L'Ottocento: scienze mediche. La patologia

Storia della Scienza (2003)

L'Ottocento: scienze mediche. La patologia

Cay-Rüdiger Prüll

La patologia

Le origini dell'anatomia patologica come disciplina

Nella prima metà del XIX sec. non esisteva alcun preciso concetto di malattia che fosse ampiamente condiviso dalla maggior parte dei medici. Tale periodo fu invece caratterizzato dal dibattito volto all'elaborazione di una compiuta teoria della medicina. Certamente fin dall'epoca rinascimentale erano state realizzate molte invenzioni e condotti numerosi studi basati su un'osservazione diretta della Natura e sul lento ma costante progresso del metodo sperimentale quale strumento di ricerca medica.

Tutti gli sforzi diretti a ricomporre in un sistema teorico sensato e coerente gli innumerevoli frammenti di informazione raccolti erano però falliti. Sebbene tale situazione fosse causa di sempre maggiori interrogativi, i medici curavano ancora i loro pazienti seguendo il sistema dalla patologia umorale; salute e malattia dipendevano dalla consistenza e dalla quantità dei fluidi corporei denominati bile gialla, bile nera, sangue e flegma. Di conseguenza le variazioni quantitative di tali fluidi erano decisive per effettuare la diagnosi e decidere le misure terapeutiche. Queste ultime non differivano di molto da quelle adottate ai tempi dalla medicina antica: vale a dire salassi, somministrazione di sostanze emetiche e particolari regimi dietetici. Ciascun medico stabiliva queste cure basandosi sulla propria esperienza medica; verso la fine del XVIII sec. erano state così formulate teorie diverse nel tentativo di collocare le conoscenze acquisite in un saldo impianto teorico.

Una delle caratteristiche principali della patologia degli umori consisteva nel fatto che la diagnosi e la terapia erano strettamente legate alla comunicazione diretta con l'assistito. Le indicazioni di quest'ultimo sulla propria situazione personale, il luogo in cui viveva, le sue abitudini, come pure un esame esterno del paziente (che non sempre veniva effettuato) erano tutti elementi che consentivano di stabilire le terapie appropriate.

Le informazioni ottenute su tali basi permettevano di valutare la connessione esistente fra i sintomi e le malattie specifiche. Alcune patologie erano state classificate da Linneo (Carl von Linné, 1707-1778) e da François Boissier de Sauvages (1706-1767) principalmente sulla base dei sintomi esterni. Nel processo decisionale il medico non necessitava di alcuna più approfondita comprensione delle condizioni interne del corpo umano.

Fondamentalmente questo tipo di medicina non era in grado di offrire ai suoi pazienti molto più di quanto non potessero fare altri sistemi curativi dell'epoca, che oggi sarebbero nel complesso considerati come appartenenti alla medicina alternativa. A partire dalla fine del XVIII sec. Christian Friedrich Samuel Hahnemann aveva sviluppato l'omeopatia come nuovo metodo terapeutico. Un altro esempio è fornito da Franz Anton Mesmer, il quale, fin dalla seconda metà del secolo, aveva offerto ai suoi pazienti una cura basata sul magnetismo, volta a ottenere la guarigione convogliando i fluidi cosmici verso il corpo malato. La debole posizione della medicina universitaria fu inoltre migliorata, specialmente in Germania, dallo sviluppo, nei primi decenni del XIX sec., di quella che venne in seguito definita 'medicina romantica'.

I medici tedeschi si appropriarono di alcuni elementi del pensiero filosofico contemporaneo nel tentativo di creare un nuovo valido sistema generale della medicina. Tali idee filosofiche sembravano, almeno in apparenza, fornire un sostegno alla medicina, indicando alcuni principî generali sull'origine e sullo sviluppo delle malattie. Questi medici guardarono con favore ai concetti dell'idealismo filosofico, proponendo il raggiungimento della conoscenza medica per mezzo della meditazione e basando la cura dei pazienti sulla loro personale esperienza intuitiva.

Dal momento che il medico stesso era parte della Natura, egli era in grado di comprendere il carattere delle malattie attraverso l'introspezione; molti medici ritennero così che le malattie avessero una vita propria: come esiste un mondo degli esseri umani e degli animali, così esisterebbe un mondo delle malattie con una storia peculiare, che si sviluppa progressivamente nell'ambito della storia culturale dell'umanità. Anche nel caso della medicina romantica la realizzazione di esperimenti e un esame interno del corpo umano erano considerati superflui.

Nonostante ciò, già a partire dal XVIII sec., i medici delle università avevano condotto con un'attenzione sempre crescente indagini dettagliate sulla morfologia del corpo umano. L'importanza dell'anatomia, la scienza della morfologia umana, e dell'anatomia patologica, lo studio delle alterazioni di origine patologica di tale morfologia, crebbero soprattutto con l'aumento di interesse per la chirurgia e con la sua emancipazione come disciplina. I chirurghi davano particolare importanza all'apprendimento pratico e da subito volsero i loro sforzi all'acquisizione di nozioni circa il funzionamento interno del corpo umano. A Parigi il collegio di Saint Côme, che era stato fondato per l'educazione dei chirurghi nel 1210, offriva fra gli altri anche corsi di anatomia fin dall'inizio del Settecento; a Londra le scuole private di anatomia fiorirono per tutto il secolo. L'esempio più importante è rappresentato dalla scuola fondata, nel 1770, da William Hunter (1718-1783) in Great Windmill Street; egli insegnava non soltanto anatomia ma anche anatomia patologica, dal momento che entrambe le discipline erano necessarie nella pratica. I metodi didattici rivolti tanto ai medici quanto ai chirurghi si mescolarono sempre più, determinando un cambiamento che progressivamente socializzò l'attenzione del medico verso "una localizzazione anatomica della malattia, e la distanziava da una causalità olistica individualizzata, sia essa umorale, iatrochimica, o di squilibri diffusi del sistema nervoso" (Lawrence S. 1993, pp. 1164-1165).

Questo processo determinò l'acquisizione di nuove conoscenze nel campo dell'anatomia patologica nel corso del Settecento; il più celebre rappresentante in tale ambito fu senza dubbio Giovanni Battista Morgagni (1682-1771). Dopo aver ottenuto la laurea in medicina a Bologna nel 1701, egli lavorò come medico in diversi ospedali di quella stessa città e successivamente a Forlì, sua città natale. Nel 1711 si stabilì a Padova e nel 1715 divenne professore primario di anatomia all'Università, incarico che mantenne fino all'anno della sua morte. Morgagni operò nella tradizione di Andrea Vesalio (1514-1564), suo celebre predecessore sulla cattedra di anatomia. Vesalio, nel periodo rinascimentale, era stato un pioniere nell'ottenere informazioni sulla normale morfologia del corpo umano per mezzo della dissezione; Morgagni estese tale approccio anche all'anatomia patologica. Nel 1761 pubblicò il famoso libro De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis; il volume era un compendio di oltre cento autopsie, basato su materiale di Théophile Bonet e del maestro di Morgagni, Antonio Maria Valsalva, ma anche su ricerche originali.

L'approccio del libro era innovativo perché i risultati della dissezione venivano correlati ai sintomi e alla storia clinica del paziente. Morgagni faceva autopsie ma, quale medico, aveva anche una buona competenza negli esami fisici, come la palpazione e la percussione. Tali qualità davano al celebre studioso la possibilità di ricostruire lo sviluppo della malattia nei pazienti vivi basandosi sui cambiamenti morfologici degli organi. Nella sua opera egli elencava in appositi indici sia i risultati delle necroscopie sia i sintomi clinici, in modo da poter mettere il lettore in grado di trovare le rispettive correlazioni fra i due campi. È importante notare che l'obiettivo di Morgagni consisteva nel migliorare la cura clinica dei malati; l'anatomia patologica era asservita unicamente a tale scopo. Le descrizioni e le analisi dei casi clinici oggetto del suo studio sulle condizioni patologiche erano organizzate secondo criteri topografici: iniziavano dalla testa e terminavano con le estremità inferiori (a capite ad calcem). Con la sua opera, egli diede forma a quello che sarebbe poi divenuto il metodo normalmente seguito nella Scuola medica di Parigi; inoltre dimostrò quanto fruttuose fossero le relazioni fra chirurgia e medicina particolarmente intense a Padova e, in generale, in Italia durante tutto il XVIII secolo.

