La domesticazione delle piante e l'agricoltura: mondo egeo

Il Mondo dell'Archeologia (2002)

La domesticazione delle piante e l'agricoltura: mondo egeo

Massimiliano Marazzi
Carla Pepe

I tipi di colture e i sistemi di produzione

di Massimiliano Marazzi - Carla Pepe

Trattare dell'agricoltura nel mondo egeo nell'età del Bronzo significa oggi essenzialmente collegare due ambiti di dati, quelli archeobotanici e quelli epigrafici, inserendoli nel contesto delle economie d'ammasso che si affermano a Creta e nella Grecia fra il XVIII e il XIII sec. a.C. Le difficoltà che si pongono nel tracciare un quadro organico in proposito sono note: i dati archeobotanici sono scarsi, spesso imprecisi e, soprattutto, non sono correlati fra loro: un fatto questo che pone seri limiti a una ricostruzione globale dell'intera area egea, continentale e insulare. I dati epigrafici si presentano, d'altra parte, fortemente squilibrati: toccano solo marginalmente modalità e pratiche della messa a coltura dei campi, mentre si concentrano sulla circolazione di quei prodotti agricoli rilevanti ai soli fini delle procedure di immagazzinamento o di particolari processi di trasformazione.

I dati archeobotanici

Per comprendere meglio lo sviluppo dell'agricoltura nell'età del Bronzo egea bisogna in primo luogo tenere presente le differenti caratteristiche fisiche nelle diverse aree geografiche. La Grecia settentrionale, infatti, possiede ampie e fertili pianure adatte alla coltivazione dei cereali, in Macedonia e in Tessaglia. La Grecia centrale e il Peloponneso presentano invece ampie aree montuose e collinari, attraversate da strette pianure o vallate, con irregolari risorse idriche, adatte quindi essenzialmente alla coltivazione dell'ulivo, della vite e degli alberi da frutto. Creta offre un ambiente misto, mentre le Cicladi, date le dimensioni limitate, non si adattano per lo più allo sfruttamento agricolo intensivo del suolo. Sotto molti aspetti, quindi, l'agricoltura dell'età del Bronzo Antico si presenta come lo sviluppo delle esperienze accumulate dai centri stabili neolitici ed eneolitici situati soprattutto nelle aree pianeggianti della Grecia settentrionale. Bisogna tuttavia puntualizzare che, anche se lo sfruttamento della terra si configura come l'attività produttiva principale svolta dalle società egee di quest'epoca, i dati archeobotanici in nostro possesso sono poco abbondanti e spesso di difficile interpretazione, in particolare per zone di grande importanza quali Creta e il Peloponneso.

