L'area artica

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L’AREA ARTICA

Patrick Plumet

Lo studio delle culture dell’Artide non può limitarsi alla regione che si estende a nord del circolo polare boreale. Popolazioni di cultura assai simile si trovano dalla Čukotka, dalla Kamčatka fino alla Groenlandia e, verso sud, nelle Isole Aleutine e nella Penisola dell’Alaska; attorno al Mar di Bering esse interagirono costantemente tra loro. Questo insieme geografico, tenendo in conto la parte americana e groenlandese, copre oltre 4000 km sull’asse ovest-est e 3000 km su quello nord-sud. In esso sono state rinvenute alcune delle più antiche vestigia dell’occupazione umana del continente americano, che risalgono a 12.000 anni in Alaska e forse a oltre 20.000 anni fa nello Yukon.

L’ambiente

In questo immenso territorio gli spostamenti delle popolazioni furono in parte orientati dai rilievi e dal clima. I ghiacciai, che nel momento di massima estensione ricoprivano la parte settentrionale dell’America, raggiungendo la latitudine di New York, impedirono fino agli inizi dell’Olocene il popolamento dell’Artide canadese e limitarono la comunicazione verso sud. Durante il Pleistocene – in particolare nelle sue fasi più fredde, quando l’Alaska e la Čukotka facevano parte di un unico insieme continentale, la Beringia – l’Eurasia si estendeva dunque sino allo Yukon. A sud degli inlandsis (ghiacciai continentali) cominciava un nuovo mondo: l’esistenza in quest’area di un popolamento risalente al periodo pleistocenico è oggetto di vivaci dibattiti.

All’estremità occidentale, lungo il Pacifico, la catena dell’Alaska prolunga, curvandosi verso sud-ovest, quella delle Montagne Rocciose; essa ha orientato i movimenti delle popolazioni da nord-ovest verso sud attraverso una complicata rete di vallate e di altipiani. Più a nord, verso il Mar di Beaufort, la catena montuosa dei Brooks, altra estensione delle Montagne Rocciose, marca il limite settentrionale della vasta distesa di tundra e di taiga corrispondente al bacino idrografico dello Yukon e del Kuskokwim, due fiumi che sfociano nel Mar di Bering. Alla fine del Pleistocene, la regressione della calotta glaciale aprì sull’asse del fiume Mackenzie un passaggio a est della cordigliera delle Montagne Rocciose; si tratta del corridoio interglaciale Yukon-Alberta, che per molti anni gli studiosi di preistoria hanno ritenuto la via di accesso dei primi gruppi umani al continente americano. Oggi si ritiene che esso fu inizialmente percorso dai gruppi paleoindiani delle Praterie durante le battute di caccia ai bisonti che si spostavano verso nord fino in Alaska.

Tra il bacino del Mackenzie e il Labrador, all’estremità orientale dell’America Settentrionale, si estende l’immenso territorio scarsamente accidentato dello scudo canadese, disseminato di grandi laghi (Gran Lago degli Orsi, Gran Lago degli Schiavi, Athabaska e Winnipeg, che costituiscono vestigia di vasti laghi postglaciali), collegati tra loro da un’importante rete idrografica che costituì per i gruppi umani una via di penetrazione e di scambio. La Baia di Hudson, che drena una parte dei corsi d’acqua dello scudo, s’insinua in esso come un cuneo tra il Québec e il resto del Canada, facilitando la penetrazione delle popolazioni costiere dall’Artide nella regione subartica. Più a nord, il labirinto di canali, di stretti e di golfi disposto tra le isole dell’arcipelago artico si apre sul Mar di Baffin, chiuso a est dalla Groenlandia, le cui coste orientali segnano l’estremo limite delle culture eschimesi. Infine, alle due grandi zone ecologiche separate dall’isoterma dei 10 °C in luglio corrispondono due distinti orizzonti culturali: a nord, nella tundra e nel deserto artico, quello eschimese; a sud, nella taiga, quello amerindiano, con le famiglie linguistiche Athabaska a ovest e algonchina a est.