Morgagni non fu l'unico a comparare la morfologia anatomopatologica post mortem con i sintomi clinici dei pazienti vivi. Già nel Settecento negli ospedali si eseguivano autopsie dei defunti poveri e, nella seconda metà del secolo, diversi medici e chirurghi erano interessati a condurre ricerche necroscopiche per integrare il loro lavoro nelle corsie. Inoltre si svilupparono metodi per conservare i campioni patologici, che furono raccolti nei musei. John Hunter (1728-1793), attivo nella scuola di anatomia del fratello William, realizzò una vasta collezione di esemplari rilevata in seguito dal Royal College of Surgeons di Londra; il medico Matthew Baillie (1761-1823), nipote di John e William Hunter, collezionò circa 1200 esemplari, che a sua volta donò al Royal College of Surgeons e, su incoraggiamento dello zio John, nel 1793 pubblicò un libro intitolato The morbid anatomy of some of the most important parts of the human body. Come Morgagni prima di lui, Baillie correlò i risultati delle indagini cliniche con quelli morfopatologici, ma al contrario di Morgagni egli concentrò l'attenzione specialmente sulle alterazioni morfopatologiche, quali tracce da utilizzare per studiare le entità morbose. Baillie intuì le difficoltà di individuare i sintomi come punto di partenza, poiché era consapevole che spesso sintomi diversi potevano causare il medesimo cambiamento nella struttura organica; nel 1799 pubblicò un famoso Atlas of diseases.

È in dubbio se, in termini quantitativi, l'esecuzione di autopsie e lo sviluppo dell'anatomia patologica abbiano costituito un movimento forte fino al punto di dominare la scena della medicina occidentale nel corso del XVIII secolo. Il lavoro di Morgagni non risultava facile e in Europa le autopsie venivano eseguite raramente; non tutti i medici o i chirurghi avevano la capacità o anche la possibilità di compierle. Sicuramente si può affermare che l'impatto avuto sulla medicina da questo movimento crebbe progressivamente fra il 1700 e il 1850 circa.

Nei primi decenni del XIX sec. l'anatomia patologica divenne una branca della medicina ampiamente accettata grazie agli studi e alle scoperte del secolo precedente. Fu, questo, l'inizio di un processo che si concluse soltanto alla fine dell'Ottocento, quando l'anatomia patologica e la patologia furono in grado di sostenere la nascita della medicina scientifica in quanto tale e di costituire un campo specialistico nel nuovo contesto scientifico di cura.

La Scuola medica di Parigi

Sebbene il ruolo della medicina parigina sia stato riconsiderato, rimane comunque indubbio il rilievo assunto dalla Scuola medica di Parigi nella storia dell'anatomia patologica. Durante la Rivoluzione francese si attuò in Francia una riorganizzazione della medicina e delle istituzioni mediche. Gli istituti di antica fondazione volti all'insegnamento, quali università, collegi e società mediche, vennero chiusi nel 1791; in conseguenza di ciò insorsero difficoltà nel garantire l'assistenza medica alla popolazione e ai soldati, impegnati nella guerra con l'Austria e la Prussia a partire dal 1792. Nel 1794 il chimico Antoine-François de Fourcroy nel suo rapporto al Comité National invocò riforme efficaci; il suo intervento comportò, nel 1795, l'apertura di tre nuove scuole mediche a Parigi, Strasburgo e Montpellier. Cambiò soprattutto il ruolo dell'ospedale che da istituzione dai meri fini sociali si trasformò in centro medico finalizzato a una migliore cura dei pazienti, all'insegnamento ma anche alla ricerca.

La nuova medicina praticata a Parigi fu di natura pragmatica, in quanto esisteva la contemporanea necessità di curare soprattutto ferite di guerra e malattie infettive causate dagli eventi bellici. Il movimento di riforma promosso durante la Rivoluzione, inoltre, abolì le differenze fra medicina e chirurgia dando vigore a reciproci scambi fruttuosi. Parigi venne considerata un fiorente centro della medicina fra il 1800 e il 1840 soprattutto perché offriva agli studenti, sia francesi sia stranieri, un ambiente ideale per il trattamento, l'insegnamento e l'apprendimento; questo contesto offriva l'opportunità di esaminare molti pazienti nelle corsie ospedaliere e di discutere sui sintomi delle malattie. I nuovi metodi statistici, sviluppati fra gli altri da Pierre-Charles-Alexandre Louis (1787-1872), furono utili per ottenere una conoscenza generale di determinate entità morbose; i sintomi persero il loro carattere di fenomeni singoli o di malattie in quanto tali, e divennero piuttosto il segnale di una patologia specifica. Aumentò inoltre, il numero delle sintomatologie e cambiò il modo di identificarle grazie a strumenti diagnostici più moderni. Lo stetoscopio venne introdotto nel 1819 da René-Théophile-Hyacinthe Laënnec; il metodo della percussione, originariamente ideato dal medico austriaco Leopold Auenbrugger nel 1761, fu applicato per la prima volta dal chirurgo Jean-Nicolas Corvisart all'Hôpital de la Charité di Parigi nel 1808.

L'uso di questi strumenti nel corso della visita al paziente differiva dalle pratiche pionieristiche della medicina settecentesca: Morgagni solitamente dava la massima importanza al resoconto del paziente e non lo correggeva in base all'esame clinico, mentre nella Scuola di Parigi le metodologie di indagine furono migliorate e l'esame clinico dell'ammalato divenne altrettanto decisivo, se non in misura maggiore, del resoconto di quest'ultimo.

Soprattutto l'esecuzione delle autopsie divenne parte integrante dello schema della pratica medica quotidiana: il medico che aveva curato il paziente eseguiva, dopo la morte del suo assistito, un esame necroscopico per comparare il referto clinico con i risultati dell'indagine anatomopatologica. Ciò di per sé non costituiva una novità; l'innovazione riguardava la realizzazione di un numero sempre maggiore di autopsie, che venivano così effettuate di routine. In tal modo l'anatomia patologica si era pienamente integrata nella medicina, rendendo quindi possibile approfondire la conoscenza delle malattie e conseguentemente migliorare le capacità diagnostiche dei medici. I nuovi metodi furono insegnati in corsi sia pubblici sia privati e ciò attrasse a Parigi molti studenti; inoltre, tutti i medici più importanti della Scuola, come Philippe Pinel o Laënnec, e i più noti chirurghi, come Corvisart, Pierre-Joseph Desault e il barone Guillaume Dupuytren riconobbero l'importanza dell'anatomia patologica per il miglioramento della medicina pratica.

Marie-François-Xavier Bichat (1771-1802), anch'egli medico della Scuola di Parigi, ebbe un impatto straordinario sulla storia dell'anatomia patologica. Egli fu fortemente influenzato dal pensiero vitalistico all'Università di Montpellier e successivamente ricevette a Lione un'istruzione che comprendeva l'anatomia e la chirurgia. Fin dal 1792 operò come chirurgo militare nell'esercito reale quando la città venne assediata dalle truppe rivoluzionarie; dopo aver lavorato come chirurgo in varie località francesi, nel 1794 giunse a Parigi, ove Desault, che operava all'Hôtel-Dieu, appoggiò in maniera decisiva la sua carriera. A partire dal 1797 Bichat impartì lezioni private specialmente di anatomia e anatomia patologica a Rue des Carmes e dal 1801 al Collège de Liseaux e all'Hôtel-Dieu.

Bichat sviluppò una propria teoria distinguendo due diverse funzioni della vita: quella organica e quella animale. La funzione della vita organica è responsabile dell'organizzazione di base dell'organismo ed è focalizzata sulla circolazione e sull'assorbimento di molecole per la nutrizione o l'espulsione di materiali non utilizzabili; ne fanno parte le funzioni corporee fondamentali, come la digestione. La funzione animale invece è responsabile delle sensazioni e delle altre funzioni volontarie, che sono organizzate dal cervello. Bichat inoltre distingueva la vita inorganica da quella organica e ciò evidenzia l'influenza esercitata dall'educazione vitalistica sulle sue teorie. Egli operava anche una distinzione fra la condizione di salute e quella di malattia, correlate rispettivamente ai campi della fisiologia e della patologia; a suo giudizio le malattie, a loro volta, potevano riguardare la funzione della vita organica oppure la funzione della vita animale. Infine l'oggetto su cui basare l'esame degli organismi non erano gli organi, bensì i tessuti, la cui struttura è determinata da quella delle loro molecole. Le qualità principali dei tessuti sono costituite dalla capacità di estensione e di contrazione.

