L'architettura: caratteri e modelli. America Meridionale

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

L'architettura: caratteri e modelli. America Meridionale

Luis Guillermo Lumbreras
Duccio Bonavia
Carlos Williams León
Peter Kaulicke

Caratteri generali

di Luis Guillermo Lumbreras

Tranne che nell'area delle Ande Centrali e parzialmente in quella delle Ande Settentrionali, l'architettura nativa dell'America Meridionale si orientò quasi esclusivamente verso la risoluzione delle necessità abitative. Assecondando le condizioni ambientali e conformandosi al grado di complessità culturale, nelle basseterre sudamericane (Amazzonia, llanos dell'Orinoco, meseta brasiliana, Chaco, Pampa-Patagonia) essa ebbe infatti limitati sviluppi. L'insediamento umano in ecosistemi come quello della foresta amazzonica in genere non implicò, anche per i gruppi dediti all'agricoltura, la presenza di strutture permanenti: i sistemi di acquisizione del cibo (agricoltura per debbio, caccia o pesca) imponevano infatti spostamenti periodici. Le condizioni climatiche e la disponibilità locale di materie prime favorirono la costruzione di abitazioni con tronchi d'albero e fogliame, che potevano essere edificate dalle unità domestiche attraverso forme di cooperazione semplice. Le evidenze archeologiche testimoniano incrementi appena percettibili nelle dimensioni degli insediamenti, di scarsa rilevanza sotto il profilo propriamente architettonico. Quanto ai gruppi di cacciatori-raccoglitori dell'estremità meridionale del continente, le loro strutture abitative dovettero essere ancora più semplici: ripari rocciosi o grotte e tende di pelli di Camelidi. Nell'area delle Ande, dove gli insediamenti ebbero invece carattere permanente e vennero edificati in materiali durevoli quali la pietra e l'argilla, si può rilevare una progressiva evoluzione tecnica e formale, associata alla presenza di edifici con funzioni extradomestiche, di carattere religioso e amministrativo. Nelle Ande Centrali le più antiche forme di architettura apparvero tra il V e il IV millennio a.C., nello stesso periodo in cui si formarono villaggi agricoli. Sebbene nelle regioni montuose la gran parte dei gruppi continuasse ad occupare grotte o ripari, sulla costa (in associazione a un'economia centrata sulla raccolta di molluschi e sulla pesca, ma con indizi di agricoltura incipiente) vennero formandosi villaggi con strutture abitative in materiali vegetali: si tratta di capanne coniche o a pianta quadrangolare, realizzate con tronchi infissi nel suolo, provviste di tetto e dalle pareti di stuoie rivestite in alcuni casi d'argilla. Sulla sierra apparentemente vennero costruite abitazioni poggianti su basamenti di pietra, talora in prossimità di grotte. In realtà solo a partire dal III millennio a.C. sia nella costa che sulla sierra si andò affermando, insieme con l'intensificazione delle pratiche agricole, un'architettura permanente, associata a templi e ad edifici pubblici. L'architettura andina è un'architettura poderosa: le costruzioni principali sono costituite da grandi strutture piramidali a gradoni, da torri e da terrazze, sebbene siano altrettanto frequenti gli edifici recintati. Questi hanno generalmente poche finestre e, forse in ragione del fatto che quasi tutte le attività domestiche o pubbliche si svolgevano all'aperto, gli spazi esterni sono più accuratamente rifiniti di quelli interni, per lo più provvisti di nicchie e, in casi particolari, di decorazioni plastiche o pittoriche. Porte e portali erano anch'essi realizzati con cura estrema, allo stesso modo di scalinate, rampe e corridoi per il transito da un ambiente all'altro. I tetti erano generalmente di paglia o di altri materiali vegetali, anche se in culture come quella Huari (VII-XI sec. d.C.) e in molte zone della costa essi venivano fabbricati con argilla. Esistevano pure costruzioni, di tipo sotterraneo o a torre, con tetti di travi di pietra di tipo ciclopico o a "falsa volta"; non è attestato l'uso né dell'arco né della volta. Le differenze tra la costa e la sierra riguardano principalmente i materiali: nella prima fu impiegata soprattutto argilla e nella seconda pietra, anche se in entrambi i territori vennero sperimentate tutte le strategie costruttive. In senso generale si può affermare che nelle fasi iniziali l'architettura domestica privilegiò i materiali vegetali, mentre quella pubblica impiegò essenzialmente la pietra. All'epoca non si erano ancora nettamente definiti i binomi strutture abitative-apparati murari e strutture cerimoniali-piattaforme: in entrambi i casi l'argilla svolgeva la funzione di malta, ma essa venne anche impiegata in grosse zolle compatte (terrones), come materiale da riempimento e sotto forma di adobes (mattoni di terra essiccati al sole) e tapia (blocchi di terra essiccati in casseforme). Nella sierra di Ancash e di Huánuco (Perù settentrionale) si sviluppò la tradizione architettonica Kotosh-Mito: la sua espressione più nota è costituita da recinti a pianta quadrangolare provvisti di tetto, nel cui pavimento, costruito su due livelli, si trovava un focolare cilindrico interrato, alimentato d'aria dall'esterno. L'ambiente interno ai recinti era accuratamente rifinito, almeno nel caso del cosiddetto Tempio delle Mani Incrociate, dove sono stati rinvenuti i resti di una decorazione murale a rilievo, modellata e associata a nicchie, consistente in due coppie di avambracci umani incrociati. I recinti, di pietra e argilla, si associavano a costruzioni minori ubicate su terrazze e in spazi aperti, che assolvevano funzioni complementari. Si può rilevare un processo evolutivo dalle forme relativamente semplici individuate a Huánuco e risalenti agli inizi del III millennio a.C., a forme più complesse, come quelle del centro cerimoniale di La Galgada, sviluppatosi tra la seconda metà del III millennio a.C. e il II millennio a.C., quando già si constata nella regione la presenza di ceramica. A La Galgada venne sviluppandosi un'architettura massiccia, la cui espressione più significativa è rappresentata da piattaforme con rivestimenti esterni di grandi blocchi rettangolari di pietra, forse gli antecedenti dell'architettura del periodo Chavín. Sulla costa settentrionale e centrale (Trujillo, Ancash e Lima), dove erano insediati gruppi che praticavano un'agricoltura irrigua integrata dallo sfruttamento delle risorse marine, si definì una tradizione architettonica monumentale, caratterizzata da templi su piattaforme di grandi dimensioni, la cui costruzione richiese un ingente impiego di manodopera e una direzione specializzata dei lavori. Questo modello si affermò nel I millennio a.C., quando le esperienze costruttive della costa settentrionale e centrale e quelle della sierra si fusero e apparvero centri cerimoniali di considerevoli dimensioni, la cui forma tipica è rappresentata da Chavín de Huantar. I centri di tipo Chavín sono costituiti generalmente da tre grandi piattaforme disposte sui tre lati di una piazza quadrangolare e da varie strutture minori. La piattaforma centrale è quella di dimensioni maggiori e possiede un atrio di accesso alla sezione principale dell'edificio. Nei siti più importanti, come a Chavín de Huantar, è pure frequente la presenza di una piazza circolare seminterrata. L'articolazione su vari livelli delle piattaforme impose l'uso di gradinate, generalmente inglobate nella struttura degli edifici. A partire dal II millennio a.C. i muri vennero decorati da vari elementi (colonne, architravi incisi, cornici o intonaci), la cui presenza si generalizzò tra il IX e il V sec. a.C. Questa sarebbe stata una caratteristica dell'architettura andina costiera durante i periodi successivi, connessa non solo con le huaca (monticoli piramidali) ma anche con palazzi o altre strutture pubbliche. Agli inizi della nostra era gli spazi urbani della costa presentavano tutti piattaforme massicce associate a edifici residenziali di muratura. Sulla cordigliera, ad eccezione dell'altipiano del Titicaca, dove si sviluppò l'architettura di Tiwanaku che risponde ai criteri già citati (piattaforme e piazze), la tipologia dominante di insediamento fu quella del villaggio con abitazioni permanenti a pianta circolare o quadrangolare e tetto di paglia, protette in alcuni luoghi da cinte murarie che potevano costituire vere e proprie fortificazioni. Tra gli ultimi secoli a.C. e gli inizi della nostra era vari insediamenti registrarono evoluzioni in questa direzione, trasformandosi in fortezze. L'associazione tra questi tratti e quelli di carattere religioso, strutturalmente e morfologicamente distinti, diede luogo al tipo di insediamento urbano che caratterizzò le Ande Centrali prima dell'arrivo degli Spagnoli, soprattutto a partire dal VI-VII sec. d.C., quando costa e sierra si integrarono a causa dell'espansione militare di uno Stato della sierra, Huari, che sviluppò un urbanesimo di impronta civico-militare. Le città di Huari e Chanchan rappresentano il paradigma di questa tipologia insediativa, mentre Chavín, Moche e Tiwanaku costituiscono il modello dei centri cerimoniali più antichi. L'evoluzione delle tecniche edilizie permise un pieno sfruttamento delle risorse locali, determinando una netta distinzione tra la sierra e la costa nell'uso rispettivamente della pietra e dell'argilla come materiali costruttivi dominanti. Muri rivestiti di pietre lavorate, in uso fin dal I millennio a.C., divennero con gli Inca, nel XIV sec. d.C. o poco prima, l'elemento dominante. Caratteristici del Cuzco, così come di altre città fondate dagli Inca nelle Ande, sono gli apparati murari eretti, secondo il canone isodomo o a struttura ciclopica, con immensi blocchi poligonali di pietra finemente lavorata. Grazie agli Inca questo tipo di architettura si diffuse in tutte le Ande, senza però sostituirsi alle tecniche tradizionali sviluppatesi fuori dell'area centroandina. Accadde lo stesso per l'architettura funeraria, consistente in strutture a forma di torre, o chullpa, che raggiunsero i livelli più raffinati a Sillustani, nei pressi del Lago Titicaca. Nelle Ande Settentrionali l'architettura si basò principalmente sull'utilizzo di materie vegetali legate con argilla: con questi materiali vennero costruite le abitazioni dei primi villaggi conosciuti di quest'area, ad esempio quelli della costa del Guayas (Ecuador), datati al 3000 a.C. e appartenenti alla cultura Valdivia. Nei secoli successivi non si registrarono importanti mutamenti strutturali, tranne che nella forma e nella decorazione delle abitazioni. Il tratto più caratteristico è costituito dai tetti, sostenuti da tronchi posti alle estremità e provvisti di monaco, in modo da produrre una forma a sella, come attestano modellini fittili. In una fase non ben definita, apparentemente associata alla cultura Chorrera (1500 a.C. ca.), si venne delineando la tendenza, che si sarebbe compiutamente affermata solo alcuni secoli più tardi, ad edificare le abitazioni su monticoli artificiali (tolas) provvisti di rampe d'accesso. La maggior parte delle tolas era di argilla, ad eccezione di quelle di Imbabura (Ecuador settentrionale), erette con pietra tenera di origine vulcanica. Le tolas di Imbabura hanno forma troncopiramidale e si accede alla loro sommità attraverso una lunga rampa (fino a 200 m) che conduce a una serie di recinti interpretati come abitazioni, benché alcuni possano avere assolto funzioni cerimoniali. Queste tipologie architettoniche sono di complessità inferiore a quelle delle Ande Centrali, anche se a San Agustín e Tierradentro (Colombia) venne prodotta un'architettura funeraria di tipo megalitico, con costruzioni sotterranee di pietra e grandi sculture litiche. Più a nord e ad est, ai margini della cordigliera, sia in Colombia che in Ecuador e Perù (culture Tairona, Cosanga e Pajatén), sono stati identificati complessi costituiti da terrazze e da edifici circolari di pietra, comunicanti mediante scalinate addossate ai muri. Non vi sono evidenze che consentano di attribuire tali strutture a una stessa cultura, sebbene la maggior parte di esse appaia contemporaneamente (a partire dal 1000 d.C.), con antecedenti locali che solo ora si è cominciato a identificare.

