L'archeologia delle pratiche cultuali. Europa tra preistoria e protostoria

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'archeologia delle pratiche cultuali. Europa tra preistoria e protostoria

Daniela Cocchi Genick

Gli aspetti archeologici del culto dal neolitico all'età del bronzo

L'interpretazione del significato di comportamenti inerenti alla sfera ideologica in età preistorica e protostorica, per la quale non disponiamo di testi scritti e di tradizioni orali, si fonda essenzialmente su evidenze archeologiche la cui lacunosità e difficoltà d'indagine, quest'ultima insita nel cogliere aspetti del mondo spirituale dalle sole testimonianze materiali, pongono problemi difficili da risolvere e frequentemente destinati a rimanere insoluti. Per una più approfondita comprensione dei fenomeni archeologici si è spesso fatto ricorso a confronti etnografici o a connessioni con aspetti religiosi di età storica, partendo dal presupposto di una notevole persistenza diacronica dei modelli ideologici; le ipotesi scaturite da questo tipo di approccio permettono di ampliare la gamma delle possibili interpretazioni che necessitano, comunque, di approfondite verifiche supportate dai dati archeologici. Essenziale per l'individuazione di un fenomeno definibile come cultuale è l'analisi del contesto, per la quale sono indispensabili rigorose tecniche di scavo e di rilevamento dei dati, oltre ai vari tipi di analisi dei sedimenti e dei resti recuperati. Soltanto da accurate indagini si può infatti cogliere una serie di elementi indicativi di una specifica funzione dei reperti e dell'ambiente in cui sono conservati; l'analisi spaziale consente, ad esempio, di rilevare dati che possono suggerire un'utilizzazione differenziata di alcuni tipi di manufatti che in altri contesti risultano di uso comune. In merito ai singoli reperti, caratteri peculiari sono rilevabili nella loro stessa tipologia (figurine e vasi antropomorfi o zoomorfi), nelle dimensioni (vasetti in miniatura, modellini di armi), nei materiali utilizzati (imitazioni in argilla di oggetti litici), nei trattamenti subiti (combustione, spalmatura con sostanze particolari, frammentazione intenzionale), nell'eventuale contenuto (vasi contenenti ocra o cereali carbonizzati). Altri dati significativi si possono rilevare dalla loro posizione (vasi capovolti) o collocazione (in fosse, entro circoli di pietre, sotto fonti di stillicidio o in altri punti particolari di ambienti ipogei), da un'elevata quantità di esemplari riferibili ad una stessa foggia vascolare (attingitoi in grotte con presenza di acque). Ancor più probante è la frequente associazione in determinati contesti di un certo numero di elementi analogamente indicativi: ad esempio le buche utilizzate per deposizioni votive, frequenti in grotte e abitati fin dall'età neolitica, possono spesso essere distinte da quelle usate per esigenze pratiche (sili, fosse di combustione, depositi di rifiuti) per la presenza di tutta una serie di elementi con valenza simbolica. Evidenze particolarmente significative possono portare all'identificazione di veri e propri luoghi di culto, con frequenti difficoltà dovute alla documentazione spesso lacunosa e sommaria delle più vecchie ricerche e, nonostante i progressi delle tecniche di scavo e di rilevamento, alle circostanze e modalità della formazione del deposito archeologico. Le principali testimonianze confluiscono nel grandioso fenomeno del megalitismo, diffuso fino dall'età neolitica su una vasta area del territorio europeo. Particolarmente frequenti in Bretagna sono gli allineamenti di menhir, blocchi di pietra di forma allungata e dimensioni variabili che a Carnac, nel Morbihan, sono quasi 3000, eretti lungo circa 4 km; il gruppo principale di Kermario è composto da ben 1029 monoliti di altezza decrescente da oltre 6 m a 0,5 m. Una funzione cultuale è comunemente attribuita agli henge della Gran Bretagna, consistenti in un'area circolare di dimensioni variabili, delimitata da un fossato e da un argine esterno, in cui sono compresi circoli di pietre erette o di buche di palo; i più famosi sono quelli di Avebury e di Stonehenge nello Wiltshire. Nello henge di Avebury una strada fiancheggiata da due file parallele di monoliti, lunga 2,4 km, conduceva al "santuario" originariamente in legno; all'interno di un analogo monumento ligneo, Woodhenge, il rinvenimento dello scheletro di un bambino di tre anni con il cranio intenzionalmente spaccato è stato interpretato come indizio di rituali che prevedevano anche sacrifici umani. Stonehenge costituisce il più spettacolare complesso megalitico occidentale la cui utilizzazione si estende ad un ampio arco di tempo. Le date radiocarboniche indicano un periodo compreso tra 3020-2910 anni a.C. e 780-410 anni a.C. Nella prima fase costruttiva all'esterno dello henge fu eretto un menhir di circa 35 t, detto Heel Stone, che aveva probabilmente la funzione di segnalare l'area sacra e, secondo alcuni, anche quella di indicare la posizione del Sole quando sorge al solstizio d'estate; successivamente, all'interno del recinto furono scavate 56 fosse, denominate Aubrey Holes, in alcune delle quali sono stati ritrovati resti di individui incinerati. La seconda fase costruttiva è caratterizzata dalla prima imponente struttura megalitica realizzata con monoliti in pietra azzurra il cui asse corrispondeva al centro di una larga strada, anch'essa orientata verso il sorgere del Sole al solstizio d'estate. Nella terza fase, all'interno di un circolo di 30 grandi blocchi di arenaria sarsen, furono eretti cinque triliti disposti a ferro di cavallo e al centro dell'area da essi delimitata, nel punto medio dell'asse dell'intero monumento, venne collocato un grande blocco, chiamato Altar Stone per la funzione che si ritiene potesse avere; all'entrata una pietra, denominata Slaughter Stone, doveva far parte di un'imponente struttura; merita rilievo la presenza su alcuni monoliti di raffigurazioni di asce e pugnali. Diverse ipotesi sono state avanzate in merito alla funzione di questo eccezionale monumento: oltre a quella di carattere religioso, è stata prospettata una sua possibile utilizzazione astronomica, limitatamente al computo del tempo o come vero e proprio osservatorio per la misurazione dei diversi fenomeni, comprese le eclissi. Quest'ultima interpretazione