Il primo popolamento

Anche dopo la sommersione della Beringia e la riapertura dello Stretto di Bering, successive allo scioglimento di una consistente porzione dei ghiacciai del pianeta, l’Alaska continuò a essere rifugio di gruppi umani, le cui vestigia materiali testimoniano un’origine euroasiatica. Le ricerche interdisciplinari condotte alla fine del XX secolo sottolineano l’unità archeologica dei territori situati su entrambi i lati dello stretto, che per tutto il Novecento ha rappresentato una barriera geopolitica. Ma se gli studiosi di preistoria sono concordi nel ritenere che le prime ondate di popolamento siano giunte in America attraverso la regione beringiana, risulta loro assai più difficile ricostruirne il processo, l’itinerario esatto e la cronologia. Scarse sono infatti le testimonianze disponibili per la parte che non venne sommersa, e assai diverse le interpretazioni a cui hanno dato luogo.

Il primo popolamento del Nuovo Mondo non va immaginato come una migrazione, cioè come uno spostamento massiccio di popoli che possa essere compreso nell’arco di una generazione; si trattò piuttosto di una serie di correnti o di flussi impercettibili, se esaminati sulla scala di una vita umana, risultanti da una deriva mossa da incrementi demografici e spostamenti della selvaggina, orientata dai rilievi. Nell’Artide orientale uno di questi flussi ebbe velocità di gran lunga superiore e può essere assimilato a una migrazione. Confrontando i recenti dati paleobiologici, paleontologici, paleolinguistici e archeologici, appare evidente la stretta parentela esistente tra i popoli del Nord-Est asiatico, Cinesi e Giapponesi in particolare, ma soprattutto Korjaki e Čukči, con gli Amerindi e gli Eschimesi. Oggi si tende a localizzare l’origine comune dei Siberiani orientali e degli Amerindi nella zona immediatamente a nord della Cina o in Mongolia e la si fa risalire a circa 20.000 anni. Tuttavia, le popolazioni considerate come indigene dell’America si suddividono in tre gruppi principali. Da una parte gli Aleuti e gli Eschimesi, gruppi mongolidi dell’Artide vicini ai popoli della Čukotka, e dall’altra parte gli Amerindi della costa del Nord-Ovest, dallo Stato di Washington fino al Sud-Est dell’Alaska e all’isola di Kodiak, assimilati alla famiglia linguistica Na-Déné, e in senso più generale gli Athabaska, infine tutti gli altri Amerindi del Nord, del Centro e del Sud. Questi ultimi discenderebbero dal primo flusso di popolamento, mentre i secondi da un flusso più recente, come sembrerebbero indicare le industrie derivate dalla Tradizione Paleoartica presente sia in Siberia sia in Alaska. Quanto ai Mongolidi dell’Artico, le cui lingue fanno parte della famiglia eskaleuta, le fonti archeologiche attestano la loro presenza a partire dal 5000 B.P. circa (Greenberg - Turner 1986). Non è sicuro che l’industria proveniente dal sito di Anangula, datata all’8500 B.P. nelle Isole Aleutine, sia testimone della presenza di questo gruppo, in quanto non sono identificati resti umani associati ad essa. L’ipotesi proposta da W.S. Laughlin di considerare gli Eschimesi e gli Aleuti i sopravvissuti delle culture costiere del litorale pacifico della Beringia, che collegava il Giappone al Nord-Ovest dell’America, è oggi scartata. Per contro, i sostenitori di un popolamento molto antico del continente americano ritengono che la zona costiera meridionale della Beringia, oggi sommersa, abbia costituito l’itinerario seguito dai primi flussi di popolamento dell’America durante il Pleistocene.

