L'Italia preromana. I siti etruschi: Cerveteri

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia preromana. I siti etruschi: Cerveteri

Giuliana Nardi

Cerveteri

Centro (etr. ca/eisra; gr. Ἄγυλλα, Καιρέα; lat. Caere) in prossimità della costa tirrenica, poco a nord di Roma, situato all’estremità sud-occidentale di un vasto pianoro di tufo anticamente occupato dalla città etrusca e romana di cui tramanda il nome (Caere vetus).

Definita dalle fonti città di antiche origini pelasgiche, fra le più fiorenti e popolose per lo straordinario sviluppo raggiunto specialmente grazie ai contatti con il mondo greco e ai commerci marittimi, intorno al 540 a.C. combatté con l’aiuto dei Cartaginesi, a difesa dell’egemonia sul Tirreno, nelle acque del Mar Sardo contro i Focei, costretti a lasciare la costa orientale della Corsica dove si erano insediati fondando Alalia. Proprio per espiare l’uccisione dei prigionieri focei, seguita da terribili mali, su responso dell’oracolo di Delfi sarebbe stato fondato un santuario, di cui si è proposta la localizzazione nell’area di Montetosto, lungo la via che univa la città a Pyrgi, suo principale scalo costiero assieme ad Alsium (Palo) e Punicum (Santa Marinella). Alleata di Roma durante l’invasione gallica del 390 a.C., C. offrì asilo ai sacerdoti, alle Vestali e agli oggetti di culto, ottenendo dopo la vittoria la concessione dell’hospitium publicum e della civitas sine suffragio. Più tardi, con le guerre etrusco-romane degli inizi del III sec. a.C., Roma confiscò a C., nel 273 a.C., metà del territorio, deducendo lungo la fascia costiera le colonie marittime di Fregenae, Alsium, Pyrgi e Castrum Novum, mentre la parte interna venne organizzata in prefettura (pretore o prefetto all’epoca della conquista fu C. Genucius Clevsina, ricordato da un’iscrizione parietale incisa a fresco sull’intonaco di un ambiente ipogeo con decorazioni pittoriche, parzialmente rimesso in luce nel 1983 al centro dell’area urbana).

Passata così a un’economia di tipo prevalentemente agricolo, la città divenne municipio nel 90 a.C. Il processo di decadenza, evidente nel II sec. d.C., si concluse nell’Alto Medioevo con l’abbandono da parte degli abitanti, che si rifugiarono in un piccolo insediamento del territorio, Ceri, per scampare alla malaria e alle incursioni dei Saraceni. Ai dati delle fonti letterarie fanno riscontro quelli della documentazione archeologica, acquisita soprattutto con le scoperte iniziate nelle necropoli fin dal terzo decennio del XIX secolo, mentre assai più recenti sono le esplorazioni sistematiche dell’area urbana, intraprese a partire dal 1983 e precedute solo da scavi limitati o da ritrovamenti occasionali. In posizione naturalmente difesa presso la confluenza dei fossi del Manganello e della Mola, il pianoro di tufo su cui si estendeva la città (160 ha ca.) si allunga a forma d’irregolare trapezio da nord-est verso sud-ovest fra le due valli fluviali, che lo separano dalle alture parallele della Banditaccia a nord-ovest e di Monte Abatone a sud-est, sedi entrambe delle necropoli di piena età storica. Attorno all’antico abitato si dispongono anche le altre necropoli: quella di Cava della Pozzolana a nord-est, utilizzata dall’VIII sec. a.C. e separata dal pianoro mediante una fossa artificiale, quelle villanoviane e orientalizzanti di Poggio dell’Asino e del Sorbo a sud e, infine, la necropoli di Greppe Sant’Angelo, immediatamente sottostante il fianco sudorientale a valle della porta di Sant’Antonio, in uso fin dall’epoca arcaica, ma con fiorente sviluppo in età ellenistica.

Lungo i fianchi scoscesi che delimitano il banco di tufo si conservano anche per lunghi tratti i resti della cerchia muraria, in opera quadrata di tufo, nonché le tracce delle porte e delle vie, almeno dieci, che, percorso il pianoro con un asse longitudinale e vari tracciati convergenti o ortogonali, ne discendevano per unire la città – oltre che alle sue necropoli – da una parte agli scali portuali e agli insediamenti costieri, dall’altra a quelli di un vastissimo entroterra esteso, nel periodo di massima espansione, dai Monti della Tolfa ai Monti Sabatini e al Lago di Bracciano. All’interno del perimetro, dopo le prime testimonianze di un’occupazione che risale all’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.), si collocano i segni di un inizio piuttosto precoce delle opere di urbanizzazione, realizzate entro un arco cronologico che raggiunge l’età ellenistica e romana. Predominanti sono le opere idrauliche (cisterne in relazione con pozzi circolari o rettangolari e con una vasta rete di cunicoli scavata nel tufo a varia profondità), nonché resti di edifici in opera quadrata di tufo per lo più databili sullo scorcio del VI sec. a.C, con fondazioni che s’impostano sul banco tufaceo previamente adattato mediante livellamenti e tagliate o cavi anche molto profondi.