non ha comunque trovato consensi, anche se appare innegabile un intenzionale orientamento del complesso finalizzato alla determinazione del corso del Sole; una delle ipotesi più seguite è, dunque, quella che considera il complesso di Stonehenge un luogo sacro in cui veniva praticato un culto solare. Nell'ambito delle strutture di diverso tipo di altri Paesi europei, un significato cultuale collegato a primitive cognizioni di astronomia è stato attribuito anche ad un recinto di forma perfettamente quadrata, riferibile all'Eneolitico antico, venuto in luce a Makotřasy, vicino a Praga. Una funzione religiosa appare evidente nel caso dei templi eneolitici di Malta; racchiusi da un potente muro megalitico, si articolano al loro interno in più camere (in numero variabile da due a sei), con pareti anch'esse formate da megaliti, che si affacciano su un corridoio o su un cortile centrale in cui si trovano altari ed altri elementi ricollegabili allo svolgimento di cerimonie rituali; anche in alcune nicchie che si aprono lungo le pareti delle camere sono collocati piccoli altari. Uno dei complessi più spettacolari è quello di Tarxien, costituito da quattro templi costruiti in momenti diversi; nel più antico si conserva parte di una grande statua femminile raffigurante la Dea Madre, che doveva raggiungere i 3 m di altezza, poggiata su un supporto decorato; di fronte è collocato un altare con una piccola nicchia contenente un pugnale in selce, probabilmente usato per sacrifici di animali i cui resti colmavano una cavità all'interno dell'altare stesso. L'accezione del termine tempio come edificio di culto, nel quale l'immagine della divinità rappresenta il punto focale, ben si adatta a queste eccezionali testimonianze. In Sardegna di notevole interesse è il singolare monumento prenuragico di Monte d'Accoddi (Sassari), costituito da una struttura troncopiramidale munita di una rampa di accesso. Sono state individuate due fasi costruttive, collocabili rispettivamente nel Neolitico tardo e nell'Eneolitico iniziale, alla più antica delle quali è riconducibile un ambiente rettangolare intonacato di rosso, interpretato come cella del santuario. Sempre in Sardegna, luoghi di culto con strutture monumentali (santuari e templi a pozzo) sono ampiamente documentati in età nuragica, mentre nelle altre regioni italiane recinti ed edifici di culto non sembrano comparire anteriormente alla prima età del Ferro. Altri luoghi di culto, ben documentati sulle Alpi centrali, sono localizzati all'aperto in corrispondenza della sommità di alture dove animali e vasi colmi di offerte venivano esposti all'azione del fuoco con grandi roghi. Tra le grotte scelte come sedi di attività cultuali appaiono privilegiate le cavità percorse da acque sotterranee, oggetto di particolari forme di culto attestate dalla ricorrenza di peculiari deposizioni. Dai luoghi di culto, così definibili sulla base di tutta una serie di testimonianze di più complesse manifestazioni, come sacrifici e pasti rituali, è possibile distinguere le deposizioni cultuali, talora reiterate in uno stesso luogo e che, nel caso di un'apposita sistemazione, vengono a costituire una stipe. Frequenti sono le deposizioni in corsi e specchi d'acqua di oggetti di pregio, soprattutto armi di bronzo con prevalenza di spade, tra cui si possono ricordare i rinvenimenti nei letti o nei paleoalvei dei grandi fiumi della Valle Padana, come il Sile e il Piave; altre deposizioni cultuali sono documentate in zone d'altura o ai piedi di burroni, evidentemente gettate dall'alto. Fin dall'età neolitica offerte votive ricorrono nelle grotte, talora associate ad altri elementi indicativi per riconoscere nell'ambiente un vero e proprio luogo di culto, come ad esempio la grotta con importanti manifestazioni artistiche di Porto Badisco; nell'età del Bronzo ricorrente è l'uso di deporre vasi di ceramica colmi di derrate alimentari carbonizzate, al quale si ricollegano focolari rituali con diverse specie di cereali carbonizzati, mantenute distinte (Grotta Misa); particolarmente significativa è la deposizione di ossa umane, spesso con selezione dei crani, in contesti in cui tale pratica viene ad assumere il significato di un atto di culto (grotte di Belverde di Cetona). Deposizioni cultuali possono essere considerati anche i ripostigli (insiemi di oggetti generalmente metallici sepolti intenzionalmente) in considerazione del contesto in cui sono rinvenuti, della loro composizione e dello stato di conservazione degli oggetti. Relativamente alle immagini antropomorfe della divinità, alcuni autori le riconoscono nelle stele antropomorfe e nelle statue-stele o cosiddette "statue-menhir", ampiamente diffuse soprattutto in età eneolitica dalla Penisola Iberica fino all'Ucraina, mentre altri studiosi interpretano tali monumenti come commemorativi di antenati-eroi o di personaggi che si sarebbero distinti nel contesto sociale. Se una serie di elementi potrebbe avvalorare la prima ipotesi, discutibile appare invece la generalizzata identificazione della Dea Madre nelle statuine femminili documentate in notevole quantità soprattutto nel Neolitico delle regioni balcaniche, spesso rappresentate in atto di preghiera o di offerta. Complesse composizioni con significato simbolico compaiono sui massi incisi della Valcamonica; tra le numerose figure merita rilievo l'immagine del Sole e, in un momento più avanzato, quella di un personaggio con un cerchio solare sulla testa interpretata come indizio di un processo di antropomorfizzazione del concetto divino. Altri numerosi documenti ricorrenti in età protostorica, quali i dischi d'oro anche montati su carretti trainati da cavalli o il motivo della cosiddetta "barca solare" trainata da uccelli, vengono a comprovare come l'immagine del Sole, in cui veniva forse identificata una ben definita divinità, fosse fatta oggetto di culto. Tra i simboli interpretabili come probabili immagini teriomorfe della divinità, ricorrenti sono la protome taurina e le corna appaiate, il cui significato è evidentemente connesso al concetto della forza e della fecondità virile; ampiamente diffuse in età protostorica sono le figure ornitomorfe, alle quali si può ragionevolmente estendere la valenza simbolica di tramite di comunicazione con la sfera divina, ben nota nella mitologia e nella religiosità classica.