Il protrarsi del paleolitico superiore e del mesolitico

È nell’area dello Yukon che sono stati rinvenuti i giacimenti che potrebbero testimoniare un’occupazione umana nel Pleistocene, anteriore al 12.000 B.P. A nord, nel bacino del Porcupine, lungo l’Old Crow, sedimenti erosi hanno rivelato una grande quantità di ossa di fauna pleistocenica oggi estinta. Alcune ossa di cavallo e di mammut sembrano essere state lavorate per percussione, secondo la stessa tecnica usata per la scheggiatura dei nuclei di pietra; nella stessa regione, in una delle grotte del Poisson-Bleu (Blue Fish Caves), sono stati rinvenuti un nucleo d’osso e una sua scheggia. Ossa scheggiate in modo analogo sono presenti anche in Siberia e nel Sud degli Stati Uniti, associate però a strumenti litici. Diverse datazioni al 14C risultano anteriori al 20.000 B.P., mentre stime fondate sulla geologia hanno addirittura superato i 60.000 anni. Tuttavia, nuove analisi eseguite con acceleratore di massa (14C AMS, Accelerator Mass Spectrometry) hanno consentito di ridimensionare l’antichità di alcuni reperti, come nel caso di uno scarnificatore per pelli dell’Old Crow ricavato da una tibia di caribù e simile a quelli etnografici degli Amerindi, per lungo tempo ritenuto lo strumento più antico d’America: 1350±150 (analisi del collagene) anziché 27.000±3000 B.P. (data precedentemente ottenuta con il 14C sulla frazione numerale dell’osso, convenzionalmente chiamata “apatite”). Resta comunque il fatto che quest’industria su osso può ancora costituire la prova di una occupazione umana della Beringia orientale anteriore al 15.000 B.P.

Fu nel 1933 che nel sito del Campus, al College presso Fairbanks, venne scoperta per la prima volta in Alaska un’industria microlitica. I suoi nuclei cuneiformi e le microlame che ne erano state estratte vennero immediatamente comparati con le industrie del deserto del Gobi e considerati le più antiche testimonianze di relazioni con l’Asia, risalenti forse a più di 6000 anni, una datazione a quel tempo ritenuta molto antica. In seguito, numerosi giacimenti contenenti microlame e nuclei microlaminari, spesso associati a bifacciali e ad altri tipi di utensili, furono scavati in Alaska e nell’area dello Yukon. Nell’Alaska centrale, la radiocronometria per AMS consente di datare la comparsa delle più antiche industrie microlaminari almeno a partire dal 12.000 B.P., ad esempio nei siti di Swan Point e Broken Mammouth. Paradossalmente, il rapporto completo degli scavi del sito del Campus e dell’analisi del materiale, pubblicato da C.M. Mobley nel 1991, mostrerebbe che il giacimento è molto più recente di quanto non si fosse creduto, risalendo al 3500±140 B.P. Tuttavia, nuovi scavi condotti da R.W. Pearson e R.J. Powers (2001) hanno fornito una data risalente al 6850±70 B.P., che corrisponde meglio al materiale trovato 13Veduta aerea del sito di Cordeau,Québec (Canada), con giacimenti paleoeschimesi.nel sito, e che lo lega all’Arcaico Settentrionale e non alle prime industrie microlaminari dell’Alaska. In un primo tempo, queste industrie a microlame vennero raggruppate da R.S. Mac-Neish (1959, 1963) nella Tradizione Microlaminare Nord-Occidentale. Più tardi divennero ancora più evidenti le somiglianze con le industrie a microlame, nuclei cuneiformi, bulini su scheggia e raschiatoi del Paleolitico Superiore siberiano, al quale sono frequentemente associati anche bifacciali foliacei. Tali industrie sono state trovate dal bacino dell’Aldan in Yakuzia – in particolare in una grotta della valle del Juktaï – fino alla Kamčatka, nel giacimento di Ushki, e al Giappone. Per dar conto di questo sostrato paleolitico comune, dal quale si sarebbe poi individualizzata la maggior parte dei complessi archeologici del Nord-Ovest dell’America e dell’Artide, vennero creati diversi termini: Tradizione Boreale Antica, Tradizione Microlaminare Circumpolare, Paleolitico Superiore Beringiano o Tradizione Beringiana, e infine Tradizione Paleoartica, quello più frequentemente utilizzato. La Tradizione Paleoartica si articola in due facies, una siberiana, l’altra americana.