Alcuni di questi resti sono riferibili a templi (nella Vigna Parrocchiale, scavi 1983-89, e in località Sant’Antonio, ove scavi in corso dal 1993 hanno scoperto un santuario di Hercle) e s’inseriscono in quella molteplicità di aree sacre riconosciute specialmente attraverso materiali votivi sia nella zona centrale del pianoro che lungo i cigli, soprattutto in corrispondenza delle porte urbiche. A essi si aggiunge, nel medesimo periodo di massima fioritura edilizia, una cintura di santuari suburbani, in genere in prossimità di crocevia con i tracciati che si dipartivano verso la costa o in direzione orientale (si segnalano in particolare quello di Valle Zuccara, sede di un culto salutare legato alle acque, e il complesso santuario-terme scavato nel 1997-98 ai margini della necropoli di Greppe Sant’Angelo). Non anteriore al III sec. a.C. sembra invece il piccolo tempio a cella unica presso il Manganello. Insieme alle tracce della riutilizzazione dei tracciati viari arcaici, i resti di età romana comprendono parte della cavea del teatro di età augustea (le cui sculture sono conservate ai Musei Vaticani insieme a un ciclo statuario di età giulio-claudia probabilmente pertinente a un Caesareum), un anfiteatro poco discosto, tratti di un acquedotto, cisterne e resti di vari edifici.

Di particolare interesse sono i monumenti delle necropoli, che permettono di seguire meglio che altrove lo sviluppo dell’architettura funeraria etrusca e, indirettamente, anche di quella civile. Dopo la fase delle tombe villanoviane a pozzetto semplice o doppio, talvolta provvisto di custodia, e a fossa chiusa da lastre di tufo, a partire dal VII sec. a.C. s’innalzarono i grandi sepolcri a tumulo con basamento circolare liscio o sagomato e con camere dapprima interamente costruite o parzialmente scavate nel tufo, coperte a falsa volta ogivale da blocchi disposti in progressivo aggetto (Tomba Regolini-Galassi).

In seguito i tumuli acquistarono proporzioni grandiose e accolsero più gruppi di camere interamente scavate nel tufo a pianta sempre più complessa e articolata, con banchine conformate a klinai o a letti a cassone e, scolpiti nel tufo, numerosi particolari strutturali ed elementi di decorazione e di arredo di abitazioni reali (soffitti con travi a scacchiera e a ventaglio, porte e finestre, cornici, scudi, tavole e cesti allusivi alle cerimonie funebri, troni e statue di antenati).

Con il tardo VI - inizi del V sec. a.C., disposte secondo una planimetria regolare di strade e di piazze, ai vecchi tumuli si affiancarono, finendo poi con il sostituirli, le tombe a corpo quadrangolare “a dado”, in tutto o in parte costruite a blocchi, aperte direttamente sulla via sepolcrale o con ingresso verticale “a caditoia”. Caratteristici della seconda metà del IV - inizi del III sec. a.C. sono invece i grandi e profondi ipogei gentilizi a camera unica e a pianta quadrangolare, con banchine parietali continue per parecchie deposizioni, loculi a imitazione di letti funebri, talvolta chiusi in alcove nella parete di fondo, decorazione di stucchi e pitture. Le facciate sono in certi casi completate da muri a blocchi, oppure presentano un aspetto monumentale di tipo rupestre, con finte porte e arricchito di sculture (necropoli di Greppe Sant’Angelo).

Considerata uno dei più importanti centri artistici dell’Etruria, a cominciare dall’Orientalizzante C. divenne sede di fiorenti attività artigianali, quali la lavorazione di bronzi e di metalli preziosi o la produzione di ceramiche etrusco-geometriche, di impasti bruni e di impasti rossi, questi ultimi spesso con decorazione dipinta o impressa, e soprattutto del bucchero, creato appunto da ceramisti ceretani nella prima metà del VII sec. a.C. In età arcaica i diretti influssi greci su questa città sono documentati, oltre che dall’ingentissima presenza di ceramiche di fabbrica corinzia, greco-orientale e attica, dalla presenza a C. di classi come quella delle cosiddette “hydriai ceretane”, realizzate nella seconda metà del VI sec. a.C. da ceramisti ionici, nonché dai bronzi e dalla coroplastica di stile “ionico” sia funeraria (urne e sarcofagi a forma di letto con figure di recumbenti sul coperchio), sia di rivestimento e decorazione architettonica (lastre dipinte, acroteri e antefisse).

Rinnovata tecnicamente e ispirata anche a modelli della Magna Grecia, la produzione di terrecotte architettoniche è particolarmente copiosa fra la fine del VI e i primi decenni del V sec. a.C., ma prosegue in forme diverse fino in età augustea. La plastica votiva, con rarissimi esempi di età arcaica, è rappresentata soprattutto da statue, statuette e teste fittili di età ellenistica, parte delle quali con tratti realistici. Alla stessa epoca appartengono le sculture in pietra locale del complesso di Sant’Angelo, la serie dei sarcofagi di pietra e ceramiche largamente esportate, sia a figure rosse che a vernice nera e sovradipinte. Sistemato nel castello medievale, che con il nucleo più antico dell’odierno abitato si è probabilmente sovrapposto all’acropoli, il Museo di Cerveteri accoglie in ordine cronologico, al piano inferiore, i corredi da varie tombe delle necropoli del Sorbo, della Banditaccia e di Monte Abatone, compresi fra IX e VI sec. a.C.; al piano superiore sono conservati altri corredi più tardi, sarcofagi e cippi funerari e inoltre raccolte di ceramiche di importazione e di produzione locale e materiali rinvenuti nell’area urbana, come le terrecotte architettoniche e votive dal cosiddetto “tempio di Hera” e dal tempio del Manganello.

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