Il Bronzo Antico - Agli inizi del Bronzo Antico la coltura dei cereali e dei legumi continua a essere praticata come in età precedente. Sono tuttavia riscontrabili parallelamente alcuni sviluppi di particolare rilevanza, sia quanto a specie coltivate sia quanto a modalità della messa a coltura dei campi. I più comuni cereali sono il farro (Triticum dicoccum) e, anche se in misura minore, il farro piccolo (Triticum monococcum), attestato soprattutto in Macedonia nei siti di Pefkakia, Assiros e Kastanàs. Tra i grani nudi, associati nella maggior parte dei casi quali colture di accompagnamento alle colture cerealicole preminenti, raro è il frumento spelta (Triticum spelta), mentre in alcuni siti si sono trovate tracce di coltivazione di frumento duro (Triticum durum, derivato dal farro) e di frumento comune o grano tenero (Triticum aestivum). Questi ultimi, ancora poco diffusi nel Bronzo Antico, avranno un maggiore sviluppo sul finire del Bronzo Tardo; sembra tuttavia continuare la raccolta di cereali spontanei come l'avena (Avena sterilis), che nei campi si accompagnava spesso al frumento e all'orzo. Una gluma di riso (Oryza sativa), la prima di età preromana nell'area mediterranea, proviene dagli strati archeologici di quest'epoca a Tirinto (Argolide). La coltivazione cerealicola predominante caratteristica del Bronzo Antico, in particolare nelle Cicladi, è tuttavia quella dell'orzo a due file (Hordeum distichum) o a più file (Hordeum vulgare). Quest'ultimo, derivato dal precedente, rimarrà per tutta l'età del Bronzo il principale cereale, in quanto facilmente adattabile anche ai terreni scarsamente irrigui caratteristici di alcune zone della Grecia. Fra le Leguminose appaiono intensamente coltivate la lenticchia (Lens culinaris), i veccioli (Vicia ervilia), il pisello (Pisum sativum) e la fava (Vicia faba), quest'ultima identificata in piccole quantità a Cnosso e coltivata a Lerna in Argolide e ad Argissa in Tessaglia. In questi ultimi due siti viene progressivamente introdotta anche la cicerchia (Lathyrus sativus). Il fatto di avere trovato in uno stesso sito, associati negli stessi ambienti adibiti all'immagazzinamento dei prodotti agricoli e finanche negli stessi contenitori, semi di Leguminose e semi di cereali, è stato da alcuni studiosi interpretato come l'indizio della diffusa pratica della rotazione alternata delle colture e, quindi, dello sviluppo di pratiche agricole volte a evitare i rischi impliciti in uno sfruttamento intenso dei campi fondato sulla monocoltura. Tra le piante oleifere il lino (Linum usitatissimum), utilizzato per scopi alimentari e tessili, è attestato in quasi tutti i siti: da Lerna provengono 200 semi di lino e alcuni resti di semi di cardo (Onopordon acanthium), presenti peraltro anche ad Argissa. L'ulivo, la vite e il fico sono tutte piante native della Grecia; l'inizio della loro domesticazione deve porsi già nell'età del Bronzo Antico, se non addirittura (soprattutto per la vite) in epoca precedente. Durante questi secoli, infatti, parallelamente allo sfruttamento attraverso la raccolta da esemplari selezionati, ma ancora allo stato selvatico, deve porsi quel lento processo di modificazione morfologica che porta soltanto nel Bronzo Tardo alla diffusione su vasta scala di vere e proprie colture. Nonostante la grande importanza che assume mano a mano l'ulivo nell'economia agricola dell'età del Bronzo egea, pochi resti di olive provengono dai contesti archeologici. Il progenitore selvatico dell'ulivo domestico è l'Olea europaea var. oleaster; non è sempre facile, tuttavia, distinguere le due specie a fronte di dati botanici molto scarsi. La seconda importante coltura, quella della vite, è attestata tanto nella varietà selvatica (Vitis silvestris), quanto in quella domestica (Vitis vinifera). Alcuni campioni di semi di acini provenienti da Lerna e i resti di uva pressata ritrovati nei pithoi di Myrtos sembrano attribuibili alla Vitis vinifera. La presenza e l'incremento di semi di acini d'uva in vari siti peloponnesiaci, in particolare a Lerna, sembra indicare uno sviluppo della coltura della vite in quest'epoca soprattutto nelle aree meridionali e una sua diffusione soltanto più tardi in quelle settentrionali, come la Macedonia. Mentre per il fico (Ficus carica) si può supporre una ormai consolidata pratica di raccolta differenziata da piante selezionate, per altri tipi di frutti, come le ghiande (Quercus L.), il corniolo (Cornus mas), le mandorle (Amygdalus L.) e le pere (Pyrus sp.), i dati archeobotanici indicano il semplice sfruttamento attraverso la raccolta delle varietà selvatiche. Gli insediamenti egei dell'età del Bronzo Antico appaiono quindi caratterizzati da un'agricoltura che, pur fondandosi su una solida base rappresentata da una vasta gamma di cereali e di legumi, mostra però la tendenza verso forme avanzate di tipo misto. Il fenomeno rappresentato dal sito di Lerna, con la sua ricchezza di elementi archeobotanici, ma anche con i suoi dispositivi di controllo e di monitoraggio della produzione e del movimento di beni a mezzo delle cretule, può ben a ragione essere visto quale antesignano degli sviluppi "palaziali" dell'età successiva.

