L'Italia romana delle Regiones. Regio IX Liguria

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia romana delle Regiones. Regio IX Liguria

Giuseppina Spadea
Liliana Mercando

Regio ix liguria

di Giuseppina Spadea

La regio IX augustea era limitata dal fiume Magra a est e dal fiume Varo a ovest; restavano pertanto in essa comprese zone a occidente delle Alpi e l’area tra l’Appennino e il fiume Po. L’odierna regione rappresenta largamente, ma non tutta, la fascia costiera dell’antico territorio dei Liguri.

Con accezione molto ampia e vaga essa, in età storica, si estendeva a nord oltre la catena degli Appennini fino al Po; a est confinava con i Tyrrhenoi, secondo una linea di demarcazione difficile da precisare, ma che si può riconoscere nell’Arno; a ovest si spingeva al di là delle Alpi fino al Rodano, a contatto con il mondo ellenizzato e celtico. La ricerca archeologica non ha finora offerto alla moderna storiografia dati sufficienti per risolvere il “problema ligure” (formazione dell’ethnos, tipologie insediative, cultura materiale, ecc.): i siti indagati sono pochi e i rinvenimenti estremamente frammentari ed esigui.

La frequentazione delle grotte trova riscontro, in modo discontinuo, per tutta l’età del Bronzo e l’età del Ferro. Risultati conseguiti nel corso delle ricerche permettono, tuttavia, di far risalire al Bronzo Medio i primi insediamenti arroccati sulle alture. Nella Val Frascarese, nei pressi di Castiglione Chiavari, una grotticella sepolcrale ha restituito 10 deposizioni e materiali inquadrabili tra il tardo Eneolitico e l’inizio dell’età del Bronzo. Nella Liguria occidentale, nel riparo sotto roccia di Alpicella di Varazze, si è accertato un uso dal Neolitico medio al Bronzo Recente. Nel Finalese, all’esterno della grotta della Pollera, si sono individuate fasi comprese tra la fine del Bronzo Antico e l’inizio del Bronzo Medio; nella caverna dell’Acqua o del Morto resti di 3 sepolture con corredo sono state assegnate a un momento avanzato del Bronzo Antico. Ancora all’inizio del Bronzo Antico sono ascrivibili materiali provenienti dalla Grotta Nera e dalla Grotta di Ponte di Vara (o Varè) nella Val Maremola (Pietra Ligure). Particolare rilievo assume la Grotta del Pertuso, ad alta quota nelle Alpi Marittime (comune di Triora), usata nel Bronzo Antico per sepolture collettive di gruppi non stabili, con frequentazione collegata allo sfruttamento dei pascoli vallivi. Al Bronzo Medio risale il deposito archeologico di Bric Tana presso Millesimo, nella Val Bormida. Nella grotta marina di Bergeggi si sono raccolti frammenti ceramici databili dal Neolitico all’età del Ferro.

Ricognizioni topografiche e scavi compiuti in Liguria nel corso degli ultimi anni su alcuni “castellari”, ubicati in prevalenza all’interno dell’Appennino su cime o versanti piuttosto impervi e in posizione dominante vaste estensioni di territorio, hanno messo a disposizione nuovi elementi cronologici e hanno conseguito anche, in qualche caso (come, ad es., Uscio, Zignago), risultati per la ricostruzione del quadro paleoambientale.

Nella Liguria orientale il deposito archeologico di Zignago ha restituito due capanne e materiali inquadrabili nel Bronzo Medio e Tardo. A Camogli, Uscio, Pignone, Vezzola, Zignago si sono documentate sequenze stratigrafiche dal Bronzo Medio, Tardo e Finale – in qualche caso (Uscio) con limiti cronologici più antichi – fino alla soglia della romanizzazione con interruzione per la prima età del Ferro. I resti di qualche capanna e di terrazzamenti, ascrivibili al Bronzo Tardo (Camogli, Uscio, Vezzola), sembrano rivelare un’organizzazione economica del territorio, protrattasi nel tempo, dedicata particolarmente alla pastorizia con permanenze stagionali sui siti di altura. Nel ponente ligure, nel Finalese, sul Bric Reseghe (vicino alla frazione di Calvisio) livelli con materiali del Bronzo Tardo-Finale fanno risalire a tale epoca l’utilizzo di questo sito all’aperto fortificato. Di notevole interesse, anche se parzialmente investigato, è il cosiddetto Villaggio delle Anime sulla Rocca di Perti, con manufatti databili nella prima e avanzata età del Ferro. Lo spesso deposito (strato F) sottostante la necropoli di Chiavari, ricco di frammenti ceramici del Bronzo Recente, lo strato preromano di bonifica e livellamento sotto le case romane (domus nn. 1-2) a Vado Ligure, nonché stratigrafie con materiali protostorici a Diano Marina e a San Bartolomeo al Mare lasciano intravedere la possibilità che aree abitative possano avere avuto vita tra il Bronzo Finale e la prima età del Ferro anche in prossimità della costa in aree pianeggianti.

