su ciottolo hoabinhiana. Era inoltre praticata la caccia a grandi Mammiferi (Cervidi, suini selvatici, elefanti e rinoceronti). I chiocciolai, in gran parte distrutti dagli abitanti dei villaggi odierni per estrarvi calce, sono sepolti sotto uno spesso deposito alluvionale. Quasi nulla si conosce del Neolitico, tuttavia i dati emersi in Malaysia e nel Borneo lascerebbero presumere l'arrivo anche in quest'isola di popolazioni agricole, principalmente di lingua austronesiana, dal Borneo intorno a 4000 anni fa. I maggiori idiomi parlati oggi a S. sono strettamente imparentati con il gruppo linguistico Malay, ma altre lingue, come quelle Gayo e Batak nel Nord, Nias, Mentawai ed Enggano nelle isole al largo della costa orientale, potrebbero essersi formate in una fase molto antica dell'insediamento austronesiano, anteriore alla diffusione delle lingue Malay predominanti oggi nell'isola.

L'età dei Metalli, iniziata circa 2200 anni fa, è caratterizzata dalla diffusione della metallurgia del rame/bronzo e del ferro e dall'importazione di grandi tamburi Dong Son realizzati presumibilmente nel Nord del Vietnam. A queste fasi appartiene una tra le maggiori concentrazioni di monumenti megalitici della preistoria indonesiana, distribuiti lungo 70 km nell'altopiano di Pasemah, nel Sud di S. Le vestigia monumentali comprendono raggruppamenti e allineamenti di menhir, tombe megalitiche (costituite in alcuni casi da grandiosi ipogei) e alcune sculture antropomorfe e zoomorfe di notevole pregio. I corredi rinvenuti a Tegurwangi sono composti da numerose perle di vetro e da alcuni oggetti metallici (spirali di rame e bronzo, uno spillone d'oro e una lancia di ferro) dai quali non è possibile ottenere datazioni attendibili, anche perché l'acidità del suolo ha provocato la distruzione dei resti ossei. Tuttavia alcune tombe a camera conservano tracce di pitture murali policrome raffiguranti uomini e bufali. Le statue antropomorfe e zoomorfe di Pasemah, scolpite su grandi blocchi di roccia, esibiscono uno stile estremamente dinamico. Tra i soggetti vi sono uomini che montano elefanti o bufali e indossano bracciali, cavigliere, elmi con l'estremità posteriore appuntita, perizomi, tuniche e vistosi orecchini; sono raffigurate anche collane con placche oblunghe e forse perle sfaccettate. A differenza dei corpi, visibilmente più piccoli o del tutto assenti, le teste umane e di animali sono riprodotte nei minimi dettagli. Gli indicatori cronologici più importanti presenti in queste sculture sono i tamburi bronzei del tipo Heger I, il più noto dei quali è raffigurato nel celebre rilievo di Batu Gajah mentre viene trasportato sulla schiena di un uomo che monta un elefante. Sulla base di queste evidenze si può ipotizzare una datazione agli inizi o alla metà del I millennio d.C. Recenti ritrovamenti coevi alle sculture di Pasemah sono stati effettuati ad Air Sugihan e Karang Agung, vicino alla foce del Musi. I reperti includono bracciali di vetro e bronzo, perle di vetro e corniola, ornamenti d'oro, pendenti e pesi per reti di stagno, la cui presenza testimonia lo sviluppo locale di un sistema commerciale che preluderebbe alla comparsa dello Stato mercantile di Shrivijaya, fiorito dopo il 670 d.C. sulle pianure intorno a Palembang.

Bibliografia

P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972; P.-Y. Manguin, The Archaeology of Early Maritime Polities of Southeast Asia, in I. Glover - P. Bellwood (edd.), Southeast Asia. From Prehistory to History, London 2004, pp. 282-313.

Sumba

di Peter Bellwood

Isola appartenente, insieme a Savu, Roti e Timor, all'arco inferiore delle Piccole Isole della Sonda, nell'Indonesia orientale.