Il Bronzo Medio e Tardo - Nel Bronzo Medio sono pochi i siti con ritrovamenti di resti botanici e le specie riconosciute non mostrano cambiamenti di rilievo nelle colture. Si continua a praticare un'agricoltura mista basata su frumento, orzo, veccioli, lenticchie, piselli, fave e cicerchie. Aumentano tuttavia le testimonianze relative alla lenta ma progressiva domesticazione dell'ulivo, del fico e della vite, già in atto nel periodo precedente. Il progresso delle tecniche di coltivazione dei frumenti e l'innovazione rappresentata dalla graduale domesticazione della vite e dell'ulivo fanno di quest'epoca un importante punto di mutamento economico e sociale. Assume una definitiva posizione centrale la cosiddetta "triade mediterranea" (frumento, ulivo e vite), come base della sussistenza connessa con lo sviluppo delle tecniche di conservazione dei cibi e dell'immagazzinamento delle riserve. Inoltre, l'incremento del numero dei siti abitati e delle loro dimensioni porta, proprio in quest'epoca, alla costituzione dei primi complessi "palaziali" quali centri di controllo del movimento dei prodotti agricoli e organi di redistribuzione delle risorse alimentari. Maggiori dati sui raccolti provengono dai siti del Bronzo Tardo. Le recenti ricerche archeobotaniche ad Assiros e a Kastanàs nella Macedonia settentrionale, nonché a Tirinto in Argolide, sono di fondamentale importanza per la ricostruzione delle risorse agricole. Anche se in questo periodo le colture cerealicole rimangono in generale invariate, si assiste nei siti settentrionali a un forte incremento nella produzione del miglio (Panicum miliaceum), accompagnato talvolta dal panico (Setaria italica). La coltivazione più diffusa rimane tuttavia quella dell'orzo esastico, anche se a Kastanàs è rilevabile un'intensificazione della coltura del farro. Il frumento spelta e in particolare il Triticum aestivum/ durum assumono un peculiare sviluppo sul finire del Bronzo Tardo. A Cnosso, in un edificio chiamato convenzionalmente Unexplored Mansion, nelle diverse giare poste lungo i lati di una stanza si sono rinvenute differenti specie di cereali e di legumi, tra le quali il farro, le lenticchie e i veccioli. Il ritrovamento qui di 150 chicchi di Triticum aestivum, immagazzinati separatamente rispetto al farro, potrebbe far pensare all'esistenza di una produzione di pane destinato a un consumo interno di carattere elitario; un ritrovamento di pane carbonizzato a base di farro proviene invece da Tirinto. La conferma di una netta e voluta separazione delle semine viene anche da Assiros, dove, nell'ambito di uno stesso edificio adibito a magazzino centrale, il farro, il miglio e i veccioli si trovavano ammassati in stanze diverse. Anche a Kastanàs i resti di ammassi di grano tenero non appaiono contaminati da altri tipi di cereali. Tra le Leguminose, la lenticchia è presente per tutto il periodo in Tessaglia, mentre la veccia diventa la coltivazione predominante in Macedonia. Gli altri legumi, come la fava, il pisello e la cicerchia, sembrerebbero essere coltivati a livello di orto più che in forma estensiva. Il cece (Cicer arietinum) è attestato per quest'epoca a Tirinto e a Haghia Triada. Due nuovi cereali sono attestati a Thera nelle Cicladi, il Lupinus albus e il Lathyrus clymenum, quest'ultimo trovato anche a Cnosso e a Milo. L'orticoltura, quale forma di sfruttamento del suolo complementare alle colture estensive, probabilmente in crisi in alcune aree della Grecia a causa del logoramento dei terreni, appare dunque essere in una fase di espansione, come testimoniano, fra l'altro, i ritrovamenti di particolari