Nella Liguria occidentale i ritrovamenti di tombe databili tra il Bronzo Antico e la seconda età del Ferro sono ancora più scarsi rispetto alle conoscenze acquisite sul versante orientale. In località Pian del Re, nel comune di Apricale, è stato riportato alla luce un grande tumulo, sconvolto, con numerosissime pietre all’interno di un circolo, probabilmente della tarda età del Bronzo. A Monte Grange presso Taggia, nella Valle Argentina, in un anfratto della roccia, si è individuata una sepoltura con corredo di ceramica di impasto databile a una fase avanzata del Bronzo Finale, con confronti nella Francia meridionale (Provenza) per forme e motivi decorativi. Da un profondo e stretto pozzo aperto su una parete a strapiombo, in località Borniga nei pressi di Triora (Imperia), provengono un torques e otto braccialetti bronzei a nastro con decorazione lineare, prodotti in area nordalpina (tipo La Poype) nella tarda età del Bronzo. Sono forse da attribuire a una sepoltura la ceramica di impasto e le tracce di incinerazione rinvenute a Diano Marina (via Roma). I vecchi importanti ritrovamenti di tombe dell’età del Ferro a Pornassio e a Pietra Ligure non hanno finora trovato ulteriori conferme.

Contatti e scambi devono essere intercorsi nella prima età del Ferro tra i Liguri, l’interno di cultura golasecchiana e le aree tirreniche. In quest’ultima direzione fanno convergere gli elementi emersi dalla necropoli di Chiavari, che permettono di formulare l’ipotesi di punti di approdo in prossimità di zone di interesse minerario (area di Sestri Levante: rame di Libiola sfruttato sin dal Bronzo Recente). Più sistematiche relazioni tra la Liguria e il mondo etrusco nel corso del VII e VI sec. a.C. non sono sostenute da adeguati ritrovamenti, soprattutto in confronto con la costa francese (Linguadoca e Provenza), ove il commercio tirrenico è testimoniato da oggetti in contesti indigeni e non, almeno dal terzo quarto del VII sec. a.C., in cambio dell’approvvigionamento di materie prime (oro, argento, piombo, rame, stagno).

Nel VI-V sec. a.C. si conferma in Liguria il quadro di popolamento d’altura nell’interno e verso costa con l’utilizzazione anche di nuovi siti. Nella Liguria occidentale indagini a Monte Follia presso Pietrabona (Imperia) hanno documentato un’articolata presenza umana (età preromana - I sec. d.C.) lungo le naturali vie di penetrazione (Valle Armea; Valle Argentina) e collegamenti attraverso percorsi di crinale tra i “castellari” già individuati dal Lamboglia (Monte Bignone, Monte Colma, Monte Caggio, Castellaro di Sapergo) alle spalle di Taggia-Sanremo- Bordighera. Sul Monte Sant’Elena, in prossimità di Vado Ligure (Castellaro Bergeggi), muri a secco, frammenti di intonaco di argilla, anfore massaliote (tipi Py 6 e Py 8), ceramica di impasto locale e di importazione (vernice nera) presuppongono la presenza umana stabile almeno a partire dal V secolo fino agli inizi del I sec. a.C. (anfore tipo Dressel I). Particolare rilievo acquista il ruolo svolto da Genova, secondo quanto hanno progressivamente messo in evidenza gli scavi condotti sulla collina di Castello nel 1967, in corrispondenza del complesso medievale di San Silvestro. Già il vasellame bronzeo di uso simposiale (Schnabelkannenolpai, stamnoi, simpula, cola, situle di varia forma, patere e teglie) – diffuso in special modo nell’area etrusca padana (Spina, Felsina, Marzabotto), nonché a Populonia e Aleria –, la ceramica attica, per lo più a figure rosse di V e IV sec. a.C., provenienti dai vecchi scavi nella necropoli preromana, e la stessa tipologia delle tombe (pozzetti scavati nella marna) distinguevano la comunità genuate della media e seconda età del Ferro dagli altri Liguri.