Bichat effettuò un notevole numero di autopsie e sviluppò la patologia dei tessuti, distinguendone 21 tipi diversi senza utilizzare il microscopio; analizzando i tessuti quali parti solide del corpo umano, concluse che la comprensione dell'anatomia patologica consentiva di indagare le origini e gli sviluppi della malattie. Egli faceva chiaramente parte della schiera di quanti svolsero un ruolo di connessione fra la patologia degli organi del Settecento e la patologia cellulare della metà dell'Ottocento. Naturalmente, come per esempio nel caso di Morgagni, anche il lavoro di Bichat dimostra che un più approfondito esame delle strutture corporee era un campo di ricerca privilegiato ormai da molti medici e chirurghi. La patologia dei tessuti di Bichat si basava infatti sui precedenti lavori del circolo di John Hunter e dei suoi allievi, i quali avevano correlato la morfologia patologica degli organi con le alterazioni dei tessuti. Ciò evidenzia i reciproci intensi scambi tra la Francia e l'Inghilterra, e dimostra al contempo l'esistenza di tendenze nazionali distinte nell'impiego dell'anatomia patologica: l'interesse di Hunter era principalmente rivolto ai processi dinamici (fisiopatologici) che coinvolgevano i tessuti, mentre quello di Bichat era indirizzato soprattutto alla classificazione dei tessuti come tali nonché alla ricerca di una corrispondenza di alcune malattie con i reperti clinici.

La Scuola medica di Parigi forniva buone opportunità per integrare gli esami necroscopici con il lavoro clinico che prevedeva indagini più accurate sui pazienti. Tutto ciò condusse a un miglioramento della medicina pratica e al contempo promosse ulteriormente la ricerca nel campo dell'anatomia patologica sulla linea indicata da Bichat. Inoltre, la Scuola di Parigi sostenne l'introduzione della anatomia patologica quale campo specialistico della medicina. Fin dal 1799 si pensò di creare una cattedra apposita all'Università di Parigi che venne in realtà realizzata soltanto nel 1836; la cattedra di anatomia patologica di Parigi fu la terza in Francia dopo quelle di Caen (1756) e Strasburgo (1819). Certamente la nascita di tali insegnamenti fu un segno dell'istituzionalizzazione di questo campo di studi anche in altre università. Il primo clinico a essere nominato alla cattedra parigina fu Jean Cruveilhier (1791-1874), il quale seguì, sostanzialmente, la strada tracciata da Bichat, concentrando i propri studi sui casi clinici e lavorando principalmente a livello macroscopico senza l'ausilio del microscopio (che non venne introdotto a Parigi prima del 1830 ca). La sua opera più importante fu un atlante di anatomia patologica macroscopica, contenente sia descrizioni sia tavole illustrative, i cui primi tre volumi furono pubblicati tra il 1829 e il 1842.

La Nuova Scuola viennese

Nella prima metà del XIX sec. si affermò l'idea che l'anatomia patologica fosse importante ma che dovesse essere affidata a uno specialista, in quanto richiedeva un notevole dispendio di tempo. Questo comportò non soltanto la creazione di nuove cattedre nelle università, ma anche l'inserimento di specialisti in tutti gli ospedali. Questi ultimi, chiamati 'prosettori', operavano nell'obitorio e dovevano discutere i risultati delle autopsie con i medici clinici. Tale impostazione fu promossa principalmente dalla cosiddetta 'Nuova Scuola viennese' e dal lavoro di Carl von Rokitansky (1804-1878). Nel XVIII sec. l'anatomia patologica era praticata nella capitale degli Asburgo secondo le idee diffuse in quell'epoca; le autopsie erano eseguite dal medico clinico e il metodo di Morgagni, consistente nel correlare reperti clinici e necroscopici, era considerato fondamentalmente il più adatto all'acquisizione di conoscenze.

Nel 1796 Johann Peter Frank (1745-1821), importante medico e organizzatore della medicina di stampo illuminista, fondò a Vienna un gabinetto di patologia e introdusse l'incarico di prosettore anatomopatologico, connesso con l'Allgemeines Krankenhaus e sottoposto allo stesso Frank in qualità di direttore dell'istituto. Il progetto terminò quando Frank lasciò Vienna nel 1804 e venne di nuovo avviato solamente nel 1811. L'incarico di prosettore divenne a termine e fu elevato al livello di professor extraordinarius soltanto dieci anni dopo, nel 1821. Il travagliato processo di istituzionalizzazione dell'anatomia patologica si dovette all'inettitudine di uno dei prosettori, Lorenz Biermayer, nell'espletare il suo incarico. Quando finalmente Biermayer lasciò il posto gli succedette il suo assistente, Johann Wagner; in seguito fu il giovane Rokitansky a collaborare con Wagner.

Rokitansky aveva studiato medicina a Praga e a Vienna, dove si laureò nel 1828; quando Wagner morì, divenne amministratore ad interim della cattedra e conservatore del museo. Nel 1834 fu nominato assistente di anatomia patologica e prosettore del Wiener Allgemeines Krankenhaus, e infine, nel 1844, professore di anatomia patologica. Rokitansky fu il fondatore della Nuova Scuola viennese e grazie al suo lavoro infaticabile fece in modo che l'anatomia patologica, dalla sua iniziale collocazione marginale, si sviluppasse fino al punto di divenire la disciplina centrale della medicina viennese. I suoi predecessori eseguivano necroscopie e raccoglievano reperti, concentrando la loro attenzione su campioni fuori dal comune, come per esempio mostruosità, in quanto non erano in grado di correlare i loro reperti con la storia clinica del paziente. Rokitansky, invece, studiando le condizioni che originavano le malattie e la loro rispettiva evoluzione, cercò di integrare i reperti autoptici corrispondenti in un ordine specifico. Egli considerava il campione esaminato come uno stadio peculiare di una determinata malattia e come risultato del suo decorso. Rokitansky tentò di scoprire le origini morfologiche della malattia, ma anche di utilizzare i risultati di questa ricerca per ottenere indicazioni che migliorassero le misure terapeutiche.

Ciò che contraddistingue Rokitansky, in relazione alla Scuola di Parigi, è proprio la sua particolare attenzione ai cambiamenti morfologici; una differenza ulteriore si riscontra nella netta separazione, attuata da Rokitansky stesso, fra le responsabilità del clinico e quelle del patologo di cui ridefinì il profilo professionale. Egli era convinto che il patologo avrebbe dovuto eseguire gli esami necroscopici e le indagini relative sui reperti, avvalersi del laboratorio di chimica, se necessario, e, infine, interpretare i risultati in relazione ad aspetti più generali allo scopo di definire un quadro della malattia (questo ultimo procedimento era stato seguito anche dai patologi clinici a Parigi). Il clinico, dal canto suo, avrebbe dovuto essere sufficientemente competente in anatomia patologica da discutere e valutare i risultati insieme al patologo, e avrebbe dovuto utilizzare i risultati degli esami necroscopici per sviluppare nuove misure terapeutiche.

Rokitansky ebbe come collega il medico Josef Skoda (1805-1881), che aveva studiato anatomia patologica e comprendeva appieno l'importanza di conoscere la morfologia alterata patologicamente per migliorare la pratica clinica. Skoda poté avvalersi della collaborazione di Rokitansky per far progredire la medicina clinica e soprattutto la diagnostica delle malattie, sistematizzando i suoni rilevati per mezzo dell'auscultazione e della percussione. I rapporti tra Rokitansky e Skoda contribuirono ad accrescere gli importanti risultati ottenuti dalla Scuola di Parigi, consolidando ulteriormente la posizione dell'anatomia patologica nella medicina.