malerbe tipiche appunto degli orti. Il lino, principale pianta oleifera della Tessaglia e della Macedonia, viene sostituita a Kastanàs dalla Camelina sativa, a cui si accompagna verso la fine del Bronzo Tardo il papavero (Papaver somniferum). Nel Sud della Grecia, come testimoniato dai ritrovamenti archeobotanici di Tirinto, l'ulivo permane come coltura principale per la produzione dell'olio. Dalle stesse tavolette in lineare B risulta che anche il fico era ormai oggetto di coltura: infatti i fichi sono ricordati all'interno di liste relative a razioni per il personale lavorativo, probabilmente nella forma secca che concentra l'energia prodotta dallo zucchero. Esempi di fichi secchi provengono, d'altra parte, da Haghia Triada, Myrtos e Iria. Tracce di un'intensa viticoltura provengono sia da Tirinto che da Kastanàs. Le grandi quantità di coppe provenienti dal palazzo di Pilo sono segno di un consumo del vino legato a occasioni particolari, probabilmente di carattere ancora elitario; semi di acini d'uva provengono dalla Unexplored Mansion di Cnosso. Anche se in questo periodo sono attestati archeologicamente strumenti collegati alla vinificazione, come presse e tini, è interessante notare la loro quasi totale assenza nei grandi centri palaziali, segno che i processi di produzione del vino dovevano verosimilmente svolgersi negli aggregati rurali sparsi sul territorio. Mentre alcune specie fruttifere, come peri, prugne e melograni, rimangono ancora spontanee, altre sembrano invece essere oggetto di colture specializzate in orti e giardini: a Cnosso sono presenti i pistacchi, a Haghia Triada le mandorle, mentre a Tirinto fa la sua comparsa il melone (Cucumis melo). Le tavolette in lineare B menzionano inoltre una serie di piante aromatiche e di spezie utilizzate per scopo culinario e industriale, come il cumino, il sesamo, il coriandolo, il finocchio, il sedano, il cipero, la salvia, il cartamo, il giunco odoroso, il crescione, la menta e lo zafferano, molte delle quali sono identificabili fra i reperti archeobotanici di Tirinto e di Kastanàs. Infatti, tra le specie utilizzate per l'aromatizzazione degli oli profumati, troviamo in questi siti semi appartenenti alle famiglie delle Ciperacee, Composite, Crocifere, Ombrellifere, Giuncacee e Rosacee. Il coriandolo (Coriandrum sativum) e l'anice (Pimpinella anisum) sono attestati a Thera. Sono inoltre presenti sia a Tirinto che a Kastanàs il sambuco (Sambucus ebulus), la Fragaria, la malva e la Medicago; tra le piante coloranti a Tirinto troviamo l'Echium, mentre a Marmariani in Tessaglia sono stati ritrovati semi di senape bianca (Brassica alba). Va infine notato che, se da un lato, rispetto ai periodi precedenti, il quadro agricolo tra la Grecia settentrionale e meridionale tende lentamente a diversificarsi, dall'altro, verso la fine del XIII sec. a.C. si nota a Tirinto, come anche nei siti della Macedonia, un fenomeno comune, ossia una notevole riduzione nella dimensione dei semi e una maggiore presenza di piante parassitarie, segni entrambi di un processo di impoverimento dei raccolti e di logoramento dei terreni. Le già ricordate introduzioni della coltura del miglio, della Camelina e del papavero nei siti della Macedonia, assieme al particolare sviluppo che sembra caratterizzare la pratica dell'orticoltura, possono essere visti come il tentativo, attraverso l'introduzione di colture più resistenti e la pratica di colture specializzate, di far fronte a una situazione agricola di crisi che tocca sul finire dell'età del Bronzo essenzialmente le tradizionali monocolture praticate in forma estensiva.