Il rinvenimento nelle stratigrafie di Genova - San Silvestro di numerosi frammenti anforici di produzione etrusca (tipo Py 2 e Py 4) e, in minor quantità, in contesti di V sec. a.C., di frammenti di anfore corinzie e greco-orientali costituisce l’evidenza archeologica per la rotta che dai mercati dell’Etruria lungo l’alto Tirreno, spingendo verso  il Mediterraneo occidentale, investiva anche Genova. Nell’insenatura del Mandracchio veniva inoltre depositata ceramica tirrenica comune di tipo grezzo e figurata, decorata a bande, quest’ultima diffusa anche nella vicina area francese. Confluivano ancora prodotti dell’area massaliota, come testimoniano, ad esempio, le anfore in quantità progressivamente rilevante dal V al III sec. a.C. Esemplari di anfore massaliote, oltre che in vecchi scavi (Monte Colma, Monte Bignone), sono stati riconosciuti più recentemente nella necropoli preromana di Ameglia e in stratigrafie della seconda età del Ferro a Savona, sui castellari di Bergeggi, Camogli, Uscio, Vezzola e sul probabile luogo di culto di Monte Dragnone; si segnala, inoltre, qualche rara testimonianza di ceramica “precampana”, forse di imitazione massaliota. Questi materiali, unitamente alle anfore etrusche (Genova, Uscio, Camogli, Monte Dragnone: tipo Py 4 e, per Uscio, anche Py 4 A), a oinochoai del Phantom Group (Genova, Ameglia, Monte Dragnone), a skyphoi del gruppo T Ferrara 585 (Genova, Ameglia), a qualche piattello tipo Genucilia (Ameglia, Genova, Savona), alle coppe dell’atelier des petites estampilles (Genova, Ameglia) dimostrano l’esistenza di più punti di approdo lungo l’arco della costa ligure e di smistamento secondo direttrici in parte ipotizzate (Valle Scrivia, Val Trebbia nell’entroterra di Genova, Val di Vara, Val Ceno nella Liguria orientale), ma ancora da comprendere compiutamente. Senza volersi addentrare nel complesso problema del rapporto tra commercio massaliota ed etrusco e all’eventuale unica mediazione delle merci trasportate, iscrizioni etrusche provenienti dal sicuro scalo marittimo di Genova e il ritrovamento di elementi di armatura (elmi tipo Negau da Genova, necropoli preromana; Pietra Ligure-Val Maremola, sepoltura nella grotta di Vara) sembrano riservare alla componente tirrenica un ruolo di preminenza.

Nella seconda età del Ferro il popolamento ligure continua a essere sparso e quantitativamente poco consistente. Oltre ai castellari, ubicati sulle tradizionali sedi impervie, con tracce di vita dal Bronzo Medio, rioccupati nella seconda età del Ferro, ricerche svolte nella Valle Scrivia, nel Genovesato (San Cipriano; Genova-Gemignano; Monte Carlo presso Campomirone) e nella Lunigiana hanno permesso di ipotizzare occupazioni del territorio nella forma sia del castellaro sia di insediamenti, per ora non meglio definibili, in collina oppure collocati a mezza costa (Minucciano, Pieve San Lorenzo), prossimi a naturali vie di comunicazione.

Tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. la parte estrema della Liguria orientale è interessata dalla pressione celtica, che spinge i Liguri a oltrepassare il fiume Magra e a inoltrarsi lungo le valli appenniniche fino alla pianura versiliese. Il fenomeno celtico resta per ora documentato dai materiali rimessi in luce nella necropoli di Ameglia, dalle sepolture rinvenute nella località Pegazzano di La Spezia e da qualche oggetto nelle stratigrafie dei castellari. La contestuale presenza di elementi culturali liguri (rito dell’incinerazione entro cassetta litica noto nella Liguria orientale, nella Lunigiana e nella Versilia) e di materiali celtici, costituiti ad Ameglia dalle armi deposte nelle tombe maschili di III sec. a.C. e dalle fibule nelle sepolture femminili, evidenzia uno stato della celtizzazione in ambiente ligure, del quale è difficile ricostruire il quadro delle relazioni etniche e organizzative. L’attestazione epigrafica enistale, in caratteri etruschi e onomastica leponzia, proveniente da Ameglia (tomba 6), iscritta su una ciotola a vernice nera prima della cottura, è un’ulteriore prova dell’esistenza nell’antico centro di matrici culturali diverse.