Rokitansky eseguì migliaia di autopsie ottenendo molti risultati significativi; similmente a quanto aveva fatto Bichat si concentrò soprattutto sulle alterazioni macroscopiche (iniziò a utilizzare il microscopio intorno al 1839). Raccolse e ordinò i risultati ottenuti nella sua opera più importante, un manuale di anatomia patologica che venne edito in tre volumi fra il 1842 e il 1846. Rokitansky elaborò una teoria basata sulle sue scoperte. Era convinto che soltanto mediante l'esame delle strutture del corpo umano alterate patologicamente la medicina avrebbe potuto progredire e che tali alterazioni si originassero dai cambiamenti nella composizione del plasma sanguigno: le lesioni erano infatti causate da uno squilibrio di proteine nel plasma. Egli spiegò questi processi avvalendosi della teoria cellulare del medico Theodor Schwann (1810-1882), il quale sosteneva che le cellule dei tessuti si originassero dal plasma passando attraverso i vasi sanguigni nello spazio intercellulare. Rokitansky sviluppò un sistema di varie discrasie, ciascuna delle quali responsabile di alterazioni cellulari e delle corrispondenti malattie. Questa teoria ematoumorale trovava riscontro in altre simili basate sulla patologia umorale, come, per esempio, quella del medico parigino Gabriel Andral (1797-1876). Rokitansky promosse, dunque, sia l'esame chimico del sangue sia la realizzazione di esperimenti volti a chiarire il suo ruolo nell'eziologia delle malattie. L'obiettivo era evidentemente quello di stabilire un 'sistema definitivo delle malattie'.

Sebbene rispecchiasse i suoi tempi e avesse fondamentalmente le basi entro i confini della patologia solidista, la sua teoria fu criticata aspramente da un patologo berlinese, il giovane Rudolf Virchow (1821-1902) che aveva un approccio diverso alla materia. In particolar modo Virchow fu ostile a qualsiasi 'sistema' che non fosse ben ragionato e fu un difensore fervido della pura patologia solidista. Fu Virchow che, nella seconda metà del XIX sec., influenzò decisamente lo sviluppo ulteriore dell'anatomia patologica.

La patologia di Virchow e la nascita della medicina scientifica

La vita di Virchow fu priva di eventi particolari e uno sguardo d'insieme alla sua carriera scientifica non rivela quasi ostacoli di rilievo. Fra il 1839 e il 1843 studiò medicina alla Pépinière, una scuola per medici militari a Berlino; nel 1843 si laureò e divenne assistente medico al Berliner Charité, l'ospedale militare di Berlino. Già nel 1844, divenne assistente di Robert Froriep (1804-1861), che operava come prosettore nella camera mortuaria dello stesso ospedale. Nel 1847 Virchow successe a Froriep e, nello stesso anno, divenne docente; licenziato nel 1849, a causa della sua attività politica durante i moti rivoluzionari del 1848, nello stesso anno ottenne la cattedra di anatomia patologica all'Università di Würzburg. Infine, nel 1856, gli fu assegnata la cattedra di patologia all'Università di Berlino e divenne nuovamente prosettore all'Hôpital de la Charité.

L'opera di Virchow rimane una delle pietre miliari della storia della patologia principalmente per due motivi: in primo luogo egli terminò il progetto di Rokitansky di sviluppare l'anatomia patologica in una disciplina medica; in secondo luogo, Virchow andò oltre, trasformando la patologia generale in una disciplina fondamentale della nuova medicina scientifica. Egli ottenne questi risultati grazie alla sua moderna concezione della patologia; innanzi tutto definì una nuova collocazione della patologia nell'ambito medico creando metodi e obiettivi moderni per la disciplina; quindi, sviluppò una teoria innovativa della patologia e della medicina. Nessuna di queste due iniziative sarebbe comprensibile senza considerare il punto di partenza di Virchow a Berlino.

La medicina a Berlino nella prima metà del XIX secolo

Quando Virchow giunse a Berlino nel 1839 per compiere i suoi studi, alla Facoltà di medicina dell'Università di Berlino si discuteva per individuare il modo migliore per sviluppare la pratica medica nonché per formulare una teoria generale. Da un lato, vi erano i medici con inclinazioni filosofiche, che rifiutavano gli esperimenti di laboratorio in quanto li ritenevano sostanzialmente inutili per finalità pratiche. Dall'altro, vi erano quelli che tentavano di servirsi dei metodi più recenti relativi agli esami autoptici di routine e ai primi laboratori, per promuovere l'indagine sulla natura delle malattie umane. Un esempio di questa seconda tendenza è rappresentato da Johann Lucas Schönlein (1793-1864), il fondatore della cosiddetta 'Naturhistorische Schule', il quale diresse la clinica medica all'Hôpital de la Charité tra il 1840 e il 1859. Infine vi erano medici che si concentravano sul lavoro di laboratorio; essi privilegiavano l'esperimento, che consideravano lo strumento più importante per scoprire le leggi della Natura a partire da un problema specifico. Il laboratorio infatti consentiva di creare un ambiente artificiale che escludeva quelle influenze che, in condizioni naturali, non permettevano di separare causa ed effetto. Le discipline fondamentali studiate dai primi medici per portare avanti il lavoro di laboratorio furono l'anatomia e la fisiologia. Tale approccio era rappresentato da Johannes Peter Müller (1801-1858), che fu professore di anatomia e patologia all'Università di Berlino fin dal 1833.

Influenzati principalmente da Schönlein e da Müller, molti fra i più giovani lottavano per una nuova medicina scientifica non più fondata sull'esperienza individuale e l'intuizione soggettiva del terapeuta, ma rivolta allo studio specifico della Natura, in corsia come in laboratorio. Di conseguenza, questi medici desideravano raggiungere una conoscenza precisa della patologia umana allo scopo di stabilire terapie efficaci. Tale approccio, insieme alle rivendicazioni di un movimento di riforma sociale interno alla disciplina che predicava la democrazia come strumento di lotta contro la miseria e le malattie, aprì un dibattito sulla salute della popolazione. Gli effetti della prima industrializzazione avevano infatti già fatto sentire il loro impatto anche in Germania. Durante i moti rivoluzionari del 1848, i medici chiesero che si provvedesse alla cura sanitaria dei poveri favorendo la creazione di un movimento per le riforme mediche. Le attività di ciascun medico furono supportate dagli sforzi per la costituzione di una sorta di ceto medio, in contrapposizione all'aristocrazia, la cui posizione dominante doveva essere indebolita. Una parte di tali sforzi venne indirizzata all'allestimento di laboratori, dove, per mezzo di studi sperimentali, i medici avrebbero potuto acquisire una conoscenza approfondita delle scienze di base. Questi tentativi fra l'altro trovarono un terreno fertile nell'ideale filantropico della borghesia, secondo cui medici ben istruiti avrebbero posto la loro scienza al servizio dei poveri.

In quel periodo a Berlino i medici erano schierati a favore di entrambi questi movimenti e Virchow prese parte ai relativi dibattiti. Egli partecipò alla definizione della nuova medicina, influenzato principalmente da Müller, e dal 1840 iniziò a lavorare per una nuova patologia scientifica.

La nuova collocazione della patologia

Virchow definì la patologia come disciplina in linea con l'anatomia e la fisiologia, le due scienze più influenti del XIX secolo. Egli aveva elaborato le proprie idee relative alla collocazione e agli scopi della patologia entro la scienza medica fin dal 1846. Ciò trova riscontro anche nel titolo della rivista da lui fondata insieme al collega Benno Reinhardt (1819-1852) proprio nello stesso anno: "Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und für klinische Medizin". In Über die Standpunkte in der wissenschaftlichen Medicin (Sulle opinioni nella medicina scientifica, 1847), un articolo pubblicato su questa rivista, egli affermò che la camera mortuaria sarebbe stata "il vestibolo della medicina moderna" (Virchow 1847, p. 10). In questo vestibolo non avrebbero dovuto regnare le teorie ipotetiche della filosofia naturale; al contrario, esso avrebbe dovuto essere il luogo dove poter condurre, senza alcun pregiudizio, indagini dettagliate su problemi specifici. L'esame delle alterazioni patologiche della morfologia umana avrebbe dovuto costituire la base solida su cui spiegare le leggi di causa ed effetto delle malattie. Tale approccio doveva basarsi fondamentalmente sui medesimi principî della scienza fisica e di quella chimica: era necessario esaminare il processo morboso con l'ausilio del metodo sperimentale e soprattutto della sperimentazione sugli animali. La fisiologia patologica, vale a dire lo studio dei processi morbosi, rappresentò l'argomento più importante per lo studioso, che la considerò come la "cittadella della medicina scientifica" (ibidem, p. 19); l'anatomia patologica e la medicina clinica erano i "bastioni esterni", ossia le fortificazioni di appoggio.