Le testimonianze epigrafiche

Per comprendere il tipo di informazione offerta nel settore agricolo dalla documentazione epigrafica occorre tenere presente i seguenti aspetti: le tavolette in lineare B, ma le stesse considerazioni sono applicabili verosimilmente anche ai documenti "leggibili" in geroglifico o lineare A, contengono esclusivamente registrazioni relative al movimento dei beni da e verso i centri controllati dall'amministrazione palaziale; non solo non esistono documenti di carattere economico-politico, giuridico o tecnologico, ma neppure registrazioni finalizzate all'accertamento delle condizioni geo-economiche del territorio (catasti, descrizioni dello stato di opere di bonifica o irrigazione, rilevazioni del grado di produttività e organizzazione delle aziende rurali, ecc.). Inoltre, la "messa in pagina" stessa dello scritto sulla tavoletta si presenta, per le ragioni di utilizzo sopra esposte, più vicina a quella di un registro contabile o di un inventario di magazzino (organizzazione colonnare dei dati, articolata tipologia delle intestazioni, precisa collocazione dei titoli, ecc.), che a un vero e proprio testo in senso stretto. I dati sulla gestione dei campi, sulle colture e sui raccolti, sulle eventuali tecniche agricole messe in atto o sulle modalità di trattamento, conservazione e/o trasformazione dei prodotti sono perciò desumibili solo per via indiretta e spesso in maniera casuale, tenuto altresì conto del fatto che risulta registrato soltanto lo spettro dei prodotti fatto oggetto di rimessa, immagazzinamento o redistribuzione. Ci è negata in tal modo qualsiasi informazione esplicita sulle derrate fresche, quelle cioè oggetto di consumazione quotidiana, non immagazzinabili per il medio o lungo periodo, e in qualche modo irrilevanti nell'ambito della gestione di un'economia agricola fondata sull'accumulo. Tutto ciò significa che anche la nomenclatura (e la tassonomia) di un gran numero di piante e prodotti agricoli fatti oggetto di coltura sistematica, dei diversi tipi di terreno agricolo sottoposto a sfruttamento, degli operatori stessi in questo settore della produzione ci è presentata in forma parziale e spesso distorta.