Bibliografia

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I materiali e le tecniche

di Duccio Bonavia

I MATERIALI In termini generali si può affermare che, con alcune varianti, i materiali da costruzione utilizzati in America Meridionale furono la pietra, la terra, il legno e vari tipi di fibre vegetali; senza dubbio l'area in cui il loro impiego fu più ampio e complesso è quella delle Ande Centrali. La pietra venne diffusamente utilizzata: fin dalla preistoria i ciottoli trovarono largo impiego nelle costruzioni della sierra e della costa. Un buon esempio è il sito preceramico di Huaca Prieta, con muri di contenimento e abitazioni sotterranee in pietre commesse con malta di fango. La pietra non lavorata venne anch'essa utilizzata fin dagli inizi della civiltà andina: vi sono resti di strutture risalenti alla cultura Paiján, rappresentativa dei primi abitanti delle Ande. Opere murarie ordinarie o composite furono utilizzate per pareti o fondamenta, come rivestimento o come materiale di riempimento. Durante il Periodo Inca nella zona del Cuzco trovarono largo impiego pietre irregolari accuratamente selezionate, mentre per riempire gli spazi interstiziali venne utilizzato pietrisco. L'architettura in pietra rappresenta nelle Ande Centrali, e in particolare nella sierra, una tradizione molto antica, mentre nella costa essa venne apparentemente introdotta dagli Inca. Le prime evidenze nelle alteterre risalgono all'Orizzonte Antico (Chavín de Huantar). Nei periodi successivi essa ebbe importanti sviluppi presso le culture dell'altopiano, soprattutto in quella Tiwanaku. I migliori lavori in pietra si devono comunque agli Inca e vennero realizzati durante il regno dell'Inca Pachacutec. Venivano impiegati blocchi uniformi, finemente lavorati, o di forma poligonale; per assestarli si utilizzavano cunei di pietra, mentre per il riempimento dei muri erano usate pietre di ancoraggio, in alcuni casi commesse con fango. I muri poligonali più famosi sono quelli del Palazzo di Inca Roca e quelli di Sacsahuaman, nel Cuzco: molti blocchi poligonali pesano tra 45 e 75 t, ma in taluni casi essi possono anche raggiungere le 360 tonnellate. L'altro materiale utilizzato nelle Ande Centrali fu la terra: essa venne impiegata come malta, come materiale di riempimento, per l'intonacatura di muri e soprattutto per realizzare adobes, tapia o adobón. Gli adobes rappresentano uno degli elementi più comuni dell'architettura andina: si tratta di fango mescolato con sostanze antiplastiche, modellato in forma di mattone e fatto seccare all'aria. L'antiplastico varia secondo le tradizioni locali, sebbene il più comune sia la paglia secca. Esistono molte varianti di adobes; qui citeremo solo le principali. Durante l'Orizzonte Antico, nella costa settentrionale peruviana la cultura Cupisnique impiegò adobes conici, mentre sulla costa centrale erano più diffusi quelli di forma sferoidale e in quella meridionale, nella cultura Paracas, essi erano allungati e in forma di pannocchia di mais o ovoidale. Per realizzare adobes a forma di parallelepipedo i Moche (costa settentrionale del Perù, Periodo Intermedio Antico) utilizzarono stampi di canne, mentre in epoche più tarde in quasi tutta la costa (ad es., presso i Chimú) vennero impiegati stampi di tavole di legno. La terra, sotto forma di fango, fu impiegata anche nelle fasi tarde per realizzare tapia o adobón. Nell'area andina gli adobones venivano fabbricati creando una base solida (ad es., fango e piccole pietre sormontate da pietre più grandi), su cui si poneva uno strato di fango mescolato con sostanze antiplastiche, che si lasciava asciugare per applicarne uno successivo. Gli strati non si mescolavano e sono distinguibili per il colore e la differenza di densità; per evitare il gocciolamento si collocavano rotoli lungo i margini. Un materiale costruttivo poco conosciuto è la champa o tepe, comunemente detto terrón ("zolla"). Esso è stato e continua ad essere utilizzato soprattutto nella sierra meridionale del Perù. Si tratta di blocchi di terra con radici, tagliati in forma regolare e impiegati a mo' di adobes per la costruzione di muri. Un altro materiale diffusamente utilizzato fu il legno, soprattutto per realizzare la struttura di sostegno e il corrente del tetto e gli architravi delle porte. A causa della sua elevata deperibilità (soprattutto nelle aree montuose, soggette a piogge stagionali) i dati disponibili sono scarsi. Sulla costa era frequentemente utilizzato il carrubo (Prosopis), un legno molto duro; venivano inoltre impiegati altri materiali vegetali, quali canne (ad es., Gynerium sagittatum), giunchi, corteccia d'albero, liane, erbe. Tutti questi materiali furono in uso dalle epoche più antiche fino alla Conquista. Sulla costa, ad esempio tra i Moche, i tetti erano fabbricati con canne battute, stuoie e totora (Typha o Scirpus e Cyperus); le canne erano inoltre frequentemente impiegate, legate con fango, in forma di quincha. L'uso di stuoie, realizzate in modi diversi, fu molto diffuso in tutto il territorio andino. LE TECNICHE I resti architettonici più antichi dell'area andina risalgono al Periodo Paijanense, vale a dire all'arrivo dei primi gruppi umani sulla costa peruviana: si tratta di semplici semicerchi di pietra che forse servivano a sostenere strutture realizzate con materiale deperibile, sul tipo di paraventi. Durante il Preceramico le costruzioni di muratura divennero comuni, sebbene fossero frequenti anche quelle di ciottoli commessi con argilla. Una tecnica sviluppatasi nel Preceramico e rimasta in uso fino all'Orizzonte Antico fu quella delle cosiddette "borse di contenimento" fabbricate con giunchi (generalmente Scirpus americanus), che venivano riempite di pietre e successivamente collocate una accanto all'altra a formare file: esse erano utilizzate come materiale da riempimento di terrazze o edifici. Nella costa centrale si conoscono costruzioni di canne (Gynerium sagittatum) e giunchi (Cyperus): tali materiali venivano legati in forma conica e uniti tra loro, a formare una capanna dalla base circolare e dall'estremità a punta. Durante il Periodo Iniziale, sia nella costa che sulla sierra si costruirono apparati murari e grandi edifici con decorazioni esterne in altorilievo, che in alcuni casi erano dipinte. In alcune zone si iniziò ad impiegare l'adobe. Nell'Orizzonte Antico erano estremamente frequenti i muri di pietra, a secco o con malta, con o senza intonacatura; in questo periodo si iniziarono inoltre a impiegare lastre di pietra lavorata, come a Chavín de Huantar. Oltre agli adobes a forma di parallelepipedo, ne vennero costruiti di conici, che caratterizzarono in particolar modo la cultura costiera di Cupisnique. Erano collocati in file e disposti su una base di malta, in modo che le punte coincidessero. Nel caso di pareti spesse, si poneva una fila doppia di adobes, con la seconda fila rovesciata in modo che la punta toccasse la base di quella inferiore, mentre dalla parte opposta le basi erano a contatto; per questa ragione i coni dovevano essere leggermente inclinati verso il basso. Normalmente si faceva in modo che le basi fossero rivolte verso l'esterno delle pareti. Nella costa meridionale (Paracas) vennero impiegati adobes a forma di pannocchia di mais, collocati verticalmente nella malta. Il Periodo Intermedio Antico ebbe presso diverse culture sviluppi architettonici notevoli. Sebbene si continuassero a costruire muri di pietra, soprattutto sulla costa risulta essere stata prevalente l'architettura di adobes. I Moche realizzarono grandiose strutture costituite da milioni di adobes, con edifici sulla sommità. Le costruzioni più comuni erano semplici: i tetti, a uno o due spioventi, avevano sostegni al centro per il colmo e alle estremità per le travi maestre. Dalla trave superiore scendevano i correnti fino alla gronda e su di essi venivano poste canne grezze, stuoie di totora o intonacatura di fango. Nella cultura Nazca vennero impiegati adobes conici: quelli collocati nella parte esterna dei muri erano posti orizzontalmente, con la base rivolta verso l'esterno, mentre quelli interni stavano in posizione verticale ed erano commessi con malta d'argilla. A Tiwanaku per le costruzioni di muratura fu impiegata la pietra; negli edifici pubblici essa era finemente lavorata in blocchi a forma di parallelepipedo che venivano collocati in file regolari, con o senza malta. Alcuni blocchi di arenaria pesano oltre 130 t; per conferire maggiore resistenza alle pareti, essi venivano uniti con grappe di rame. Durante l'Orizzonte Medio i grandi centri amministrativi Huari furono costruiti con muri di pietra senza malta. In alcuni casi, come nella stessa città di Huari, gli edifici avevano anche tre piani. I tetti erano probabilmente realizzati con materiali deperibili. A Huari sono state rinvenute anche alcune particolari costruzioni, realizzate con grandi blocchi di pietra finemente lavorata, la cui funzione non è chiara. Nella costa si continuò ad utilizzare l'adobe, anche se in alcune località, come a Cajamarquilla, venne impiegato l'adobón. Nel corso del Periodo Intermedio Recente i mutamenti architettonici furono più formali che strutturali. Nella costa gli adobes erano soprattutto a forma di parallelepipedo, sebbene ne esistessero anche di tipi diversi. Nell'architettura Chimú essi erano impiegati in un modo molto particolare. Dapprima si costruivano le fondamenta con ciottoli e quindi vi si edificava sopra un blocco di circa 2 m² composto di adobes disposti in file per la loro lunghezza. Ciascun blocco era circondato da un cumulo di adobes non commessi, collocati in modo irregolare e con canne nei punti di giunzione. Questo procedimento era ripetuto fino a formare la struttura desiderata. Nelle abitazioni comuni dei Chimú predominava la quincha, con tetti di materiale deperibile. Un'importante tradizione architettonica si sviluppò nelle regioni meridionali, soprattutto sull'altopiano: essa è rappresentata dalle strutture funerarie conosciute come chullpa. Ne esistono tanto a forma di parallelepipedo, con pianta rettangolare o quadrata, che a forma cilindrica o troncoconica. Tali strutture torriformi, che potevano raggiungere un'altezza di 12 m, vennero edificate con muri compositi, con pietra lavorata o con adobes. Nell'Orizzonte Recente le tradizioni locali perdurarono, nonostante la presenza di influssi Inca. Intorno al Cuzco, la capitale dell'impero Inca, le case erano di muratura ordinaria o di adobes, con tetti a doppio spiovente di paglia, generalmente ichu (Stipa, Festuca o Calamagrostis) su un'armatura di pali. In alcuni casi, come a Machu Picchu, molte delle pareti di pietra erano intonacate; in altri casi le pietre non erano lavorate, ma attentamente selezionate e collocate in file regolari. Le case Inca sono state ripartite in diverse categorie: a) case dalle facciate prive di cuspide, il cui tetto, qualora a quattro spioventi, poggiava direttamente sui muri; b) case con facciate a cuspide sui lati più corti; c) case con tetto a doppio spiovente non provviste di trave maestra, ma con un muro nel centro su cui si poggiava l'armatura del tetto; d) edifici "aperti", cioè privi di una delle due pareti lunghe; e) edifici a due piani di diversi tipi. Nella costa la maggior parte delle case non aveva muri a cuspide, né tetti con spioventi. Le costruzioni più celebri del Periodo Inca sono quelle con muri di pietra finemente lavorata, con varianti che vanno dai blocchi regolari collocati in file parallele (Coricancha o Acllahuasi del Cuzco) ai blocchi poligonali irregolari (Hatunrumyoc al Cuzco), fino ai muri megalitici con pietre di dimensioni medie e grandi (Sacsahuaman) e a quelli a struttura cellulare di pietre di piccole dimensioni (Limatambo). La parte finemente lavorata era solo quella esterna, mentre all'interno la pietra era lasciata grezza e le irregolarità riempite con cunei, pietre di ancoraggio, ecc. I muri poligonali non erano commessi con malta; per collocare i blocchi veniva utilizzato il piano inclinato. La maggior parte degli edifici Inca era a un solo piano, anche se vennero pure costruite strutture su due livelli e, in casi rarissimi, su tre. I tetti erano di paglia, con armature di legno coperte da erbe o da stuoie lavorate su cui venivano fissate file di fascine di paglia. Ben poco si sa sugli strumenti di misura Inca: certamente si conoscevano l'archipenzolo e una sorta di regolo per il calcolo con misure arbitrarie. Gli unici strumenti da lavoro furono barrette e palanche di bronzo e legno, scalpelli di bronzo, asce di pietra e bronzo e martelli di pietra. Come abrasivo erano impiegate acqua e sabbia.