Bibliografia

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Gli oggetti del culto e i materiali votivi dal neolitico all'età del bronzo

Il riconoscimento di oggetti relativi al culto e di deposizioni votive in età preistorica e protostorica è fondato esclusivamente su evidenze archeologiche la cui interpretazione trova spesso notevoli difficoltà; gli elementi che più comunemente si considerano indicativi per una loro individuazione sono le peculiarità di oggetti che non rientrano tra quelli di uso comune, le condizioni di eccezionalità di determinati ritrovamenti e più in generale, come già esposto, i caratteri dei contesti. Rari sono i reperti che per attributi, dimensioni e collocazione possono essere fondatamente considerati immagini di culto. Eccezionale è il ritrovamento nel più antico tempio di Tarxien, nell'Isola di Malta, della parte inferiore di una grande statua femminile interpretata come raffigurazione di una divinità, identificata con la Dea Madre. La collocazione della statua su un supporto decorato con motivi spiraliformi con probabile valenza simbolica e la sua sistemazione di fronte a un altare con significative testimonianze di atti sacrificali, nell'ambito di un più ampio contesto di una serie di edifici sicuramente identificabili come luoghi di culto, comprovano tale interpretazione. In Sicilia, tra i reperti conservati nelle fosse votive della necropoli di Piano Vento (Agrigento), riferibile ad un momento iniziale dell'Eneolitico, merita rilievo una statua maschile, di oltre 50 cm di altezza, per la quale è stata ipotizzata una collocazione originaria sulla parete di un edificio sacro a cui doveva aderire entro una cornice parzialmente conservata. La funzione cultuale rientra tra le ipotesi proposte per interpretare alcuni tipi di monumenti riconducibili al megalitismo, diffuso dall'età neolitica su una vastissima area che dalla Svezia meridionale, attraverso la Danimarca, le Isole Britanniche, la Penisola Iberica, la Francia e l'Italia, raggiunge alcune isole del Mediterraneo. Al culto delle pietre piantate verticalmente nel suolo, documentato anche nel Vicino Oriente e in modo particolare nel mondo semitico, possono essere collegati i menhir, blocchi di pietra di forma allungata e dimensioni variabili, grezzi o talora sommariamente regolarizzati, che sono stati comunque interpretati anche come monumenti commemorativi o indicatori di limiti territoriali; in alcuni esemplari il carattere di pietre sacre viene avvalorato dalla riproduzione dell'idolo en écusson, caratteristico dell'arte megalitica bretone. Particolarmente significativa è la figura schematica di un orante su un menhir di Saint-Micaud in Borgogna. Assai numerosi nella Francia occidentale, i menhir sono documentati in notevole quantità anche negli altri centri megalitici europei; molti di essi risalgono al Neolitico, ma sono stati eretti fino all'età del Bronzo ed anche in epoca storica. I più alti raggiungono i 10 m, ma per la maggior parte sono di dimensioni più modeste, ad eccezione di un esemplare gigantesco, di oltre 20 m di altezza e di quasi 350 t, innalzato nel corso del Neolitico a Locmariaquer nel Morbihan (Bretagna) e poi spezzato e riutilizzato. Alcuni appaiono infissi al centro di aree circolari delimitate da un fossato, altri in prossimità di dolmen o di diverse strutture sepolcrali, anche in gruppi di numerosi esemplari, come in Sardegna, dove merita rilievo la presenza di un menhir, di quasi 5 m di altezza, nell'area sacra ascrivibile all'orizzonte di Ozieri, individuata nella zona in cui venne successivamente costruito il monumento di Monte d'Accoddi (Sassari). Assai spesso costituiscono o fanno parte di più complesse strutture monumentali di carattere rituale: possono, ad esempio, essere riuniti in più file pressoché parallele a formare i cosiddetti "allineamenti" ‒ ben documentati in Bretagna dove i più spettacolari sono quelli di Carnac nel Morbihan ‒ oppure disposti in circolo in frequente associazione con gli allineamenti, come negli henge, particolarmente frequenti nell'Inghilterra meridionale; il più famoso è quello di Stonehenge, per la cui funzione una delle interpretazioni più seguite è quella di un tempio in cui veniva praticato un culto solare. Particolare rilievo meritano le stele antropomorfe e le statuestele, la cui vasta diffusione, dalla Penisola Iberica fino all'Ucraina, viene cronologicamente a collocarsi soprattutto nell'età del Rame, estendendosi in alcune regioni ad epoche successive. Alcuni gruppi di stele antropomorfe, come quelle di tipo Trets-Orgon della Provenza, sembrano invece risalire al Neolitico tardo. Per stele antropomorfa s'intende generalmente una lastra litica, non molto spessa, di forma rettangolare, trapezoidale o ogivale, talora con profilo sagomato e costantemente decorata su una sola faccia in modo da rappresentare una figura umana, per lo più solo parzialmente delineata; la statua-stele, chiamata dagli autori francesi "statua-menhir", si differenzia dalla prima per essere lavorata anche sulla faccia posteriore e sui lati, acquisendo un aspetto tridimensionale e un profilo ben determinato. Monumenti ad esse avvicinabili sono alcuni menhir decorati con motivi figurativi o astratti, mentre in Valcamonica complesse composizioni sono incise su massi erratici. Nelle stele antropomorfe e nelle statue-stele sono rappresentati soltanto alcuni tratti del volto: le arcate sopracciliari e il naso appaiono prevalentemente indicati secondo il modulo a T in rilievo oppure con un incavo a forma di U; talora sono riprodotti anche gli occhi mediante piccole sporgenze o cuppelle. La testa può essere distinta o meno dal corpo, le braccia sono spesso evidenziate a leggero rilievo, mentre le gambe sono raffigurate meno frequentemente. In alcuni casi non risultano indicati elementi distintivi del sesso, in altri sono invece riprodotti i seni femminili; vengono comunque considerati maschili i personaggi provvisti di armi, prevalentemente pugnali. Le armi, gli eventuali oggetti di ornamento e i particolari dell'abbigliamento sono spesso riprodotti in maniera realistica, talora con notevole accuratezza, a differenza dei caratteri anatomici indicati schematicamente. In alcuni casi questi monumenti facevano parte di luoghi di culto all'aperto, in altri sono inseriti in contesti funerari. Di notevole interesse sono i dati emersi negli strati eneolitici del sito di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta: ad una prima fase è riferibile un allineamento di buche di grossi pali, sul fondo di alcune delle quali la presenza di resti di crani di bue e di ariete è stata collegata ad un rito di fondazione; successivamente