Per lungo tempo la presenza di lame e microlame nelle industrie dell’Asia orientale e dell’America Settentrionale è stata considerata come un lontano prolungamento di una tradizione aurignazioide o di un Epigravettiano europeo. Appare oggi chiaro che il Paleoartico è caratterizzato dall’utilizzazione di una tecnica particolare di scheggiatura per pressione. Apparsa almeno 20.000 anni fa nel Paleolitico Superiore dell’area mongolica a sud del Lago Baikal – e non in Europa tra l’8000 e il 6000 B.P., come prima si riteneva –, questa complessa tecnica viene sovente associata a un trattamento termico della pietra; essa potrebbe rappresentare il punto finale di una lunga evoluzione verso il microlitismo, iniziata forse nella Località 15 di Zhoukoudian (Cina) tra 200.000 e 100.000 anni fa. La scheggiatura per pressione presenta il vantaggio di produrre, a partire da uno stesso nucleo, una quantità di lame e microlame da quattro a cinque volte superiore rispetto a quella ottenibile con la scheggiatura a percussione, garantendo inoltre una notevole standardizzazione morfologica. La maggiore produttività, unita all’economia di volume che ne risulta, fu senza dubbio un vantaggio per le popolazioni che avrebbero sfruttato i grandi spazi di steppa e poi di tundra compresi tra l’Asia centrale e l’Artide orientale. Tale tecnica è attestata dallo Ienissei allo Yukon tra il 20.000 e il 10.000 B.P., poi in tutta l’area artica e subartica americana dopo il 10.000 B.P.

In Alaska e nello Yukon, le prime manifestazioni del Paleoartico americano hanno un’antichità di almeno 12.000 anni, e forse addirittura di 15.000 anni, come ad esempio nel livello akmakiano di Onion Portage o nelle grotte del Poisson-Bleu, nello Yukon; esse divengono assai più numerose dopo il 12.000 B.P. con il Denaliano. Tuttavia alcune industrie coeve non presentano microlame, mentre il resto del loro strumentario è attestato anche nelle industrie in cui le microlame sono presenti. Questa osservazione ha spinto gli studiosi di preistoria a distinguere due formazioni: da una parte il Denaliano (Complesso Denali), caratterizzato da microlame e da nuclei microlaminari cuneiformi, da bulini, da diversi tipi di raschiatoi e da qualche esemplare bifacciale, tra cui punte lanceolate; dall’altra il Nenaniano (Complesso Nenana), identificato talvolta negli stessi giacimenti del Denaliano, ma in un livello immediatamente inferiore. Il Nenaniano si distingue dalle industrie dei periodi precedenti soprattutto per l’assenza di microlame e di nuclei microlaminari, sebbene lame siano a volte presenti, e in alcuni casi per la presenza di piccole punte bifacciali sottili, spesso in forma di goccia, chiamate “punte di Chindadn”.

Questi dati hanno portato a diverse interpretazioni; per alcuni archeologi, come J.P. Hoffecker (2001), il Nenaniano sarebbe un complesso diverso dal Denaliano e di poco più antico, che potrebbe essere all’origine del Paleoindiano; per altri, sempre più numerosi, questa relazione tra il Nenaniano e il Paleoindiano non è per niente evidente, ed è perfino poco probabile. Altre interpretazioni sono possibili: il Nenaniano e il Denaliano potrebbero testimoniare della presenza di due popolazioni diverse, arrivate quasi allo stesso momento nella Beringia orientale (Alaska) e che avrebbero frequentato le stesse regioni; infine, il Nenaniano potrebbe anche essere soltanto una facies senza microlame del Denaliano (Holmes 2001).

La maggior parte dei giacimenti del Paleoartico americano, quali Putu, Trail Creek, Hidden Falls, Dry Creek, Gallagher, e quelli dei laghi Healy e Denali, si trova all’interno, in una regione-rifugio risparmiata dai ghiacciai alla fine del Pleistocene. Dopo il 9000-8000 B.P., una tradizione microlaminare, prolungamento tardivo del Paleoartico e associata ad altri complessi archeologici, perdurò in Alaska e nello Yukon, e si spinse verso sud nell’Alberta e nella Columbia Britannica fino allo Stato di Washington, dove essa fu presente fino al I millennio d.C. Tali reminiscenze paleoartiche confermano l’ipotesi della continuità di un flusso di popolamento diverso dal Paleoindiano, fino agli Athabaska e agli Amerindi storici della costa del Nord-Ovest.