Bibliografia

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L'architettura domestica

di Carlos Williams León

Una delle più antiche testimonianze di architettura dell'America Meridionale proviene dal sito di Monte Verde (Cile). L'insediamento era composto da 12 abitazioni e da un edificio pubblico un poco isolato dalle prime. Le abitazioni erano rappresentate da strutture rettangolari (3-4,5 m di lato) di pali infissi nel terreno alla distanza di 1 m, a sostenere pelli che ne costituivano le pareti, con tetti probabilmente dello stesso materiale. Nel sito di Las Vegas (penisola di Santa Elena, Ecuador), datato tra 10.000 e 6600 anni fa, sono stati identificati numerosi accampamenti di gruppi che praticavano la caccia, la raccolta e sfruttavano le risorse dei mangroveti. Le abitazioni erano strutture circolari del diametro di 2 m, costruite con canne rivestite di argilla, rinforzate da un fossato poco profondo il cui riempimento pressato sosteneva la struttura. Le loro dimensioni, estremamente ridotte, indicano che esse ospitavano una sola famiglia e che tutte le attività quotidiane dovevano svolgersi all'esterno. Le stesse abitazioni circolari apparvero più tardi nel settore settentrionale dell'America Meridionale. Fino al 5000 a.C. circa gli insediamenti ospitarono gruppi di 25-50 individui in complessi di 10 o meno abitazioni. Insediamenti di maggiore complessità vennero costruiti da macrobande (150-250 individui) che si riunivano durante la stagione estiva per sfruttare i banchi di molluschi del litorale. La Paloma (costa centrale del Perù) era un insediamento occupato da genti che condividevano lo sfruttamento di risorse marine con gruppi provenienti dalle lomas (luoghi elevati con una vegetazione favorita dall'umidità delle nebbie invernali). Il sito fu ininterrottamente occupato per 1500 anni (4500-3000 a.C.), ma nonostante la sua estensione (15 ha) non ospitò mai più di 30 o 40 famiglie. Le abitazioni erano a pianta circolare o subrettangolare, interrate di 30 o 40 cm, con pareti e copertura di canne e paglia. Non sono state rilevate evidenze di qualche forma di pianificazione, né dell'esistenza di edifici pubblici. Aspero (Supe, Perù) e Real Alto (Valdivia, Ecuador) rappresentano forme di urbanesimo precoce, con usi differenziati del suolo e un'organizzazione funzionale. Ad Aspero vi sono nuclei agglutinati di abitazioni di canne e argilla e ambienti pubblici destinati al culto. A Real Alto si riscontra una disposizione ordinata, con un recinto di 400 × 300 m circondato da file di abitazioni al cui centro si ergono due basse piattaforme intonacate di fango. A Chilca sono stati identificati gruppi di abitazioni circolari. La costolatura è di fascine di canne rinforzate da ossa di balena e le pareti di stuoie di giunco. Negli ultimi secoli prima dell'era cristiana si produssero nuovi e vigorosi impulsi regionali e differenti forme di insediamento (complessi di andenes, sviluppi lineari, ordinamenti cellulari e villaggi cinti da mura). Interessante è il sito di Cerro Prieto (Ica, Perù), dove il villaggio risulta costituito da tre muraglie che circondano una cima montuosa. Un loro esame rivela che esse sono costituite da una serie di ambienti semisotterranei disposti l'uno accanto all'altro senza soluzione di continuità. Queste sequenze lineari di ambienti sono associate a terrazze e ad edifici piramidali. Nello stesso sito, sul pianoro a sud-est del rilievo, sono ubicate a distanze regolari una ventina di unità che corrispondono a un identico modello, consistente in una corte allungata di pianta subrettangolare, con un'ampiezza media di 10 × 20 m sul lato maggiore e che tende ad essere circondata per 3/4 circa del perimetro da un allineamento di ambienti irregolari (3-4 m di lato). Una seconda sequenza di ambienti si addossa alla prima per un'ampia parte del perimetro. Ciascuna corte allungata è associata dunque a 18-24 ambienti di dimensioni minori. La forma suggerisce che il complesso fu il luogo di abitazione di una famiglia estesa o di un lignaggio, che condivideva uno spazio comune recintato; ciascuna unità poteva essere occupata da 30-40 individui. Questo modello ebbe carattere regionale, dal momento che la stessa organizzazione si riscontra anche a Media Laja, sulla riva destra dell'Ica, ed è riferibile alla cultura Paracas. Chocoltaja (Ica, Perù), sito rappresentativo dell'architettura residenziale Nazca, fu un esteso villaggio. Le unità abitative sono costituite da un andén (terrazza) che generalmente misura 5 × 6 m, ma talora raggiunge i 10 m, nel senso trasversale alla pendenza. Gli andenes hanno muri di contenimento di pietra, lavorati su entrambe le facce e spessi 60 o 80 cm, che si elevano fino a 60-80 cm per formare un parapetto. In alcuni andenes è stata rilevata l'esistenza di panche alte 20 cm. Sui terrazzamenti si trovano costruzioni circolari del diametro di 2,5 m. Il pavimento era probabilmente di terra pressata e la struttura, conica o emisferica, di legno e paglia. La cultura Moche sviluppò un'architettura domestica molto differenziata. Le abitazioni rurali erano condizionate dalle limitazioni dell'ambiente e realizzate con materiali reperibili in loco (carrubo e canne nelle aree pianeggianti; adobes e canne, oppure pietra, canne e argilla in altre zone). Il carrubo venne impiegato per fabbricare colonne e travi e le canne intonacate di argilla per le pareti. I tetti erano a un solo spiovente, la pianta rettangolare e di dimensioni ridotte. Le abitazioni possedevano un unico ambiente interno, destinato al riposo, e un pergolato addossato che serviva da cucina e da luogo di lavoro e di ricevimento. Nelle residenze dell'élite, frequentemente rappresentate nella ceramica, appaiono spesso tetti a doppio spiovente: apparentemente privi di funzione pratica, data l'assenza di piogge, e in genere dipinti e decorati con creste, pennacchi, motivi scalari e teste di mazza, essi rappresentavano probabilmente simboli di status. Nell'impero Huari l'architettura privilegiò le forme geometriche, con grandi recinti rettangolari edificati in un'unica fase costruttiva, secondo schemi pianificati che comprendevano abitazioni di forma standardizzata. Pikillacta (Cuzco) e Viracochapampa (Huamachuco) mostrano la stessa pianta (quadrangolare, con una struttura a reticolo) e lo stesso tipo di abitazioni. Solo un numero ridotto di case è provvisto di porta: secondo W.T. Sanders (1978) l'accesso doveva essere dal tetto, generalmente piano o con una moderata pendenza e costruito con travi di legno. Sulle travi poggiavano pali di dimensioni minori strettamente commessi e su questi terra rivestita esternamente da gesso. Le strutture erano a uno o due piani, con due o tre corridoi paralleli per i caratteristici recinti. Una distribuzione tanto omogenea e rigida ha indotto alcuni studiosi a ritenere che si trattasse di quartieri militari. La cultura Chimú (Perù settentrionale) fu in parte erede della pianta ortogonale Huari. Il tracciato urbano di Chanchan, la capitale, si estende per 20 km², mentre l'area nucleare copre 6 km² ed è costituita da un gruppo di nove vasti complessi e da edifici minori che occupano tutti gli spazi interstiziali. Si distinguono due tipi di abitazioni: residenze dell'élite, con una disposizione regolare di allineamenti ortogonali, e abitazioni comuni, dalla pianta informale e di tipo rustico, impiegate anche come laboratori artigianali. I materiali da costruzione furono canne e argilla su fondamenta di adobes e pietra. Sono stati rinvenuti focolari e pozzi di immagazzinamento, oltre a grandi vasi fittili interrati per conservare acqua e chicha. La popolazione residente a Chanchan raggiunse nel periodo di auge 15.000-30.000 abitanti, occupando un'area di oltre 1 km²: la densità risultante era alta (250-300 abitanti per ha). Nel corso del XV sec. d.C., con l'espansione Inca, il mondo culturale andino si modificò drasticamente. Apparvero nuove forme di organizzazione dello spazio, di amministrazione, di urbanesimo e di edilizia domestica e più progredite tecniche di lavorazione della pietra. Il Cuzco, sede del potere politico e religioso, servì da modello per ogni progetto urbanistico sviluppato dagli Inca. Le strade strette, pavimentate e rettilinee formavano un reticolo di isolati, ciascuno dei quali era una cancha, ossia la residenza di un gruppo famigliare dell'élite Inca. Ogni cancha misurava approssimativamente 40 × 80 m e possedeva una caratteristica organizzazione interna, con una o due corti quadrangolari circondate da quattro edifici rettangolari. In tali strutture non esistevano divisioni interne e la circolazione avveniva attraverso la corte. Le ampie canchas che formavano il tessuto urbano non possedevano finestre verso l'esterno e comunicavano con le strade attraverso un'unica porta. Predominavano le grandi pareti di muri con blocchi squadrati come basamento e adobes dipinti nella parte superiore. Ollantaytambo, Pisac e Machu Picchu sono rilevanti esempi dell'urbanesimo Inca; tali insediamenti sembrano possedere una connotazione rituale, connessa con l'acqua e con l'agricoltura su terrazze artificiali. A Machu Picchu l'urbanesimo Inca conobbe i suoi più alti livelli: in pochi luoghi al mondo si raggiunse una migliore fusione tra forma urbana e territorio. Le aree abitative seguono il modello della cancha adattato alla topografia. Machu Picchu non ospitò una popolazione numerosa, ma fu una piccola città di 1000-1200 abitanti distribuiti in 200 strutture residenziali, la cui area urbanizzata, comprendendo la piazza monumentale, non superava i 5 ha. A differenza di altre culture regionali, gli Inca non costruirono edifici con ambienti e divisioni interne: le strutture erano costituite da un unico ambiente dotato di uno o più vani di accesso. La pianta rettangolare e una sua variante a tre pareti, con il quarto lato aperto verso la corte (masma), furono quelle più diffuse. Bibl.: W.T. Sanders, Pikillacta en la historia cultural andina, in ArqAmLat, 1 (1978); L.G. Lumbreras, Arqueología de la América andina, Lima 1981; C. Campana, La vivienda mochica, Trujillo 1983; T.D. Dillehay (ed.), Monte Verde: a Late Pleistocene Settlement in Chile, Washington (D.C.) 1989-97; D. Bonavia, Perú. Hombre e historia. De los orígenes al siglo XV, I, Lima 1991.