Virchow, fin dall'inizio del suo lavoro con Froriep, tentò di realizzare le proprie idee. L'anatomia patologica e i rapporti con la corsia servivano a scoprire le cause della morte dei pazienti e, inoltre, erano di supporto all'insegnamento e alla ricerca. Come avveniva in molti altri paesi fin dalla metà del Settecento, campioni di anatomia patologica venivano raccolti a beneficio degli studenti e dei medici. Nel corso delle sue indagini scientifiche Virchow sconfinò nel campo della fisiopatologia; ciò è dimostrato dal suo primo lavoro di ricerca sull'infiammazione delle vene (flebite), pubblicato fra il 1845 e il 1847. In questo studio, egli si concentrò sull'esame delle arterie dei polmoni ostruite da trombi originati da sangue coagulato e riuscì a dimostrare che tali coaguli non avevano alcun rapporto con la flebite. Al contrario, provò che la corrente sanguigna portava i coaguli dalle vene delle estremità inferiori alle arterie del polmone, causando quello che Virchow stesso chiamò embolia. Il lavoro al tavolo anatomico e gli esperimenti condotti sui cani furono arricchiti dall'esperienza clinica. In tal modo Virchow confutò tutte le teorie ipotetiche sulla flebite, riuscendo a chiarire la relazione tra causa ed effetto. Sebbene Cruveilhier avesse sostenuto l'idea che la flebite fosse il più importante fattore scatenante delle malattie, Virchow si oppose a tale tesi per le medesime ragioni per cui, nello stesso anno, si oppose alla ematopatologia di Rokitansky. Secondo Virchow, era del tutto inammissibile la creazione di un sistema monumentale senza avere prove dettagliate sulle condizioni fisiopatologiche dei pazienti.

Il nuovo principio della patologia

L'autopsia aveva trionfato e il patologo, nella sua qualità di anatomopatologo, veniva sempre più ampiamente accettato dai clinici. Sebbene Virchow avesse stabilito un nuovo orientamento per la pratica della patologia all'interno della medicina scientifica, ancora non vi era accordo nel mondo medico circa il meccanismo generale di base che originava le malattie. Negli anni seguenti Virchow cercò di trovare una soluzione esatta a tale problema. Nel 1847 successe a Froriep, ma il coinvolgimento nei moti rivoluzionari del 1848 gli impedì di proseguire il suo lavoro a Berlino; nel 1849 accettò l'invito a Würzburg, dove divenne professore di patologia e s'impegnò totalmente nel chiarire questioni specifiche di anatomia patologica, facendo soprattutto uso del microscopio, uno strumento che egli riteneva andasse utilizzato abitualmente nel lavoro quotidiano del medico. La fondazione di un nuovo principio della patologia e della medicina, la cosiddetta patologia cellulare, fu il risultato di tale esperienza. Questo principio si combinava efficacemente con le conoscenze già acquisite sulle cellule viventi, le unità fondamentali che caratterizzavano le piante, gli animali e gli esseri umani. Virchow era del parere che la cellula fosse l'unità più piccola della vita e che da ogni cellula se ne originasse un'altra (omnis cellula e cellula). Partendo da queste premesse la cellula diveniva la sede della malattia, la cui origine e il cui sviluppo si basavano su leggi fisiologiche, ossia fisiche e chimiche. La malattia rappresentava per Virchow nient'altro che la vita in condizioni alterate; di conseguenza le malattie non potevano considerarsi entità in sé, oppure esseri viventi come sostenevano molti medici dell'epoca. Egli approfondì la patologia degli organi e dei tessuti estendendo quindi il campo della patologia cellulare; inoltre rafforzò la concezione solidista secondo cui le parti solide del corpo erano la sede delle malattie. La patologia cellulare diede impulso in particolar modo all'esame istologico dei reperti che veniva effettuato di routine. Successivamente, nell'articolo Cellular-Pathologie (1855) Virchow esaminò i diversi tipi di cellule presenti nei tessuti umani e acquisì una conoscenza sulle loro caratteristiche specifiche. È da notare che la patologia cellulare di Virchow aveva anche implicazioni politiche: secondo le sue concezioni liberali, il corpo era infatti uno stato democratico costituito da cellule, governato dalle proprie parti piuttosto che da un qualsiasi organo più importante.

Nel 1858, a soli due anni dal suo rientro a Berlino, Virchow presentò i risultati delle ricerche effettuate durante il soggiorno a Würzburg e, nello stesso anno, li pubblicò nel volume Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebelehre (La patologia cellulare fondata sulla dottrina fisiologica e patologica dei tessuti). Pur confutando i sistemi speculativi della prima metà dell'Ottocento, lo scienziato non volle, tuttavia, dar vita a un nuovo sistema. Naturalmente, come conseguenza ultima del suo lavoro, ciò accadde ugualmente dato che il suo principio consentì alla medicina scientifica contemporanea di affrontare le malattie umane su basi unificate. La patologia cellulare di Virchow appagò il desiderio diffuso di creare una sintesi coerente delle conoscenze acquisite fino ad allora; il nuovo principio servì a promuovere un'efficace comunicazione all'interno della comunità medica scientifica. Divenne chiaro che la patologia come disciplina non si limitava all'anatomia patologica applicata, ma era connessa anche con la teoria delle malattie. Il contributo di Virchow ebbe molto presto vasta risonanza. Al contrario di tutti gli altri sistemi precedenti, la patologia cellulare si fondava rigorosamente sui metodi sperimentali delle scienze che fiorirono in questo secolo. Poiché l'opera di Virchow era correlata agli approcci della ricerca biologica dell'epoca, la sua teoria cellulare divenne un principio della vita in quanto tale.

L'influenza della patologia di Virchow sulla medicina

Nel secondo periodo berlinese, dopo aver sviluppato un nuovo quadro teoretico e organizzativo per la patologia, Virchow acquistò notevole fama; il suo istituto divenne per molti un luogo d'istruzione sui fondamenti della patologia e anche un centro di specializzazione e di ricerca. Inoltre, esso costituì il punto di riferimento per la fondazione della patologia come disciplina non soltanto nelle facoltà mediche dei paesi di lingua tedesca ma anche altrove. Quasi tutte le università in Germania, Austria e Svizzera, infatti, nella seconda metà del XIX sec., fondarono istituti e cattedre di patologia. L'istituto di Virchow ottenne rapidamente rinomanza internazionale e divenne un modello sia per la creazione di altri istituti di patologia sia per l'importanza attribuita a questa disciplina all'interno della medicina. Per iniziativa di Virchow, sui terreni dell'Hôpital de la Charité a Berlino, tra il 1896 e il 1906, venne eretto un nuovo complesso di strutture destinato all'Istituto di patologia che, ai suoi occhi, doveva simboleggiare l'importanza raggiunta dalla disciplina. Dei tre ampi edifici costruiti, il primo fu destinato a ospitare la sede principale, il secondo l'obitorio e l'ultimo, ma non in ordine di importanza, fu destinato al museo. Le costruzioni erano collegate fra loro e potevano essere raggiunte sia dall'ospedale sia dalla città. Il nuovo istituto era diviso in tre dipartimenti: quello di anatomia, che aveva la responsabilità di organizzare le autopsie, in posizione centrale; il dipartimento di chimica patologica, che doveva occuparsi delle analisi chimiche, a dimostrazione del rapporto della patologia di Virchow con le altre scienze e, infine, il terzo costituito dal museo di patologia, dove venivano raccolti, preparati e montati gli esemplari patologici.

