L'Italia romana delle Regiones. Regio VII Etruria

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

L'Italia romana delle Regiones. Regio VII Etruria

Mariagrazia Celuzza

Regio vii etruria

La romanizzazione dell’Etruria, compresa nella VII regio della divisione augustea, procedette con modalità molto diverse nel Sud e nel Nord della regione. Nel Sud i centri maggiori furono conquistati e privati di gran parte del loro territorio, confiscato per la costruzione di strade e di colonie, ma anche per annullare ogni possibilità di ripresa delle città vinte. Nel resto della regione i Romani rispettarono l’assetto sociale e territoriale (le colonie di Lucca e Luni sorsero in una zona sostanzialmente non etrusca) e attraverso alleanze si garantirono la lealtà delle classi egemoni locali e la loro graduale integrazione nello stato romano, offrendo in cambio una certa indipendenza negli affari interni e l’appoggio militare in caso di attacchi esterni o di conflitti sociali. Questa duplice e opposta politica romana approfondì definitivamente le differenze culturali e sociali che già distinguevano le città settentrionali da quelle meridionali e contribuì a creare a tutti gli effetti due Etrurie, l’una romanizzata massicciamente già dal III sec. a.C., l’altra, di cultura pienamente etrusca, fino alla metà circa del I sec. a.C.

Le fasi della romanizzazione

Alla fase violenta e coercitiva della conquista, iniziata con la precoce sottomissione di Veio nel 396 a.C. e proseguita con il controllo assoluto della costa tirrenica confiscata a Caere, Tarquinia, Vulci e Roselle (294-273 a.C.), fanno seguito interventi improntati a un’estrema razionalità organizzativa. In concomitanza con operazioni di colonizzazione incomincia la costruzione della rete stradale romana, realizzata a partire dalla metà del III sec. a.C., che nacque con funzionalità puramente belliche e poi divenne veicolo essenziale della romanizzazione delle campagne e fattore di valorizzazione dei terreni e di diffusione delle proprietà senatorie.

Nel II sec. a.C., mentre la regione veniva coinvolta nei contrasti riguardanti Roma e i territori italici, si manifesta il profondo interesse delle classi senatorie per le potenzialità economiche delle terre etrusche, rivolto in un primo momento agli agri più vicini a Roma, il ceretano e il veientano, dove le antiche città, slegate dai nuovi sviluppi del territorio, lentamente scomparivano. Verso la fine del secolo la crisi della piccola proprietà contadina coinvolge anche le campagne dell’Etruria centrale, toccando l’apice nei primi anni dello scontro tra Silla e Mario. La riforma graccana che, come sembra, non aveva provveduto ad ampie assegnazioni, non modificò sostanzialmente la situazione della regione.

Le fonti riportano limitate notizie di difficile verifica relative ad Arezzo, Ferento, Tarquinia (Lib. col., pp. 2-15, 216, 219 Lachmann). Nel caso di Tarquinia i nuovi coloni sono stati riconosciuti in un nutrito gruppo di personaggi con nomi non etruschi che compare nel panorama epigrafico tardorepubblicano della città.

Negli anni successivi, l’esplicita volontà dei domini del Nord di conservare l’equilibrio sociale raggiunto è probabilmente all’origine della resistenza da parte di Etruschi e Umbri verso la legge agraria di M. Livio Druso (91 a.C.: App., Bell. civ., I, 36, 162-4). Dovevano in ogni caso sussistere, soprattutto nelle zone costiere e meridionali dell’Etruria, estese sacche di disagio sociale. A Talamone, la documentazione del II sec. a.C. sembra interpretabile in quel senso: il frontone con la rappresentazione della lotta fratricida dei Sette contro Tebe potrebbe alludere proprio alla situazione contrastata del tempo, mentre i depositi votivi rinvenuti nelle vicinanze, con ex voto a forma di armi e attrezzi agricoli, testimoniano un culto di contadini-soldati e, indirettamente, l’esistenza di quella classe di pastori liberi e semiliberi e di agricoltori privati dei loro possessi, forse in parte di origine etrusca, che costituì poi la base di reclutamento per l’esercito mariano nell’87 a.C. (Plut., Mar., 41). L’insieme dei dati noti sul santuario contribuisce a delineare un ambiente ancora sostanzialmente etrusco o comunque non romanizzato, con caratteri di unicità nell’area conquistata nel III sec. a.C.