La circolazione nel II sec. a.C. di oboli cisalpini d’argento (Serra Riccò, Genova, Pignone, Camogli), collegati alla monetazione preromana padana e derivati dal tipo della dracma massaliota, è indizio della partecipazione dei Liguri al tentativo di autonomia locale nei confronti del controllo sempre più diretto operato dalla politica romana. Resta da definire il processo della romanizzazione, il cui ordinamento amministrativo, non essendo intervenute nuove scoperte, è quello evidenziato nei capitoli introduttivi del CIL V, di poco modificato nei successivi aggiornamenti dei Supplementa Italica. È noto dalle fonti che Ventimiglia (Albintimilium), Albenga (Albingaunum), Vado Ligure (Vada Sabatia), Genova svilupparono l’impianto urbano in aree occupate dai Liguri secondo modalità e forme non attestate. Solo Luni – assegnata nella risistemazione augustea alla regio VII, mentre l’altra colonia Velleia confluisce nella regio VIII – è deduzione coloniale di II sec. a.C. in una zona, a est del Magra, di sicuro interesse commerciale sin da età preromana.

È difficile, allo stato della ricerca, riconoscere i vari sistemi di aggregazione nel territorio in età romana (vici, pagi, mansiones) distinguendoli dagli altri insediamenti sparsi e individuare indicatori di pastorizia e transumanza. Nella Liguria occidentale, nell’entroterra appenninico, i siti di altura possono presentare frequentazione fino ad avanzata età imperiale (Monte Bignone; Colma) in rapporto al tipo di attività economica svolta e al controllo esercitato sulle vie di comunicazione. A Caprauna (1373 m s.l.m.), allo sbocco nord-occidentale della Val Pennavaira dominante l’alta Val Tanaro, è stato rinvenuto un deposito di materiali databili tra la metà del I sec. d.C. e la tarda età flavia. Oltre alla sigillata italica di produzione aretina (con bolli di Ateius, Cn. Ateius, C. Bovius Gen) e di altri ateliers non meglio identificabili e alla terra sigillata tardoitalica (Sextus Murrius Festus, L. Rasinius Pisanus), sono stati riportati alla luce ceramica a pareti sottili, verniciata e comune, rozza terracotta con prevalenza di urne, lucerne, anfore, vetri, qualche oggetto bronzeo e due monete poco leggibili. È ancora in dubbio se questi oggetti siano da intendere come materiale votivo deposto in una stipe nell’ambito dei culti delle vette attestati, ad esempio, nelle Alpi Cozie (stipe del Monte Genevis, di età romana imperiale) o in area appenninica (Val Trebbia). È tuttavia certa la presenza, lungo la naturale via di penetrazione tra la piana costiera ingauna e l’entroterra, di genti liguri romanizzate appartenenti con tutta probabilità ai Liguri Montani delle fonti storiche.

Un’ulteriore testimonianza del popolamento sparso appenninico è costituito da un nucleo di tombe a incinerazione di I sec. d.C. in località Case d’Aglio di Castelvecchio di Roccabarbena nella alta Val Neva, sulla via che passa per il colle di San Bernardo. Nel sistema dei collegamenti tra la Liguria interna e il mare in uso sin da epoca protostorica e sfruttati nella viabilità romana si collocano le testimonianze archeologiche di Piana Crixia (livelli con materiale ceramico soprattutto di I-II sec. d.C.), di Cairo Montenotte, l’antica Canalicum, e di Carcare (tombe di I sec. d.C.) lungo la Val Bormida di Spigno sul tracciato della via Aemilia Scauri (109 a.C.). Millesimo, nel tratto omonimo della Val Bormida, da cui proviene un’epigrafe con la menzione della tribù Camilia, sembrerebbe inserita invece in un percorso secondario che, partendo dalle alte Langhe, toccava Vesime, Castino, Cortemilia, Gorzegno, Mombasiglio e, dopo Millesimo, incontrava la via Aemilia Scauri forse presso Carcare. Resta tuttora aperto il problema storico dell’appartenenza della Val Bormida ad Alba Pompeia (Alba), ad Aquae Statiellae (Acqui) e a Vada Sabatia.