L'architettura pubblica

di Carlos Williams León

L'architettura pubblica apparve molto precocemente nelle comunità di villaggio delle Ande Centrali. Essa è presente in siti molto antichi, come quello, scavato da T.D. Dillehay (1989), di Monte Verde (Cile), dove, oltre alle abitazioni, è stata individuata una struttura, di carattere apparentemente pubblico, di pali infissi nel suolo e pareti di pelli. Essa presenta una pianta a forma di Y, diversa da quella delle case, e una maggiore densità di pali a sostegno delle pareti, forse come espressione di uno status differenziato. All'esterno le impronte di focolari rivestiti di argilla suggeriscono un uso comunitario di tale spazio. Questo tipo di architettura non si diffuse comunque estensivamente nel cosiddetto "Periodo dei primi villaggi" (5000- 3000 a.C.), divenendo frequente solo nel successivo "Periodo dei villaggi con tempio" (3000-2500 a.C.), corrispondente a quello che alcuni studiosi definiscono "Preceramico con cotone". Con strumenti e tecniche più idonei allo sfruttamento delle risorse ambientali, nel cosiddetto "Periodo di diffusione dei villaggi" (2500-2000 a.C.) la popolazione crebbe e i villaggi si moltiplicarono rapidamente: in questa fase sono già evidenti la presenza di specialisti (alcuni dei quali avrebbero raggiunto maggiore rango, prestigio e forse potere) e la relazione tra attività cultuali e di potere. Durante il "Periodo dei centri cerimoniali" (2000-1000 a.C.) nell'area delle Ande Centrali, e particolarmente sulla costa centrale del Perù, si verificarono profondi mutamenti, attestati dall'architettura pubblica, che acquisì un carattere monumentale, con un alto livello di sviluppo nella pianificazione, nella tecnologia edilizia e nelle decorazioni. Alcuni studiosi (Silva Santisteban 1997) ritengono che tali opere non avrebbero potuto essere realizzate senza l'esistenza di modelli avanzati di organizzazione sociale, vale a dire di forme precoci di Stato. In queste manifestazioni della presenza di un apparato statale è evidente la relazione tra culto e potere. L'architettura monumentale del II millennio a.C. conferma questa tesi, perché nello stesso momento in cui esprime forza e prestigio, essa risulta funzionale ai fini del controllo della massa dei credenti, della loro sottomissione ai mandati dell'élite e dell'ottenimento di tributi. I tributi in beni erano necessari al mantenimento delle élites, per quanto molto più significativi fossero i tributi in manodopera, che rendevano possibile la costruzione di strutture tanto poderose. I centri cerimoniali del II millennio a.C. si identificano come complessi di piramidi con pianta ad U (Williams 1979). La forma tipica presenta una piramide principale sul fondo della U e un allineamento di piramidi o monticoli su entrambi i lati, in modo tale da conformare due bracci allungati che delimitano una corte centrale. Tali strutture si diffusero da Mala a Casma (costa centrale del Perù), in un'area di circa 450 km, e prima della fine del II millennio a.C. apparvero a Chavín de Huantar (sierra settentrionale). La maggiore densità di siti è stata identificata nel complesso agricolo formato dalle valli del Rímac, del Lurín e del Chillón, nella valle del Chancay e in quella del Casma. Le dimensioni delle costruzioni sono sorprendenti. Huaca La Florida (valle del Rímac) possiede una piattaforma centrale alta 30 m e una vastissima corte, mentre San Jacinto en Huando (valle del Chancay) ha una corte di 30 ha, il cui livellamento richiese un'enorme quantità di materiale di riempimento; inoltre l'edificio venne integrato da sei strutture minori con pianta analoga. Nel poco più tardo sito di Sechín Alto (valle del Casma) è stata individuata un'imponente struttura a pianta quadrangolare (235 m di lato e 35 di altezza); lungo il suo asse si trovano un sistema di corti che si estende per 1,5 km e 30 edifici minori disposti su 400 ha. È interessante rilevare che in un raggio di 15 km vennero costruite altre cinque strutture di dimensioni simili; non sembra siano esistite nella piccola valle risorse sufficienti per un'accumulazione di eccedenze tanto consistente da permettere un così elevato investimento di tempo e manodopera. Il caratteristico modello dei templi con pianta ad U si diffuse dalla costa centrale alla sierra settentrionale del Perù, dove è rilevabile in particolare nel sito di Chavín de Huantar intorno al 1100 a.C. Quello di Chavín costituisce un complesso architettonico di dimensioni ridotte rispetto ai suoi antecedenti costieri, ma a differenza di questi è costruito in pietra, attraversato da gallerie e decorato da raffinati bassorilievi in pietra e da imponenti monoliti. Chavín fu un luogo cultuale di influenza panandina, centro oracolare e di pellegrinaggi e certamente sede di potere. Il tramonto degli influssi Chavín avvenne improvvisamente intorno al IV sec. a.C. per cause ancora da chiarire. Scomparso il potere unificante di questo centro cerimoniale, il territorio ad esso vincolato si frammentò in vari domini. In questo periodo di instabilità, protrattosi fino al 700 d.C., si svilupparono culture e Stati regionali, tra cui quelli di Moche, Nazca, Tiwanaku, Lima, Cajamarca e numerosi altri, ciascuno dei quali presenta tratti ereditati da Chavín, seppure all'interno di una propria, autonoma configurazione, in ragione anche di distinti modi di adattamento all'ambiente. I Moche costituirono in questo periodo un'importante entità politica e culturale sulla costa settentrionale del Perù, che si distinse per i notevoli progressi nel campo dell'ingegneria idraulica. La costruzione di grandiose opere di canalizzazione e l'amministrazione e il controllo delle risorse idriche richiedono un governo fortemente centralizzato: non vi è dubbio che tale forma di potere sia stata vigente nella società Moche, anche se non è facile comprenderne l'esatta natura attraverso le sole vestigia architettoniche. Il complesso Huaca del Sol - Huaca de la Luna (valle del Moche) è stato identificato come capitale politica, centro cultuale e luogo di residenza riservato all'élite (Uceda - Mujica - Morales 1995). Sul bordo della valle, tra un'enorme piramide scalonata (la Huaca del Sol) e un complesso edificio riccamente decorato (la Huaca de la Luna), ubicato alle falde del Cerro Blanco, vi è un grande spazio piano e allungato. Qui recenti scavi hanno portato al rinvenimento di un'intera città, abbandonata dopo essere stata distrutta da uno dei ricorrenti episodi climatici conosciuti con il nome di El Niño. È stata identificata la strada centrale, asse della città, ampia e livellata, nel cui bordo meridionale è un canale che recava acqua alle abitazioni. A queste ultime si accedeva mediante strette strade perpendicolari a quella principale; non si tratta delle abitazioni dei contadini, che certamente vivevano in prossimità dei campi, bensì di quelle delle famiglie di funzionari e amministratori, guerrieri di rango, addetti al culto, specialisti e artigiani che producevano i beni suntuari destinati all'élite. La Huaca del Sol è uno degli edifici di maggiori dimensioni dell'America Meridionale; essa appare ancora enorme, nonostante i cercatori di tesori del periodo coloniale abbiano deviato il corso del fiume per eroderne il lato occidentale e giungere così più facilmente al suo centro. L'edificio fu eretto mediante la cooperazione dei numerosi gruppi sociali soggetti alle autorità locali, come è confermato dal fatto che essi ebbero l'accortezza di marcare gli adobes forniti e di collocarli in colonne di 2 × 2 × 2,5 m. Per la sua importanza e per le sue dimensioni si comprende che la funzione di questa costruzione fu quella di incrementare il prestigio dell'élite governante e di ottenere l'appoggio delle divinità del Pantheon Moche. Gli archeologi che scavarono nel sito furono sorpresi nello scoprire che nelle basse piattaforme si era svolta un'intensa attività amministrativa, attestata da abitazioni e ambienti in materiali leggeri, da focolari e da rifiuti. Si può affermare dunque che la Huaca del Sol fu un edificio dedicato al culto e contemporaneamente all'amministrazione pubblica e all'esercizio del potere. La vicina Huaca de la Luna, edificio di dimensioni minori, recintato e con accesso ristretto, fu certamente sede del potere e ospitò attività rituali e cultuali riservate a pochi gruppi selezionati. In altri luoghi delle Ande, processi culturali e politici paralleli a quelli Moche vennero sviluppandosi nelle culture Cajamarca, Lima o Maranga, Nazca e in varie altre località della sierra, come a Tiwanaku, sull'altopiano del Titicaca. Qui si riuscirono a superare le avverse condizioni climatiche ed ecologiche proprie delle terre ubicate oltre i 3800 m s.l.m. Su questi terreni pianeggianti e freddi venne costruita la città di Tiwanaku, con un'architettura monumentale in pietra scolpita, piramidi, corti rettangolari seminterrate decorate da cabezas clavas (tenoni litici in forma di testa umana) e monoliti, tracciato geometrico e una popolazione numerosa. Il periodo successivo nel processo culturale delle Ande Centrali, definito Orizzonte Medio, fu relativamente breve (700-1000 d.C.) e connesso con Tiwanaku. Una colonia di questo popolo, che rendeva culto al Dio dai Bastoni originario di Chavín, si stabilì a Huari, non molto distante dall'odierna città di Ayacucho. Qui venne fondato un insediamento da cui si irradiò rapidamente una nuova forma di civiltà, che avrebbe reso uniforme il panorama culturale centroandino, creando un nuovo orizzonte e ponendo fine alle culture regionali. L'architettura Huari rivela la presenza di una politica di dominio territoriale, espressa dalla reiterazione di modelli di edifici nelle aree occupate, dalla creazione di una rete viaria e dalla costruzione di nuove città; è evidente l'esistenza di una volontà pianificatrice centralizzata, di un urbanesimo a carattere statale e di un corpo di architetti e costruttori di prototipi che vennero edificati su circa 3000 km² in aree pianeggianti e montuose delle Ande Centrali. In ogni luogo occupato furono costruiti grandi recinti a pianta quadrangolare o rettangolare, ai cui bordi si trovavano edifici allungati a un solo corridoio, con la funzione di alloggiamenti e depositi. Pikillacta (Cuzco) e Viracochapampa (Huamachuco) mostrano la stessa pianta ortogonale. A Huari, la capitale, tale pianta non è apprezzabile: questa città crebbe infatti in modo organico, dal momento che la formazione di quartieri e recinti complessi si adattò alla topografia. Nell'architettura monumentale non è stato possibile distinguere le strutture di culto da quelle di potere. Al termine del dominio Huari lo spazio venne di nuovo frammentandosi in piccole unità di potere. Da questo periodo di mutamenti sarebbero nate nuove entità politiche, tra cui il regno di Chimor (o Chimú), che si estese su 1000 km di costa desertica tagliata da anguste valli prive di risorse idriche permanenti. Chanchan, la capitale, è composta da 9 (o forse 10) grandi recinti, definiti ciudadelas, protetti da muri alti fino a 9 m e con una sola entrata. Costruiti nel corso di successive generazioni, essi presentano una caratteristica distribuzione: l'unico accesso conduce a una corte cerimoniale di entrata fiancheggiata da panche e da lì a un complesso sistema di corridoi che portano a recinti con file di depositi e ambienti. A Chanchan non vi sono templi, né luoghi pubblici, mercati, strade o viali. Non si tratta di una città comune, con le caratteristiche funzioni dei complessi urbani; essa può essere meglio definita come una successione di complessi architettonici, ciascuno dei quali adibito a dimora di un determinato sovrano, a luogo di culto della sua persona dopo la morte e a residenza dei suoi discendenti. L'ultima fase della storia culturale andina è caratterizzata dall'affermarsi dell'egemonia Inca. L'architettura pubblica, sia quella legata al culto sia quella connessa con il potere, acquisì status e qualità principalmente attraverso una raffinata lavorazione della pietra e degli apparati murari. È evidente che questo impegno nel costruire opere monumentali in pietra era vincolato con il potere, anche se la pianta degli edifici pubblici non mostra alcuna differenza rispetto a quella dell'architettura comune. Vi è sempre una corte delimitata da quattro ambienti a pianta allungata, privi di divisioni interne. Lo stesso modello era applicato alla residenza dell'Inca, a quella dei nobili, ai templi e alle case dei contadini. Il Cuzco, capitale del Tahuantinsuyu, era luogo sacro e sede del potere. La città, pianificata e con pianta a forma di puma, era abitata solo dalla nobiltà e circondata da campi coltivati e, al di là di questi, da una cinta di villaggi in cui risiedevano gruppi di gerarchia inferiore, contadini e servitori. Le cerimonie pubbliche, con la partecipazione massiva della popolazione, avvenivano all'aperto, nella piazza principale, Haucaypata, un terreno pianeggiante chiuso su tre lati da edifici. Un fiume canalizzato tagliava questa piazza, mentre nell'altro settore si trovava il mercato. Nella piazza principale erano ubicate le residenze delle famiglie reali, l'Acllahuasi ("casa delle donne scelte") e le kallanka, edifici che potevano ospitare attività pubbliche in condizioni climatiche avverse. Vi erano inoltre un basso monticolo da cui venivano dirette le cerimonie (ushnu), l'altare da cui si dipartivano le quattro strade dell'impero e il sunturhuasi, un'alta torre cilindrica provvista di tetto conico. Altri edifici pubblici integravano il tracciato urbano, ma non vi era un edificio o palazzo come sede specifica del potere. Le città costruite per consolidare il dominio Inca furono realizzate come riproduzioni minori del Cuzco. Esse rappresentavano ed esercitavano il potere; tutte avevano alloggiamenti per dignitari ed eserciti in marcia e depositi (colca) per la conservazione di viveri e vettovaglie. L'immagine reiterata del Cuzco e l'impiego di una stessa tipologia architettonica in tutto il variato spazio che gli Inca dominarono esprimono certamente la volontà di manifestare il potere e di sottolineare la presenza dell'impero.