Con l’89 a.C. gli Etruschi, come gli altri alleati italici, ricevettero la cittadinanza romana e le città ebbero poco dopo l’ordinamento municipale con i quattuorviri come magistratura suprema. Formalmente questa data segna l’avvenuta romanizzazione dell’Etruria, ma non ancora l’inizio della pace. L’archeologia documenta con grande evidenza gli aspetti traumatici dell’intervento sillano in Etruria, contrassegnato  da ampie confische e già noti, attraverso le fonti letterarie, per Arezzo, Chiusi, Volterra, Populonia. I tesoretti seppelliti fra l’81 e il 79 a.C. (a Capalbio, in territorio cosano; a San Miniato, presso Firenze; a Mondano, presso Talamone) si affiancano ai segni inequivocabili di distruzione riconosciuti negli scavi di Vetulonia, di Roselle, di Talamone. Quest’ultimo centro, con il grande santuario, non si riprenderà più, restando disabitato fino al VI sec. d.C. La colonizzazione sillana toccò certamente Fiesole e Arezzo. Sono coloni sillani gli Arretini Fidentiores (Plin., Nat. hist., III, 52) testimoniati ancora come comunità autonoma nel I sec. d.C. (CIL XV, 665).

Le assegnazioni sillane, insieme con i rapidi e cospicui passaggi di proprietà di quegli anni, portarono alla formazione di nuovi patrimoni fondiari e alla costruzione di nuove ville, soprattutto lungo la costa. Rientrano in quest’ambito le proprietà di Attico nell’aretino, quelle dei Domizi Enobarbi (Caes., Bell. civ., I, 34, 2) e dei Sesti (Cic., Att., XV, 27, 1) nel cosano e quelle di P. Clodio (Cic., Phil., XII, 23; Mil., 74) lungo l’Aurelia, nel rosellano. Le assegnazioni di terra volute da Cesare toccarono forse i territori di Volterra, Capena, Veio, Castrum Novum. Attestazioni di coloniae iuliae (Arezzo, Siena, Pisa) vengono in genere considerate triumvirali, con l’eccezione di Castrum Novum e Lucus Feroniae che potrebbero essere state vere colonie cesariane. Dopo la guerra di Perugia (41 a.C.), che vide lo scontro fra la fazione di Ottaviano e quella di Antonio, l’Etruria fu oggetto di un’ultima imponente operazione di colonizzazione e di distribuzioni viritane che portò all’affermarsi definitivo della cultura romana nella zona settentrionale. Intorno alla metà del secolo o poco dopo si registra infatti l’abbandono generalizzato dell’etrusco nelle iscrizioni; da questo momento la sopravvivenza della cultura etrusca fu legata esclusivamente alle scelte ideologiche delle classi dominanti.

Una vera deduzione coloniale con vasti agri centuriati e nuovi impianti urbanistici ortogonali è riconoscibile a Colonia Iulia Opsequens Pisana (Pisa), a Florentia (Firenze, che fu fondata ex novo o, al massimo, su un precedente villaggio), a Lucca, ad Arezzo ove la centuriazione presenta due diversi orientamenti, forse riferibili ai successivi interventi sillano e triumvirale. Anche un tratto del territorio di Volterra, la bassa Val d’Elsa, ebbe una centuriazione, mentre il territorio di Saena Iulia (Siena), come quello di Roselle più a sud, non sembra conservare traccia di divisioni agrarie. A Pistoia, infine, non è documentata una colonia, ma solo una riorganizzazione urbanistica della città e assegnazioni viritane nel territorio sul quale sembra estendersi la centuriazione di Firenze.