Le colture estensive - Principalmente dalle tavolette relative alle rilevazioni dei campi, ma anche in parte da quelle concernenti rimesse e redistribuzioni, risulta evidente come le colture portanti del sistema agricolo siano rappresentate in prima istanza dai due cereali più diffusi, orzo e grano, in seconda istanza dalle tre colture arbustive della vite, dell'ulivo e del fico. Il grano, nella cui unità di semina erano calcolate le estensioni delle parcelle di terreno allocate per via diretta o indiretta dall'amministrazione palaziale, deve probabilmente identificarsi con la qualità dicocco (farro). In alcune tavolette, relative soprattutto a rimesse/offerte anche di carattere religioso, compare un logogramma al quale è stato attribuito il valore di "farina", derivata con molta probabilità dalla macinatura di grano tenero. Le colture arbustive sono purtroppo testimoniate da poche, anche se molto significative, tavolette. In queste l'ulivo, il fico e la vite sono espressi attraverso una complessa tipologia di logogrammi che sembrano poi essere passati in molti casi a indicare correntemente il frutto (o il prodotto di questo). L'espressione pu-ta-ri-ja, che ricorre una sola volta a Cnosso, sembrerebbe indicare un terreno (calcolato in unità di semina di grano) coltivato a orto/giardino, quindi caratterizzato anche da colture arboree, mentre wo-na-si dovrebbe indicare il vigneto vero e proprio. La stessa definizione per "vite", we-je-we, può essere vista come indicazione indiretta della tecnica con la quale i tralci della vite venivano sostenuti: a mezzo cioè di un sostegno arboreo. Di fatto, nei documenti l'associazione della vite con gli alberi di fico sembra confermare, quanto meno per Cnosso, l'esistenza dell'uso di connettere la vite al fico. Oggetto di coltura estensiva doveva essere anche la pianta del lino, della quale però abbiamo dati solo indiretti, forniti essenzialmente dalle tavolette pilie. Si tratta infatti di rimesse di lino (ri-no), espresse in unità precedute dalla sigla SA, da parte di distretti o categorie di persone aventi probabilmente in usufrutto terreni dedicati a questa coltura. Il fatto che le quantità di SA a Pilo siano contate, mentre a Cnosso ogni riferimento alla pianta di lino sia connesso con misure di peso, indica che ci troviamo di fronte non già a quantità di semi, bensì a balle di fibra di lino. A parte alcune colture altamente specializzate (e di certo condotte nella dimensione dell'orto), relative a piante aromatiche o coloranti destinate essenzialmente ai processi di trasformazione industriale, il quadro della produzione agricola offerto dalla documentazione epigrafica presenta, se rapportato ai dati forniti dall'indagine archeobotanica, numerose e significative lacune. Mancano non solo tutte le colture ortofrutticole oggetto di consumazione allo stato fresco, ma anche tutte le Leguminose, insieme a qualsiasi traccia consistente di colture oleifere effettivamente alternative a quella dell'ulivo. L'esistenza di queste lacune, se in prima istanza può far pensare a un gioco del caso, di fatto può invece essere spiegabile in termini di strategie e di scelte delle procedure d'ammasso perseguite dalle amministrazioni palaziali (il discorso si può in questo caso fare con un certo grado di affidabilità soltanto per le testimonianze micenee in lineare B). Si può cioè ipotizzare che i meccanismi di reperimento, di immagazzinamento e di redistribuzione degni di registrazione scritta riguardassero solamente un ristretto numero di prodotti agricoli ritenuti essenziali o di particolare pregio. La circostanza poi che per prodotti finalizzati alla trasformazione, come l'uva o la pianta del lino, non si abbia alcun riferimento esplicito al frutto o alla pianta, bensì solo al prodotto (vino) o alla fibra già prelavorata, può essere intesa come indice del fatto che le rispettive lavorazioni avvenissero a livello di aziende rurali sparse sul territorio, forse neppure direttamente gestite o controllate dall'amministrazione palatina, che era invece interessata, e di fatto richiedeva, un flusso regolare del prodotto finito o semilavorato.