A oggi non sono state rinvenute evidenze dell'occupazione di S. in età pleistocenica e non si hanno neppure testimonianze dirette delle fasi neolitiche, anche se le indagini svolte di recente nelle isole a est di S. ‒ Savu, Roti e Timor ‒ suggeriscono l'insediamento di agricoltori austronesiani intorno al 1500 a.C. S. è nota principalmente per le evidenze relative al periodo iniziale dell'età dei Metalli e per le culture di interesse etnografico. Il più importante dei siti con sepolture in giare della fase iniziale dell'età dei Metalli è il grande "campo di urne" di Melolo, nel settore orientale dell'isola. In questo sito all'aperto sono stati rinvenuti allineamenti di grandi giare con basi arrotondate e coperchi, poco distanziate le une dalle altre, contenenti i resti scheletrici di sepolture secondarie e corredi di asce di pietra, grani di conchiglia e pietra, bracciali di conchiglia e piccoli vasi, dei quali gli unici adeguatamente documentati sono le eleganti giare ad alto collo (fiasche) decorate con incisioni geometriche e antropomorfe riempite da pigmento bianco. H.R. van Heekeren, autore delle prime indagini negli anni Trenta del XX secolo, attribuì il sito al Neolitico, ma recenti scavi hanno recuperato manufatti metallici. Alcune fiasche rinvenute a Melolo sono confrontabili anche con il vasellame di Buni (Giava) e con la ceramica Sembiran (Bali), complessi vascolari, questi ultimi, associati con l'introduzione in Indonesia della Rouletted Ware indiana intorno a 2000 anni fa. La peculiare giara ad alto collo non è inoltre documentata nel Neolitico dell'Indonesia orientale e senza dubbio non appartiene a tradizioni locali, indicando piuttosto l'intensificarsi dei contatti tra le comunità indonesiane coinvolte nel commercio delle spezie e negli scambi su lunga distanza, in particolare con l'India. S. è nota per le culture megalitiche di interesse etnografico e per essere l'ultima tra le isole indonesiane a ospitare etnie in maggioranza animiste e legate al culto degli antenati. Nei settori centrali di molti villaggi sono presenti tombe megalitiche costruite con lastroni piani su sostegni di roccia (dolmen), alle cui estremità venivano spesso eretti menhir scolpiti. Su queste tombe compaiono di frequente figure scolpite di bufali e uomini; questi ultimi rappresentavano spiriti e schiavi e non i defunti stessi. Le tombe ospitavano defunti appartenenti alle aristocrazie ereditarie delle aree orientali dell'isola (Sumba Timur) e alle più competitive e meno centralizzate entità politiche del settore occidentale di S. (Sumba Barat).

Bibliografia

P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972; J. Hoskins, The Stony Faces of Death, in J.P. Barbier (ed.), Messages in Stone, Geneva 1998, pp. 167-97.

Talaud, isole

di Peter Bellwood

Arcipelago situato nell'estremità occidentale dell'Oceano Pacifico, tra le grandi isole di Mindanao (Filippine), Sulawesi e Halmahera.

Notevole è la profondità del mare che bagna queste isole, distanti oltre 100 km dalla terra più vicina, rappresentata dall'isola di Sangihe, a nord di Sulawesi. L'attraversamento di questo braccio di mare, più di 32.000 anni fa, costituisce una delle più antiche testimonianze di navigazione a lunga distanza, inferiore solo al superamento del tratto che separa l'isola di Timor dall'Australia. Questa datazione è stata ottenuta negli scavi del riparo di Leang Sarru (isola di Merampit), in cui è stata rinvenuta un'industria litica caratterizzata da schegge di selce. Leang Sarru, insieme a Leang Tahuna (isola di Salebabu), attestano inoltre la frequentazione di ripari sotto roccia nell'Olocene iniziale, quando nei complessi su scheggia di tradizione paleolitica comparvero piccole schegge allungate prive di ritocco. Questa industria appare ancora ben documentata dopo il 4000 a.C., come rivelano le indagini nei depositi del riparo di Leang Tuwo Mane'e (isola di Karakelang), che lascerebbero presumere l'esistenza di contatti con l'arcipelago delle Filippine. La comparsa di ceramica con ingobbio rosso è datata intorno al 1600 a.C. a Leang Tuwo Mane'e dove, oltre al vasellame, sono state rinvenute ossa di suini, presumibilmente domestici, che segnalerebbero l'arrivo dalle Filippine di gruppi austronesiani.