Bibliografia

C. Williams, Arquitectura y urbanismo en el antiguo Perú, in Historia del Perú, VIII, Lima 1979; L.G. Lumbreras, Arqueología de la América andina, Lima 1981; T.D. Dillehay (ed.), Monte Verde: a Late Pleistocene Settlement in Chile, Washington (D.C.) 1989-97; M.E. Moseley, The Incas and their Ancestors, London 1992; S. Uceda - E. Mujica - R. Morales (edd.), Investigaciones en la Huaca de la Luna, Trujillo 1995; F. Silva Santisteban, Desarrollo político en las sociedades de la civilización andina, Lima 1997.

L'architettura religiosa

di Carlos Williams León

Strutture architettoniche connesse con il culto e la religione apparvero precocemente in America Meridionale: già in alcuni dei primi insediamenti permanenti o semipermanenti si distinguono costruzioni diverse da quelle utilizzate come abitazioni dai membri delle bande che avevano adottato modelli di vita sedentari. Tuttavia, in alcuni casi gli edifici cultuali appaiono isolati, senza alcuna relazione apparente con siti di abitazione: è stato suggerito (Bonnier 1967) che sia stata la loro presenza a contribuire alla formazione di villaggi e all'organizzazione sociopolitica dello spazio. Diversi furono i tipi di edifici "non profani" costruiti nelle prime fasi della storia andina, così come variarono anche le forme dei riti, definendo importanti aree di convergenza culturale, una delle quali venne precocemente sviluppandosi nelle regioni montuose. Qui sono stati rinvenuti alcuni piccoli edifici a pianta quadrangolare, rettangolare e a volte subcircolare, composti da un unico ambiente al cui centro vi sono un focolare e, nella disposizione più comune, panche addossate ai muri e piccole nicchie nelle pareti. Vi si accede da una sola porta e il focolare trae ossigeno da un canale sotterraneo che si prolunga all'esterno. La letteratura specializzata definisce tali strutture come "tempietti con panca e focolare centrale"; esse sono state identificate a Piruro, Kotosh, Shillacoto, Huaricoto e La Galgada, in 250 km di valli profonde e passi montani delle Ande peruviane centro-settentrionali. La dimensione interna è generalmente di 3 m, o meno, di lato, anche se alcuni esempi a pianta rettangolare possono essere più ampi. Il focolare era il centro del culto e in esso venivano bruciate offerte organiche (carne, conchiglie marine e pesce), associate a offerte litiche. In edifici di dimensioni tanto ridotte solo un ristretto numero di persone poteva partecipare ai riti. Ciò nonostante, queste strutture perdurarono per 1800 anni o più, dal Preceramico Recente fino a Chavín. In questa lunga fase l'architettura non venne integrata da elementi scultorei o iconografici, con l'eccezione del pregevole altorilievo che decora le pareti del Tempio delle Mani Incrociate di Kotosh. L'archeologia riconosce questi templi come parte della tradizione Kotosh o Mito, caratterizzata dalla sepoltura rituale delle strutture più antiche e dalla costruzione di quelle nuove sui riempimenti, in un processo di successive sovrapposizioni. Queste pratiche perdurarono centinaia di anni, dando luogo a elevati monticoli di pietrisco, uno dei quali, scavato a Kotosh da ricercatori dell'Università di Tokyo (Izumi - Sono 1963), era alto 17 m. Una stratificazione analoga è stata identificata a La Galgada, circa 250 km a nord, e attesta l'estensione nello spazio e nel tempo di questo tipo di edificio cultuale. Nelle fasi preceramiche le basseterre della regione pedemontana occidentale delle Ande Centrali mostrano una maggiore varietà formale delle strutture cultuali rispetto alle aree montuose. I modelli architettonici principali sono tre: huaca o monticoli piramidali, sistemi di piattaforme o andenes sui versanti montuosi e piazze circolari o rettangolari seminterrate (Williams 1979). Con questi tre soli modelli vennero prodotte una moltitudine di combinazioni e una varietà formale particolarmente ricca. Dall'esame delle evidenze architettoniche risulta chiaro che, già prima della diffusione della ceramica nelle Ande Centrali, era stato raggiunto un notevole livello di complessità. Con il nome di monticoli piramidali l'archeologia identifica le strutture che nel linguaggio corrente sono chiamate huaca. Si tratta di elevazioni artificiali a pianta rettangolare o quadrangolare, a volte con angoli arrotondati e un'altezza variabile da uno a varie decine di metri, con pareti inclinate o scalonate e con una sommità piana su cui potevano trovarsi le combinazioni più variate di ambienti e recinti. Per accedere ai livelli superiori furono costruite scale o rampe, la cui inclinazione poteva variare significativamente. Nei loro primi sviluppi, questi edifici furono realizzati mediante l'erezione di un'armatura di muri di pietre di campo e argilla alti da 1,5 a 3 m. Gli spazi vuoti venivano colmati con pietrisco, trasportato nel sito in ceste o borse di fibre vegetali, quindi il riempimento era compattato; sulla sommità si costruiva un'altra armatura, oppure essa serviva da base per altre strutture. Era comune anche l'impiego di adobes conici, cilindrici e di altre forme, commessi con rozza malta di argilla. Tali tecniche vennero impiegate esclusivamente nell'architettura pubblica, che in questo periodo fu sempre vincolata al culto. Quanto alla seconda tipologia di strutture, costituita dai complessi di piattaforme e andenes, essi vennero costruiti su leggeri declivi mediante l'erezione di muri di contenimento e operazioni di resezione e riempimento per ottenere superfici piane; si tratta di interventi di pianificazione semplice, gestiti con proprietà nei dettagli, nel tracciato di scalinate e rampe e nell'accurato rivestimento dei muri, che in alcuni casi erano decorati da affreschi e altorilievi dipinti. La forma e la disposizione dei complessi si prestano a processioni rituali, nel corso delle quali si ascendeva a luoghi elevati per compiere azioni cultuali visibili all'intera comunità. La terza tipologia, quella delle corti circolari o rettangolari seminterrate, è rappresentata da avvallamenti artificiali profondi da 1,8 a 2 m e del diametro di 18 m, sebbene ne siano stati identificati alcuni più piccoli, con un diametro di 5 m, e altri, più grandi, come quello di Sechín Alto, di 80 m. Di frequente un focolare era ubicato al centro. Le corti a pianta rettangolare avevano dimensioni variabili. I muri di contenimento erano di pietra commessa con argilla, intonacati con lo stesso materiale. Un esempio particolare di corte circolare con i muri rivestiti da lastre di pietra finemente lavorate è stato rilevato nel Tempio Antico di Chavín de Huantar. Si accedeva al livello basso delle corti attraverso brevi scale ricavate nel muro e spesso orientate astronomicamente. Le corti seminterrate si presentano come semplici avvallamenti cilindrici nel terreno pianeggiante, o sono circondate da crepidini e hanno scale a pianta trapezoidale, oppure si trovano su elevazioni e in alcuni casi appaiono inscritte in un quadrato. Date le loro dimensioni, in genere esse potevano ospitare contemporaneamente solo un numero ridotto di persone e quindi non dovettero essere utilizzate per cerimonie di massa. Questo modello perdurò per almeno 2500 anni, diffondendosi su 600 km di costa e avanzando verso la sierra centro- settentrionale; elemento importante dei culti del Preceramico e del Formativo, esso si estese rapidamente da nord a sud, venendo adottato nei grandi complessi cerimoniali con pianta ad U costruiti nella costa delle Ande Centrali nel II millennio a.C. Si deve segnalare che questi tre tipi di architettura religiosa si associano in complessi molto elaborati, a formare unità maggiori, notevoli per tracciato e qualità di disegno, come attesta il vasto centro cerimoniale di Salinas de Chao. Nel II millennio a.C. vennero costruiti sulla costa centrale del Perù i più grandi e importanti edifici di culto dell'America Meridionale, noti come "complessi cerimoniali con pianta ad U" e "templi con pianta ad U". Si tratta di forme simili, ma non uguali. I templi con pianta ad U sono composti da un monticolo principale e più alto da cui si proiettano due bracci allungati con un'altezza minore, a formare una corte con tre lati chiusi e uno aperto. I complessi cerimoniali con pianta ad U ottengono a loro volta la stessa forma per mezzo di un vasto monticolo al fondo e di due bracci costituiti da vari monticoli congiunti, non necessariamente della stessa forma e altezza. Le dimensioni di tali complessi sono notevoli e l'investimento di lavoro comunitario risulta molto maggiore di quello che avrebbe potuto fornire un unico villaggio: essi assolsero certamente la funzione di centri cerimoniali per gruppi di villaggi o per entità politiche che sopravanzavano di molto la condizione di villaggio. Sono stati dettagliatamente scavati due vasti complessi, Garagay nella valle del Rímac (Ravines - Isbell 1975) e Cardal in quella del Lurín (Burger 1993), in cui sono evidenti funzioni religiose e cultuali. Nella struttura principale di Garagay, costituita da un imponente monticolo scalonato, è stato rinvenuto un recinto quadrangolare che fungeva da vestibolo d'accesso a una scala finemente intonacata di argilla, in cui non sono state individuate tracce d'uso. La scala conduceva a un atrio nei cui muri, parzialmente scavati, sono stati identificati altorilievi di argilla policroma che rappresentano un volto con zanne di felino e complessi esseri mitologici. Un altro scavo nel settore del braccio destro ha messo in evidenza altri altorilievi e una fila di personaggi, dotati di scudi circolari, dei quali si è conservata solo la metà poiché il muro che li sosteneva fu tagliato per creare un riempimento e ampliare l'edificio: le strutture aumentavano infatti di dimensioni per sovrapposizione di nuovi strati su quelli esistenti. Il taglio venne realizzato con cura, il riempimento era fine e asciutto e il fregio poté conservarsi; ciò che è rimasto è notevole per la qualità e la raffinatezza del modellato. Anche nel monticolo principale di Cardal è stata rinvenuta una scala rifinita in argilla levigata, sovrapposta ad altre che erano state ricoperte negli interventi di rimodellamento e ampliamento. La scala conduceva a un atrio aperto verso la corte, nei cui muri era stato disegnato un affresco che rappresentava sulle tre pareti un'enorme bocca fornita di zanne. Da lì, attraverso un angusto vano, si accedeva