Le colture e le piante particolari - Dagli archivi/depositi di tavolette in lineare B di Pilo, Micene e Cnosso provengono gruppi di tavolette nelle quali sono menzionate piante aromatiche e coloranti, tanto connesse con la produzione di oli profumati quanto utilizzabili per la tintura dei tessuti, per scopi terapeutici o come spezie nella dieta alimentare. La nomenclatura non è sempre di facile interpretazione e, se l'identificazione con le rispettive specie vegetali è nella maggior parte dei casi abbastanza certa, spesso insicura risulta l'individuazione della specifica varietà. In alcuni casi il nome è di origine orientale, un fatto che da alcuni studiosi è stato interpretato come indizio di importazione del prodotto stesso, da altri però come semplice fenomeno di nominazione di specie in effetti locali. Generalmente la quantità del prodotto è indicata per mezzo di misure di capacità per aridi, talvolta precedute dal logogramma indicante genericamente "aroma", il che induce a pensare che la registrazione si dovesse riferire ai semi provenienti dalla pianta. Vi sono tuttavia alcuni casi nei quali le quantità sono indicate per mezzo di unità numeriche o di misure di peso (relative quindi all'intera pianta o a parti costituenti di essa?).

La gestione delle terre e i fattori di crisi - La nomenclatura relativa alle professioni nel settore agricolo, così come quella pertinente all'uso e al possesso della terra risultano di difficile interpretazione. Entrambe, infatti, sono desumibili solo per via indiretta, da documenti che non hanno come fine primario quello di descrivere le diverse occupazioni della forza-lavoro impegnata nei campi o le caratteristiche produttive dei campi stessi. Nel caso delle occupazioni agricole, le definizioni ci sono essenzialmente date dalla loro citazione in liste di nomi di contribuenti o di beneficiari, fuori quindi del contesto produttivo. Troviamo così, ad esempio, il personale femminile incaricato di disporre e misurare il frumento, gli addetti alla raccolta/immagazzinamento dei fichi e le incaricate di macinare il grano. In tutti questi casi e anche in altri, stante la menzione del tipo di occupazione fuori di un contesto strettamente agricolo, rimangono ampi dubbi e possibilità interpretative. Diverso è il problema relativo alla definizione delle terre. In questo caso le maggiori attestazioni sono contenute nelle tavolette della serie E di Pilo, che riguarda essenzialmente inventari delle allocazioni di parcelle sui quali basare il calcolo delle rispettive rimesse. La terminologia qui ricorrente, estremamente complessa e articolata, sembra avere subito un processo di convenzionalizzazione semantica ed essere passata da un'originaria valenza denotativa legata allo stato effettivo della produttività del terreno a quella connotativa delle obbligazioni, in termini di rimesse o di servizi, che il suo possesso doveva implicare nei confronti delle amministrazioni centrali o degli organi decentrati di autogoverno. L'impressione generale è dunque quella di un graduale moltiplicarsi di nomenclature sempre più convenzionalizzate (e per noi di difficile comprensione) miranti a regolare nel dettaglio la casistica del delicato equilibrio fra sfruttamento dei terreni e obblighi derivanti. A fronte di questo pedissequo controllo da parte dell'amministrazione centrale del rapporto fra allocazione e rimessa, non traspare dalla documentazione in nostro possesso un eguale interesse nei confronti dello stato effettivo dei campi. Mancano tracce di veri e propri catasti o resoconti specifici sulla effettiva o presunta messa a coltura dei campi. Anche se le testimonianze archeologiche forniscono indizi sull'intrapresa di alcune grandi opere idrauliche volte a un migliore sfruttamento agricolo del territorio (si pensi al classico esempio del prosciugamento a mezzo di un complesso sistema di dighe e canali dell'area paludosa di Kopais), la cui realizzazione è immaginabile solo sotto la guida di entità politico-amministrative centralizzate, l'interesse preminente delle élites palaziali sembra essere stato quello di garantirsi, e perciò di controllare scrupolosamente, un flusso sempre più intenso di prodotti agricoli ben determinati. Sul lungo periodo questo atteggiamento può avere portato, da un lato, al lento esaurimento delle terre, con un calo di qualità dei raccolti soprattutto per quanto concerne le colture di tipo estensivo, fenomeno solo parzialmente controbilanciabile dal potenziamento di colture ortofrutticole specializzate; dall'altro, alla sperimentazione di nuove colture più resistenti o di nuovi assetti dei campi stessi (sfruttamento biplanare, alternanze o complementazioni particolarmente idonee, ecc.). Segnali in entrambe le direzioni sono forniti soprattutto dalle recenti indagini archeobotaniche e di archeologia spaziale condotte nel territorio di Tirinto da H. Kroll e K. Kilian. Occorre tuttavia tenere presenti le difficoltà ad adeguarsi alla sperimentazione di nuove strategie agricole insite in amministrazioni estremamente irrigidite, quali appaiono essere quelle dei maggiori centri micenei sul finire del XIII sec. a.C. Sotto la spinta di un forte incremento demografico, verificabile in quest'epoca soprattutto nel Peloponneso, e della sempre maggiore necessità di manodopera reclutabile attraverso corvées e servizi, la risposta delle amministrazioni micenee deve perciò essere stata nella maggioranza dei casi quella di una sempre più forte pressione fiscale sulla popolazione rurale, che deve alla lunga avere inciso pesantemente sull'equilibrio dell'intero sistema.