I reperti più significativi dell'età iniziale dei Metalli, datati intorno al 200 a.C., provengono dalla grotta di Leang Buidane (isola di Salebabu). Nei depositi stratificati sono stati rinvenuti frammenti di giare con coperchi utilizzate per le sepolture e originariamente collocate sul piano di calpestio della grotta. Una giara conteneva ossa umane e piccoli vasi di corredo finemente decorati, confrontabili con i rinvenimenti effettuati in molti siti coevi del Sud delle Filippine. Figurano anche bracciali e grani di conchiglia, parte di un bracciale di vetro e perle di agata e corniola; le corniole rosse, di forma sferica o allungata e sfaccettata, rivelano una tecnica di trapanazione molto accurata, di probabile origine indiana. Sono state rinvenute anche tre perle di agata nera incise con sostanze alcaline (etched-beads) che trovano confronti con i materiali rinvenuti nei maggiori siti del Gange e dell'Indo, quali Hastinapura, Taxila, Kaushambi e Chandraketugarh, databili alla fine del I millennio a.C. Tali ritrovamenti confermano le testimonianze emerse a Sembiran (Bali) sui contatti e gli scambi commerciali tra India e Indonesia a partire almeno dal 200 a.C. Leang Buidane ha restituito anche manufatti metallici di ferro e bronzo, oltre a tre valve di terracotta appartenute a forme di fusione per asce a immanicatura cava e ad altri oggetti di rame che testimoniano la lavorazione in loco del metallo, anche se non è da escludere che tali manufatti siano stati utilizzati per la fusione secondaria di manufatti importati. La metallurgia di Buidane è sostanzialmente inquadrabile nei coevi repertori di Sabah (Borneo malese) e delle Filippine e la lavorazione del metallo (rame e bronzo) avveniva unicamente per fusione in matrici bivalvi, in quanto non sono state rinvenute evidenze di utilizzo della tecnica a cera persa.

Bibliografia

P. Bellwood, Archaeological Research in Minahasa and the Talaud lslands, North-Eastern Indonesia, in AsPersp, 19 (1976), pp. 240-88.

Timor

di Sue O'Connor

Isola, la più grande della catena delle Piccole Isole della Sonda, ritenuta uno dei luoghi in cui sarebbe più probabile rinvenire le tracce dei gruppi umani che attraversarono il tratto di mare tra la piattaforma continentale pleistocenica della Sonda (Sumatra, Giava e Borneo) e quella del Sahul (Australia e Nuova Guinea), in un periodo che sulla base dei dati emersi in Australia risalirebbe a più di 50.000 anni fa.

Non vi sono per il momento indizi della presenza a T. di gruppi pre-sapiens; diversamente da altre isole (ad es., Flores) che durante il Pleistocene potrebbero essere state unite all'Asia continentale, T. rimase costantemente isolata da profondi tratti di mare il cui attraversamento avrebbe probabilmente richiesto cognizioni e capacità che tali gruppi non possedevano. Solo ulteriori indagini potranno chiarire e colmare tali lacune.

Tra i primi scavi e prospezioni occorre citare quelli effettuati da A. Bühler nel 1935 a Nikiniki e a Baguia, che però non produssero datazioni al 14C. Ceramiche, manufatti litici e ossa di animali domestici furono rinvenuti nei livelli inferiori del deposito datati al Neolitico. Negli anni Sessanta A. de Almeida effettuò scavi e prospezioni in diverse località nei pressi di Laga e nella grotta di Lene Hara, nell'estremo Est di T.; egli non ottenne datazioni al 14C, ma su basi tipologiche attribuì alcuni dei manufatti al Paleolitico inferiore e medio. Tuttavia, recenti datazioni provenienti da un chiocciolaio in cui sono stati rinvenuti manufatti litici analoghi a quelli di Laga collocano questi ultimi nell'Olocene medio (5030±70 anni fa). I primi scavi scientifici furono effettuati da I.C. Glover (1966-67) nelle aree di Venilale e Baucau, nella regione centrale di T. Est. Le successive analisi e le datazioni ottenute definirono una sequenza preliminare, che aveva inizio al termine del Pleistocene con la comparsa di utensili litici, la cui età risalirebbe a 13.400±520 anni fa. La sequenza proseguiva con la comparsa di ceramiche, ossa di animali domestici ed evidenze di pratiche agricole nell'Olocene medio (5000-4500 anni fa). Glover notò una diminuzione degli strumenti litici intorno a circa 2000 anni fa, fenomeno che egli attribuì all'introduzione del metallo. A Uai Bobo 1 fu scoperto un unico ornamento di rame-bronzo associato a carboni datati a 2190±80 anni fa, mentre un'ascia a immanicatura cava di stile Dong Son venne recuperata in superficie in una grotta a Baucau.