La regione subartica occidentale e orientale

Tra il 5000 e il 4000 B.P. l’optimum climatico postglaciale e il riassorbimento delle calotte glaciali polari ebbero termine. Ai cacciatori dell’antica Beringia rifugiati in Alaska e nello Yukon si aprirono così i territori subartici americani. L’occupazione di questi nuovi spazi, fino al Mackenzie e al Gran Lago degli Orsi, produsse una certa differenziazione nei modi di adattamento e nei contatti con i gruppi venuti dal Sud. I complessi archeologici che testimoniano tale occupazione, dalla Penisola dell’Alaska all’Ovest dell’area subartica canadese, sono raggruppati in quella che è stata definita come Tradizione dell’Arcaico Settentrionale. Essa è caratterizzata da microlame, dai nuclei da cui queste provengono e dalle numerose varianti di uno strumentario analogo a quello dei complessi arcaici del Canada meridionale e degli Stati Uniti.

Più a est, fino all’Atlantico, i primi gruppi stanziati nella foresta boreale che ricopre gran parte dello scudo canadese sembrano essere giunti da sud attraverso la rete di fiumi e di laghi. Pescatori e cacciatori di caribù, di alci e di castori, questi Amerindi (divenuti gli Athabaska a ovest della Baia di Hudson e gli e gli Algonchini a sud e a est) conservarono sino all’arrivo degli Europei una relativa continuità culturale ed economica, dovuta all’omogeneo ambiente ecologico in cui erano stanziati. Prima di loro, a partire dal 7000 B.P., gruppi paleoindiani della Tradizione Plano avevano risalito le pianure fino al Gran Lago degli Orsi e al Gran Lago degli Schiavi; le evidenze materiali della loro presenza appaiono più rare tra il 6500 e il 5000 B.P. Più tardi, tra il 3500 e il 3000 B.P., in un periodo di raffreddamento che determinò uno spostamento verso sud del limite settentrionale delle foreste, gruppi di Paleoeschimesi venuti da nord, di cui testimonia la tradizione canadese della tundra, si sostituirono per un certo periodo agli Amerindi, cacciando le grandi mandrie di caribù che ancor oggi migrano annualmente tra la Baia di Hudson e i Grandi Laghi. Alla fine del XIX secolo i cosiddetti Eschimesi del Rame compirono anch’essi delle incursioni nelle stesse regioni. L’area meridionale e quella orientale dello scudo canadese, fino al Labrador, sono state occupate fin dal 6000 B.P., come rivelano i complessi archeologici dell’Arcaico dello Scudo, che testimonia un’evoluzione dello strumentario che risale al Plano e accompagna l’espansione verso est dei cacciatori di caribù. La ceramica, importata dall’area meridionale, apparve soltanto dopo il 1500 B.P., marcando l’inizio della fase Silvicola iniziale.

L’origine della tradizione eschimese e il popolamento dell’artide

La tradizione eschimese si articola in due periodi, corrispondenti a due sequenze culturali che si susseguono nel tempo: il Paleoeschimese e il Neoeschimese. La prima è caratterizzata dai complessi della Tradizione Microlitica dell’Artico, diffusi dall’Alaska alla Groenlandia e a nord dell’estuario del San Lorenzo. La seconda raggruppa i complessi di derivazione neolitica apparsi più tardi nella regione beringiana, che successivamente si svilupparono pressappoco nello stesso territorio su cui si era esteso il Paleoeschimese.