ai livelli superiori. A Cardal sono stati individuati anche i bracci laterali costituiti da monticoli e, in quella che sembrerebbe un'integrazione tarda, varie piazze circolari seminterrate. Sulla costa del Pacifico centrale dell'America Meridionale vennero costruiti numerosi vasti edifici dello stesso tipo, la cui relazione con il culto è attestata dalla poderosa iconografia identificata sui muri; forme e dimensioni indicano che le strutture erano connesse anche con l'esercizio del potere e con il prestigio. Gli spazi livellati circoscritti dai monticoli erano tanto estesi e le piattaforme così alte da impedire il contatto diretto tra operatori cultuali e massa di fedeli. Intorno alla metà del II millennio a.C. nella valle del Moche venne costruito un edificio su cui vale la pena di soffermarsi. Esso è noto con il nome di Huaca de los Reyes e la località in cui sorge come Caballo Muerto (Pozorski 1980). Si tratta di una struttura di destinazione religiosa e cerimoniale, in forma di tempio con pianta ad U. Un esame più attento della costruzione permette di apprezzare le modalità attraverso cui l'architettura, le forme dello spazio edificato e la decorazione potevano essere impiegati a fini ideologici, per l'accrescimento del prestigio e il consolidamento del potere; vi sono inoltre testimoniate capacità di pianificazione e abilità nell'uso intenzionale delle forme fisiche come mezzo per influenzare i comportamenti collettivi. Vennero impiegati quattro elementi fondamentali: la forma ad U, applicata alla pianta generale e alle componenti minori; le differenze di livello, che permettevano di segregare funzioni, determinare gerarchie e disegnare un percorso di ascensione; i tracciati "ritmici", che alternavano spazi aperti e luminosi a spazi stretti e oscuri; da ultimo, una decorazione elaborata e intimidatoria. Il complesso, orientato astronomicamente verso est, è di pietre commesse con argilla e ha le pareti intonacate con lo stesso materiale. Vi si accede attraversando una corte quadrangolare, apparentemente di uso collettivo, delimitata da un basso muretto. Si passa quindi a una struttura ad U sul cui fondo è un edificio decorato frontalmente da grandi teste di felino alte 2,5 m, modellate in argilla policroma, che dovevano impressionare fortemente i visitatori. I due bracci sono sale ipostile le cui colonne, poste a 1 m l'una dall'altra, erano decorate da esseri con artigli e aspetto feroce. Da queste sale oscure si passava a due recinti laterali aperti che ospitavano due tempietti con pianta ad U. Dalla sala di fondo, anch'essa ipostila, si dipartivano due scale che conducevano a un'altra corte ad U di dimensioni minori, con le stesse sale ipostile che davano accesso a due corti con tempietti ad U. Dal fondo di questa corte alta si saliva sulla sommità di un monticolo che conteneva il sancta santorum. Tale livello non si è conservato. Altre corti laterali e tempietti integravano questa singolare composizione, che appare come il principale complesso del II millennio a.C. e che attesta tanto la capacità artistica dei suoi creatori quanto l'abilità degli stessi nell'utilizzare l'arte per la diffusione di concetti religiosi. Il tempio di Chavín de Huantar (sierra settentrionale del Perù) fu nelle fasi iniziali una struttura con pianta ad U, vale a dire un monticolo a cui erano annessi due bracci che conformavano una corte. Rispetto ai grandi complessi con pianta ad U della costa, la struttura è più piccola e compatta. Essa ereditò anche la tradizione delle piazze circolari seminterrate: una venne costruita nella corte tra i bracci mediante un riempimento alto 2 m. La pianta dell'edificio e la piazza seminterrata sono forme cerimoniali e cultuali, ma Chavín vi aggiunse un altro elemento della stessa natura: un monolito a forma di pugnale, detto Lanzón, infisso in una galleria nel cuore della piramide principale. A tutt'oggi in situ, esso continua a impressionare per la forma e per i complessi attributi dell'essere mitico scolpito sulla superficie. La pianta del tempio antico venne modificata quando un nuovo dio, rappresentato come una figura in piedi con uno scettro o bastone in ciascuna mano, sostituì il personaggio ritratto sul Lanzón: il braccio destro della struttura venne trasformato in un monticolo quadrangolare nel cui asse fu costruita una sequenza di corti rettangolari seminterrate. Nella massa del monticolo i costruttori lasciarono spazi vuoti per realizzare la complicata rete di gallerie che ha reso famoso l'edificio. Le pareti leggermente inclinate della piramide tronca che forma la massa mostrano una sequenza di grandi teste scolpite in granito sporgenti dai muri. Secondo alcuni studiosi il tempio fu sede di un potente oracolo e luogo di pellegrinaggi su vasto raggio, attestati dalla provenienza geografica delle offerte rinvenute nel luogo. Nella prima metà del I millennio d.C. si assistette allo sviluppo di varie culture regionali. Divinità diverse furono oggetto di venerazione in settori sia ampi, sia circoscritti e ristretti del territorio andino e distinti riti e cerimonie vennero praticati in vari tipi di strutture. Si tratta di monticoli, rampe, recinti con muri, piattaforme, muri decorati da affreschi e rilievi, piazze di dimensioni diverse e complessi percorsi. Ci si soffermerà brevemente sulla valle del Chicama (costa settentrionale del Perù), che formava parte dell'area culturale Moche. In una piattaforma naturale vicina alla costa vi sono vari monticoli, necropoli e altre strutture. Qui, nel sito di Cao Viejo, o Huaca del Brujo, si trova una piramide tronca la cui facciata settentrionale è in corso di studio (Franco - Gálvez - Vásquez 1994). Si tratta di un edificio connesso con il culto e il potere. Deve essere stato impressionante per i visitatori, credenti o sudditi, osservare questa massa in forma di piramide scalonata dipinta con colori brillanti e decorata da fregi modellati in argilla che contrastavano con il paesaggio desertico. Essa venne costruita con adobes, alcuni dei quali presentano marche che identificavano i fornitori di materiali e manodopera. Sono state individuate varie fasi costruttive ed è stato accertato che in ogni intervento di rimodellamento le strutture preesistenti vennero coperte e fu creato un nuovo strato. L'idea che alcuni luoghi possiedano un valore sacrale è comune, diffusa e molto antica. I ricercatori del sito di Montegrande, nella valle del Jequetepeque (Tellenbach 1986), hanno scoperto che in prossimità di un monticolo cerimoniale erano stati costruiti numerosi recinti subrettangolari di 3 m di lato, con un focolare centrale. Non si tratta di strutture abitative e la loro presenza si spiega con l'interesse di famiglie o gruppi famigliari a partecipare a cerimonie e riti che si svolgevano nella località. A Moxeque (valle del Casma) esiste un grandioso complesso in cui, tra due monticoli distanti 1,5 km l'uno dall'altro, si estende una vasta corte livellata, ai cui bordi si ripetono file di piccoli edifici di pianta simile. Nei due siti dovette esistere un culto principale amministrato da una burocrazia centrale ed è visibile la presenza di un'élite abbastanza potente da possedere proprie installazioni in loco. Mille anni più tardi, a Pacatnamú (Jequetepeque, Perù), si registra una situazione diversa: qui non esiste un edificio centrale o principale al quale erano aggregate altre strutture. Il sito appare come un agglomerato di edifici che, sebbene di dimensioni e di volume diversi, rispondono tutti alla stessa pianificazione generale. Sono recintati e un solo ingresso conduce a una corte frontale aperta, in cui si trovano un altare e due piramidi con rampa disposte ad angolo retto: la maggiore ha la rampa orientata a nord, forse la direzione sacra del sito, e la minore a ovest, verso il mare. Dietro la piramide maggiore sono ubicati recinti secondari, depositi e altre infrastrutture. I ricercatori hanno scoperto che il percorso dalla corte frontale verso il fondo conduce a stanze decorate, di possibile destinazione rituale, mentre quello di sinistra porta a stanze secondarie e di servizio. Vi sono almeno 16 di questi complessi su un'alta terrazza separata dalla valle e dal mare da gole. Il sito è interamente protetto da fossati e muri, le cui aperture sono allineate verso le vette di monti lontani. Queste strutture difensive indicano che il complesso dovette costituire un'unità, anche se le sue componenti operavano come centri di culto indipendenti e autonomi. Il sito fu conquistato e occupato nelle fasi tarde dai Chimú, successori dei Moche, che non si distinsero però per la grandezza degli edifici cultuali. Così, nel vasto complesso di Chanchan non è stato rinvenuto alcun edificio che possa aver assolto tali funzioni. Le attività cerimoniali dovettero essere realizzate per un pubblico ridotto nelle corti di accesso alle vaste ciudadelas. I monticoli piramidali eretti nelle aree libere alla periferia meridionale del complesso ebbero forse funzione cerimoniale, così come quella di residenza dei sovrani. Rimangono, isolate dalla città, alcune costruzioni circondate da alti muri, in forma di piramidi tronche con rampe parallele nella parte frontale e con una decorazione in argilla. Nel XV sec. d.C. si svilupparono numerose culture regionali, la più evoluta delle quali fu quella Inca. Gli Inca non costruirono grandi piramidi o vasti complessi, né utilizzarono le complesse e ricche decorazioni che avevano caratterizzato l'architettura religiosa delle fasi antiche della storia andina: essi resero tributo alle loro divinità attraverso la qualità e l'estrema accuratezza della lavorazione della pietra e degli apparati murari. Nel loro progetto politico statale, gli Inca promossero la partecipazione pubblica alle cerimonie e alle feste, che si tenevano nelle piazze e negli spazi aperti. Il più importante tempio dedicato al Sole si trovava nel Cuzco ed era denominato Coricancha ("Recinto d'oro"). Esso non venne costruito nella piazza centrale, in quanto doveva occupare il luogo in cui erano vissuti i primi Inca, giunti al Cuzco da sud. I progettatori della città non dimenticarono comunque la connessione del tempio con lo spazio centrale: mediante un canale sotterraneo le offerte di chicha (bevanda a base di mais fermentato) potevano infatti confluire negli appositi bacini, creati a questo scopo nella base dell'edificio sacro.