Quando Virchow giunse a Berlino nel 1856, iniziò a lavorare con due assistenti. Alla sua morte, questi erano divenuti otto, l'istituto si era ampliato e aveva concentrato il suo interesse sulla diagnostica morfologica e sulla ricerca. Tale fu l'approccio che doveva condurre la medicina nel XX sec.: dopo il 1900 divenne comune l'impiego di prosettori anche presso gli ospedali cittadini di Berlino.

La patologia come professione, specialmente nei paesi di lingua tedesca, aveva senza dubbio promosso la raccolta di esemplari di organi e di tessuti. L'importanza di collezionare campioni patologici, nei singoli istituti, crebbe perciò durante tutta la seconda metà dell'Ottocento; furono collezionati esemplari macroscopici e microscopici che documentavano il progredire della medicina scientifica dell'epoca soprattutto a Berlino. Il museo di Virchow si sviluppava su cinque livelli e, non a caso, fu l'unico edificio del nuovo complesso aperto durante la vita del suo fondatore. La struttura fu infatti inaugurata nel 1899 e a questa data comprendeva già circa 23.000 esemplari tratti dalle vecchie collezioni. Il museo era utilizzato per l'insegnamento e la ricerca, ma anche per l'educazione del pubblico. Ciò era in linea con il pensiero borghese di Virchow, che in Rede zur Eröffnung des Pathologischen Museums (Discorso per l'apertura del museo di patologia, 1899) riteneva un proprio dovere informare "il grande pubblico" sui risultati delle ricerche nel campo dell'anatomia patologica auspicando, inoltre, che medici e gente comune si incontrassero nel museo.

L'organizzazione dell'Istituto di patologia a Berlino e il nuovo principio di Virchow ebbero un'importanza notevole e, com'è logico, suscitarono anche alcune controversie. Sebbene molti clinici ammirassero le nuove possibilità di acquisire conoscenze con l'aiuto delle autopsie eseguite di routine, Virchow contendeva loro il diritto di utilizzare cadaveri. Già nel 1856, il direttore della Clinica medica dell'Hôpital de la Charité, Friedrich Theodor Frerichs (1819-1885), si espresse contro la concessione del monopolio dell'uso dei cadaveri alla patologia. Egli chiedeva che, ai fini dell'educazione degli studenti di medicina, rimanessero a disposizione della clinica i corpi dei pazienti deceduti. La Clinica chirurgica dello stesso ospedale appoggiò le obiezioni di Frerichs e il chirurgo Erich Lexer (1867-1937), che aveva bisogno di cadaveri per far eseguire esercitazioni chirurgiche ai suoi studenti, si trovò coinvolto in pesanti dispute con Virchow. Anche discipline teoriche come l'anatomia e la batteriologia, che aveva cominciato a svilupparsi intorno al 1890 sotto la guida di Robert Koch (1843-1910), volevano poter disporre di cadaveri. La camera di dissezione dell'Istituto di patologia fu poi teatro di innumerevoli discussioni fra clinici e patologi, poiché entrambe le parti avevano serie difficoltà nel coordinare l'esecuzione e l'utilizzazione delle autopsie. Ben presto fu evidente che la professionalizzazione della patologia aveva distanziato il nuovo campo dalla medicina clinica; tale processo di separazione si manifestò con la fondazione della Società tedesca di patologia nel 1897. Virchow non vide con favore questa decisione. Fino ad allora i patologi tedeschi avevano tenuto i loro consessi annuali sotto gli auspici della Gesellschaft Deutscher Naturforscher und Ärzte (Società dei medici e dei naturalisti tedeschi). Virchow considerava la patologia un settore fondamentale strettamente connesso alle discipline cliniche e non un mero campo teorico al di fuori della pratica medica; egli constatò con preoccupazione che i clinici impiantavano laboratori separati e in tal modo si rendevano sempre più indipendenti dalla patologia. Non fu, quindi, solo retorica la domanda che egli pose in Über die Stellung der pathologischen Anatomie zu den klinischen Disziplinen (La posizione dell'anatomia patologica nell'ambito delle discipline cliniche, 1899): "I clinici fanno ciò che noi anche potremmo fare, ma non abbiamo fatto fino a ora?" (Virchow 1899a, p. 2).

La resistenza del pubblico alla pratica dell'autopsia rappresentò un'altra critica alla patologia di Virchow. Nel corso dell'Ottocento, i parenti dei defunti sempre più spesso negavano l'autorizzazione alla dissezione dei corpi. Sebbene l'amministrazione dell'Hôpital de la Charité appoggiasse fondamentalmente le richieste di Virchow di mantenere l'esecuzione delle autopsie come pratica di routine, essa d'altro canto si vedeva costretta a tenere conto degli interessi del pubblico, entrando in gioco la reputazione stessa dell'ospedale. Di conseguenza l'amministrazione faceva opera di supervisione sulla gestione di Virchow delle operazioni di dissezione, riservandosi il diritto di intervenire se necessario. Il principio di Virchow, la patologia cellulare, fu anch'esso argomento di controversie. I chirurghi, certamente, lo usarono con successo e gli effetti terapeutici furono più che evidenti in questo campo. Il chirurgo Christian Albert Theodor Billroth (1829-1894), per esempio, aderì con entusiasmo al principio della patologia cellulare di Virchow poiché proprio la costituzione cellulare degli organi diede la possibilità, a partire dalla seconda metà del XIX sec., di sezionarli in corso di malattia. Ciò non era stato possibile né necessario nelle epoche dominate dalla patologia degli umori, concentrata sugli umori stessi, sulla diagnostica esterna e sulla terapia. I progressi della chirurgia attorno al 1900 poggiavano quindi, in un modo o nell'altro, sul principio di Virchow.

L'applicazione della patologia cellulare fu molto più difficile in altri campi, come in quello della medicina interna, dove insorgeva il problema di individuare la terapia cellulare da perseguire in caso di malattie infettive o febbrili. Inoltre rimanevano alcune riserve fondamentali al principio di Virchow; si poneva, per esempio, la questione se le cellule fossero realmente le entità più importanti del corpo umano o se tale ruolo fosse piuttosto da assegnarsi ad altri sistemi come il sangue, in accordo con quanto affermava Rokitansky, o piuttosto i nervi. Gustav Adolf Spiess (1802-1875), che praticava medicina generale a Francoforte sul Meno, criticò Virchow poiché la vitalità delle cellule non poteva spiegare gli effetti generali sul corpo. Spiess postulò che il sistema nervoso fosse implicato e mediasse tutti i fenomeni morbosi e che quindi fosse l'entità determinante per spiegare le cause e gli effetti delle malattie. Inoltre, era problematico stabilire quanto la patologia cellulare fosse compatibile con le nuove conoscenze acquisite sulla batteriologia.

Tutti quei medici che avevano a cuore una visione olistica del paziente posero un'ulteriore obiezione. L'approccio cellulare di Virchow sembrava freddo e meccanicistico, poiché privilegiava parti singole del corpo umano e non piuttosto il corpo o l'anima dell'individuo nella sua interezza. In effetti Virchow, in Alter und Neuer Vitalismus (Vitalismo vecchio e nuovo, 1856), anche quando scriveva dell'organismo umano nel suo insieme, tendeva a ritornare rapidamente al carattere e alle funzioni degli organi e delle parti del corpo usando locuzioni quali "organismo cellulare" (Zellen-Organismus), "organismo assemblato" (zusammengesetzter Organismus) o "assemblamento di cellule subordinate a un organismo collettivo" (Zusammenfügung sich gegenseitig beeinflussender Zellen zu einem Sammelorganismus). L'atteggiamento critico nei confronti di tali affermazioni venne alimentato, sul finire del secolo, anche dal disagio generale causato nella gente dalla industrializzazione rapida che andava creando un mondo apparentemente sempre più meccanicistico e materialistico. Di conseguenza, molti medici dubitarono della reale capacità della medicina dell'epoca di affrontare i problemi relativi alla salute delle persone e cominciarono a considerare i fattori endogeni ed esogeni che causavano le malattie e il loro sviluppo, la costituzione complessiva del paziente e l'ambiente in cui viveva.