La conoscenza della viabilità romana si è potuta avvalere di nuovi contributi, quantunque limitati, in relazione al percorso della via Julia Augusta. Nell’estremo occidente ligure, in località Latte di Ventimiglia, saggi stratigrafici hanno intercettato parte del selciato della strada di I sec. d.C., confermandone l’andamento costiero, già rilevato nel tratto emerso all’interno dei Giardini Hanbury a Capo Mortola. Nella Val Ponci, nel Finalese – dove cinque ponti attestano il passaggio interno tra Vada Sabatia e Dertona (Tortona) della via aperta da Augusto nel 13 a.C. – lo scavo presso il Ponte Sordo ha potuto mettere in evidenza il tronco stradale connesso con il ponte ed è stata analizzata la tecnica costruttiva glareata.

Le rapide trasformazioni avvenute sulla costa ligure nell’ultimo trentennio, se da una parte hanno fatto emergere nuovi dati, dall’altra hanno definitivamente precluso la possibilità di ricontrollare segnalazioni comparse nella Topografia storica dell’Ingaunia nell’antichità (1933) e nella Liguria Romana (1939) di N. Lamboglia nonché, per il versante orientale, nella carta archeologica del territorio di Luni  (1936-37) redatta da L. Banti. I vecchi ritrovamenti (anni Cinquanta e Sessanta del Novecento) di tombe isolate o per nuclei limitati, di stratigrafie, o di resti murari non definiti in area intemelia (Vallecrosia, Bordighera, Sanremo), ingauna (Bastia, Ceriale, Pietra Ligure, Toirano) e nel Finalese (Finale Marina, Perti, Isasco, Varigotti), lungo la costa o nell’immediato entroterra, databili tra il I sec. d.C. e l’età imperiale avanzata, documentano un popolamento di cui sfuggono per ora le modalità di aggregazione, ma verosimilmente da postulare in prossimità di collegamenti viari.

Il territorio costiero tra Valle Armea e Valle Argentina (Imperia) fu sicuramente interessato da insediamenti rustico-residenziali connessi, in qualche caso, con attività artigianali, come hanno dimostrato gli scavi ripresi nei siti già noti di Bussana e presso il nuovo cimitero nel comune di Sanremo, nonché nella località Porsani di Santo Stefano al Mare. Resti archeologici sono stati a più riprese rimessi in luce tra Capo Berta a ovest, il rio San Bartolomeo a est e il torrente San Pietro a nord. A Diano Marina già nel 1950 in località Prato Fiorito, poco lontano dalla chiesa altomedievale di S. Nazario, si era rinvenuta una grande vasca, con tre vani paralleli e muri perimetrali in blocchetti di pietra legati da malta (II-III sec. d.C.). Più recentemente, oltre alle preesistenze protostoriche già accennate (via Roma), sono emersi stratigrafie e resti murari che rimandano a età tardorepubblicana e imperiale (via Roma, area Rosciano Turco; nuovo Ospedale; area della chiesa di S. Siro, nel comune di Diano Castello). Sono di notevole interesse, inoltre, i ritrovamenti di San Bartolomeo al Mare. L’Edificio A, per il quale è stata proposta l’identificazione con la mansio di Lucus Bormani, presentava almeno sei ambienti allineati prospicienti su un corridoio, a sua volta affacciato su una corte e fronteggiante altre strutture ancora non del tutto indagate. Resta tuttora aperto il problema dell’articolazione topografica di Albisola (Alba Docilia), di cui è noto il complesso rusticoresidenziale di I sec. d.C. La recente individuazione dell’epigrafe funeraria M(arcus) Cotius / Terti f(ilius) / sibi et suis / vivos fecit, di I sec. a.C., proveniente con tutta probabilità dall’area della villa Rosciano ad Albisola Marina, sulla riva destra del torrente Sansobbia, costituisce l’importante testimonianza di un sepolcro gentilizio nell’ambito di una proprietà fondiaria in età tardorepubblicana. Pertinente all’antico territorio di Vada Sabatia è inoltre il complesso rustico di I sec. d.C., identificato a Quiliano in corrispondenza della chiesa di S. Pietro in Carpignano, sulla riva sinistra del torrente Zinola, da ricollegare a un latifondo, presupposto anche dal toponimo di origine prediale.