Bibliografia

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L'architettura funeraria

di Peter Kaulicke

In America Meridionale sono state rilevate tre principali categorie di strutture funerarie, che in alcuni casi si presentano associate: tumuli, costruzioni di pietra e costruzioni di argilla. I tumuli sono costituiti da accumuli di terra di forma e dimensioni variabili, in cui i contesti funerari si ubicano alla base, all'interno del materiale depositato o entro costruzioni poste sulla sommità. È la categoria più diffusa in tutto il subcontinente e continua ad essere utilizzata presso alcune culture, come ad esempio tra i Kaingang del Brasile e i Mapuche del Cile meridionale. In ragione della loro visibilità, i tumuli sono stati oggetto di saccheggi; solitamente le ricerche si concentrano sugli oggetti provenienti da contesti funerari, in particolar modo sulla ceramica, non fornendo dati sulla costruzione di queste strutture, né sulla loro relazione con i contesti stessi. Anche se probabilmente i tumuli dovettero esistere fin dall'Arcaico, essi divennero più frequenti nel successivo Periodo Formativo (particolarmente in Bolivia e in Cile), associati in alcuni casi ad aree domestiche. Fu però nella prima metà del I millennio a.C. che apparvero vasti insediamenti con piattaforme e piazze lungo il versante orientale delle Ande. Successivo è lo sviluppo della cultura Marajoara (Brasile), datata tra il 400 e il 1400 d.C. circa, con siti che contano fino a 40 piattaforme a pianta allungata ovale, alte da 3 a 20 m e con un'estensione da 1 a 3 ha su un'area fino a 10 km². Le piattaforme vennero costruite durante varie fasi, con strati di suolo quasi sterile e successioni di superfici sottili. Gruppi di urne fittili (tra 50 e 200) sono stati rinvenuti in vari livelli, apparentemente corrispondenti a pavimentazioni di templi. Le dimensioni variate di questi recipienti e il materiale associato (raffinata ceramica, tanga, figurine, seggi, ornamenti di giada) indicano ranghi differenziati e la presenza di gerarchie sociali, di lignaggi e, sulla base dei dati etnostorici sulle società dei periodi successivi, di un complesso culto degli antenati. Tra gli insediamenti tardi meglio documentati vi è Cochasquí, nella sierra settentrionale dell'Ecuador (1000-1300 d.C.). Il sito comprende un gruppo di 15 piramidi tronche (tolas) provviste di lunghe rampe, costruite con terra, arena e cangahua, e gruppi di monticoli circolari di uso funerario, uno dei quali ha un diametro di 40 m con un pozzo centrale alla base (diam. 2,8 m), che a sua volta presenta al centro un altro pozzo più profondo, rivestito di tavole di legno. La struttura conteneva un individuo di sesso femminile e i resti di sette crani. Un analogo monticolo, anch'esso con pozzo circolare centrale, è ubicato all'interno di un terrapieno delimitato da blocchi di cangahua del diametro di 8 m; esso possiede nicchie con un totale di 19 vasi. L'altezza del tumulo sopra il terrapieno è di 4 m. Gli esempi più antichi di costruzioni di pietra nelle Ande Centrali sono rappresentati dalla cosiddetta "tradizione Kotosh" o Mito (II millennio a.C.). Essa è caratterizzata da edifici quadrangolari con pavimento a due livelli, focolare centrale con condotti sotterranei, nicchie e panche, ubicati su piattaforme con accesso mediante scale. I muri, intonacati, sono di pietra, il pavimento di argilla. Questi edifici, apparentemente di uso non domestico e di durata limitata, vennero riempiti con terra di colori selezionati al fine di costruirvi sulla sommità un'altra struttura. Tale procedimento è stato definito "sepoltura" in analogia con la morte umana, come conferma la trasformazione di questi ambienti in una sorta di cripte (La Galgada, dip. di Ancash, Perù), apparentemente destinate a individui di rango di età avanzata accompagnati da sontuosi oggetti. Questa riutilizzazione dell'architettura si osserva anche a Huaca Prieta, approssimativamente con la stessa ubicazione cronologica, dove case sotterranee di ciottoli vennero successivamente adibite a tombe; un caso più tardo (inizi del I millennio a.C.-inizi del I millennio d.C.) è Wari Kayan (Paracas, costa meridionale del Perù). In Perù apparvero durante il Formativo (VI-V sec. a.C.) piattaforme contenenti uno o vari pozzi funerari con camera laterale chiusa da pietre che proteggevano un defunto in posizione seduta con le gambe piegate contro il petto, con corone, ornamenti nasali e auricolari in oro, collane di pietre semipreziose e ceramica (Kuntur Wasi, dip. di Cajamarca, sierra settentrionale del Perù). Le piattaforme sono parte di un complesso monumentale e si trovano frequentemente associate a corti dalle quali si diparte un canale rituale. La statuaria litica, purtroppo non nell'originaria collocazione, potrebbe essere connessa con il culto degli antenati. Nella vicina valle del Jequetepeque si eressero gruppi di costruzioni con atrio o corridoio frontale su un terrapieno di muri di sostegno e con un riempimento di pietrisco e argilla. Come a Kuntur Wasi, le strutture presentano intonaci che comprovano vari interventi di rinnovamento. All'interno di queste "torri" circolari si trova il pozzo funerario, profondo oltre 2 m. Nonostante i numerosi saccheggi, vi sono indizi di un ripetuto uso sepolcrale di tali strutture. Altre costruzioni di questo stesso tipo si ergono su insediamenti abbandonati. Nelle Ande Settentrionali la più importante area con architettura funeraria è quella di San Agustín, nell'alta valle del Río Magdalena (Colombia). La sua cronologia continua ad essere controversa, ma le datazioni radiocarboniche disponibili si concentrano tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C. Uno dei settori più centrali è Alto de los Idolos, con una rampa lunga circa 300 m che conduce a una meseta artificialmente spianata su cui vennero eretti nove monticoli, alcuni con lo stesso orientamento. Elaborate sepolture sono disposte sulla rampa e ai lati di alcuni monticoli, così come in un'altra meseta a est della rampa. Tali tombe e i cosiddetti "tempietti" consistono in costruzioni litiche a mo' di grandi ciste e in strutture sul tipo dei dolmen. Queste ultime vennero realizzate con grandi lastre che formavano un corridoio lungo circa 4 m e largo meno di 1 m e con pietre colonnari all'entrata, dove una grande statua ostruiva l'accesso; sul fondo si trovava un ambiente poco più vasto (corridoio e camera avevano tetto di grandi lastre) con un grande sarcofago litico al centro. I sarcofagi, lunghi da 2,5 a 3 m, conservano in alcuni casi un coperchio dello stesso materiale, che può recare rilievi antropomorfi o ornitomorfi. Intorno sono stati rinvenuti terra argillosa e biancastra (cinerite), placche o grani d'oro, conterie, ossidiana e ceramica. All'entrata di alcune costruzioni vennero sepolte ciste, sulle quali erano state collocate statue; il tutto fu infine ricoperto con materiale di riporto, fino a formare un tumulo. Le tombe associate imitano in qualche modo queste costruzioni principali, come è evidente dalla decorazione geometrica dipinta (giallo e nero), dai graffiti su lastre o placche e dalla presenza di statue di forma allungata che evocano coperchi di sarcofagi. Una stretta relazione tra tombe e statue si osserva anche a El Purutal, dove la decorazione dipinta non orna solo le pareti interne, ma anche le statue, completamente rivestite di giallo, rosso e nero. In altre zone meno monumentali sono state rinvenute ciste di dimensioni minori, a volte con piccoli oggetti d'oro e ceramica. Anche qui si trovano grandi statue che delimitano il complesso, ricoperto per intero e artificialmente da terra; altre vennero sepolte. A Tierradentro, a nord di San Agustín, esiste un altro centro con architettura funeraria di tipo diverso. Si tratta di grandi camere sotterranee intagliate nell'arenaria del sottosuolo, profonde fino a 5,4 m, a pianta ovale o a forma di rene, con dimensioni fino a 36 m², una cubatura fino a 70 m³ e un'altezza di 2,5 m. Il loro accesso era normalmente chiuso da lastre. Le camere più grandi appaiono interamente decorate da motivi geometrici (generalmente rombi, sebbene eccezionalmente compaiano figure antropomorfe anche in altorilievo) in rosso, bianco, nero e giallo. Resti di ossa bruciate sono stati rinvenuti entro urne (in alcuni casi oltre un centinaio) o in pozzi scavati nel pavimento; talvolta ossa calcinate e ceramica rotta costituivano un pavimento. Le camere formano complessi che contano fino a cento ambienti (Segovia, El Duende, Alto de San Andrés, Filo de Aguacate, El Canadá). Diversità di dimensioni e di decorazione, anche nella ceramica associata, sono state assunte come evidenze di status