Dagli anni Settanta alla fine degli anni Novanta si registrò un'interruzione delle indagini a T., riprese solo dopo la creazione dello Stato indipendente di T. Est (1999). I depositi della grotta di Lene Hara, oggetto di un nuovo scavo, hanno retrodatato la frequentazione iniziale del sito a 35.000 anni fa, mentre dai livelli superiori di Matja Kuru 2 proviene una datazione a 32.220±300 anni fa. Tali ricerche hanno confermato e affinato la sequenza cronologico-culturale di Glover, fornendo datazioni sul popolamento iniziale dell'isola e sull'introduzione della ceramica. I siti di Lene Hara e di Matja Kuru 2 documentano l'esistenza nel Pleistocene di cacciatori-raccoglitori che utilizzavano manufatti di pietra, osso e conchiglia e che dagli inizi dell'Olocene possedevano sofisticate tecnologie di navigazione. In livelli dell'Olocene iniziale sono stati recuperati ami da pesca, uno dei quali, datato per spettrometria con acceleratore di massa, risalente a 9741±60 anni fa.

Come gran parte delle isole della Wallacea, il prolungato isolamento di T. ha determinato un depauperamento e un'alterazione dell'equilibrio della fauna endemica. Analogamente a Flores, la fauna pleistocenica dell'isola includeva stegodonti pigmei, grandi tartarughe terrestri e una varietà di varano di Komodo. In una fase imprecisata del Pleistocene finale queste specie si estinsero e gli unici Mammiferi terrestri sopravvissuti furono Muridi di grande e piccola taglia. I resti faunistici dei livelli pleistocenici e dell'Olocene iniziale dei siti in grotta di Lene Hara e di Matja Kuru comprendono unicamente ratti, pipistrelli, lucertole, serpenti, una tartaruga d'acqua dolce di piccola taglia e specie marine (tartarughe, pesci e una varietà di molluschi); è quindi possibile ipotizzare che la megafauna si fosse già estinta intorno a 35.000 anni fa. Il cusco (Phalanger orientalis), un marsupiale introdotto probabilmente da oriente (Nuova Guinea), compare nella sequenza di Matja Kuru 2 intorno a 8000 anni fa. I primi animali domestici a raggiungere T. furono il cane e il maiale: una sepoltura di cane rinvenuta a Matja Kuru 2 ha fornito una datazione (AMS) di 2967±58 anni fa. La sequenza è stata ulteriormente affinata dalle recenti datazioni ottenute su frammenti ceramici combusti recuperati a Lene Hara, in base alle quali si tende a collocare l'introduzione della ceramica a circa 3500 anni fa. La comparsa della ceramica e degli animali domestici coinciderebbe con l'introduzione di un modello economico fondato sull'agricoltura, anche se al momento non si dispone di dati su eventuali precedenti sviluppi a T. di tali pratiche. In grotte e sporgenze rocciose dei terrazzi corallini dell'area di Tutuala sono state identificate testimonianze di arte rupestre, il cui stile iconografico segnala una relazione con le pitture di altre zone dell'Indonesia orientale e del Pacifico occidentale.

Bibliografia

I. Glover, Archaeology in East Timor, 1966-67, Canberra 1986; P. Bellwood, Prehistory of the Indo-Malaysian Archipelago, Honolulu 19972; R.G. Bednarik, Pleistocene Timor: Some Corrections, in Australian Archaeology, 51 (2000), pp. 16-20; S. O'Connor, Pleistocene Timor. Further Corrections, a Reply to Bednarik, ibid., 54 (2002), pp. 46-51; S. O'Connor - M. Spriggs - P. Veth, Excavation at Lene Hara Establishes Occupation in East Timor at least 30,000 - 35,000 Years on: Results of Recent Fieldwork, in Antiquity, 76 (2002), pp. 45-50; S. O'Connor, Report of Nine New Painted Rock Art Sites in East Timor in the Context of the Western Pacific Region, in AsPersp, 42, 1 (2003), pp. 96-128; M. Spriggs, Chronology of the Neolithic Transition in Island Southeast Asia and the Western Pacific: a View from 2003, in RArch, 24, 2 (2003), pp. 57-80; M. Spriggs - S. O'Connor - P. Veth, Vestiges of Early Pre-agricultural Economy in the Landscape of East Timor: Recent Research, in A. Källén - A. Karlström (edd.), Fishbones and Glittering Emblems. Southeast Asian Archaeology 2002, Stockholm 2003, pp. 49-58.

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