La situazione si complicò poiché Virchow era esposto anche agli attacchi dei sostenitori di una visione meccanicistica del mondo. Egli era cresciuto in un periodo in cui gli approcci filosofici erano presenti nella medicina e di ciò erano rimaste tracce; elaborò quindi per tutta la vita pensieri di tipo vitalistico a proposito di forze vitali che non potevano essere spiegate in alcun modo. Queste riflessioni permearono i suoi scritti sulle cellule, anche e soprattutto nei punti in cui la sua conoscenza si scontrava con i fattori limitanti. Fino alla fine dei suoi giorni Virchow mantenne una posizione di difesa. La patologia cellulare, nonostante ciò, si diffuse sempre più durante la seconda metà dell'Ottocento quale autentico principio della medicina occidentale. Alla sua morte, Virchow era considerato uno dei rappresentanti più importanti della medicina scientifica per l'opera svolta a livello sia organizzativo sia concettuale nel campo della patologia.

L'eredità di Virchow e la fisiopatologia

Non vi è alcun dubbio che il concetto di patologia elaborato da Virchow e la sua patologia cellulare abbiano svolto un ruolo fondamentale nel favorire la nascita della medicina scientifica durante il XIX secolo; ciò portò anche a una certa unificazione della disciplina. La prospettiva cellulare aprì nuove vie alla ricerca sul corpo umano malato basata sull'introduzione dell'autopsia come pratica di routine, mediante una tecnica di dissezione ben definita ed esami macroscopici e istologici. Gli spazi vuoti nel panorama del corpo umano furono progressivamente riempiti. In quel periodo, che potremmo definire l'età morfologica, furono esaminate le alterazioni patologiche delle cellule, dei tessuti e degli organi.

Virchow, però, non fu in grado di consolidare la fisiologia patologica quale ramo privilegiato della patologia e della medicina mentre al contrario l'anatomia patologica rimase il settore principale del lavoro dello studioso per tutta la vita. Il suo interesse più forte era rivolto alla descrizione delle condizioni morfologiche statiche del corpo umano e una delle sue principali preoccupazioni consisteva nel raccogliere e organizzare esemplari patologici. La sperimentazione animale, come metodo fondamentale per una patologia funzionale e sperimentale (fisiologia patologica), fu invece trascurata. Il successore di Virchow sulla cattedra berlinese, il patologo Johannes Orth (1847-1923), nel 1906 rilevò che Virchow non aveva compiuto esperimenti di fisiologia patologica e che dunque non aveva mostrato tale metodo ai suoi allievi. Gli edifici dell'Istituto di patologia, inoltre, sarebbero stati insufficienti per raggiungere tale obiettivo. Queste circostanze avevano impedito a Virchow di studiare sistematicamente i processi morbosi e di praticare la fisiologia patologica. In Die Continuität des Lebens als Grundlage der modernen biologischen Anschauung (La continuità della vita come fondamento della moderna visione biologica, 1897) egli preconizzò solamente gli sviluppi in questo campo, rinviandoli al XX secolo. Ciononostante la fisiopatologia recò frutti già nel corso dell'Ottocento grazie a uno dei suoi allievi, Julius Friedrich Cohnheim (1839-1884), che coltivò in particolar modo la patologia sperimentale. I risultati della ricerca di Virchow e la nascita di un nuovo paradigma della patologia alla fine del secolo possono essere studiati alla luce delle discussioni di questi due ricercatori sul concetto di infiammazione, un problema fondamentale della medicina. Per Virchow fu un argomento importante nel momento in cui veniva introdotta la patologia cellulare. Molti pazienti, soprattutto nelle classi meno abbienti, morivano a causa di malattie infettive e il ben noto fenomeno dell'infiammazione era considerato una sorta di sfida per migliorare la diagnosi e il trattamento medico. Inoltre, l'infiammazione offrì un'ulteriore opportunità per criticare i sistemi ipotetici della medicina del primo Ottocento: il clinico parigino François-Joseph-Victor Broussais (1772-1838) aveva formulato la teoria che le malattie in generale fossero infiammatorie e causate da irritazioni e soprattutto quelle gastrointestinali che giocavano un ruolo decisivo in questo senso. Per curare tali disturbi Broussais si serviva dei rimedi tradizionali della patologia umorale, come i salassi per mezzo di sanguisughe. Sebbene il concetto di irritazione definito da Broussais traesse origine da un pensiero fisiopatologico, era comunque una teoria ipotetica generale e perciò facile bersaglio per le critiche di Virchow.

Come precedentemente ricordato, uno dei successi di quest'ultimo fu quello di differenziare la trombosi e la flebite descrivendole come due entità distinte fin dal 1846. Già in Über parenchymatöse Entzündung (L'infiammazione parenchimatosa, 1852) egli aveva posto l'infiammazione al centro dei suoi studi e aveva denominato il processo in questione "infiammazione parenchimatosa". Il ruolo dei vasi e dei nervi ‒ sullo sfondo della patologia umorale ‒ era stato a suo parere sopravvalutato ed egli concentrava ora la sua attenzione sulle cellule del parenchima di organi specifici, il tessuto sede principale dell'infiammazione. Le sue indagini si basavano sull'esame di campioni di tessuto della maggior parte degli organi umani, come, per esempio, i reni e i muscoli; tale analisi presentava il vantaggio di osservare condizioni fisse e di evitare le eventuali speculazioni sui processi funzionali, che ai suoi tempi erano difficili da studiare.

Secondo Virchow, l'infiammazione era basata sull'irritazione delle cellule; al contrario degli scienziati che lo avevano preceduto, egli ritenne che il loro ruolo non fosse passivo ma piuttosto attivo nella lotta contro i disturbi dell'equilibrio dei tessuti, e, quindi, contro i possibili danni o la morte. Alcune reazioni delle cellule potevano essere, per esempio, l'ingrossamento, l'aspetto opaco (Eintrübung) e l'aumento dell'azoto o di inclusioni grasse al loro interno; le cellule cambiavano di colore e di struttura e se non vi era alcuna rigenerazione, queste alterazioni determinavano la loro morte, un processo che egli stesso descrisse come "degenerazione" (Degeneration). La forza, la velocità e la quantità dei cambiamenti definivano la differenza fra degenerazione infiammatoria e degenerazione ordinaria. Per Virchow le cause principali dell'infiammazione e della degenerazione cellulare erano la mancanza di nutrizione o i disturbi relativi alla nutrizione; problemi che ‒ secondo le ricerche dei laboratori dell'epoca ‒ erano entrambi provocati da processi fisici e chimici intracellulari. Il risultato finale era la putrefazione o la scarificazione.

Secondo Virchow questi cambiamenti erano accompagnati da alterazioni dei vasi o della circolazione sanguigna e da alterazioni a livello delle azioni nervose, ma l'infiammazione non era mai limitata a questo. L'essudazione partiva dai vasi e dalle cellule parenchimali. Virchow sintetizzò tutte le difficoltà di esaminare e di analizzare l'infiammazione osservando che essa era una combinazione di processi diversi e che il corso del fenomeno infiammatorio e il tipo di alterazioni erano influenzati dalla causa dell'irritazione, dalla localizzazione e dalla condizione della cellula, del tessuto, dell'organo o del corpo. Poiché le conoscenze relative all'infiammazione erano frammentarie, il patologo invitò a tenere in considerazione le vecchie realtà tradizionali, vale a dire i vecchi sintomi cardinali di Celso.

La teoria dell'infiammazione di Virchow, che poggiava principalmente su basi cellulari, fu messa in discussione nell'epoca della diffusione della batteriologia. Fin dal 1880 ca. l'infiammazione fu decisamente associata ai microbi, che sembravano essere la causa principale delle malattie infettive e di conseguenza dei sintomi e dei singoli stadi dell'infiammazione. Tuttavia il processo in sé non sembrava essere così importante se comparato alla lotta del medico contro i microbi. Nella Germania guglielmina, a partire dal 1890 ca., i batteriologi di solito si servivano di espressioni militari paragonando l'infezione a una guerra. Essi consideravano l'infiammazione semplicemente come la reazione del corpo contro un aggressore e la complessità del processo infiammatorio, come miscela di azione e reazione, generalmente non era l'oggetto principale della discussione. Virchow e i suoi colleghi dell'Istituto di patologia si difesero rivendicando l'importanza delle cause interne dell'infiammazione e il ruolo centrale della cellula nelle malattie.