con l'aratro fu delimitata una vasta zona che venne completamente arata e tra i solchi furono seminati numerosi denti umani; vennero quindi costruite con lastre e ciottoli 2 piattaforme a pianta poligonale e furono eretti alcuni piccoli menhir e oltre 40 stele antropomorfe, regolarmente disposte in due allineamenti ortogonali; infine le stele vennero segate alla base, abbattute e in parte reimpiegate nella costruzione di tombe dolmeniche e a cista. Nella Penisola della Crimea e nelle steppe ucraine alcune stele antropomorfe, intere o spezzate, sono state rinvenute in aree cultuali delimitate da un terrapieno e un fossato, ma più frequentemente sono apparse reimpiegate come lastre sepolcrali. Ampiamente documentata anche in altri ambienti culturali è l'utilizzazione di stele antropomorfe per la costruzione di tombe megalitiche, come nel caso dei dolmen della necropoli di Sion nel Vallese, della tomba a cista ricollegabile alla ceramica a cordicella di Schafstädt (Halle), delle tombe dei giganti dell'età del Bronzo in Sardegna. Nella Francia meridionale, oltre a numerosi esemplari provenienti da contesti funerari, sono noti anche ritrovamenti in aree di abitati come, ad esempio, quello di due stele antropomorfe e di tre piccole stele aniconiche nell'insediamento di Montaion, riferibile alla cultura di Ferrières. Come in precedenza accennato, nella Valcamonica e nella Valtellina sono stati utilizzati massi erratici di varia forma e stele lastriformi più o meno regolarizzate per incidere complesse composizioni in cui si riconoscono figure antropomorfe, riproduzioni di animali selvatici o domestici, di asce, pugnali, pendagli a doppia spirale e alcune raffigurazioni simboliche, quali i dischi solari e il Sole con i raggi, il "rettangolo frangiato", i pettiniformi, le rappresentazioni topografiche. Purtroppo questi monumenti sono quasi tutti venuti in luce occasionalmente, spesso riutilizzati in costruzioni recenti; costituisce un'eccezione il rinvenimento a Ossimo, in località Asinino-Anvòia, di tre stele incise affiancate che, in base ai dati rilevati, sembrano essere state sagomate e decorate sul posto, probabilmente anche dipinte, e piantate nel terreno con la faccia istoriata rivolta verso est; la scarsità di materiale archeologico rinvenuto lascia supporre frequentazioni ripetute del sito che, dall'insieme delle evidenze emerse, viene chiaramente a configurarsi come un luogo di culto. In Sardegna numerose statue-stele, oltre ai menhir antropomorfi e protoantropomorfi, sono generalmente riunite in raggruppamenti di più esemplari collocati spesso in prossimità di aree sepolcrali; di particolare interesse è la presenza di una stele, su cui è scolpita in bassorilievo una figura femminile, presso il già citato monumento di Monte d'Accoddi. Nel territorio pugliese una trentina di stele antropomorfe è stata rinvenuta a Sterparo presso Bovino, località nella quale gli scavi hanno portato in luce strutture di carattere cultuale. Secondo le interpretazioni più ricorrenti, questi monumenti sono considerati immagini di divinità o di antenati-eroi, capi o capostipiti di un lignaggio, o di personaggi eminenti nel contesto sociale. A favore della prima ipotesi è stata evidenziata la frequenza dell'associazione di un personaggio maschile e di uno femminile per la quale, in contesti sociali dove la donna sembra avere un ruolo secondario, è stata ritenuta più verosimile la riproduzione di una coppia divina piuttosto che di personaggi illustri; anche l'elevato numero di armi raffigurate su alcune statue-stele meglio si adatterebbe alla divinità, come pure la presenza in un esemplare di Laces (Alto Adige) del simbolo solare particolarmente ricorrente nell'arte rupestre della Valcamonica. Un ulteriore elemento a favore di questa interpretazione è la loro collocazione in luoghi di culto all'aperto, in zone di probabile interesse economico come nel caso delle statue-stele della Lunigiana, in tombe o in prossimità di aree funerarie nelle quali le immagini di divinità potevano essere protettrici dei defunti, del territorio della comunità e del controllo delle zone distanti dagli abitati collegate alle loro attività. Ampiamente diffuse soprattutto nelle facies neolitiche dell'Europa sud-orientale sono le figurine antropomorfe prevalentemente realizzate in argilla, ma anche in pietra, osso e altri materiali, in un vasto repertorio che denota stretti collegamenti con le produzioni del Vicino Oriente. Si tratta per la maggior parte di immagini femminili, più o meno naturalistiche o a diversi gradi di stilizzazione, per le quali è invalsa l'identificazione con la Dea Madre; in considerazione di alcuni attributi differenziati, è stato anche effettuato, da parte di M. Gimbutas (1974) il tentativo di distinguere più divinità, quali la Grande Dea della Vita, della Morte e della Rigenerazione, la Dea della Natura Feconda, la Dea dell'Acqua. Quest'interpretazione non è condivisa da altri autori che hanno sottolineato nell'articolata tipologia delle figurine femminili e di quelle, meno rappresentate, di sesso maschile la ricorrenza di rappresentazioni di personaggi in atteggiamento di preghiera o di offerta (Müller-Karpe 1968) o che, considerando la diversità dei contesti e utilizzando dati etnografici, hanno evidenziato la possibilità di funzioni differenziate: amuleti, ex voto, rappresentazioni di antenati, sostituti di persone, giocattoli, ecc. (Ucko 1962). Anziché un'immediata, acritica definizione di questi particolari oggetti in considerazione dei loro caratteri, un'analisi dei contesti risulta più appropriata a comprendere il significato dei vari ritrovamenti, assai consistenti anche nel territorio italiano e soprattutto in Sardegna. Frequente è la loro presenza in sepolture come, ad esempio, le statuine di pietra rinvenute in alcune tombe della facies sarda di Bonu Ighinu, in un caso in corrispondenza della mano dell'inumato; per questi oggetti è stata proposta la tradizionale interpretazione di idoli collegati al culto della Dea Madre. Particolare rilievo merita il ritrovamento di due testine di accurata fattura, una nella Grotta Pacelli e l'altra nella Grotta di Cala Scizzo in Puglia, ambedue riconducibili alla facies di Serra d'Alto e deposte in prossimità di due analoghe strutture litiche con funzione cultuale. Il rinvenimento di statuine all'interno di abitazioni può dare adito a diverse ipotesi in considerazione, quando resi noti, dei dati del contesto; una funzione rituale potrebbe, ad esempio, essere attribuita a una figurina fittile femminile riferibile alla prima fase insediativa del villaggio di Rendina in Basilicata, rinvenuta in prossimità del focolare di una