differenziati. Altri contesti funerari in forma di pozzo con sepolture primarie, a volte con ceramica simile a quella degli ipogei e occasionalmente senza resti umani, potrebbero attestare riti prima della cremazione e della collocazione finale nelle grandi camere. Datazioni radiocarboniche indicano un'ubicazione cronologica tra il VII e il IX sec. d.C. Nelle Ande Centrali l'architettura funeraria acquisì notevole complessità a partire dai primi secoli della nostra era, in particolare dal VI sec. d.C. fino all'arrivo degli Europei. Le strutture architettoniche sopravvissute ai ripetuti saccheggi non hanno ancora suscitato la dovuta attenzione e gli scavi sono scarsi e poco documentati. A partire dal XIX secolo la costa settentrionale del Perù attirò l'attenzione di viaggiatori e studiosi per i rinvenimenti di statue di argilla nell'Utcubamba, di sarcofagi e di statuaria litica nel Callejón de Huaylas (dip. di Ancash) e soprattutto di alti edifici, noti come chullpa o kullpi, in tutto il territorio segnalato. Gli esempi più antichi di queste torri funerarie sembrano provenire da Cajamarca (Chota-Cutervo, sierra settentrionale del Perù): con base rettangolare tra 4,5 × 2,5 m e un'altezza fino a 8 m, esse possono avere fino a quattro piani, ciascuno con un piccolo accesso. Il materiale da costruzione è costituito da massicci blocchi di dimensioni diverse, mentre i pavimenti sono formati da grandi lastre. Rilievi presenti in alcune strutture segnalano una filiazione con gli stili Recuay e Mochica (V-VI sec. d.C. ca.); alcuni di essi recano tracce di pittura rossa. Nella sierra del dipartimento di Lima (sierra centrale del Perù) vi è una serie di siti ben conservati e organizzati in settori con costruzioni rettangolari che si allargano verso l'alto, mentre l'interno si riduce a mo' di falsa volta; il tetto è di lastre di pietra. Tali strutture, alte fino a 10 m, possono avere fino a tre piani, con piccoli spazi dotati di aperture e mensole, così come un ambiente con camino. Al di sotto del pavimento erano stati collocati fardos (involti funerari), sormontati in alcuni casi da lama, che potevano trovarsi anche in un edificio minore addossato al principale. Probabilmente queste costruzioni erano dipinte di rosso con motivi geometrici in nero e bianco all'interno e all'esterno; eccezionalmente si osservano felini dipinti o a rilievo. La ceramica associata parrebbe indicare che questa tradizione ebbe inizio nell'Orizzonte Medio (VII sec. d.C.), perdurando fino al Periodo Inca. Nella sierra meridionale sono numerosi gli edifici a pianta rettangolare o circolare datati tra il XII e il XVI sec. d.C. Sillustani, nei pressi di Juliaca (dip. di Puno), è celebre per le costruzioni con blocchi finemente lavorati, con una circonferenza alla base di 12 m e un'altezza di 14 m. Tanto a Sillustani come in altri siti, gruppi di chullpa si trovano su piattaforme o terrazze e recano eccezionalmente pitture o rilievi. Un altro tipo di edifici, frequentemente definiti "templi" o "mausolei", è costituito da vaste e complesse costruzioni datate probabilmente a partire dal VII sec. d.C., o di poco anteriori. A Wilkawaín, nei pressi di Huaraz (dip. di Ancash), si erge una costruzione a tre livelli su una piattaforma di 54 × 35 m. Ciascun livello ha sette ambienti e la facciata era probabilmente ornata da cabezas clavas dai tratti di felino. Un sito analogo e approssimativamente coevo è Honcopampa, con varie strutture a due livelli. A Tantamayo (dip. di Huánuco) vi sono siti cinti da mura con grandi edifici anche di quattro piani e con un numero variabile di celle rivolte verso l'interno, nelle quali probabilmente si collocavano fardos. A Batan Urqo, 40 km a sud-est del Cuzco, è stato scavato un complesso funerario costituito da un vasto recinto di 2500 m² con muro di circonvallazione e strutture pluricellulari, di cui quella centrale conteneva il contesto funerario principale. Evidenze di fuochi e di grandi quantità di Camelidi sono presenti sia all'esterno che, in forma di "strati di ossa", all'interno: esse implicano un'enorme quantità di animali sacrificati e almeno un centinaio di individui in contesti singoli e multipli. Il contesto principale è costituito da un pozzo profondo 4,5 m, completamente rivestito di pietra e chiuso da una lastra con orifizio centrale. Da ultimo occorre citare le modificazioni, sia naturali che artificiali, in pareti rocciose. Esistono grotte funerarie frequentemente chiuse, a volte con costruzioni all'interno, così come ripari rocciosi utilizzati per la realizzazione di edifici funerari sul tipo delle chullpa; questi ultimi sono particolarmente rilevanti nella regione dell'Utcubamba (dip. di Amazonas, Perù), dove acquisiscono notevole risalto per la presenza di decorazioni, per la collocazione ornamentale di lastre, per l'intonacatura e la pittura. Recentemente sono stati rinvenuti gruppi di fardos del Periodo Inca (Laguna de los Cóndores, Revash, Usator, Ochín); altri presentano grandi statue antropomorfe contenenti fardos (Chipurik, Utimba, Usaco, Yambata). A Cajamarca vi sono nicchie quadrangolari in file orizzontali sovrapposte, che all'interno si prolungano in corridoi con nicchie laterali, probabilmente per la collocazione di fardos. Questa tipologia di siti ha apparentemente un'ampia distribuzione, essendo stata individuata anche in Bolivia; nella regione del Cuzco ne è stata identificata una variante, costituita da ripari il cui interno venne accuratamente lavorato, con pareti levigate, cornici, panche e nicchie di epoca Inca. Per ciò che concerne le costruzioni di argilla, esse sono meno documentate. Una delle più antiche è il cosiddetto Monticolo dell'Ossario di Real Alto (Guayas, Ecuador), che mostra interventi di rimodellamento avvenuti nel corso di un lungo periodo, ma il cui uso funerario sembra limitato alla fase Valdivia III (fine III millennio a.C.). Si tratta di un edificio a pianta ovale (9,8 × 5,8 m) su piattaforma, con un basso muro che doveva sostenere pareti di materiale organico. All'entrata, segnalata da due grandi pali, vi sono 23 contesti funerari, solo uno dei quali è rappresentato da un corpo intero (un individuo adulto di sesso femminile), mentre gli altri sono costituiti da involti funerari secondari o incompleti oppure da resti ossei dispersi. Sulla costa centrale del Perù (El Panel, Pachacamac) sono state identificate piattaforme quadrangolari di argilla di modeste dimensioni (1 × 1 m ca.), con focolari e pozzi funerari segnalati da un elemento di pietra, risalenti al I sec. a.C. - I sec. d.C. L'architettura più celebre è comunque connessa con la cultura Moche, in particolare con le evidenze rilevate nel sito di Sipán (dip. di Lambayeque, costa settentrionale del Perù). A partire dal 1987 scavi intensivi hanno rivelato l'esistenza di piattaforme di adobes, con ambienti che vennero costruiti per essere successivamente riempiti e sormontati da altre piattaforme. Tali ambienti contengono sia sepolture di individui di altissimo rango, come si rileva dalla presenza di indumenti di metallo (oro, rame dorato), pietre semipreziose, conchiglie, piume e tessuti decorati, sia altre deposizioni in bare di legno di individui di status minore. Le camere sono intercomunicanti e probabilmente costituiscono una sorta di mausoleo in uso per varie generazioni (IV-V sec. d.C. ca.). A La Poma, Batán Grande (dip. di Lambayeque), vi è un importante centro della cultura Sicán (X sec. d.C.). In un vasto contesto funerario associato ad architettura cerimoniale è stata rinvenuta a 12 m di profondità una piattaforma sotterranea (10 × 6 m), con 10 nicchie e 12 pozzi intorno a un ambiente centrale (3 × 3 m) profondo 3 m. Ciascun pozzo e ciascuna nicchia contenevano uno o più individui (in maggioranza donne), mentre nell'ambiente centrale era un defunto in posizione seduta, per un totale di 24 individui, molti dei quali mostrano evidenze di sepoltura secondaria. Si tratta di una sorta di prototipo delle piattaforme che sarebbero state successivamente edificate a Chanchan, capitale Chimú (XIIIXIV sec. d.C.). Tali piattaforme sono costituite da strutture generalmente quadrangolari, alte fino a 12 m, con frequenti integrazioni successive che contengono un numero variabile (da 15 fino a oltre 100) di celle raggruppate intorno a un ambiente centrale. Normalmente vi si accede mediante rampe da una corte cinta da muri ubicata all'interno di un recinto che misura da 2000 a oltre 17.000 m². I complessi, che constano inoltre di depositi, di vaste corti e di altre strutture, vengono definiti ciudadelas, anche se è più probabile che essi siano stati templi per il culto degli antenati.

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