La domesticazione degli animali e l'allevamento: mondo islamico

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

La domesticazione degli animali e l'allevamento: mondo islamico

Maria Domenica Ferrari

L'allevamento forniva oltre ai generi alimentari, tra cui carne, grasso, latticini, materie prime industriali (lana e cuoio), mezzi di trasporto (cavallo, cammello, mulo, asino) ed era fondamentale per il funzionamento delle macchine idrauliche (norie) necessarie per l'irrigazione. Il mondo musulmano sviluppò le tecniche di sfruttamento degli animali, in particolare degli equini, sotto l'influsso dei Paesi dell'Asia Centrale. Gli animali più diffusi erano i cammelli, i cavalli e le pecore, di proporzioni sensibilmente minori era l'allevamento dei bovini, che necessitavano di un clima più umido e di una vegetazione più ricca. Il cammello aveva due centri di diffusione: l'Asia Centrale (Battriana) per il tipo con due gobbe (Camelus bactrianus) e l'Arabia (Naǵd) per quello con una gobba (Camelus dromedarius); con il formarsi dell'impero musulmano si diffuse in una vastissima area: Spagna, Sahara occidentale, Sudan, Siria, Asia Minore, steppe della Russia meridionale. La selezione e gli incroci produssero inoltre da una parte un animale lento e forte per il trasporto e dall'altra un animale per la cavalcatura. Il cavallo era presente con quattro razze principali: turcomongola, iranica, berbera, siriaca. L'Egitto fu il punto d'incontro tra il cavallo siro-arabo e quello dell'Africa settentrionale, da cui ebbe origine una cavalleria molto temuta, sia dai mongoli sia dai crociati. Per il rifornimento di cavalli destinati alla cavalleria i primi califfi continuarono un sistema di allevamento praticato dalle tribù nomadi della zona centrale dell'Arabia: si trattava di una riserva naturale in cui nessuno, eccetto gli appartenenti alla tribù proprietaria, poteva entrare e dove i cavalli vivevano e si riproducevano in libertà. Con gli Abbasidi la pratica decadde e venne sostituita dalle guarnigioni e dalle scuderie installate alla periferia della capitale, presso la residenza del califfo e nelle vicinanze delle città. Più tardi ogni dinastia locale adottò una propria strategia per il rifornimento di animali per la cavalleria. Lo sviluppo delle tecniche di allevamento degli equini è testimoniato da un'abbondante produzione letteraria di ippologia e ippiatria, dove i pregi e i difetti del cavallo, le sue malattie, la sua andatura, il tipo di pelo sono accuratamente descritti. La terminologia adottata passò quindi nell'impero bizantino e in Occidente, come indicano molte parole del vocabolario ippico. L'allevamento del cavallo comportò anche la diffusione delle piante necessarie a nutrirlo, orzo ed erba medica per prime. Nelle regioni in cui si praticava un'agricoltura intensiva vennero creati pascoli artificiali: l'erba medica dalla Persia si estese in Mesopotamia, in Egitto, in Spagna e dall'Asia Centrale fino alla Cina. L'allevamento degli ovini era molto diffuso e ben si adattava ai vasti territori stepposi; le pecore, oltre alla carne, fornivano la lana, di cui il mondo musulmano era il grande produttore nell'Alto Medioevo. Sugli altopiani dell'Africa settentrionale veniva allevata una pecora dalla lana molto pregiata, abbondante, fina e riccia, che in Spagna fu chiamata merino, dal nome della tribù berbera dei Banu Marin o dall'arabo marīn (morbido, soffice). Con questa pecora la Spagna adottò anche le modalità dell'allevamento comunitario: il gregge della comunità era affidato per la transumanza a un pastore capo e ai suoi aiutanti. Questa organizzazione, che prese consistenza nel XII secolo col termine mesta, si è conservata in Spagna fino al XX secolo con i suoi privilegi, i suoi pascoli, la sua giurisdizione; inoltre, i termini spagnoli legati alla pastorizia sono spesso di origine araba. I bovini non erano molto diffusi, poiché zone abbastanza umide per consentire il loro allevamento si trovavano solo nelle pianure del Marocco occidentale, in alcune aree del Tell algerino e in Spagna. Non si può dire se l'allevamento del bestiame sia stato importante come nell'agricoltura europea; la forza-lavoro richiesta (aratri e macchine elevatrici) era minore rispetto all'Europa, dove le terre sono più difficili da dissodare; anche il concime era meno utilizzato, tranne nelle regioni dove un accordo con i nomadi lo forniva a buon mercato. Dall'India con la coltivazione del riso arrivò il bufalo, che era allevato nelle zone acquitrinose della Mesopotamia e poi nelle paludi dell'Oronte in Siria. È inoltre da segnalare l'allevamento dei polli: molto diffuso nelle campagne, forniva la carne preferita delle classi abbienti, tanto che in alcuni mercati di Baghdad era la merce più venduta. Molto diffusa era anche l'apicoltura: particolarmente apprezzato era il miele prodotto in Armenia e in Spagna, ma nessun tipo eguagliava quello di Isfahan, che riforniva la corte di Baghdad.

Bibliografia

E. Lévi-Provençal, Histoire de l'Espagne Musulmane, Paris 1950, pp. 285-86; F. Viré, s.v. Faras, in EIslam², II, 1965, pp. 784-87; M.M. Ahsan, Social Life under the Abbasids, London 1979, pp. 78-81, 102; M. Lombard, Splendore e apogeo dell'Islam. VIII-XI secolo, Milano 1991 (trad. it.), pp. 199-204.

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