capanna che presenta peculiari caratteri strutturali rispetto alle altre abitazioni. Altrettanto frequenti sono i casi di statuette ritrovate all'interno di buche, in associazione ad altri elementi indicativi di una loro funzione come fosse rituali; in quelle scavate all'esterno delle case nel villaggio di Branč in Slovacchia, riferibile alla cultura di Lengyel recente, nelle quali le statuine erano associate a vasi, ossa di animali, ceneri e carboni, tale ipotesi è avvalorata da una stratificazione dei reperti, indicativa di ripetute deposizioni a scadenze regolari. Di particolare interesse è la struttura rituale della cultura di Lengyel antico di Těšetice- Kyjovice in Moravia, costituita da due larghi fossati concentrici contenenti oltre un milione di frammenti di vasi dipinti e di figurine antropomorfe insieme a ossa di animali e umane. Oltre al contesto, i caratteri stessi delle figurine possono essere indicativi della loro funzione; un uso come giocattolo è, ad esempio, stato ipotizzato per un esemplare fittile con arti mobili da Yasa Tepe in Bulgaria. Ben documentati nelle stesse regioni sud-orientali, ma noti anche in altri ambienti culturali come quello della Linienbandkeramik, sono i vasi antropomorfi la cui valenza simbolica era verosimilmente collegata al contenuto; presentano caratteri analoghi alle statuette come, ad esempio, la posizione delle braccia al di sotto del petto o verso l'alto, in un gesto rituale presumibilmente di preghiera; in alcuni casi le mani sorreggono dei vasetti, in un evidente atto di offerta che si ripropone in numerose figurine con un vaso in grembo o sulla testa. Particolarmente interessante è il ritrovamento di resti bruciati di un neonato insieme a cereali all'interno di un vaso antropomorfo femminile deposto in una fossa a Hódmezővásárhely in Ungheria, la cosiddetta Venere di Gorsza, riferibile alla cultura di Koros; si tratta di una delle più antiche testimonianze di cremazione finora note, per la quale è stata avanzata l'ipotesi di un sacrificio umano, che verrebbe ancor più ad avvalorare l'evidente significato di offerta votiva desumibile dalla collocazione e dalla stessa forma del vaso. Analoghe immagini antropomorfe sono talora riprodotte con varie tecniche su vasi di forma comune. Nel territorio italiano si possono ricordare le stilizzazioni della figura femminile su sopraelevazioni di anse documentate a Ripoli e le schematiche rappresentazioni del volto umano ricorrenti fin dai momenti più antichi del Neolitico; all'ambiente balcanico rinviano alcuni piedini antropomorfi, interpretabili come sostegni di vasi, ritrovati a Rendina III e in altri siti. Ampia è anche la documentazione delle figurine e dei vasi zoomorfi; il carattere rituale di questi ultimi è talora comprovato dalle modalità di deposizione, come nel caso dell'esemplare rinvenuto in una fossetta nel villaggio di Santo Stefano presso Ortucchio, verosimilmente ricollegabile ad un rito di fondazione. La produzione di figurine antropomorfe e zoomorfe perdura in età successiva. Nelle regioni balcaniche ancora ben rappresentate nelle varie facies eneolitiche sono le statuette femminili, ritrovate a Ovčarovo, in Bulgaria, in associazione a modellini fittili di vari elementi, con motivi decorativi dipinti, costituenti l'arredo di un tempio, una vera e propria scena di culto di eccezionale interesse in cui sono stati riconosciuti alcuni simboli, tra cui quello del Sole. Di notevole interesse è il rinvenimento di 25 figurine antropomorfe in argilla e 2 in alabastro in una fossa scoperta nel sito stratificato di Tărtăria in Transilvania che, riferita alla cultura neolitica di Vinča-Turdaş, sembra invece più probabilmente appartenere ai livelli eneolitici di Coţofeni; le figurine erano accompagnate da un oggetto di argilla a forma di ancora, un braccialetto di Spondylus e tre tavolette di argilla con segni incisi che sono stati collegati a quelli delle prima scrittura sumerica di Uruk- Warka IIIb. In altri ambienti culturali meritano particolare rilievo le numerose statuette ritrovate nei templi megalitici di Malta, tra cui si può ricordare la famosa "dea dormiente" rinvenuta nell'ipogeo di Hal Saflieni. Intenzionalmente frammentate e disseminate in più fosse sono apparse alcune delle statuette con caratteri umani o antropoteriomorfi che, insieme a una protome taurina, a vasellame, a ossa di animali combuste e a ceneri, erano contenute nelle fosse votive della necropoli di Piano Vento, in Sicilia, cui già è stato fatto riferimento. La raffigurazione di grandi occhi, presente su alcune di queste statuette, caratterizza i cosiddetti idolos oculados della cultura iberica di Los Millares; realizzati in calcare, osso e terracotta hanno forma cilindrica e una decorazione a motivi geometrici in cui elemento indicativo del significato simbolico può essere considerata proprio la rappresentazione degli occhi che, in forma più o meno stilizzata, compare già in età neolitica, come ad esempio sui vasi della facies di Stentinello diffusa in Sicilia, nelle Isole Eolie e in Calabria. Nell'ambito delle figurine zoomorfe di età eneolitica, come deposizione votiva può essere interpretato il rinvenimento a Bytyń in Polonia di due statuette di rame che rappresentano una coppia di buoi con resti di giogo al collo, insieme a sei asce piatte riferibili alla cultura del Vaso Imbutiforme; in questo caso la valenza simbolica è avvalorata dal materiale di pregio utilizzato, elemento che, in un diverso contesto, si ripropone nella deposizione di figurine zoomorfe in oro nelle tombe di personaggi eminenti della necropoli di Varna in Bulgaria. La realizzazione di figurine antropomorfe e zoomorfe perdura anche nell'età del Bronzo fino alle fasi più avanzate di questo periodo; limitatamente al territorio italiano, si possono ricordare i due idoletti micenei ed un terzo di imitazione locale dell'insediamento di Scoglio del Tonno (Taranto) e le 26 figurine fittili di cavallo ritrovate, insieme a due piccole ruote, in uno spazio destinato alla deposizione di offerte votive nella fase del Bronzo Recente dell'insediamento terramaricolo di Santa Rosa di Poviglio (Reggio Emilia). Anche in ritrovamenti di altri oggetti con caratteri peculiari, o più comuni, può essere analogamente individuata una valenza simbolica in considerazione dei caratteri del contesto: deposizioni votive legate a riti di fondazione sono, ad esempio, riconoscibili nella collocazione in buche di palo di un modellino in argilla di un tetto di casa nel già citato insediamento di Branč in Slovacchia e di lame e schegge di selce in quello della Linienbandkeramik di Köln-Lindenthal in Germania. Deposizioni votive in buche