L'Europa tardoantica e medievale. I popoli fuori dei confini dell'impero. I Gepidi

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Europa tardoantica e medievale. I popoli fuori dei confini dell'impero. I Gepidi

István Bóna

I gepidi

Popolazione germanico-orientale parlante un dialetto simile al gotico. Non vi sono cronache autoctone che illuminino circa la loro preistoria e storia: a parte le fonti tardoromane e antico- bizantine, quel poco che ci è noto è stato tramandato nelle cronache dei popoli loro nemici, quali Goti e Longobardi. Della loro origine riferiscono solo le saghe dei Goti, i quali, sebbene non dubitino della parentela che li legava a essi, definiscono i Gepidi con scherno “i pigri” (gotico: gepanta). In realtà, il significato del nome di questi – “ricchi, generosi” (anglosassone gifdan, ted. geben) – non è meno pretenzioso di quello dei Goti. La loro terra d’origine, Gepedoios, corrisponde all’area del delta della Vistola. Da lì essi giunsero nel bacino dei Carpazi, sotto la guida del primo re di cui si conosca il nome, Fastida.

In un elogio all’imperatore Massimiano, scritto poco dopo il primo aprile 291 d.C., si dice che “il secondo gruppo di Goti, i Tervingi (ossia ‘abitanti della foresta’) ha combattuto in alleanza con i Taifali contro i Vandali e i Gepidi” (Paneg., XI [III], 17, 1); difatti Massimiano era riuscito a mettere le popolazioni selvagge le une contro le altre. Secondo una saga gotica, quando Fastida, re dei Gepidi, volle liberare il suo popolo “chiuso fra aspre montagne e fitte foreste” dalla sua temporanea dimora, egli propose al tervingio Ostrogotha, re dei Visigoti, la pacifica spartizione della Dacia, che era stata abbandonata dai Romani. Non essendo pervenuti a un accordo, l’alleanza guidata da Fastida attaccò quella capeggiata da Ostrogota, senza tuttavia ottenere la vittoria. Egli fu costretto a ritirarsi nelle sue terre che, secondo la sua precisa indicazione, si limitavano al territorio “all’interno” della catena dei Carpazi orientali, all’alta valle del Tibisco e del Szamos (Iord., Get., 98). La tardoromana Tabula Peutingeriana situa i Gepidi a nord di quella che era la Dacia e li chiama (Ge)piti. Questi non fuggirono dagli Unni, che avevano trasformato la fisionomia dell’Europa orientale, e quando, per ordine degli Unni, il vassallo ostrogoto Torismondo li costrinse a sottomettersi, essi lo fecero, ma non rinunciarono alla loro libertà senza opporre resistenza e lo stesso Torismondo perse la vita in battaglia (ca. 404-407). Il loro destino non peggiorò neanche quando Ruga, il grande re unno, intorno al 424, trasferì il centro del regno nella pianura ungherese, a sud del Körös.

Nella prima metà del V secolo, delle popolazioni presenti un tempo nel bacino dei Carpazi, a est della Pannonia, rimanevano solo i Gepidi e alcuni gruppi di Sarmati. La loro storia è oscura fino al 447, anno che rappresenta un importante punto di svolta per la loro condizione. Godendo da parte di Attila di una considerazione più alta rispetto agli altri vassalli, il loro re Ardarico era l’unico ad avere diritto a partecipare al consiglio dell’impero unno. “L’impagabile” esercito dei Gepidi rappresentava il più forte distaccamento germanico del regno unno. Sotto la guida di Ardarico, esso prese parte alla grande campagna militare contro l’Impero romano d’Oriente (447), formò un’ala dell’esercito di Attila nella battaglia di Mauriacum (451) e fu presente anche nella campagna militare in Italia (452). Dopo la morte di Attila (453), Ardarico si pose a capo della rivolta contro i figli del re unno defunto; il nerbo dei rivoltosi era costituito dai “rabbiosi Gepidi” e la vittoria definitiva fu procacciata dalla “spada di Ardarico”. Fu così che “i Gepidi si impadronirono delle zone che prima erano degli Unni e, quali vincitori, presero possesso dell’intera Dacia. Da uomini forti quali erano, essi pretesero dall’Impero romano (d’Oriente) solo un accordo amichevole, la libertà e una determinata somma annuale” (Iord., Get., 264). Ai sensi di quest’alleanza, il nuovo regno riceveva un sussidio di 100 libbre d’oro all’anno da Costantinopoli.