Il progetto di colonizzazione del Valdarno ebbe effetti particolarmente durevoli. Le città prosperarono e l’insediamento rurale conobbe grande stabilità. Almeno fino a tutto il I sec. d.C. sono attive fornaci ceramiche, quale quella di Umbricio Cordo, indagata al confine fra Arezzo e Chiusi, che produceva sigillata italica per un mercato piuttosto vasto. La situazione appare simile nel senese, dove gli insediamenti maggiori noti sembrano più stationes che ville (La Befa, Pieve al Bozzone) e raggiungono indenni il IV-V sec. d.C.

Le aree più vicine alla costa mostrano una particolare vivacità. Il caso di Empoli, porto fluviale sull’Arno compreso nel territorio di Volterra, dove era prodotto un tipo di anfora vinaria che circolò fino al IV sec. d.C., è indicativo della maggiore stabilità dell’economia di questa parte di Etruria rispetto alle zone meridionali a predominante produzione schiavistica. Sulla costa pisana e volterrana dove, oltre al Portus Pisanus, erano distribuiti diversi scali costituiti da bacini lagunari e foci di fiumi (Isola di Migliarino, San Piero a Grado, Vada Volaterrana), è stata individuata una rete di siti rurali attivi dalla metà del I sec. a.C. al V d.C., integrata in alcune aree con fattorie e villaggi di età precedente e con ville non molto numerose e distribuite sui terreni migliori, a poca distanza dalla costa e dalla viabilità. Le coltivazioni più diffuse sembrano i cereali, ma non doveva essere trascurabile la produzione di olio (villa di San Vincenzino) e di vino (fornaci di anfore vinarie a Livorno e presso Vada, ville dell’area di Rosignano). Sono presenti nelle stesse aree fornaci di laterizi e di ceramiche fini. L’insieme di questi dati fa supporre che l’intervento di Aureliano a favore di un rilancio della viticultura lungo la via Aurelia (SHA, Aur., 48, 2) debba forse essere riferito ai territori pisano e volterrano.

L’età imperiale

La riforma augustea, attuata intorno al 6 d.C., ampliò verso nord la regione corrispondente alle sedi classiche degli Etruschi, portando il confine dall’Arno-Serchio fino al Magra e includendo i territori di cultura mista etrusco-ligure di Luni, Lucca e Pistoia. La scelta di attribuire all’Etruria quel lembo di terra che era stato Etruscum antequam Ligurum (Liv., XLI, 13, 4-5) va interpretata nel contesto della arcaizzante politica augustea tesa a utilizzare il massiccio richiamo al passato per assicurarsi il consenso. Ad Augusto si deve probabilmente la ricostituzione antiquaria della Lega etrusca, decaduta a seguito della distruzione del Fanum Voltumnae (264 a.C.). La Lega augustea riunì quindici popoli, invece dei dodici tradizionali, forse inserendo tutte le comunità che in tempi anche lontani avevano fatto parte della lega. Probabilmente si trattò di Pisa, Fiesole, Arezzo, Cortona, Perugia, Chiusi, Orvieto, Tarquinia, Caere, Populonia, Vetulonia, Roselle, Vulci, Volterra, Veio. La lega ricostituita fu attiva a lungo e molte iscrizioni ne ricordano i magistrati. Ancora ai tempi di Costantino, apud Volsinios (presumibilmente, quindi, nell’antico Fanum Voltumnae) si teneva una festa annuale panetrusca a cui partecipavano anche gli Umbri (editto di Hispellum: CIL XI, 5265). L’opera antiquaria di Augusto fu completata da Claudio, notoriamente interessato alla storia e alla cultura etrusche. Egli si adoperò infatti per la restaurazione dell’ordo LX haruspicum, l’antico collegio sacerdotale depositario dell’etrusca disciplina, tenuto in vita dal Senato già in età repubblicana per l’autorevolezza dei suoi responsi, che erano anche facilmente utilizzabili a fini politici.