ricorrenti in grotte e abitati sono ben documentate, come si è accennato, dal Neolitico all'età del Bronzo. Nell'insediamento di Poiana în Pise, in Romania, una fossa conteneva frammenti di vasi rotti intenzionalmente, un vaso integro pieno di grano, un modellino di un'accetta di argilla, ossa di animali bruciate e resti di carbone; in questo contesto vengono dunque a proporsi l'atto della frammentazione intenzionale, già rilevata in altri siti e ampiamente diffusa in vari ambienti e in diverse epoche, e quello imitativo, di cui merita rilievo un'altra interessante testimonianza nella Grotta dei Piccioni di Bolognano (Pescara). Nei livelli della cultura di Ripoli del deposito di quest'ultima grotta, un manufatto in argilla che riproduce la forma dei ciottoli fluviali era ad essi associato nella delimitazione di uno degli 11 circoli venuti in luce, nel cui interno erano deposti resti di bambini od oggetti particolari, quali omeri di anatide con palline di argilla impastata con ocra all'estremità, oltre a vasi spezzati intenzionalmente che, insieme a una serie di altri significativi elementi, conferiscono a questo particolare complesso una connotazione sacrale; sia negli stessi livelli che in quelli sovrastanti di questa grotta sono state individuate diverse buche, tra le quali si può ricordare quella contenente un vaso integro riferibile al Bronzo Antico. Un analogo ritrovamento di un vaso riferito all'Eneolitico è stato effettuato nella Grotta Sant'Angelo sulla Montagna dei Fiori (Teramo) dove, nei livelli dell'età del Bronzo, merita inoltre rilievo la presenza di una buca circolare circondata da 11 fossette, in una delle quali sono stati rinvenuti cariossidi e legumi carbonizzati. Buche contenenti elementi indicativi di una funzione rituale sono presenti in numerose altre grotte dell'Italia centromeridionale. Tra i più importanti rinvenimenti si possono ricordare quelli effettuati nella Grotta Continenza di Trasacco (L'Aquila), dove è documentata una delle più antiche testimonianze del rito della cremazione che trova una certa analogia in quella del vaso antropomorfo di Gorsza, sopra citato, per i caratteri di eccezionalità evidenti nelle modalità della deposizione: nei livelli del Neolitico antico, due vasi contenevano ciascuno resti di un bambino ed uno di essi, insieme ad un frammento di vaso che lo copriva, era spalmato di limo giallo, un terzo conteneva resti di ocra ed un quarto frammenti cranici di un adulto; l'insieme era ricoperto dalle ossa bruciate di una donna adulta. Alcune buche sono apparse foderate di limo, un'altra conteneva una parte di ciotola spalmata di ocra; innegabili sono dunque le chiare connotazioni cultuali di questo particolare rito funerario. Come deposizioni votive possono essere considerate le ceramiche frammentate ritrovate nelle buche situate in corrispondenza delle pitture nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco, nel Salento, alla quale tutta una serie di significative evidenze conferiscono il carattere di luogo di culto. Al di fuori del territorio italiano, in età eneolitica nella Grotta dell'Église a Baudinard nel Var, due vasi spezzati intenzionalmente, uno dei quali di tipo Fontbouisse, erano deposti in una buca scavata sotto la raffigurazione dipinta di un Sole. Nell'età del Bronzo, nell'ambito della cultura eoliana di Capo Graziano, alla Calcara nell'isola di Panarea ceramiche frammentate erano contenute in profondi pozzetti, il cui significato rituale è stato collegato ad un culto delle forze endogene rappresentate dalle fumarole che rendono il luogo difficilmente abitabile. Tra i vari oggetti deposti nelle buche si possono ricordare le numerose perle in calcare rinvenute in una fossetta nella Grotta del Chemin de Fer nel Gard; la deposizione di collane come offerte è ampiamente documentata in diversi ambienti culturali, particolarmente ricorrente in contesti funerari, come nel caso degli oltre 2000 elementi ornamentali, pertinenti ad una quindicina di collane, ritrovati nei livelli campaniformi della tomba di Padru Jossu di Sanluri (Cagliari). Ad un rito di fondazione pare verosimilmente connessa la deposizione di un'accettina litica in una fossetta in prossimità del tumulo riferibile all'orizzonte Campaniforme di via Bruschi a Sesto Fiorentino. Anche questo ritrovamento viene ad avvalorare l'ipotesi di un culto dell'ascia attestato fino dall'età neolitica dalle ricorrenti imitazioni in argilla ed altri materiali di quest'oggetto documentate, oltre che dal già citato esemplare di Poiana, in numerosi altri siti, tra cui si possono ricordare alcuni significativi ritrovamenti nei Paesi scandinavi come, ad esempio, quello di sei asce disposte intorno ad un'ascia di scisto. L'insistenza con cui l'ascia è rappresentata in pendagli e modellini, tra cui un esemplare di Lama Marangia in Puglia con una fascia rossa dipinta, nella decorazione dei manufatti e nelle incisioni rupestri evidenzia il suo significato simbolico, che persiste attraverso l'età del Bronzo, come comprovano, ad esempio, le riproduzioni su un vaso della terramara di Sant'Ambrogio o su un rasoio ritrovato presso Peschiera del Garda. Nelle buche e in altri contesti di carattere rituale ricorrono resti di animali ed anche umani. Nell'ambito della facies di Serra d'Alto, crani di cervi e di caprioli erano stati deposti lungo le pareti dell'Ipogeo Manfredi di Santa Barbara presso Polignano a Mare, il più antico ambiente ipogeo artificiale finora noto nella penisola italiana di cui evidente è la funzione cultuale. A riti di fondazione può essere collegato il ritrovamento di un cranio di donna in una fossa nel villaggio del Neolitico antico di Marcianese in Abruzzo, come pure uno scheletro di cervo rinvenuto al di sotto di un'abitazione della Stichbandkeramik a Dingolfing, evidentemente sacrificato in occasione della costruzione della casa. A Jordansmühl, in Polonia, un maialetto intero con il cranio schiacciato, circondato e coperto di pietre, era contenuto in una buca insieme ad un frontale di bue. Nell'abitato eneolitico di Le Cerquete- Fianello a Maccarese (Roma), un carattere rituale è stato riconosciuto nella deposizione secondaria di resti di un cavallo, al di sopra della quale sono stati rinvenuti due scheletri di cuccioli di cane, in una fossa di ridotte dimensioni sigillata da uno strato di argilla. Anche la deposizione di resti vegetali, talvolta contenuti in vasi come nel caso di Poiana, ricorre all'interno di buche e di circoli di pietre, chiaro indizio di riti in funzione della fertilità della terra; grano e orzo carbonizzati sono presenti in uno dei circoli della Grotta del Leone di Agnano presso Pisa, resti di graminacee