Quando gli Ostrogoti ebbero abbandonato la Pannonia (473), i Gepidi si impossessarono della parte orientale della valle della Drava-Sava, l’ex provincia Pannonia II. Si erano, dunque, definiti tre centri di potere. I re gepidi, Ardarico e i suoi eredi, avevano come residenza la Dacia traianea (Transilvania); le sepolture reali portate alla luce ad Apahida possono essere messe in relazione con essi. Occorre prendere in seria considerazione l’esistenza di un’altra corte imperiale nell’area del Tibisco-Körös-Maros. Il viceré della Pannonia II, Trafstila, governava in quella che un tempo ne era stata la capitale, Sirmium. Quando nel 488 gli Ostrogoti, sotto la guida di Teodorico il Grande, mossero dalla Mesia contro Odoacre, i Gepidi di Sirmium tentarono di sbarrare loro la strada in corrispondenza del ponte sulla palude e sul fiume Ulca, punto di passaggio protetto naturalmente. Teodorico il Grande riuscì a sfondare le loro postazioni solo al prezzo di dure battaglie, in una delle quali anche Trafstila perse la vita. Dopo aver rafforzato il suo potere in Italia, nel 504 Teodorico mandò le sue truppe alla conquista di quella che Cassiodoro definisce come l’antica patria dei Goti, la Pannonia II. Senza opporre resistenza, i Gepidi di Sirmium e dintorni si trovarono sotto il dominio gotico. Vissero in pace fino al 522, quando per ordine di Teodorico furono trasferiti sul Rodano. Dopo il 535 i Gepidi si intromisero nel conflitto tra Bisanzio e i Goti e riconquistarono Sirmium e i suoi dintorni. I rapporti non proprio buoni con i Romani d’Oriente ben presto sfociarono in un’aperta inimicizia. Nell’anno 539 i Gepidi strinsero un’alleanza militare con il franco Teodeberto, re di Austrasia, contro Bisanzio e attaccarono contemporaneamente l’Italia e i Balcani. Attraversarono la Sava e, in una grande battaglia, annientarono l’esercito illirico dei Romani d’Oriente. Occuparono Singidunum (Belgrado) ed estesero il proprio dominio alle province Moesia I e Dacia Ripensis (od. Serbia e Bulgaria settentrionali) fino alle regioni antistanti il fiume Olt. Giustiniano I, per ritorsione, sciolse l’alleanza e pretese il pagamento di un’imposta annuale. Il sovrano avrebbe voluto istigare i Longobardi pannonici alla rivolta contro i Gepidi, ma non riuscì a farlo con Wacho, il re dei Longobardi, che al contrario curava molto i suoi rapporti con i Gepidi. La sua terza moglie, madre del principe ereditario, era figlia di Elemundo, re dei Gepidi.

Un cambiamento radicale si ebbe solo in seguito alla morte del giovane Waldan, l’ultimo re longobardo della dinastia di Lething. Il successore al trono, Audoino, della stirpe di Gausus, entrò immediatamente in un’alleanza militare e già nell’anno 547 mosse contro il re gepida Turisind. Tuttavia, il grande scontro fra Longobardi e Gepidi ebbe luogo soltanto nel 551. Dopo la caduta del loro condottiero Turismod, il principe ereditario, i Gepidi in preda al panico abbandonarono il loro accampamento e fuggirono dal luogo della battaglia (Asfeld). La pace fu imposta da Giustiniano I: i Gepidi dovettero abbandonare le regioni romane a sud della Sava e del Danubio trovandosi quindi costretti a scendere a patti con i Longobardi; come contropartita, Bisanzio rinnovò la sua alleanza con i Gepidi che, nell’anno seguente (552), combatterono, con i loro 400 migliori guerrieri, dalla parte di Narsete nello scontro decisivo contro Totila. Secondo le fonti dell’epoca, Totila fu ferito mortalmente dal capo del distaccamento gepida, Hasbad. I successivi quattordici anni trascorsero pacificamente e le frontiere della Gepidia (che includeva Sirmium) furono ripristinate. Intorno al 550 Iordanes ne fornisce la seguente descrizione: “La terra un tempo chiamata Dacia, e più tardi Gotia, si chiama ora Gepidia ed è delimitata a meridione dal Danubio”. Intorno al 560, il figlio di Turisind, Cunimondo, diventò re dei Gepidi e trasferì la capitale del regno a Sirmium, dove impiantò una corte di grande fama. Cunimondo coniò monete d’argento, inizialmente a nome di Giustiniano I, poi di Giustino II, apponendo, sul verso, il proprio monogramma. A Sirmium risiedeva anche il vescovo degli ariani gepidi, sulla cui attività nulla ci è stato tramandato.