Le classi dirigenti municipali accolsero con entusiasmo gli interventi imperiali, come dimostrano i monumenti e i cicli statuari legati al culto imperiale (testimoniati sia dai ritrovamenti archeologici sia dalle fonti letterarie ed epigrafiche), che si diffondono nelle città della regione (ad. es., Pisa, Perugia, Roselle, Volsinii, Ferento, Heba, Lucus Feroniae). Caere, decaduta in età tardorepubblicana, fu oggetto di una monumentalizzazione complessiva. A Roselle, dove non sembra abbia lasciato traccia la colonia del periodo triumvirale, l’età giulioclaudia è segnata da un rifacimento globale degli edifici del centro. Nelle città del Nord, invece, l’attività edilizia è imponente e prosegue anche oltre la fase giulio-claudia: grandi edifici per spettacoli vengono costruiti a Luni, Arezzo, Lucca, Fiesole, Volterra per iniziativa delle classi dirigenti locali o dell’aristocrazia senatoria di origine etrusca, come i Caecina nel caso del teatro di Volterra. Gli interventi più artificiali, quale la rinascita di Veio, risuscitata dall’intervento augusteo come Municipium Augustum Veiens, ebbero una fioritura limitata: già alla fine del I sec. d.C. si colgono i segni di una crisi dovuta all’esaurimento di quel particolare rapporto di alleanza fra aristocrazie municipali e imperatore.

Il secolo compreso fra il 50 a.C. e il 50 d.C. segnò per le campagne di tutta l’Etruria il periodo di massima prosperità e densità di insediamenti. Dall’età flavia si notano profondi mutamenti nell’area più instabile della regione, la costa centro-meridionale. L’insediamento minore si dirada, mentre alcune ville sembrano interessate da cambi di proprietà e dalla riconversione dei fondi a gestione più strettamente schiavistica e intensiva in produzioni meno impegnative. Questi dati sembrano coincidere con il definitivo esaurimento, documentato dalla distribuzione dei contenitori, del monopolio del vino prodotto nelle ville schiavistiche dell’Italia centrale intorno a Roma. In questi decenni, inoltre, i senatori provinciali, costretti a possedere almeno un terzo del loro patrimonio in Italia (Plin., Ep., VI, 19), probabilmente acquistarono vaste quote delle proprietà della classe senatoria italica (sulla costa tarquiniese, ad. es., sono presenti dei Fabi Fabiani di provenienza ispanica).

Ma il fenomeno che segnò più massicciamente questa fascia del territorio nel periodo compreso tra i Flavi e Adriano è l’espansione delle proprietà imperiali, accompagnata da un’imponente politica edilizia, sia nelle città che nelle campagne. Il tipo edilizio che sembra diffondersi in connessione con l’accrescersi del patrimonio imperiale è la villa marittima. Questo tipo di villa, comparso lungo le coste dell’Etruria e del Lazio e sulle isole adiacenti nel corso del I sec. a.C., raggiunse uno sviluppo senza precedenti negli ultimi decenni del I sec. d.C. - inizi II, quando si assiste alla fondazione di nuovi complessi o alla monumentalizzazione di edifici precedenti che occulta o rende irriconoscibili le preesistenze. La ristrutturazione della costa raggiunse poi l’apice fra il 103 e il 110 d.C. con la costruzione del nuovo grande porto traianeo di Centumcellae.

L’espansione della proprietà imperiale investì anche l’interno, privilegiando la vicinanza alle strade maggiori e inglobando talvolta mansiones importanti, con un procedimento simile a quello che sulla costa determinò l’assorbimento dei porti all’interno delle ville marittime. È questo il caso della mansio di Lorium, sull’Aurelia, proprietà imperiale almeno dal II d.C. (CIL XI, 3732, 3738), ma forse anche di Careiae sull’Aurelia e di Vacanae sulla Cassia. Le mansiones appaiono inglobate anche nei fundi di personaggi eminenti, come accade in età antonina lungo la Cassia, nel territorio di Ferento dove erano le proprietà di L. Mummius Niger Valerius Vegetus (CIL XI, 3003). Sulla costa ceretana si segnala il latifondo imperiale della villa Alsiensis (CIL XI, 3719, 3720, 3724) che comprende due ville (Palo e San Nicola) e tutte le infrastrutture della zona. Nel tratto dove sorge Centumcellae, la fascia costiera, almeno fino a Thermae Tauri nell’interno, appare interamente nelle mani di Traiano e le mansiones di Algae  e Rapinium fanno parte dei fundi delle ville marittime. Le Thermae Tauri, come le Aquae Caeretanae più a sud ricevono, in questo contesto, un restauro di particolare impegno architettonico. Il fenomeno si estende anche alle coste vulcenti, dove due ville, di cui si può provare con sufficiente certezza l’appartenenza ai beni imperiali, occupano l’area del Portus Cosanus e il Golfo di Talamone, mentre alcuni indizi farebbero pensare che le isole del Giglio e forse di Giannutri (Cic., Att., IX, 6) e l’Argentario (dove era una mansio Domitiana, e che era anche chiamato Insula Matidiae: Liber Pontificalis, I, p. 183 Duchesne) fossero proprietà dei Domizi Enobarbi in seguito passate al patrimonio dell’imperatore per successioni ereditarie.