Il Paleoeschimese e la Tradizione Microlitica dell’Artico

Industrie microlitiche completamente differenti da quelle caratteristiche del Paleoartico e assai più recenti furono scoperte, a partire dal 1948, dalle coste dell’Alaska al Nord-Est della Groenlandia. Il nome di Tradizione Microlitica dell’Artico (Arctic Small Tool Tradition, ASTT) venne proposto da W.N. Irving nel 1957 per definire il carattere di queste industrie. In Alaska la facies più antica di questa tradizione, il Denbighiano, identificata da J.L. Giddings (1951, 1964, con D.D. Anderson 1986), si distingue nettamente dal Paleoartico, da cui è sovente separata da un orizzonte della Tradizione Arcaica Settentrionale. Oltre alle microlame e ai nuclei da cui queste erano ricavate, il Denbighiano comprende altri strumenti, tutti finemente scheggiati: arnesi a doppia punta, bulini spesso con scheggiatura bifacciale, scarti di lavorazione di bulini talvolta ritoccati e utilizzati, coltelli a mezzaluna, raschiatoi peduncolati. Dagli elementi finora identificati, il Denbighiano mostra affinità con il Mesolitico e il Neolitico del bacino dell’Aldan (3000 km più a ovest), della Kamčatka e dell’Anadyr.

A tutt’oggi non è possibile stabilire se l’apparizione della Tradizione Microlitica dell’Artico testimoni di una brusca evoluzione tecnica delle culture dell’Alaska, o invece dell’arrivo di gruppi siberiani. Anderson (Giddings - Anderson 1986) fa iniziare questa tradizione con il Protodenbighiano intorno al 4200 B.P.; R.K. Harritt (1998) dimostra che il Denbighiano era forse già presente nella Penisola di Seward a partire dal 5500 B.P.; ciò spiegherebbe la presenza di datazioni quasi coeve ottenute per il complesso Independanziano nella Groenlandia (Knuth 1983). Questi nuovi dati confermano che ci fu in direzione dell’Artide orientale una rapidissima corrente di popolamento a opera di piccoli gruppi di cacciatori, che in pochi decenni si portarono dall’estremità occidentale dell’Alaska all’estremità settentrionale della Terra di Ellesmere e della Groenlandia, per poi scendere verso le altre regioni dell’Artide, probabilmente al seguito della loro principale preda, i buoi muschiati (Ovibos).

La Tradizione Microlitica dell’Artico ebbe in Alaska un’evoluzione diversa rispetto al resto dell’Artide. In Alaska il Denbighiano riflette il primo adattamento alle risorse dell’ambiente litoraneo ad opera di popolazioni precedentemente vissute nell’interno, che avrebbero dato origine alla tradizione eschimese. Scomparve però intorno al 3500 B.P. e a partire dal 3000 B.P. il riconoscimento della Tradizione Microlitica dell’Artico non trova più gli studiosi unanimi. La maggior parte di essi ritiene infatti che tale tradizione si venne sensibilmente alterando nei complessi posteriori dell’Alaska, mentre Anderson sottolinea una continuità dal Protodenbighiano (4200-4000 B.P.) al Denbighiano (4000-3550 B.P.), al Chorisiano (3600-2500 B.P.) e al Nortoniano-Near-Ipiutak fino all’Ipiutakiano (1900-1000 B.P.), complesso quest’ultimo che presenta contemporaneamente tratti di tipo paleoeschimese e neoeschimese.

Per contro, a est del Mackenzie, nell’Artide centrale e orientale, la Tradizione Microlitica dell’Artico si protrasse, certo non senza trasformazioni, fino alla fine del Paleoeschimese orientale, tra il 700 e il 450 B.P. I primi complessi del Paleoeschimese Inferiore - l’Independanziano e il Saqqaqiano, ben attestati nella Groenlandia e in modo minore nel Nord della Terra di Ellesmere dopo il 5000 B.P., poi il Predorsetiano e il Groswateriano nel Canada orientale - sembrano sempre più facies regionali di una popolazione sparsa attraverso un immenso territorio, ma che presenta la stessa cultura di base, di probabile origine siberiana. Soltanto i Predorsetiani della regione del Golfo di Coronation modificarono il loro modo di vita, abbandonando momentaneamente la costa per adottare lo sfruttamento delle risorse continentali. Nel corso di un periodo di maggiore freddo, tra il 3300 e il 2700 B.P. circa, essi sostituirono gli Amerindi, cacciatori di caribù, nella tundra interna e in alcune zone della foresta boreale dello scudo canadese.