L’entroterra della Liguria orientale rimane tuttora meno investigato. Una stele funeraria di I sec. a.C. con epigrafe, conservata a Calice di Cornoviglio nella Val Ceno, ha permesso recentemente a G. Mennella di proporre l’originaria estensione transappenninica dei Tigulli in un territorio passato in età imperiale sotto la giurisdizione di Velleia. A Limone Melara tombe di I sec. d.C. a incinerazione entro cassette di tegoloni presuppongono un insediamento nell’immediato entroterra rispetto alla linea di costa (a nord-est di La Spezia) non necessariamente da identificare con Boron dellaTabula Peutingeriana (II, 5). Nei corredi, accanto alle tradizionali forme indigene di uso comune (olle, coppette su piede), si rileva la presenza di sigillata aretina (bolli di Ateius e Zoilus), di ceramica a pareti sottili e di balsamari vitrei.

Sulla costa di levante il fenomeno della villa residenziale, ubicata in punti panoramici e favorevoli allo sfruttamento agricolo, trova riscontro già nel I sec. a.C. Alla foce del Magra (in loc. Bocca di Magra) sono stati riportati alla luce resti di una villa maritima, disposta su terrazze ottenute con tagli nel pendio naturale. Le fasi di vita di questo complesso, molto danneggiato durante la seconda guerra mondiale, si collocano tra la fine del I sec. a.C. e il IV sec. d.C. Non si conoscono l’orientamento né l’intero sviluppo planimetrico; resti di suspensurae in alcuni ambienti sulla terrazza mediana hanno fatto supporre un originario balneum. L’instrumentum è costituito da ceramica fine da mensa (sigillata italica di produzione aretina e terra sigillata tardoitalica), da ceramica comune (olle, tegami, mortai), da brocche trilobate di argilla grigia, da anfore, vetri e lucerne. Si segnalano due capitelli di marmo bianco lunense di diverse dimensioni ma di uguale decorazione a foglie d’acqua, nonché frammenti di intonaco dipinto. Lungo l’arco del Golfo della Spezia, dibattuto Portus Lunae, si dislocavano altre ville (loc. Muggiano, Fezzano, Marola-San Vito), testimoniate oggi solo dalle sommarie notizie apparse subito dopo la scoperta nei primi anni del Novecento e da materiali conservati nel Museo Civico di La Spezia, nonché dalla toponomastica prediale.

La villa maritima rimessa in luce sulla punta del Varignano, che chiude a ovest il Golfo della Spezia, può rappresentare un esempio di questi complessi residenziali costieri collegati allo sfruttamento di fundus. Al primo impianto del II sec. a.C. si devono riferire i resti di colonne in laterizio, inglobate nelle strutture successive, e di pavimenti in signino. In età sillana la villa è interessata da un’opera di notevole ristrutturazione, come dimostrano i muri in opera pseudo-reticolata riconoscibili nell’intero impianto planimetrico. È del I sec. d.C. un’ulteriore fase di trasformazione: l’ala residenziale intorno all’atrio corinzio viene adibita a balneum. La vita nel complesso rustico-residenziale perdura fino al V-VI sec. d.C. Gli ambienti risultano distribuiti a L, lungo i lati est e sud di una vasta corte centrale rettangolare; il muro di sud-est di questa corte, proseguendo verso est, costituisce il limite meridionale della cala sulla quale si affacciava la villa. Un hortus quadrato separa la pars residenziale dalla pars fructuaria (cella oleariatorcularium, piccola corte). Nel I sec. d.C. fu costruita a nord-ovest la cisterna in opera laterizia, a pianta rettangolare, divisa all’interno in due navate mediante cinque arcate a sesto ribassato, sostenute da pilastri; l’esterno sul lato a valle presenta sette contrafforti di pietre e laterizi. Nella villa si conservano resti di pavimentazione tardorepubblicana a mosaico, in signino e cocciopesto. Molto rappresentato è l’instrumentum, con ceramica a vernice nera usata nel primo periodo di vita della villa: ceramica fine da mensa (terra sigillata aretina, tardoitalica e sudgallica, vasi potori a pareti sottili e lucerne di vari tipi dal I sec. a.C. al IV-V sec. d.C.). Si segnala inoltre la presenza di anfore, da quelle tardorepubblicane alle africane del IV sec. d.C. Tra i materiali marmorei prevalgono le lastre di rivestimento; per quanto riguarda la scultura una statua femminile di dimensioni inferiori al normale è stata identificata come Igea (II sec. d.C.).