Un forte elemento di omogeneità che contrassegna lo sviluppo di queste ville è l’uso dell’opera mista di reticolato e laterizio, caratterizzata da grande regolarità di esecuzione e da un’adesione ai modelli urbani non riscontrabile nelle tecniche edilizie dei precedenti insediamenti rurali. Notevolissima è poi la presenza di laterizi prodotti da figlinae urbane, almeno fino a Populonia sulla costa e anche nell’entroterra (Valtiberina). Questo commercio di mattoni fra Roma e l’Etruria potrebbe spiegare almeno in parte il funzionamento delle grandi proprietà imperiali e senatorie del periodo: i prodotti dell’entroterra (probabilmente maiali e cereali), insieme con i derivati del pesce allevato negli impianti costieri, avevano come destinazione unica o comunque predominante Roma. Le navi onerarie al ritorno trasportavano come zavorra laterizi di produzione urbana, poi impiegati nelle murature delle ville, nelle stationes o in edifici in città (attestazioni di laterizi urbani provengono anche da Roselle, dalla probabile stazione marittima di Castiglione della Pescaia, dalla villa di Poggio al Mulino di Populonia). Si può supporre che le ville insediate su porti e mansiones abbiano esercitato anche una funzione di controllo e filtro su questi flussi commerciali.

A partire dall’età antonina il contrasto fra la stabilità dell’insediamento dell’Etruria settentrionale (dove solo l’estremo ager Lunensis si presenta spopolato) e il progressivo spopolamento della costa centromeridionale si fa stridente. Il diradamento dei siti rurali prosegue fra il III e il V sec. d.C., con momenti di crisi acuta che variano nei singoli territori. La riforma dioclezianea, negli ultimi anni del III secolo, portò alla fusione delle regiones VI e VII, dando luogo a una nuova unità amministrativa e territoriale, la provincia Tuscia et Umbria in cui fu inclusa, forse, la stessa Roma. Nei decenni finali del IV sec. d.C. la Tuscia et Umbria fu nuovamente divisa, ma in senso longitudinale: il confine fra le diocesi Italia e Italia Suburbicaria fu infatti spostato dal Magra verso meridione fino a una linea non determinabile, ma comunque a sud di Volterra.

In accordo con quanto emerge dalle descrizioni di Rutilio Namaziano, che viaggia lungo la costa dell’Etruria intorno al 416 d.C., il popolamento residuo sembra radunarsi nelle grandi ville-mansiones. In qualche caso queste vengono prescelte come sedi vescovili, per altro di breve durata: accade ad esempio ad Aquaviva, sulla via Flaminia nel territorio di Falerii. Un centro particolare appare quello scavato a Mola di Monte Gelato, ristrutturato agli inizi del V sec. d.C. sulle rovine di una villa e comprendente pochi edifici e una chiesa.

Le campagne, a partire dall’età severiana, iniziano a restituire indizi di impaludamento soprattutto sulle coste della futura Maremma. Ma il segno di decadenza più grave è nel fallimento progressivo delle città che, in qualche caso, vengono abbandonate già nel IV secolo (come Heba) o si riducono ad agglomerati di consistenza demografica minima, persino difficili da localizzare (è il caso di Populonia, sede vescovile di fine V secolo).

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