Il Paleoeschimese Superiore iniziò con il Dorsetiano che mostra, a partire dal 2500 B.P. circa, una sensibile evoluzione della cultura materiale e dei modi di sussistenza, senza però visibili segni di influenze esterne. Esso si sviluppò in tutta l’Artide orientale, nel Labrador e nell’isola di Terranova; iniziò a scomparire dal 700 B.P., pur protraendosi fino agli inizi del XVI sec. d.C. nel Nord del Québec e del Labrador, parallelamente a complessi neoeschimesi.

Il protrarsi della Tradizione Microlitica dell’Artico in Beringia e il Neoeschimese

Tra il 3400 e il 3300 B.P. si può constatare nella regione del Capo Krusenstern la breve intrusione, subito dopo il Denbighiano, di un complesso alloctono di origine sconosciuta definito Baleniere Antico, la cui industria sembra legata alla caccia ai grandi cetacei. A partire dal Chorisiano, la Tradizione Microlitica dell’Artico si mescolò con elementi del Neolitico siberiano o di altre formazioni dell’Alaska (ceramica, levigatura della pietra, ornamenti labiali). Tra il 3000 e il 2000 B.P. le regioni poste su entrambi i lati dello Stretto di Bering, eccezionalmente ricco di fauna marina, furono il punto di convergenza di influenze diverse, soprattutto siberiane ma anche provenienti dal Mar del Giappone e dalla Cina. Apparvero in quel periodo – prima nella Čukotka e nelle isole dello stretto, poi nell’Alaska occidentale – complessi beringiani preistorici che, sovrapponendosi nel tempo e nello spazio, marcarono l’inizio del Neo-eschimese: Vecchio Beringiano (Old Bering Sea Culture), Okvikiano, Punukiano, Birnirkiano.

Gli oggetti e le raffinate manifestazioni artistiche che li caratterizzano testimoniano un processo di diversificazione etnoculturale e di innovazioni correlate allo sviluppo della caccia ai mammiferi marini, in particolare al tricheco e alla balena, che assunse maggiore importanza di quella alla renna. L’abbondanza delle risorse garantite da questi animali, sia per l’ottenimento di materie prime sia come fonte nutrizionale, favorì l’emergere di società neoeschimesi potenti e gerarchizzate. Intorno al 1000 d.C., il Thuleano, sorto nel Nord dell’Alaska dal Punukiano e dal Birnirkiano, si diffuse in tutta l’Artide orientale a cominciare dal Nord della Groenlandia: da ciò si inferisce che popolazioni neoeschimesi, antenate dei moderni Eschimesi, occuparono rapidamente, seguendo i percorsi delle balene, gli stessi territori che tremila anni prima avevano occupato i Paleoeschimesi. Esse in seguito si diversificarono leggermente, adottando in certe regioni modi di sussistenza analoghi a quelli propri dei loro predecessori.

Le isole aleutine

Dai dati che ha fornito il sito di Anangula, risulta che le Isole Aleutine vennero popolate almeno dall’8500 B.P. da un gruppo di razza mongolide; la lingua attualmente parlata da questo gruppo deriva, come anche l’eschimese, dall’eschimoaleutino. L’industria più antica presenta affinità con quella del giacimento, geograficamente lontano, di Gallagher, nella catena dei Brooks, che si pone al limite della Tradizione Paleoartica. Appare oggi poco probabile che, come riteneva W.S. Laughlin, i primi abitanti delle Aleutine vi siano pervenuti attraverso la costa meridionale della Beringia e che la penisola su cui si erano insediati sia divenuta la parte orientale dell’arcipelago, a seguito dell’innalzamento eustatico postglaciale del livello marino. In effetti, si sa oggi che la Beringia era già sommersa poco dopo il 14.000 B.P., cioè 6000 anni prima delle più antiche datazioni forniteci da Anangula. I primi Aleuti dovettero pertanto raggiungere le proprie isole passando per la Penisola dell’Alaska e traversando poi i vari bracci di mare. Un relativo isolamento geografico, la cui importanza è stata oggetto di dibattiti, ha probabilmente contribuito a differenziarli dagli Eschimesi. La Tradizione Aleutina, apparsa in tutto l’arcipelago e in una parte della Penisola dell’Alaska a partire dal 3000 B.P., pone il problema della rottura della continuità culturale dopo le prime ondate di popolamento.

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