Negli anni Sessanta e Settanta del XIX sec., la concezione di Virchow era già stata messa seriamente in discussione da uno dei suoi allievi. Fu Cohnheim che, fra il 1861 e il 1867, proprio presso l'istituto di Virchow, fece ulteriori passi in avanti nella comprensione del fenomeno giungendo alla formulazione della sua teoria dell'infiammazione. Al contrario del maestro, Cohnheim aveva concentrato il suo lavoro principalmente sulla sperimentazione animale, considerandola più importante della visione statica del materiale proveniente dalla camera di dissezione: in tal modo egli sostenne la fondazione dell'anatomia patologica mediante il suo effettivo lavoro quotidiano. Fin dal periodo trascorso a Berlino aveva intrattenuto intensi contatti con il clinico Ludwig Traube (1818-1876), che si era recato a Vienna per conoscere Rokitansky e Skoda e per approfondirne l'insegnamento. Traube voleva che Cohnheim applicasse il pensiero fisiologico alla medicina pratica; quest'ultimo, difatti, desiderava promuovere la cooperazione fra patologi e clinici ed è probabile che le sue esperienze nella medicina pratica, risalenti alla partecipazione al conflitto fra Germania e Danimarca del 1864-1865, lo rendessero particolarmente sensibile a tale idea. Anche chimici fisiologici quali Wilhelm Friedrich Willy Kühne (1837-1900), sempre a Berlino, fecero sentire la loro influenza su Cohnheim. Kühne, avendo lavorato a Parigi con il fisiologo Claude Bernard, introducesse un'altra importante corrente di ricerca della patologia sperimentale ottocentesca all'interno di questo circolo di giovani ricercatori berlinesi.

A partire dal suo periodo berlinese, Cohnheim lavorò sul ruolo dei vasi nel corso dei processi infiammatori, realizzando esperimenti sulla lingua e sul mesenterio della rana e sulla cornea del coniglio. Questo lavoro poté avvalersi degli studi preliminari di un altro famoso allievo di Virchow, Friedrich Daniel von Recklinghausen (1833-1910), che in Über Eiter- und Bindegewebskörperchen (Corpuscoli purulenti e del tessuto connettivo, 1863) aveva identificato "cellule migranti" nel corso degli esperimenti sull'infiammazione locale ed era stato in grado di chiarire il ruolo dei globuli bianchi del sangue durante tale processo. Cohnheim ipotizzò che la maggior parte dei sintomi infiammatori fosse causata da alterazioni della circolazione sanguigna e che l'essudazione fosse conseguenza del danneggiamento dei vasi. Inoltre, egli dimostrò in maniera definitiva che i cosiddetti 'corpuscoli purulenti' (Eiterkörperchen) non erano prodotti del parenchima, come affermava Virchow, ma in realtà leucociti, fuoriusciti dal flusso sanguigno attraverso le pareti dei vasi. Cohnheim accusò Virchow di avere inventato la malattia delle cellule parenchimali nel corso dell'infiammazione e ciò lo portò alla rottura dei rapporti con il maestro, il quale trovò inaccettabili gli attacchi alle sue teorie riguardanti i tessuti. Cohnheim scomparve prematuramente e non ebbe l'opportunità e l'abilità di diffondere i propri risultati e le proprie teorie come aveva fatto Virchow. Quest'ultimo non cambiò mai radicalmente idea; egli notò la complessità del processo infiammatorio e ammise che i vasi fossero determinanti nella nutrizione della cellula anche in caso di infiammazione, tuttavia continuò a insistere sul ruolo attivo della cellula, ritenendo impossibile che essa divenisse vittima di prodotti rilasciati dal flusso sanguigno. Fondamentalmente egli non rinunciò alla propria teoria, poiché riteneva il problema dell'infiammazione uno dei passi più importanti nella costruzione del suo principio di patologia cellulare.

L'approccio di Virchow non fu senza conseguenze per la patologia tedesca, poiché l'epoca morfologica influenzò la storia del campo negli anni a seguire. Dopo il 1900 i medici, mirando allo sviluppo di terapie efficaci, tentarono di radunare tutti gli innumerevoli risultati delle ricerche condotte nel secolo precedente. Ora l'interesse si spostava sui processi morbosi e, in questi studi, la camera di dissezione perse la sua posizione dominante. Il XX sec. è stato il periodo della fisiologia e i patologi tedeschi si sforzarono di dare una risposta a queste nuove richieste. I successori di Virchow a Berlino tentarono senza successo di istituzionalizzare la branca della fisiopatologia e della patologia sperimentale. L'altra parte dell'eredità di Virchow, l'anatomia patologica e le idee a essa connesse, ebbero un peso enorme. L'obitorio rimase il centro di ricerca privilegiato della patologia tedesca fino al 1945; alcuni rappresentanti del settore diffusero l'anatomia patologica quale specifica tradizione culturale tedesca, come, per esempio, l'ultimo allievo di Virchow, Max Westenhofer o il patologo di Friburgo, Ludwig Aschoff.

Cohnheim, d'altra parte, sempre sul finire dell'epoca morfologica non aveva sviluppato soltanto il punto di partenza per un nuovo indirizzo di ricerca nel campo dell'infiammazione, ma aveva anche dato un notevole impulso al pensiero funzionale della medicina. Il cambiamento di condizioni negli anni a cavallo fra i due secoli aveva consentito che tale nuovo approccio fosse accettato universalmente. Cohnheim influenzò decisamente anche altre aree della medicina e i medici attivi al di fuori dei confini tedeschi. Nel suo istituto a Lipsia collaborò, fra gli altri, anche il giovane immunologo e batteriologo Paul Ehrlich (1854-1915), che sarebbe divenuto celebre nel 1909 per lo sviluppo del Salvarsan (cloridrato del diossi-diammino-arsenobenzolo, farmaco utilizzato nella cura delle infezioni protozoarie e treponemiche, e in particolare della sifilide). Egli, che nei suoi primi anni di lavoro subì notevolmente l'influsso di Cohnheim, mise a punto alcune tecniche di colorazione per i campioni istologici e approfondì le origini e le cause di importanti malattie combinando la sperimentazione animale con il lavoro clinico in corsia. Cohnheim ed Ehrlich possono essere definiti patologi clinici; entrambi infatti influenzarono lo sviluppo della patologia clinica in Inghilterra dopo il 1900. Questa nuova branca della patologia concentrò la sua attenzione sull'esame dei fluidi corporei e sui campioni di tessuto dei pazienti. L'anatomia patologica divenne soltanto un metodo fra gli altri; il paese in tal modo mise a frutto la tarda professionalizzazione nel campo. Nell'Inghilterra ottocentesca il lavoro autoptico era saldamente legato alla figura del clinico e l'incarico di prosettore era spesso considerato semplicemente come uno scalino necessario per raggiungere la posizione di medico consulente dell'ospedale. Tale nuovo filone della patologia ricomparve in Germania solamente dopo il 1945. In altri paesi, per esempio nell'Impero austro-ungarico, la patologia sperimentale era stata introdotta come disciplina indipendente già alla fine del secolo precedente.

Si può dire che, con lo sviluppo della fisiopatologia, la patologia come disciplina medica in qualche modo ritornò a quelle intenzioni che ne avevano motivato la nascita. I chirurghi e i medici a Parigi, Londra e in altre città, avevano promosso il metodo dell'autopsia nel corso del XVIII sec. perché volevano migliorare la medicina clinica. L'anatomia patologica era divenuta, alla fine del Settecento, una pratica che aveva fondamentalmente la medesima intenzione e che si effettuava di routine nella Scuola di Parigi. Soprattutto Rokitansky e Virchow avevano alimentato il processo di professionalizzazione della disciplina, determinando una netta separazione dalla medicina clinica. Naturalmente i loro risultati divennero il punto di partenza per Cohnheim e i suoi colleghi di analogo orientamento, che aprirono la strada allo sviluppo di una patologia rivolta soprattutto verso la clinica, quale si affermò nel mondo occidentale dopo il 1900.

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