Salito al trono, Giustino II (565-578) sciolse l’alleanza con i barbari e sospese persino i sussidi. Questa circostanza fu subito sfruttata dal giovane re longobardo Alboino, che inaspettatamente assediò Sirmium. Cunimondo riuscì a fermare la sua avanzata solo grazie all’aiuto di Giustino II e, per ricambiare l’aiuto ricevuto, offrì ai Romani d’Oriente la città, ambita per motivi strategico-militari. Le truppe romane scacciarono i Longobardi, tuttavia una rivolta popolare impedì a Cunimondo di mantenere la sua promessa. Alla notizia che Alboino, alleatosi con il khān degli Avari, Bayan, preparava la conquista della Gepidia, Cunimondo offrì Sirmium per la seconda volta. Lo stesso Giustino II, memore delle promesse non mantenute, vi spiegò le sue truppe. L’esercito dei Gepidi, costretto a dividersi in due, fu battuto in entrambi i campi di battaglia. Cunimondo fu sconfitto da Alboino in Sirmia; il re dei Gepidi perse la vita e sua figlia Rosamunda fu fatta prigioniera dai Longobardi. In una grande battaglia sul Danubio in Sirmia, il secondo esercito dei Gepidi fu sconfitto dagli Avari; conseguita la vittoria, questi raggiunsero immediatamente la città di Sirmium, che poco prima il comandante gepida Usbad aveva consegnato ai Bizantini, i quali respinsero l’affrettato tentativo di assedio di Baian. Le truppe gepide di Sirmium entrarono nell’esercito bizantino e il loro principe ereditario, Reptila, scappò con il tesoro reale a Costantinopoli, accompagnato dall’ultimo vescovo ariano gepida, Trasarico (autunno 567).

I Gepidi che erano stati sconfitti dai Longobardi, vedendo la loro patria andare in rovina, si unirono ai loro vincitori e nella primavera del 568 partirono con essi per l’Italia. Lì vissero in villaggi autonomi (Zibido) e una parte di essi formò la guardia del corpo di Rosamunda, andata in sposa ad Alboino. Queste guardie del corpo ebbero un ruolo essenziale nella rivolta contro Alboino, scoppiata nel 572 e organizzata da Rosamunda. Quei Gepidi che erano stati sconfitti dagli Avari o che non avevano preso parte alla guerra caddero, insieme con l’intera Gepidia, sotto il dominio degli Avari. I loro discendenti, se vogliamo dare credito alla Conversio Bagoariorum et Carantanorum, opuscolo ecclesiastico scritto a Salisburgo intorno all’870, risiedevano ancora nel IX secolo a Sirmium e nelle regioni limitrofe. Sono queste le ultime notizie che si hanno di loro.

I monumenti archeologici gepidi sono da oltre cento anni oggetto di studio di archeologi ungheresi, serbi e rumeni. Il corpus pubblicato dei materiali archeologici relativi ai Gepidi rende conto delle scoperte effettuate fino al 1962; da allora la quantità dei reperti è raddoppiata. Inoltre, sono stati portati alla luce numerosi insediamenti, laboratori di ceramica e abitazioni simili a quelle documentate nel Moreşti transilvanico. Se nel centro della Gepidia i villaggi erano costituiti da numerose dimore ravvicinate, in altre zone le forme di insediamento più tipiche erano le masserie. Necropoli gepide anteriori al 455 sono state rese note da scavi recenti. Nel periodo iniziale (Černjachov), diversamente dall’usanza gotica, le tombe contengono corredi composti da armi e ceramica di influenza sarmatica. I corredi provenienti dalle sepolture dei capi militari gepidi del periodo unno (Érmihályfalva, Oros, Tarnaméra) sono tra i più ricchi dell’Europa dell’epoca. Appellandosi a considerazioni storiche, geografiche e cronologiche, gli archeologi ungheresi attribuiscono al popolo gepida il gruppo di ricche sepolture femminili caratterizzate da corredi consistenti in serie di gioielli come grandi fibule a disco d’argento, lussuosi fermagli e bracciali, orecchini a poliedro d’oro, specchi di metallo, collane, brocche e bicchieri.

Gran parte di queste tombe risale al periodo unno (Mád, Tiszalök, Székely, Balsa, Barabás; tra quelle di epoca più antica Mezökaszony/Kosino). Si tratta, in effetti, del tipico corredo d’epoca unna della regione dell’alto Tibisco, piuttosto che della terra dei Gepidi. Intorno al 470 i Gepidi si spostano verso sud; i loro cimiteri d’epoca merovingia si trovano a est del Tibisco, a sud della linea Tiszafüred-Debrecen. Le necropoli di questo periodo possono essere suddivise in due tipologie: grandi necropoli situate nelle vicinanze dei villaggi, utilizzate per almeno un secolo (nessuna di esse è stata interamente scavata) e necropoli di modesta estensione ubicate nei pressi delle masserie. I pregevoli fermagli e le fibule ad arco (Bügelfibeln) sono rappresentativi dell’arte gepida del VI secolo, sviluppatasi su base locale a partire dal secolo precedente. Gioiello tipico della nobildonna gepida è un grosso fermaglio decorato da una testa d’aquila (Adlerschnalle). Le fibule gepide, assai poco frequenti, erano accessori tipici delle donne libere e benestanti. Il vasellame gepida denota la presenza di componenti diverse. Tuttavia, dalla provincia Pannonia Sirmiensis, conquistata nel VI secolo per la seconda volta, si diffusero in tutta la Gepidia i “moderni” vasi a sacchetto e la decorazione a stampo che, nel secondo terzo dello stesso secolo, prevarranno in maniera quasi assoluta nella produzione ceramica. Le nostre conoscenze sul costume dei Gepidi sono lacunose; dati attendibili sono stati forniti soltanto dai più recenti scavi archeologici.

Bibliografia

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