L'Europa tardoantica e medievale. L'Europa del Nord e i territori non romanizzati. La Croazia

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Europa tardoantica e medievale. L'Europa del Nord e i territori non romanizzati. La Croazia

Ciro Lo Muzio

La croazia

Alla vigilia della comparsa dei Croati (seconda metà dell’VIII sec.), le regioni che costituiscono l’odierna Repubblica di Croazia (l’Istria, la Dalmazia, la regione di Zagabria e la fascia di territorio prospiciente il confine ungherese, tra i fiumi Sava e Drava) erano soggette a potentati diversi.

Gli Avari dominavano la Slavonia e l’entroterra dalmata, i Franchi l’Istria e la Dalmazia, mentre Bisanzio esercitava la sua sovranità su alcune città del litorale. In tutte queste regioni, inoltre, tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo, aveva avuto inizio la graduale immigrazione di tribù slave. La gran parte degli studiosi è concorde nell’attribuire un’origine non slava all’etnonimo “croati” (hrvati) e, forse, al gruppo egemone che avrebbe dato il via alla genesi del popolo croato. L’ipotesi cui viene dato maggior credito è quella di un’origine iranica, che ha uno dei suoi principali argomenti nel nome Choroathos/Chorouathos menzionato in due iscrizioni greche del II-III secolo provenienti dai pressi di Tanais, sul Mar d’Azov, un’area allora popolata prevalentemente da genti di stirpe iranica (sarmatica o alana). Non sono mancati, tuttavia, fautori di un’origine o, forse più ragionevolmente, di un’influenza turca (soprattutto avara) nella genesi del primo potentato croato, come suggerito dall’analisi dei titoli dinastici (in particolare ban, “governante, duca”, probabilmente derivato dal turco-mongolo bayan) o dal confronto della leggenda delle origini dei Croati, registrata nel De administrando imperio (metà X sec.), con quella dei Bulgari, specificamente la divisione dei poteri tra cinque fratelli (ai quali, tuttavia, nella versione croata si aggiungono due sorelle, elemento che alcuni studiosi non hanno esitato a interpretare in chiave iranica, richiamandosi al mito erodoteo delle Amazzoni).

La venuta dei primi Croati nei Balcani, probabilmente da una regione situata a nord della Pannonia (la cd. Croazia Bianca), sembra si debba datare a non prima della fine dell’VIII secolo. L’esistenza di un potentato croato è accertata nel IX secolo; esso controllava la parte settentrionale della costa adriatica (seppure sotto la sovranità franca) e le regioni dell’entroterra fino al fiume Vrbas e, verso nord, fino alla Sava. Il principe Tomislav (910-928), primo esponente della stirpe dei Trpimirović – il rex Chroatorum delle fonti latine –, conquistò il territorio tra la Sava e la Drava, cioè la Slavonia (sulla quale, tuttavia, si sarebbe alternato a più riprese il dominio magiaro), e impose una sorta di protettorato sulle città della costa adriatica; qui sorsero due centri croati: Biograd (Zara vecchia) e Šibenik (Sebenico). L’effettiva annessione delle città costiere alla Croazia fu opera di Zvonimir (1075-1089), ultimo rappresentante dei Trpimirović. Nel 1102 il regno croato fu associato al regno ungherese. Come sancito dai Pacta conventa, pur passando sotto la corona del re magiaro Koloman, discendente di Árpád, la Croazia conservava i suoi confini, il suo assetto giuridico e il suo esercito, in sostanza la sua indipendenza. Il regno ungaro-croato si protrasse fino al 1526, quando l’assemblea feudale croata, indipendentemente dall’assemblea ungherese, elesse gli Asburgo quali più idonei difensori del Paese dalla minaccia turca ed eredi al trono della Croazia.