Bibliografia

In generale:

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Oleifere:

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Colture arbustive:

S. Hiller, Fruchtbaumkulturen auf Kreta und in Pylos, in A. Heubeck - G. Neumann (edd.), Res Mycenaeae.Akten des 7. Internationalen Mykenologischen Colloquiums (Nürnberg, 6-10 April 1981), Göttingen 1983, pp. 171-201.

Vite e produzione del vino:

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Olivicoltura:

C.N. Runnels - J. Hansen, The Olive in the Prehistoric Aegean: the Evidence for Domestication in the Early Bronze Age, in OxfJA, 5 (1986), pp. 299-308.

Coltura del lino:

E.D. Foster, The Flax Impost at Pylos and Mycenaean Landholding, in Minos, 17 (1981), pp. 67-121.

Aromi, spezie e unguenti profumati:

M. Wylock, La fabrication des parfums à l'époque mycénienne d'après les tablettes FR de Pylos, in SMEA, 11 (1970), pp. 116-33; Id., Les aromates dans les tablettes Ge de Mycenes, ibid., 15 (1972), pp. 105-46; C. Shelmerdine, The Perfume Industry of Mycenaean Pylos, Göteborg 1985.

I sistemi di irrigazione

di Massimiliano Marazzi

Per il periodo Tardo Elladico avanzato (XIV-XII sec. a.C. ca.) è accertata un'intensa attività collegabile a imponenti opere idrauliche in almeno due aree della Grecia: l'Arcadia e la Beozia. Anche se studi archeologici in proposito esistevano già da tempo, una svolta nelle ricerche e un'acquisizione di dati tecnici al riguardo si sono avute soltanto in questi ultimi anni, grazie alle campagne condotte nelle citate regioni dall'équipe interdisciplinare di ingegneri e archeologi dell'Institut für Wasserbau und Wassermengenwirtschaft della Technische Universität di Monaco di Baviera. Il gruppo di ricerca ha accertato l'esistenza di interventi idraulici complessi, per lo più in relazione a precise condizioni riferibili a bacini idrici naturali posizionati in aree interne chiuse di natura carsica. I dispositivi tecnici e le opere messi in atto, che appaiono seguire i criteri comunemente attuati oggi nel caso dei cosiddetti polder (aree depresse pericostiere soggette a fenomeni di regolare inondazione), prevedono la realizzazione di impianti agenti in concomitanza, secondo un piano organico di recupero del territorio; questi comprendono: 1) messa in opera di terrapieni di larghezza fino a 30 m e altezza attorno a 3 m, con paramento ciclopico, aventi funzione di sbarramento delle acque e delimitazione delle aree destinate a bonifica; 2) imbrigliamento dei corsi d'acqua più rilevanti attraverso un complesso sistema di canali (larghi fino a 40 m), tracciato per lo più in stretta armonia con la conformazione dei limiti del catino del bacino e con le eventuali bocche di deflusso sotterraneo; 3) messa in opera di terrapieni lungo il corso dei canali più rilevanti e apertura di fossati lungo il percorso interno dei terrapieni, con funzione di diga per il controllo e la raccolta delle acque di infiltrazione e per il deflusso delle acque piovane in esubero all'interno dei polder; 4) apertura di canali di sfogo lungo il tracciato dei canali principali di imbrigliamento, utili nel caso di innalzamento pericoloso del livello delle acque o ideati per necessità di approvvigionamento idrico. Nei diversi bacini nell'ambito dei quali tali sistemi risultano in opera si sarebbero pertanto venute a creare, a fronte di aree destinate alla raccolta controllata delle acque, diverse tipologie di zone bonificate particolarmente adatte allo sfruttamento agricolo. Tracce evidenti di intervento idraulico sono state individuate nel bacino di Stymphalos, Pheneos e Orchomenos-Kaphiai in Arcadia, nell'area di Tirinto in Argolide e, soprattutto, nel bacino di Kopais in Beozia. In quest'ultimo, alle tracce di un imponente e complesso sistema di regolazione delle acque incentrato sull'escavazione di un canale di imbrigliamento superiore a 20 km di lunghezza che correva lungo il limite settentrionale dell'intero bacino, si uniscono gli studi archeologici relativi al sistema insediativo collegato al controllo e allo sfruttamento delle raggiunte potenzialità agricole del territorio. La collocazione del centro principale, Orchomenos, in rapporto ai borghi fortificati eretti su zoccoli naturali dominanti la piana, come ad esempio Gla, Busaraki e Nisi (che fungevano da centri controllori posti a vista reciproca, ma anche da possibili punti di raccolta dei prodotti agricoli) e ai nuclei insediamentali distribuiti sul territorio bonificato, concorre a dare un'idea del grado di pianificazione territoriale raggiunto da un'area interna di estrema importanza, quale appunto quella di Kopais, in piena età micenea.

Bibliografia

In generale:

J. Knauss, Arkadian and Boiotian Orchomenos, Centres of Mycenaean Hydraulic Engineering, in Atti e Memorie del II Congresso Internazionale di Micenologia (Roma - Napoli, 4-20 ottobre 1991), Roma 1996, pp. 1211-220.

Per l'Arcadia:

J. Knauss - B. Heinrich - H. Kalcyk, Der Damm bei Kaphiai und Orchomenos in Arkadien, in AA, 1986, pp. 583-611; J. Knauss, Die mykenische Talsperre im Becken von Mantineia und ihre Zerstörung während des peloponnesischen Krieges im Jahr 418 v. Chr., ibid., 1989, pp. 107-41; Id., Die alten Talsperren beim taubenumschwärmten Thisbe in Südwestböotien, in AW, 1989, 3, pp. 32-55.

Per il bacino di Kopais:

J. Knauss - B. Heinrich - H. Kalcyk, Die Wasserbauten der Mynier in der Kopais. Die älteste Flußregulierung Europas, München - Obernach 1984; J. Knauss, Die Meliorationen des Kopaisbeckens durch die Mynier im 2. Jht. v. Chr., München- Obernach 1987; Id., Wasserbau und Geschichte, mynoische Epoche - Bayerische Zeit (vier Jahrhunderte - ein Jahrzehnt), München - Obernach 1990.

Per l'area di Tirinto:

E. Zangger, Landscape Changes around Tiryns during the Bronze Age, in AJA, 98 (1994), pp. 189-212.

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