in quelli della Grotta Cosma presso Porto Badisco, anch'essa con pitture sulle pareti come la vicina Grotta dei Cervi. Un altro elemento ricorrente nelle manifestazioni rituali di età preistorica e protostorica è la presenza di acqua, cui sono connesse peculiari deposizioni che assai frequentemente, per tutta una serie di significative evidenze, costituiscono chiari indizi di particolari forme di culto delle acque sotterranee. In età neolitica nella Grotta Scaloria presso Manfredonia, lungo una stretta galleria che immette in un'ampia sala con un laghetto sul fondo, gruppi di vasi con decorazione dipinta nel medesimo stile erano deposti intorno a stalagmiti spezzate alla base e qualche vaso era inoltre poggiato sopra i tronconi. Al Neolitico sono riferibili anche i vasi collocati su ripiani delle pareti, in fessure del pavimento e, in posizione capovolta, intorno a una cortina stalagmitica circostante una vasca piena d'acqua nella Grotta Pozzi della Piana in Umbria. Al Trou Arnaud (Drôme) vasi di tipo chasseano, insieme a cereali, erano collocati lungo il corso d'acqua che percorre la grotta. Ad un aspetto del Neolitico finale o, secondo alcuni autori, del primo Eneolitico sono riconducibili i vasi interi deposti intorno ad un laghetto all'interno della Grotta Zinzulusa nel Salento. Deposizioni di vasi riconducibili a culti delle acque perdurano nell'Eneolitico e nell'età del Bronzo. Una delle più significative testimonianze è costituita dai depositi votivi della fonte sacra della Panighina di Bertinoro (Forlì), un pozzo scavato in età eneolitica, periodo al quale è riferibile la maggior parte dei reperti. Il luogo fu utilizzato anche nel Bronzo Antico e Medio per pratiche, regolate da uno specifico rituale, probabilmente connesse alle proprietà terapeutiche dell'acqua. Il pozzo venne ritrovato colmo di vasi, in parte integri, soprattutto brocche e boccali o, comunque, contenitori atti alla funzione dell'attingere e del trasportare acqua; alcuni vasi conservavano nelle anse resti di fibre vegetali, residui delle funi con cui venivano calati nel pozzo, in altri si conservavano tracce di ocra o resti di sostanze alimentari, frutti e semi carbonizzati e ossa di animali. Nella Buca del Rospo, sul Monte Cetona, al Bronzo Antico è riferibile una scodella con orlo a tesa deposta per la raccolta delle acque di stillicidio in un punto di difficile accesso, in un anfratto che si apre al di là di un profondo pozzo verticale non agevolmente raggiungibile. Sempre nel territorio senese, nella Grotta dell'Orso di Sarteano a ridosso delle pareti, dove più intenso è lo stillicidio, erano stati deposti gruppi di vasi integri, in prossimità di uno dei quali vennero rinvenuti carboni e cariossidi carbonizzate. Nella Grotta del Beato Benincasa, periodicamente invasa dalle acque di un torrente che forma cascate e laghetti in prossimità degli ingressi, di notevole interesse è il ripetersi, dall'antica alla media età del Bronzo, di deposizioni di determinate fogge vascolari tra cui, soprattutto, vasi a collo e scodelle con orlo distinto riferibili al Bronzo Antico, forme aperte con manici o anse sopraelevate probabilmente usate per attingere riconducibili alle prime fasi del Bronzo Medio. Nel territorio laziale chiare testimonianze cultuali, riferibili al Bronzo Medio, sono venute in luce a Grotta Nuova e a Grotta Misa, entrambe articolate in più ambienti con accesso poco agevole e attraversate da corsi d'acqua che defluiscono in inghiottitoi. A Grotta Nuova molti dei vasi recuperati, alcuni dei quali contenevano o, in posizione capovolta, ricoprivano ossa di animali e cereali anche carbonizzati, erano stati deposti lungo le sponde e dentro il corso d'acqua; nel punto in cui il fiume precipita nell'inghiottitoio fu rinvenuto un attingitoio la cui perfetta corrispondenza formale con un esemplare di Grotta Pertosa, anch'essa sicuramente frequentata per pratiche cultuali collegate alla presenza dell'acqua, costituisce l'indizio di una circolazione su lunghe distanze, in ambienti culturalmente differenziati, di modelli con specifica destinazione rituale. A Grotta Misa merita particolare rilievo il rinvenimento di diversi tipi di cereali deposti all'interno di un anello di cenere e carboni; significativa è inoltre la presenza di resti umani in deposizione secondaria che, ricorrente in numerose altre grotte, sembra far parte integrante di manifestazioni di carattere più propriamente cultuale. I più significativi indizi di quest'ultime evidenze si possono cogliere nelle grotte di Belverde di Cetona, dove ben documentata è la selezione dei crani che, riuniti in determinate zone delle grotte, apparvero spesso collocati in posizione capovolta, in un caso riempiti di cenere e in frequente associazione con crani di cane ed oggetti di pregio. Un analogo significato sembra, ancora più manifestamente, avere la presenza di resti umani limitata a frammenti di parietali di tre bambini con tracce di esposizione al fuoco nella Grotta dello Sventatoio (Sant'Angelo Romano); alcuni vasi integri contenenti semi di grano, orzo e fave, resti di una "focaccia" di cereali, ossa di animali di giovane età lasciano supporre che per lo meno una parte delle centinaia di recipienti ricostruibili fosse stata deposta con porzioni di cibo, ripetute offerte votive in una grotta la cui connotazione sacrale può essere collegata alla fuoriuscita di flussi d'aria e vapori. Al Bronzo Medio è riferibile la notevole quantità di attingitoi rinvenuti a Grotta Pertosa nel Salernitano, indicativa di un rituale che prevedeva la raccolta dell'acqua e il successivo abbandono dell'attingitoio, in quanto oggetto appartenente alla grotta stessa come luogo sacro; particolare rilievo merita il ritrovamento di ben 324 vasetti in miniatura, per la maggior parte allineati e impilati in un anfratto della roccia verso il fondo della cavità. Assai frequente è la presenza di questi vasetti miniaturistici in grotte con funzione cultuale; relativamente ai contesti di abitato, nell'insediamento del Castello di Lipari, nelle Isole Eolie, ad un culto domestico è stato collegato il rinvenimento di oltre 50 esemplari di tali vasetti all'interno di un'abitazione, riferibile alla cultura di Capo Graziano, di dimensioni maggiori e con tutta una serie di caratteri peculiari rispetto alle altre. Sempre in merito agli abitati, i più significativi indizi di pratiche rituali si colgono nei siti perilacustri attualmente sommersi: a Vicarello, nel Lago di Bracciano, sulla superficie di un grande tumulo di pietre e sul piano di calpestio dell'area circostante, delimitata da un muretto, sono venute in luce numerose ceramiche rotte intenzionalmente