La cristianizzazione dei Croati da parte della Chiesa latina fu un processo graduale, più rapido nelle aree gravitanti intorno alle città della Dalmazia (dove fu istituita, a Nin, la prima sede vescovile), più lento nell’entroterra. La liturgia slava e la lingua nella quale essa si esprimeva, lo slavo ecclesiastico, avevano tuttavia messo radici soprattutto nella regione dalmata e tramite l’operato del clero locale (glagoljaši ) trovarono accoglienza nelle masse popolari, ma non presso la corte e le classi dirigenti, decisamente orientate verso la cultura latina. In seguito allo scisma del 1054 il cattolicesimo divenne religione ufficiale e rafforzò le sue posizioni nei confronti dell’ortodossia, limitandone notevolmente i margini di influenza. L’assenza di un’autorità centrale autoctona per gran parte della storia della Croazia medievale, che conservò a lungo un tessuto socioeconomico di tipo feudale, si riflette nello sviluppo dell’architettura monumentale e delle arti. Queste rivelano, nelle differenti regioni del regno, influssi di scuole diverse (soprattutto italiane e carolingie), ma non una volontà unificatrice, né la ricerca di uno stile originale, se non su scala regionale e, generalmente, per iniziativa ecclesiastica. Tra il IX e l’XI secolo sorgono, soprattutto lungo la costa dalmata, numerose chiese sia a croce greca con cupola, come la chiesa della S. Croce (Sveti Križ) a Nin, dell’800 circa, sia di pianta rettangolare a una navata (S. Salvatore alle foci della Cetina, X-XI sec.) o a tre navate (chiesa di Stupovi a Biskupija, presso Knin e S. Barbara a Traù, XI sec.). In Dalmazia l’influenza carolingia fu particolarmente sentita, sia sul litorale (rotonda di S. Donato a Zara, inizi IX sec.), sia nell’entroterra già occupato dai Croati (chiese a una o a tre navate con cupola centrale e con contrafforti a pianta circolare); in Dalmazia meridionale si trovano inoltre piccole chiese di forma allungata, a una navata con copertura a volta e cupola centrale (ad es., chiesa di S. Pietro a Omiš).

La committenza di duchi croati è testimoniata nella produzione scultorea di Cattaro (metà IX sec.). L’impronta carolingia è dominante nell’oreficeria (reliquiari, incensieri) e nei corredi funerari maschili (accessori del vestiario e armi) delle necropoli paleocroate, mentre i gioielli delle tombe femminili sono invece di matrice bizantina. Nell’XI secolo l’influsso protoromanico è evidente in Dalmazia nell’architettura (chiese di Zara e Salona) e nelle arti figurative (affreschi della chiesa di S. Michele a Ston); di stile bizantino sono invece le pitture dell’originaria cattedrale di Dubrovnik e della chiesa di S. Giovanni sull’isola di Lopud. Nelle città e nei centri isolani della Dalmazia il XII e il XIII secolo sono caratterizzati da un’intensa attività architettonica con nuove fondazioni (abbaziale di S. Crisogono e nuova cattedrale di S. Anastasia a Zara; la cattedrale e la chiesa di S. Quirino a Veglia) e importanti addizioni a complessi preesistenti (a Zara, Arbe e Veglia). Nel campo della scultura emerge la figura di Radovan, che realizzò, in uno stile influenzato dalla scuola dell’Antelami, la lunetta e gli stipiti della cattedrale di Traù (Trogir), datati al 1240. Vicina alla produzione lombarda è anche la più antica pittura parietale romanica della Croazia (chiesa di S. Maria Minore a Zara, inizi XII sec.), mentre a partire dal XIII secolo si afferma, nella decorazione pittorica, una corrente veneto-bizantina.

Se in Dalmazia l’architettura gotica è testimoniata da monumenti di dimensioni e impianto piuttosto modesti (chiese ad aula con copertura a volta solo sul presbiterio, finestre ogivali e sobria ornamentazione dei portali, ad es., chiese dei domenicani a Traù e a Dubrovnik), la cattedrale di Zagabria è frutto di un progetto ben più ambizioso. Sorta per volere del vescovo Timoteo sulle rovine della basilica romanica, distrutta durante l’invasione mongola (1242), questa cattedrale presenta un impianto analogo a quello della collegiata di St.-Urbain a Troyes (1262-1266), commissionata da papa Urbano IV (del quale il vescovo Timoteo era stato cappellano). L’aspetto della chiesa abbaziale di Bijela (1300), la più importante testimonianza di architettura gotica in Slavonia, oggi in rovina, ci è noto da disegni e fotografie del XIX secolo (impianto a navata unica con abside poligonale). La cattedrale di Zagabria conserva gli affreschi più antichi – e più pregevoli – della Croazia superiore (1270); questi dipinti, che mostrano diverse affinità con le pitture del duomo di Anagni e del Sacro Speco di Subiaco, furono verosimilmente eseguiti da un artista di origine laziale, giunto al seguito del vescovo Timoteo. Di ambiente riminese, invece, furono gli esecutori degli affreschi della cappella di S. Stefano nell’arcivescovado di Zagabria (XIV sec.). Ci sono noti, inoltre, i nomi di altri pittori che furono attivi in Croazia nella stessa epoca: Paolo Veneziano (1355-1389), Stefano (1356) e Domenico pictor Gallicus (1382).

Bibliografia

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