Sono inoltre da ricordare alcune ricerche e scoperte significative riguardanti l’età tardoantica e il Medioevo. Lo scavo di una tomba a cappuccina presso la chiesa di S. Eusebio a Perti, nel Finalese, ha consentito di recuperare una tegola iscritta con monogramma cristiano e croce latina, databile al 362 d.C. Testimonianze di età tardoantica sono emerse a Noli, nell’area adiacente la chiesa di S. Panagorio. A Savona, sotto la Loggia del Castello Nuovo, si sono rinvenute sepolture di varia tipologia, prevalentemente a cappuccina, ma anche entro anfore. Queste tombe sono databili entro un arco cronologico compreso tra il IV e il VII sec. d.C.

A Capo, nel comune di Riva Ligure, è stata riportata alla luce una chiesa a tre navate con nartece tripartito e vasca battesimale ottagonale con nicchie esterne semicircolari della prima metà del VI sec. d.C. con successive trasformazioni. Il vano nord del nartece e la navata settentrionale della chiesa ebbero ben presto un uso funerario con tombe di varia tipologia, ma prevalentemente entro sarcofagi di pietra locale con tetti ad acroteri angolari. Tali resti, insieme alle più antiche fasi della chiesa di S. Cipriano presso Calvisio, a ovest di Finale Ligure, documentano la diffusione di luoghi di culto cristiano in area rurale lungo percorsi ricalcanti più antichi tracciati. Nel castrum di Perti si sono attinti risultati importanti, relativi sia all’andamento planimetrico della fortificazione sia alle stratigrafie di una casa con pareti di legno su un basamento di pietra con copertura deperibile. Il muro di cinta sembra risalire alla fine del VI - inizi VII secolo, mentre la casa, sulla base dei materiali rinvenuti nel corso dello scavo (ceramici e frammenti di anfore, una placchetta ageminata e una moneta di Eraclio), è assegnabile al VII sec. d.C.

Sull’isolotto di Bergeggi, davanti al litorale savonese, sembra confermata la datazione al V-VI secolo della primitiva chiesetta da porre  in relazione con il culto di S. Eugenio. Nella Liguria di Levante, nella pieve di Brugnato si è riconosciuto un luogo di culto tardoantico con una successiva fase altomedievale. Le ricerche in corso contribuiranno a chiarire anche eventuali preesistenze romane intraviste negli scavi degli anni Cinquanta del Novecento. Infine nell’isola del Tinetto si è consolidata l’ipotesi dell’origine paleocristiana dell’oratorio, considerato dalla tradizione la più antica testimonianza cristiana nel Golfo della Spezia, anche per il riutilizzo nella struttura muraria dell’abside di tegoloni tardoromani.

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Per i ritrovamenti degli anni Cinquanta e Sessanta di età romana in area intemelia, ingauna e nel territorio finalese si rimanda a RIngIntem e RStLig.

Il territorio dell’attuale piemonte

di Liliana Mercando

Tra le città più importanti della regio IX (Liguria), site nel territorio corrispondente alla zona dell’attuale Piemonte a sud del Po, si segnalano Augusta Bagiennorum (Benevagienna), Pollentia (Pollenzo), Alba Pompeia (Alba), sia per le recenti indagini ed alcuni interessanti resti monumentali sia perché talora protagoniste di notevoli vicende storiche (402 d.C.: battaglia di Pollenzo). Si ricordano inoltre scavi effettuati a Pedona, nota per la stazione della Quadragesima Galliarum, che hanno fornito interessanti dati su questo centro poco conosciuto.

Nell’Alessandrino, oltre ad Aquae Statiellae, alcune aree sono state indagate negli ultimi anni, mettendo in evidenza abitati poco noti come Forum Fulvi presso Alessandria e approfondendo la conoscenza di altri noti da tempo, come Libarna in valle Scrivia, importante nodo lungo il percorso della via Postumia. Questo asse viario creato nel 148 a.C. dal console Spurio Postumio Albino non fu soltanto un veicolo di conquista militare, ma collegando Genova ad Aquileia, attraverso Piacenza e Cremona, mise in comunicazione due aree della Cisalpina, quella a sud, spesso oggetto di eventi drammatici, e quella a nord, dove la penetrazione romana si inserì più gradualmente. La grande via consolare, creata per fini strategici, divenne quindi un importante veicolo economico e culturale la cui funzione persistette anche dopo il processo di romanizzazione.

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