ed oggetti di pregio di cui è stata sottolineata la valenza simbolica, oltre a fossette con tracce di concotto e resti di animali carbonizzati; di particolare interesse è inoltre il rinvenimento di diverse specie di semi, tra cui quelli dell'ulivo e di una pianta selvatica idonea alla produzione di sostanze fermentate, all'interno di un vaso biconico inglobato nell'argilla che riempiva un'imponente struttura. L'uso di vasi biconici per deposizioni rituali è comprovato dal rinvenimento di una piccola spirale d'argento all'interno di un esemplare riferibile al Bronzo Antico recuperato nel Lago di Mezzano. Relativamente alle comuni forme vascolari, meritano rilievo i risultati di un'esaustiva analisi tipologica delle ceramiche dell'antica e media età del Bronzo dell'Italia centrale che, in riferimento ai contesti di appartenenza, hanno consentito di evidenziare una selezione dei recipienti usati per deposizioni votive, risultando in linea generale privilegiate le fogge di più accurata fattura a profilo articolato e di grandi dimensioni, spesso decorate (Cocchi Genick 1999). Un altro dato interessante è la constatazione che, tra i modelli di più vasta diffusione, documentati a distanze maggiori, sono in netta prevalenza proprio quelli per i quali è presupponibile una primaria destinazione rituale; in questo fenomeno può aver influito l'importante ruolo svolto da centri religiosi probabilmente frequentati da gruppi provenienti da zone diverse, quale viene a prefigurarsi quello di Belverde di Cetona, cui sul versante adriatico potrebbe corrispondere il complesso di grotte della Gola del Sentino. La ricorrenza negli insediamenti perilacustri di numerose fogge vascolari documentate nelle grotte può essere indicativa dell'espletamento di analoghe pratiche rituali in contesti in cui un ruolo importante poteva avere la presenza dell'acqua; non è forse un caso che molti dei tipi in essi rappresentati siano documentati proprio nelle grotte percorse da acque sotterranee. Problematica è l'interpretazione dei ripostigli, insiemi di oggetti intenzionalmente sepolti nel sottosuolo, la cui deposizione può essere stata determinata dalle più diverse motivazioni individuabili mediante l'analisi del contesto di rinvenimento e della composizione, criteri che tuttavia spesso non consentono sicure scelte interpretative. Per i ripostigli di manufatti di selce o di rocce verdi deposti all'interno o all'esterno degli abitati è generalmente difficile stabilire se si tratti di utensili abbandonati involontariamente o di offerte votive; quest'ultima ipotesi è stata, ad esempio, prospettata per un ripostiglio di Bondaricha sul Donec costituito da diverse lame di coltelli, un'ascia e raschiatoi cui era associata una notevole quantità di ocra. Controversa è anche spesso l'interpretazione dei ripostigli di oggetti in metallo come risorse tesaurizzate o come deposizioni cultuali; si tratta di un fenomeno di ampia diffusione che si sviluppa nel Bronzo Antico per il quale appare, in realtà, difficile e fuorviante contrapporre un significato economico ad uno religioso, in entrambi i casi comunque indicativo di forme di accumulazione e tesaurizzazione di ricchezza che vengono manifestamente a svilupparsi nelle fasi più tarde dell'età del Bronzo, quando i ripostigli non sono più costituiti da oggetti di prestigio integri, ma dalle più diverse categorie di manufatti anche rotti o spezzati intenzionalmente. G.L. Carancini, in riferimento al possibile carattere sacrale, ipotizza per i ripostigli della fase avanzata del Bronzo Antico, periodo che precede la stabilizzazione degli insediamenti, un intento di contrassegnare il possesso del territorio. Con l'inizio del Bronzo Medio, quando le comunità sono in grado di esercitare un più ampio controllo di vaste zone, il calo del fenomeno di tesaurizzazione corrisponde all'affermarsi della pratica delle offerte in corsi e specchi d'acqua o presso le sommità dei monti. Deposizioni rituali in corsi e specchi d'acqua o presso la sommità di alture, comunemente consistenti in offerte di oggetti di bronzo di fattura alquanto elaborata con particolare frequenza di spade, sono ampiamente documentate dall'età del Bronzo fino alle soglie di quella storica in molte zone d'Europa, dall'Italia centro-settentrionale alla Francia, alla Germania, alle Isole Britanniche fino alle aree più settentrionali. In Italia si possono ricordare le spade rinvenute nel Lago Trasimeno, nell'alveo del Fucino e i due esemplari provenienti dal Lago di Mezzano la cui destinazione non funzionale è stata confermata dalle analisi metallografiche; in questi ritrovamenti trova inoltre corrispondenza la deposizione di due spade appoggiate sul suolo con le punte incrociate nell'Antro della Noce di Belverde di Cetona, l'importante centro religioso la cui frequentazione, verosimilmente per questa sua particolare connotazione consolidatasi nel tempo, perdura oltre il generale abbandono delle grotte che nell'Italia centro-meridionale si verifica con la fine del Bronzo Medio. Queste ultime evidenze rientrano tra quelle maggiormente indicative dei profondi cambiamenti delle concezioni religiose che si manifestano nelle fasi più tarde dell'età del Bronzo; alle antiche tradizioni imperniate su una religiosità di ispirazione naturalistica collegata al mondo ctonio, alla sfera della fertilità e della fecondità, subentrano espressioni di una più evidente trascendenza nell'ambito di una sacralizzazione della sfera celeste. Ricorrente è il simbolo del Sole, cui già è stato fatto riferimento trattando delle incisioni rupestri, raffigurato da dischi d'oro rinvenuti in diverse zone europee, da quella nordica all'area mediterranea e ben documentati anche nel territorio italiano, nel ripostiglio di Gualdo Tadino in Umbria, a Borgo Panigale, Redù e Casinalbo in Emilia. Questi reperti dovevano essere montati su supporti di materiale deperibile in più complesse figurazioni, di cui può costituire un esempio il famoso modellino di carro bronzeo di Trundholm in Danimarca: trainato da un cavallo e sormontato da un disco con rivestimento aureo, costituisce un esempio di oggetto votivo raffigurante il carro del Sole, con significativa corrispondenza nella descrizione data nella mitologia classica. Nella simbologia dell'età del Bronzo un ruolo rilevante hanno le figurazioni ornitomorfe; tra le numerose testimonianze si può ricordare un carretto di ceramica da Dupljaja, in Serbia, montato da una divinità con volto ornitomorfo e trainato da uccelli acquatici, che già nell'età del Bronzo potevano forse essere considerati tramite di comunicazione con la sfera divina.

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